Niente di speciale: l'amore secondo l'Indie italiano

Pagina creata da Mirko Orlando
 
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Niente di speciale: l'amore secondo l'Indie italiano
Niente di speciale: l’amore secondo l’Indie
italiano
Non esiste essere umano che, almeno una volta nella vita, non si sia dovuto confrontare con l’amore
e le sue pene, ma la musica italiana ha fatto di questo nobile sentimento, l’argomento
principe di ogni sua narrazione.

Lo sanno bene i melomani di tutti il mondo accomunati da una passione smisurata per l’opera lirica,
lo sanno gli amanti della canzone popolare napoletana ed i neomelodici, lo sanno gli appassionati di
musica antica anche se, la massima espressione della canzone d’amore la ritroviamo nelle più
classiche canzoni italiane.

Le nostre canzoni d’amore, cantate in tutto il mondo, in fondo sono un tratto ben distinguibile della
cultura musicale italiana, romantiche ed appassionate, struggenti e malinconiche ma che spesso
narrano un amore troppo “cortese” e troppo idealizzato.

Con questo, non si vuole sminuire l’immenso patrimonio musicale della canzone d’amore che novera
grandissimi capolavori della musica, né tanto meno demonizzare la rima facile da “Tre parole”:
“sole, cuore e amore”, semplicemente cercare un altro modo per parlare d’amore, più ironico, più
schietto e più quotidiano.

Insomma, se per una volta, cercassimo di guardare l’amore
sotto altri punti di vista?
In questo, può venirci in aiuto la musica indipendente italiana con la sua anti convenzionalità ed
irriverenza ma anche, e soprattutto, con la sua differente sensibilità, che ci mostra un amore ben
diverso da quello idealizzato, ma non meno profondo.

L’amore così, diventa anche il pretesto per raccontare altri
temi ed altre forme che in una classica canzone italiana, non
troverebbero spazio.
Allora l’amore potrebbe essere “Un colpo di pistola” per Brunori Sas e guardare il femminicidio sotto
un altro aspetto; oppure “L’amore è una dittatura” per i The Zen Circus nell’esercizio di stile che
cala le vicende amorose nella società contemporanea, per poi accorgersi che in fondo, “il loro non
era un amore poi tanto diverso”, come racconta Vasco Brondi (Le luci della centrale elettrica) ne “Le
ragazze stanno bene”; insomma “Niente di speciale” per Lo Stato Sociale nel raccontare “una storia
che non si può dire”, tenuta nascosta agli occhi del mondo e non meritevole di essere raccontata e
vissuta liberamente.

Non soltanto storie particolari ed anticonformiste, l’Indie è capace di raccontare anche il più
classico degli innamoramenti accompagnato dalla confusione e del senso di smarrimento
che ne derivano; una confusione, che ad esempio, mischia le parole e sovverte la sintassi, ma non
impedisce di dichiarare l’amore come in “Te per canzone una scritto ho” de Lo Stato Sociale, oppure
genera stranezza, quasi estraneità, come nel “Punk sentimentale” de Le luci della centrale elettrica
in cui, quel “ Sapessi com’è strano sentirsi innamorati a Milano 2”, riprende la più classica canzone
Niente di speciale: l'amore secondo l'Indie italiano
d’amore (“Innamorati a Milano” di Alberto Testa e Memo Remigi) e la attualizza arricchendola di
significato.

Un amore fatto di dichiarazioni e desideri semplici come “Vieni a vivere” di Dente ed “Ho bisogno di
dirti domani” di Nicolò Carnesi, ma anche dello struggimento che può derivare da una separazione
come in “Cosa mi manchi a fare” di Calcutta ed “Il fiore per te” dei Sick Tamburo.

Canzoni che ci posso aiutare a comprendere le sfaccettature di un sentimento e, forse, a viverlo ed
affrontarlo in modo diverso, anche se fosse soltanto un’attrazione momentanea e puramente fisica,
oppure canzoni da cui dovremmo slegarci per vivere l’amore senza alcuna convenzione romantica e
per quello che è: la commistione tra piacere fisico e idillio di anime, dando ragione a Brunori che
canta in “Per due che come noi”:

  E chi se ne frega se è sesso o se è amore

  Conosco la tua pelle tu conosci il mio odore

  Che poi chi l’ha detto che è peggio un culo di un cuore

  E che serve una canzone per parlare d’amore.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

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La scienza non è un tema per donne, ma
anche no!
Spesso non ci rendiamo conto di quanto i condizionamenti esterni influenzino le nostre scelte
di vita.

Decidiamo di fare o non fare qualcosa, non perché non siamo realmente portati verso quel qualcosa
o non è nelle nostre corde, ma perché siamo convinti – ci hanno convinto – che non è una strada
giusta per noi. O peggio, proprio non accessibile, non percorribile.

È chiaro ed evidente che di precostituito non c’è nulla. A parte volare, tutti noi, se vogliamo,
possiamo realizzare i nostri sogni. Con impegno e studio, niente ci è precluso. Non si parla di
capacità, si parla “semplicemente” di stereotipi.

  Dalla Treccani.
  Stereotipo: […] in psicologia, opinione precostituita, generalizzata e semplicistica, che non si
  fonda cioè sulla valutazione personale dei singoli casi ma si ripete meccanicamente, su persone o
  avvenimenti e situazioni […].

Ce lo ricorda oggi un bel post apparso sull’account Instagram di Save the Children, nel giorno
della Giornata Mondiale delle donne e delle ragazze nella scienza.

Leggerlo ci consegna una verità di cui, a mio parere, si parla
troppo poco.

  Visualizza questo post su Instagram

                 Un post condiviso da Save the Children Italia (@savethechildrenitalia)
Se chiediamo ad un gruppo di bambini di disegnare uno scienziato, 1 su 3 lo disegnerà donna. Se
  lo chiediamo ad un gruppo di ragazze di 16 anni, 3 su 4 lo disegneranno maschio. Se lo chiediamo
  ad un gruppo di ragazzi della stessa età, il 98% lo disegnerà maschio.

Insomma con il passare degli anni, se sei donna, smetti di pensare che il mondo della scienza
ti possa appartenere. Inoltre, secondo quanto riportato da Save the Children, anche quando una
ragazza, andando contro ogni aspettativa sociale, mostra di essere fortemente portata per gli studi
scientifici, solo una su otto pensa di poter lavorare come ingegnere o in altre professioni scientifiche,
a fronte di uno su quattro se parliamo di ragazzi.

Non credo che questo sia un bel risultato per una società
che si crede, sin troppo generosamente, evoluta.
Spesso per motivare un cambiamento di paradigma o culturale, cerchiamo di trovare una
giustificazione economica. Vale ad esempio per le attività culturali: quante volte sentiamo che
investire in cultura è giusto (attenzione, GIUSTO) perché genera ricchezza? Come se non bastasse
pensare che oltre al valore economico (che comunque produce) c’è anche un altissimo valore sociale
e di comunità. Insomma, che sia giusto a prescindere.

Allo stesso modo, possiamo dire (giustamente come scrive Save the Children) che se più donne si
dedicassero allo studio delle STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) il PIL
europeo potrebbe aumentare dal 2,2% al 3%.

Ma è davvero questo il punto?
Non lo è di più, come io credo, che fare avvicinare le ragazze alla scienza sarebbe giusto già
solo per affermare che niente ci può essere precluso, che non ci sono differenze limitanti e che,
come nel caso specifico, la scienza non è una cosa solo per uomini?

Ti è piaciuto? Hai qualche considerazione in merito? Fammelo sapere nei
commenti. Rispondo sempre.
Se vuoi rimanere in contatto con me questo è il link
giusto: www.linkedin.com/in/ivanzorico

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Timothée Chalamet è il figlio di Edward
Mani di Forbice nello spot Cadillac,
dell’ultimo Super Bowl, che sta facendo il
giro del mondo
Che molte aziende americane attendano il Super Bowl per lanciare e/o promuovere i loro ultimi
prodotti è una cosa risaputa; sono anni che la finalissima di football americano è stabilmente
l’evento sportivo con i più grandi investimenti, e ritorni, pubblicitari di sempre.

Così come è prassi consolidata quella che vede le grandi aziende statunitensi, e non solo, pagare i
più grandi registi di Hollywood per girare spot milionari che poi debuttano durante, o a cavallo,
dell’evento sportivo.

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othée Chalamet nello spot della Cadillac Lyriq , trasmesso durante il LV Super Bowl.

Negli anni le collaborazioni fra brand e registi sono state tante, tutte coronate dal successo
mediatico, che hanno prodotto spot indimenticabili, che spesso rivisitano film cult: negli ultimi
dieci anni, le pubblicità per l’evento hanno ripreso Il giorno della marmotta, Una pazza giornata
di vacanza, Mamma, ho perso l’aereo, Il grande Lebowski e, più recentemente, Fuori di testa.

Ma questa volta la Cadillac si è davvero superata, proponendo uno spot che rivisita un vero cult
movie, che più cult non si può. Per lanciare la sua nuovissima “Lyriq”, una berlina elettrica con un
sistema di guida autonoma molto evoluto, ha rivisitato niente po’ po’ di meno che “Edward mani di
forbice”, classicone del 1990 di Tim Burton, che vedeva nel cast un’indimenticabile Johnny Depp in
coppia con Winona Ryder (quest’ultima tornata a vestire i panni dello stesso personaggio a 30 anni
di distanza).

  timothée chalamet as johnny depp in edward scissorhands always on my mind
  pic.twitter.com/nnCwK9ZekV

  — potter (@louistfIeur) February 7, 2021

Ebbene, nello spot della Cadillac Lyriq scopriamo che il figlio di Edward e Kim Boggs (il
personaggio interpretato da Winona Ryder), Edgar, che ha il volto ed il talento di Timothée
Chalamet, conduce una vita difficile ed ai margini della società a causa delle sue protesi alle mani.
Non può giocare a football con gli amici, nel fastfood dove lavora il suo estro creativo viene
soffocato, i suoi rapporti con l’altro sesso sono difficili, l’unico rifugio rimane un videogioco di guida
in realtà virtuale. Sarà proprio quest’ultimo, ed unico, hobby a spingere la madre a regalare al figlio
una nuova e fiammante Cadillac Lyriq elettrica con un evoluto sistema di guida autonomo che
permette al figlio di non dover toccare e quindi danneggiare il volante dell’auto.

Insomma, uno spot davvero ben fatto e coinvolgente che è già diventato virale sul web, che vede due
attori estremamente a loro agio nella parte, con un Timothée Chalamet perfettamente a fuoco nei
panni del figlio di Edward mani di forbice, molto somigliante nel fisico, nelle fattezze e nella
recitazione a quel Johnny Depp che rese immortale il personaggio ed il film del 1990. In
un’intervista a Vogue, Chalamet ha spiegato che: “È stata una grande opportunità per rendere il
film originale più attuale per il pubblico moderno, senza sacrificarne l’originalità che aveva negli
anni novanta. Abbiamo creato un personaggio che fosse un omaggio a quello creato da Johnny
Depp”.

I bene informati dicono che il regista Tim Burton ha non solo avvallato, ma pure supervisionato il
progetto dello spot, contento che dopo 30 anni il suo iconico personaggio torni in scena per quelle
nuove generazioni che non hanno visto il film, come ha dichiarato in un’intervista riportata da
Vanity Fair: “È raro che un lavoro di cui sei orgoglioso continui a vivere e ad evolversi con i tempi,
anche dopo trent’anni. Sono contento di vedere Edgar affrontare il nuovo mondo”.

Pubblicità e cinema creano spesso cortocircuiti interessanti e ben fatti, come questo spot dimostra,
ma le simmetrie e connessioni fra la settima arte e la pubblicità sono molto più profonde e assidue di
quanto si pensi.

  PER APPROFONDIRE
Secondo Giuseppe Mazza, copywriter di lungo corso che
  ha lavorato in Saatchi & Saatchi e in Lowe Pirella, che
  insegna alla Scuola Holden e alla IULM ed è fondatore di
  “Bill”, il magazine che ragiona di pubblicità, il cinema e
  la pubblicità alla fine sono quasi la stessa cosa, e la tesi,
  estrema ed interessante, è condivisa da molti altri
  studiosi. Infatti, scrive nel suo libro “Cinema e
  pubblicità. La relazione sorprendente” (Editrice
  Bibliografica, 2019): “Che cosa hanno in comune il
  cinema e la pubblicità? Il certificato di nascita,
  innanzitutto. Sono fratelli gemelli, figli della modernità,
  nati dall’unione fra spettacolo e industria, entrambi
  merce e forma espressiva. È già molto, quasi tutto, ma
  naturalmente condividono anche la casa, ovvero la
  società di massa. È lì che trascorrono le giornate
  giocando con gli altri linguaggi, fotografia, grafica, giornalismo, fumetto, televisione,
  web, tutte creature nate dalla seconda metà dell’ottocento in poi, epoca di macchine e di
  elettricità.”

Anche noi di Smart Marketing abbiamo l’idea che fra il cinema e la pubblicità ci siano molte più
affinità di quelle che emergono a prima vista, infatti la nostra rubrica di cinema nasce, anche e
soprattutto, per esplorare i film dal punto di vista del marketing, della comunicazione e dei social
media, e negli anni ha sempre cercato di leggere grandi classici, serie TV e film cult senza
preconcetti di alcun tipo. Anche perché, come abbiamo scritto nella presentazione della rubrica
stessa: «…i fratelli Lumière avevano già fatto una proiezione pubblica, davanti a 300 persone tra
imprenditori, filantropi e capitani d’industria, presso la sede della Società Francese per il Progresso
dell’Industria Nazionale il 22 marzo 1895 (quindi 9 mesi prima di quella celeberrima al Gran Cafè
al n° 114 di Boulevard des Capucine del 28 dicembre 1895) presentando il famoso “L’uscita degli
operai dalle Officine Lumière a Lione”. Quindi possiamo dire, senza pericolo di smentita, che il
Cinema è da sempre, fin dalla sua nascita, legato a doppio filo al mondo economico, industriale e
commerciale.».

Quindi, come dice anche Giuseppe Mazza, cinema e pubblicità, sono fratelli gemelli figli della
modernità e del progresso.

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