Un secolo di Nino Manfredi

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Un secolo di Nino Manfredi
Un secolo di… Nino Manfredi
Qualche giorno prima del lockdown dello scorso anno, che ha messo in ginocchio l’Italia e il mondo,
ebbi l’onore di intervistare la signora Erminia Manfredi, moglie del compianto Nino, per il libro Il
ventennio d’oro del cinema italiano- 4 lustri di illustri, edito da Graus Edizioni. In
quell’occasione, così vibrante di emozioni, per un autentico e passionale estimatore di Nino
Manfredi, ne uscì un ritratto ancora più vero di quello che è stato l’attore, tra il privato e il
pubblico. Alla mia domanda se vi erano differenze tra il Manfredi privato e il Manfredi del
cinematografo, la signora Erminia rispose così:

  “Mio marito, dal punto di vista lavorativo, era l’esatto specchio di quello che lui era nella sua vita
  privata. Era una persona molto seria e faceva tutto con serietà, nel senso che era molto
  metodologico e si preparava su tutto. Ad esempio, quando gli proponevano un film, studiava il suo
  personaggio in maniera tale da entrare completamente nella parte e farla sua. Per esempio,
  quando ha fatto Geppetto, nel Pinocchio di Comencini, per prepararsi alla parte, pur non
  avendone l’età, andava di fronte alla nostra casa, a Roma, nel Giardino degli Aranci, a vedere
  come giocavano i bambini. Il tutto per delineare un Geppetto ancora attivo, desideroso di giocare,
  che poi grazie a questi “studi” è diventato quel personaggio immortale, che tutti noi continuiamo
  ancora ad ammirare. Mio marito amava un po’ tutti i personaggi che interpretava, perché in
  ognuno metteva sempre tutto se stesso e la sua professionalità, ma ad ognuno era in grado di
  donare sfumature sempre diverse, che fosse Pane e cioccolata o che fosse Brutti, sporchi e
  cattivi”.
Un secolo di Nino Manfredi
Da questo estratto di quell’intervista, che porto sempre nel cuore, fuoriesce tutta l’essenza di quello
che è stato il metodologico Nino Manfredi, che rimane ad oggi, esattamente a 100 anni dalla sua
nascita un punto di riferimento assoluto nella storia del cinema italiano e della commedia
all’italiana, del quale è ritenuto uno dei “4 mostri”, assieme a Sordi, a Gassman e a Tognazzi.
Versatile e incisivo, poliedrico e magnetico, come pochi, nel corso della sua carriera ha alternato con
uguale vigore ruoli comici e drammatici di notevole efficacia, risultando probabilmente il più grande
di tutti, nella sua capacità di entrare nel ruolo e regalarci personaggi immortali. La signora Erminia,
ha parlato dello strepitoso e struggente Geppetto del Pinocchio di Luigi Comencini; ma il tutto va
continuato ed ampliato con il Dudù di Operazione San Gennaro; con il meraviglioso padre di
famiglia dell’Italia del boom de Il padre di famiglia; o ancora il leggendario Pasquino di
Nell’anno del Signore. Ce ne siamo scordati tanti e potremmo continuare per ore, fino a far
diventare questo articolo un saggio vero e proprio, magari da pubblicare.

Eppure non basterebbe neanche un libro per ricordare la grandezza di un attore, che fa parte del
patrimonio storico ed emotivo del nostro Paese: un personaggio familiare, che fa parte di noi stessi,
di quello che siamo stati e di quello che siamo. 101 film interpretati, tra il 1949 di Torna a
Napoli e il 2003 de La fine di un mistero. In mezzo, 9 David di Donatello (record assoluto al
maschile), 6 Nastri d’Argento, 4 Globi d’oro e soprattutto la Palma d’oro a Cannes 1971, come
miglior opera prima per il suo capolavoro emotivo dal titolo Per grazia ricevuta. Basterebbe
questo palmares, per inquadrare Nino, anzi Saturnino, perché questo era il suo vero nome
all’anagrafe; ma non basta, perché la sua grandezza non è quantificabile in una stima di quanto il
suo lavoro abbia influenzato tutta la commedia, durante gli anni del fulgore della commedia
all’italiana e anche nei decenni successivi.

Alcuni di questi film sopravvivono sulle vette più elevate del nostro cinema; altri ancora navigano più
in basso; ma tutti gli oltre 100 delineano quella che è stata la maestria metodologica di Manfredi, il
più grande nel tuffarsi nel personaggio regalandoci interpretazioni sempre diverse, ma sempre
particolarmente realistiche ed efficaci. Dopo una notevole gavetta, fatta di tante particine sparse qua
e là, il meritato successo arriva alla fine degli anni ’50, con titoli come Carmela è una bambola,
L’impiegato e Audace colpo dei Soliti Ignoti o Anni ruggenti, che ci consegnano un attore
diverso dal classico panorama cinematografico nazionale. E i titoli della seconda metà degli anni
’60, non fanno altro che confermare in pieno quell’intuizione. Proprio in questo decennio, Manfredi
mette a segno passo dopo passo numerosi successi, fino a quel 1969, che lo issa come miglior attore
italiano dell’annata, per quello che sarà il suo anno mirabilis. Nel solo quinquennio 1964-69 è
protagonista di oltre 20 film, tra film a episodi come Le bambole o I cuori infranti e
lungometraggi interamente basati sulle sue straordinarie capacità di attore a tutto tondo, quali
Straziami, ma di baci saziami, Italian secret service e Operazione San Gennaro, ambientato
all’ombra del Vesuvio e impreziosito da un prestigioso intervento del grande Totò; per finire con Il
padre di famiglia, uno dei migliori Manfredi di sempre, perfetto nel tratteggiare, come già
anticipato sopra, il ritratto di un padre di famiglia alle prese con tutte le problematiche sociali e
lavorative degli anni ‘60. Un piccolo gioiello diretto dal regista Nanni Loy.

Ma soffermiamoci un attimo su Italian secret service del 1967, un sottovalutato, ma divertente
incrocio tra commedia all’italiana e parodia dei film di spionaggio americani. È il momento migliore
della carriera di Nino Manfredi che addirittura nel 1968 si aggiudica due David di Donatello ex-
aecquo sia per Italian secret service che per Il padre di famiglia. Caso più unico che raro nella
storia della cinematografia mondiale: un ex-aecquo con se stesso. Ciò sta a significare che le sue
interpretazioni, ormai, sono tutte di enorme spessore ed è forse l’attore più richiesto del panorama
italiano, tra la seconda metà degli anni ’60 e i primi anni ’70. Infatti, è proprio in questo periodo, che
l’attore prende piena consapevolezza di sé, dopo anni di gavetta, entrando sull’accogliente carro
della commedia all’italiana. Anno dopo anno l’attore scala le vette, pur mantenendo un profilo basso,
ravvisabile rispetto agli ingaggi medi degli altri colleghi del periodo: Mastroianni 120 milioni di lire,
Tognazzi 50 e Manfredi (si fa per dire) soltanto 30, anche se con un movimento oscillatorio.

Infatti, a seconda del suo gradimento rispetto alla sceneggiatura era consono alzare o diminuire la
richiesta, tenendo in mente vari fattori, quali lo studio approfondito del personaggio e i giorni di
impegno sul set. Non c’è da sorprendersi, il tutto rientrava in quella grande attenzione che il
professionista Manfredi, diffondeva nel suo lavoro: metodo, precisione e orgoglio. Molto spesso era
solito inserire con grande vigore, modifiche in seno di sceneggiatura, attirando non di rado,
polemiche accese con il regista di turno, quanto più era qualificato il secondo, tanto meno era
disposto a cedere il passo. E così, ad esempio sul set di Nudo di donna, nel 1981, avviene un
proverbiale e acceso diverbio tra Nino Manfredi e il regista Alberto Lattuada, con quest’ultimo che
decide di abbandonare anzitempo il set, e il primo che prenderà le redini del lavoro portandolo a
compimento.

Tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’80, Manfredi continua quel
processo di maturazione, che lo rende uno degli attori più amati del
panorama nazionale.

Nominiamo, dunque, le sue migliori pellicole.
Nel 1969 è impegnato sul set di Straziami, ma di baci saziami (1968), gioiellino di comicità
paradossale e popolana, tutta giocata sul gusto per il calco filologico e deformante della subcultura
popolare, del patetico da fotoromanzo e del romanticismo da festival di Sanremo, che contiene
alcune delle più belle battute degli sceneggiatori Age e Scarpelli. Il trio di protagonisti è
semplicemente sublime: Manfredi, Tiffin e Tognazzi; mentre il regista è Dino Risi.

L’elenco delle interpretazioni memorabili di Nino Manfredi, strettamente nell’ambito del film a
episodi, del quale, va quì ricordato, Manfredi fu uno dei massimi specialisti, si arricchisce nel 1969,
di un film Vedo nudo, diretto anch’esso da Dino Risi, che rimane, come film corale, uno dei
migliori assoli dell’attore romano. Il migliore dei sette sketch che lo compongono è proprio l’ultimo,
ovvero quello che dà il titolo al film e che è rimasto nella memoria collettiva. E’ la storia di un
pubblicitario che vede denudate tutte le donne che incontra, ma quando crede di essere guarito la
stessa devianza psichica si manifesta con gli uomini. L’episodio, il più divertente del film corale, si
basa tutto sulla prova del grande Nino Manfredi e sulle sue espressioni facciali alle prese con le
visioni “nude”, che sono da antologia della risata e da scuola di recitazione. Un cortometraggio
molto conosciuto anche all’estero, dato anche il grande successo commerciale del film, tanto che
pare sia stato preso ad esempio, quando nel 2000 la regista Nancy Meyers ad Hollywood firmò la
pellicola What women want, con Mel Gibson. Anche quella è la storia di un pubblicitario alle
prese con l’altro sesso, ma stavolta invece di vederle nude, acquista il potere “magico” di ascoltare il
loro pensiero. Una prova in più del fatto che il cinema americano, ha spesso tratto spunto da quello
italiano, sempre precursore dei tempi.

Quello stesso anno l’attore prende parte a Nell’anno del Signore, campione di incassi della
stagione, il quale può essere considerato come il più grande film in costume della storia del cinema
italiano. In un cast a dir poco eccelso – Sordi, Tognazzi, la Cardinale, Salerno – si staglia
l’interpretazione del vero protagonista del film: Nino Manfredi. Sublime nel tratteggiare Pasquino, il
ciabattino, lo storico autore di invettive contro il Papa, nella Roma papalina del 1825. La splendida
interpretazione gli valse sia il Nastro d’argento che il David di Donatello come miglior attore
protagonista della stagione 1969. Fu proprio con questo film che Manfredi e Magni iniziarono una
fruttuosa e redditizia collaborazione, consolidatasi negli anni con In nome del Papa Re (1977) e In
nome del popolo sovrano (1991), secondo e terzo capitolo della trilogia sulla Roma papalina di
metà Ottocento, focalizzando l’attenzione sul rapporto tra clero pontificio, aristocrazia e popolo.

Proprio Nell’anno del Signore rappresenta il primo capitolo di questa trilogia con almeno una
perla destinata a entrare nella storia del cinema. Esattamente la scena finale –quando Pasquino
intuisce che il potere trae forza dalla sua mancanza di emotività, rispetto al popolo che “c’ha er
core” – è geniale e allo stesso tempo commovente. Spiega al suo discepolo interpretato da Pippo
Franco che “…li morti così con una burla de processo pesano più peggio e cor tempo diventano la
cattiva coscienza del padrone… perché solo sul sangue versato viaggia la barca della rivoluzione”.

Insomma, sacrificare due carbonari per risvegliare la coscienza del popolo: i primi vaggiti d’Italia 35
anni prima di Garibaldi, in un film realizzato all’alba dei tumulti che caratterizzeranno gli anni ’70 e
che il cinema nazionale ha prontamente descritto.

Procedendo velocemente, negli anni ’70, vanno citate altre memorabili interpretazioni. Come Per
grazia ricevuta (1971), che segna l’esordio in un lungometraggio di Nino Manfredi come regista, il
quale è comunque anche il protagonista del film, con una regia dal sapore naif e un soggetto
indubitabilmente nostrano e originale, a metà tra spiritualità e psicoanalisi, sulle conseguenze della
cattiva educazione religiosa. Record di incassi della stagione 1970/71. Nino Manfredi, come già
accennato sopra, vinse la prestigiosa “Palma d’oro” al Festival di Cannes per la miglior opera
prima. Molte scene rimaste nella storia. Capolavoro senza tempo, esattamente come C’eravamo
tanto amati (1974), di Ettore Scola, omaggio nostalgico, amaro e sincero al cinema italiano e più
in generale ad un pezzo di storia e al tempo che passa inesorabile.

Abbiamo poi anche Pane e cioccolata (1974), a detta di molti, il miglior film della carriera di Nino
Manfredi. Elogio dell’italiano all’estero con tante scene entrate nell’immaginario popolare. Manfredi
si supera, in un’interpretazione attenta e precisa e vince con merito il David di donatello come
miglior attore protagonista. In ultimo citiamo, alcuni film che rientrano nel Manfredi più
strettamente drammatico. Un esempio su tutti, Brutti, sporchi e cattivi (1976), un film
volutamente sgradevole, ambientato in una borgata degradata della capitale, dove Manfredi offre
un’ottima prova della sua straordinaria poliedricità.

E poi abbiamo gli ultimi grandi “fuochi”, scintille di grande cinema d’autore. Parliamo de Il
giocattolo (1979), splendido apologo sulla violenza privata, con un Manfredi drammatico che
convince appieno; e soprattutto Cafe express (1980), nei panni del venditore abusivo di caffè sui
treni Michele Abbagnano, a detta di molti la sua interpretazione più intensa e sofferta. E per questo
film Manfredi vinse l’ennesimo Nastro d’argento della sua sfolgorante carriera.

Insomma, fa davvero piacere, che nonostante stiamo vivendo un 2021 complicatissimo, le
celebrazioni in onore di Nino Manfredi, siano molteplici in tutto il nostro Paese: pubblicazioni,
documentari inediti, omaggi televisivi e numerosi articoli a lui dedicati. Questo vuol dire, che
abbiamo ancora una speranza. Abbiamo ancora la speranza che la cultura possa elevarci, che la
cultura possa educarci e che quindi la memoria di chi ha reso grande questo nostro martoriato
Paese, non si perda mai, nell’oblio degli abulici tempi moderni.

Perciò dobbiamo gridare con forza CIAO NINO ovunque lui sia…e studiarlo, amarlo al pari degli
altri suoi colleghi, perché appassionarsi al nostro cinema vuol dire imparare qualcosa di più su di noi
e vuol dire fare cultura, quella con la C maiuscola.

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