Un Borgo alle radici dei Monti - San Donato e Campidoglio - UNITRE Torino

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Un Borgo alle radici dei Monti - San Donato e Campidoglio - UNITRE Torino
Un Borgo alle radici dei Monti
                                                                 San Donato e Campidoglio

A cura del Prof. Paolo Magrini

In una memoria redatta per i colti e gentili torinesi, Francesco Baruffi così scriveva all’incirca alla
metà dell’800: le cime ed i seni tutti delle vicinissime Alpi rivestiti di neve erano così ben disegnati
nell’intenso azzurro del cielo, che il borgo, attesa l’aria purissima e non iscorgendosi altri oggetti
intermedi, pareva proprio sorgere alle vere radici di quelle montagne, che avresti detto appena
distanti pochi passi dalle circostanti campagne. Il borgo di cui si parla corrisponde a quell’entità
amministrativa che oggi chiamiamo Circoscrizione 4, ossia il raggruppamento dei presenti quartieri
di San Donato, Campidoglio e Parella. Si tratta di un trapezio che ha per base minore la zona di
piazza Statuto e la maggiore si spinge sino a via Pietro Cossa; i lati sono rappresentati dall’antica
carrozzabile conosciuta come Via di Francia (in realtà l’odierno corso Francia ingloberebbe anche
una parte consistente di Cit Turin), e da corso Regina Margherita. Pur se dal tempo del basso
Medioevo si cominci ad avere notizia di insediamenti sparsi, prettamente a carattere agricolo,
ancora nei primi anni del XIX secolo, Torino terminava all’altezza di corso Siccardi, oltre soltanto
una distesa di prati e qualche cascina. Non era però sempre stato così.

Nella zona di San Donato abbiamo testimonianza di un convento dei Padri Umiliati già a metà del
‘300, a cui fa seguito la presenza degli Agostiniani. Quella sorta di villaggio corrispondeva in
pratica ad una lunga via fiancheggiata da case in cui venivano svolti i mestieri accessori alla
vocazione del territorio circostante: botteghe di fabbri, officine per i carri, bottai. La strada antica
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rimane nella toponomastica attuale, ossia in via Colleasca, breve isolato parallelo a via Cibrario. La
zona non godeva certo di buona fama, tante erano le bettole e le prostitute che vi si potevano trovare
e, come i vecchi torinesi forse ricordano, ne venne il detto: Borgh San Donà, borgh d’ij danà. I
dannati forse non furono tanto i suoi abitanti, quanto i francesi di Francesco I che, appena prima
della metà del XVI secolo, fecero razzia e rasero al suolo il piccolo borgo. Per quasi due secoli non
si sarebbe più parlato di San Donato, per contro i Savoia (soprattutto con Carlo Emanuele III)
presero a regolamentare le prese d’acqua dalla Dora, laddove il maggiore canale voluto fin dal
tempo di Emanuele Filiberto, era la bealera Pellerina, da cui sarebbe derivato il Canale del
Martinetto. Questa canalizzazione, in particolare se ci riferiamo al Martinetto, corrisponde alla
nascita di una serie di mulini, attivi ancora fino alla II Guerra Mondiale: l’acqua prelevata
soprattutto dalla Dora Riparia, ma anche dal torrente Ceronda, se per lungo tempo servì per la
macina dei cereali, tra fine ‘700 e i primi del secolo successivo, sarebbe divenuta la forza motrice
delle prime offine, di quelle Boite, che caratterizzeranno la zona tra San Donato e Campidoglio. Per
capirci, pensiamo alle immagini d’epoca del trecentesco canale dei Molassi, in corrispondenza
dell’odierna via del Fortino, che serviva le manifatture conciarie a ridosso della Dora.

Nell’immagine databile poco prima della metà dell’800 si nota come, tutto a sinistra, sia di là da
sorgere la monumentalizzazione di piazza Statuto, ma soprattutto si legge alla medesima estremità,
l’agglomerato di case presenti nel primo tratto di via san Donato. La zona di corso Francia appare
ancora come una distesa di campi; infine l’enorme area della Cittadella non è ancora stata
smantellata (questo avverrà solo negli anni dell’Unità d’Italia, salvandone unicamente il Mastio).
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Nella foto successiva si osserva invece il Canale del Martinetto (quello superiore), non tanto nel
tratto a monte, quanto in quello che si biforca per raggiungere le fonderie dell’Arsenale Militare.
All’altezza di Piazza Statuto, guardiamo anche la mole del Tirassegno che troncava ancora l’attuale
corso Regina Margherita (angolo in basso a sinistra).

Parallelo all’attuale corso Appio Claudio, ecco come si presenta oggi il canale della Pellerina.
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Il canale dei Molassi a ridosso di Strada del Fortino (immagine precedente la Grande Guerra).

                                                      Primo tratto di Via San Donato a fine ‘800
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L’ultima istantanea ci mostra come, nel primissimo tratto della via, non vi siano strade che si
innestano: questo è dovuto al primissimo impianto stradale, che permane tutt’oggi. L’ampliamento
del quartiere coincise, come si diceva, con la smilitarizzazione della Cittadella, e possiamo datare
l’inizio di questo processo al 1851. Mentre però San Donato e Campidoglio si andava costituendo
come borghi operai, nella zona della vicina corso Francia, si gettavano le basi per un’edilizia
borghese, che avrebbe visto, specie a cavallo dell’inizio del Novecento, prevalere lo stile floreale, il
Liberty ricercato di Fenoglio piuttosto che le linee sobrie viennesi di Gribodo (vedasi via Piffetti).

La prima fotografia ci mostra corso Francia all’altezza di Piazza Bernini, nella seconda vediamo
invece Piazza Statuto, entrambe sono accumunate dalla tramvia Torino-Rivoli. Sorta a partire dagli
anni ’60 del XIX secolo, questo moderno mezzo di comunicazione intercomunale, aveva la sua
stazione di partenza nella palazzina che si vede nella seconda immagine, ossia all’angolo tra la
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piazza e l’innesto del corso Francia, laddove oggi sorge il Grattacielo. Inaugurata nel 1871, e
realizzata dalla fervente volontà di Giovanni Battista colli, inizialmente era mossa da una piccola
locomotiva a vapore (la dialettale s’cionf’tta). Colli, si dice amasse pavoneggiarsi oltre modo per la
propria creatura, ed allora i torinesi gli affibbiarono sarcasticamente l’appellativo di padron del
vapor che, io me lo sentivo ripetere a tratti da bambino se volevo fare il gradasso, venne poi ad
essere utilizzato in senso lato per chi si sentiva un tantino troppo importante. Rivista con motrici
negli anni del Fascismo, la tramvia resterà in funzione sino al 1956, quando al suo posto verrà
approntata la linea di bus (il famoso 36), che soltanto in tempi recenti ha lasciato il posto alla Metro.

Nel 1883 verrà inaugurato il poligono di tiro del Martinetto. Nella fotografia si vede bene come la
zona tra corso Tassoni e l’innesto di corso Appio Claudio, sia ancora aperta campagna, con su lo
sfondo il Musinè e la catena alpina che corre dal Rocciamelone alle Valli di Lanzo. Il Poligono
diverrà tristemente celebre nel corso del Secondo Conflitto Mondiale quando vi vennero fucilati
alcuni membri illustri del Comitato di Liberazione Nazionale di Torino. Il 5 aprile del ’44 vennero
giustiziati il generale Giuseppe Perotti, il capitano Francesco Balbis, il sindacalista Quinto
Bevilacqua, il professor Paolo Braccini, Giulio Briglieri, il tenente Enrico Giachino, l’operaio
Eusebio Giambone, il chimico Massimo Montano. Salvi per miracolo alcuni nomi illustri del
Piemonte e dell’Italia del Dopoguerra: Valdo Fusi, Cornelio Brosio e Silvio Geuna.

                                          Il Sacrario del Martinetto oggi

Laddove poi via San Donato si immette su Corso Tassoni, sulla destra venendo dal centro, si trova
un’aiuola in cui compare la lapide che ricorda il sacrificio della piccola staffetta partigiana
Domenico Luciano, Undici, ucciso dai Repubblichini a Givoletto quando non aveva ancora 12 anni.
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L’ingegner Bollati, che aveva progettato le palazzate regolari di piazza Statuto, che si era occupato
del Tirassegno, fu incaricato altresì della costruzione dell’ospedale Maria Vittoria, completato
nell’86; rendeva omaggio alla principessa dal Pozzo, consorte del Duca d’Aosta.

Ecco come appariva ancora negli anni ’30 il presidio ospedaliero. Lo scatto è preso dall’alto della
chiesa di Sant’Alfonso, e si nota bene come il fronte del nosocomio non corrisponda ancora
all’angolo con corso tassoni, sarà solo a seguito dei bombardamenti della Seconda Guerra, che verrà
avanzato di un isolato. Sullo sfondo si nota una ciminiera. Si tratta di una storia curiosa.
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Nel 1887, dall’intraprendenza di Edoardo Brosio e Simeone Caratsch, nasceva la ditta
Bosio&Caratsch, una delle prime produttrici di birra in Italia (mi sovviene una nostra gita a Lucca,
ed l’aristocratico birrificio di Palazzo Pfanner a Lucca). La fabbrica, poi più volte ampliata, alfine
denominata Ex Birrifico Metzger, sorse tra via san Donato e la parallela via Principessa Clotilde,
quasi di fronte alle antiche Concerie Fiorio (dove iniziata la passeggiata pedonale sopraelevata di
San Donato). Bisogna ricordare che fu una delle prime aziende a kilometro zero italiane che, vuoi
per l’ottimo prodotto, vuoi soprattutto per lo slogan (Chi beve birra campa cent’anni), ebbe un gran
successo: nell’immagine qui riportata lo si vede incolto, ma sul finire dell’Ottocento, il giardino
prospiciente il caseggiato era un grazioso chiosco all’aperto dove gustare la bevanda.

Il riferimento a questa storica azienda apre all’industrializzazione della zona, ed in particolare ad
alcune realtà che sono entrate nel nostro orizzonte mentale come tipicamente torinesi.

Nel 1826 in quarantenne Pierre Paul Caffarel (valdese per credo religioso e non perché fosse
Svizzero, ma anzi nativo di Luserna San Giovanni), acquisto una delle tante concerie che si
trovavano in San Donato, ed in particolare nell’isolato compreso tra l’omonima via e le attuali vie
Avet e Carena. Nasceva così la ditta Caffarel che, circa trent’anni dopo avrebbe inventato la gloria
del cioccolato sabaudo, il giandujotto. Altra dolce eccellenza, sorta in via degli Artisti, ma
trasferitasi in via balbis per poter ingrandire la propria produzione, fu quella di Michele Talmone (e
come non pensare ai due vecchini della celebre insegna). Concerie, un birrificio, ditte dedite alla
fabbricazione del cioccolato: si potrebbe proseguire con la lista, soprattutto ricordando almeno
un’altra nostra cara e vecchia conoscenza, le Pastiglie Leone e lo storico stabile di corso Regina.

Come si capisce abbastanza chiaramente, subito dopo il compimento unitario, ed ancor più con lo
spostamento della capitale prima a Firenze, e quindi a Roma, Torino superò lo choc buttandosi nella
promozione del commercio e dell’industria e, al di là degli altisonanti nomi quali la Fiat, sono le
medie e piccole imprese a cambiare il volto della città, in particolare in quella zona che, sfruttando
l’antica vocazione dei mulini, era divenuta da tempo il cuore manifatturiero della città.
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Ma com’erano le condizioni di vita di coloro che vivevano in questi quartieri, o meglio ancora quale
era l’attenzione rivolta alle classi operaie che operavano in San Donato e Campidoglio? Possiamo
rispondere che se non fosse stato per l’iniziativa di alcune figure filantropiche la situazione sarebbe
risultata ancora più precaria (ricordiamo che lo Stato tra ‘800 e Novecento interveniva ancora
pochissimo in maniera diretta nel soccorrere i più umili).

                                      La Casa di Gaspare Saccarelli

                                         Francesco Faà di Bruno

                       Casimiro Sperino
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Il teologo, l’aristocratico, Gaspare Saccarelli, aveva iniziato il proprio apostolato al fianco del santo
canonico Cottolengo e, proprio grazie all’esperienza della Casa della Divina Provvidenza, appena
oltre la metà del XIX secolo, prese in affitto, per poi crearvi un conglomerato di stabili uniti tra
loro, alcune case all’inizio di via San Donato. Nasceva così l’Oratorio della Sacra famiglia che
aveva come compito educare, dando altresì un mestiere, a quei bambini, ed in particolare a quelle
fanciulle di umili origini che vivevano nel quartiere. Tutto questo venne realizzato anche grazie alla
generosità, ed al prezioso aiuto (oggi diremmo che se ne fece immagine) della contessa Carolina De
Rossi di Santarosa, vedova dell’eroe dei Moti del ’21 Santorre. Risalendo la via, poco oltre la metà,
sulla sinistra si apre l’edificio sacro e il convitto-scuola a lui dedicato: Francesco Faà, altro nobile
particolarmente attento ai bisognosi, fu l’altra gigantesca figura di San Donato. Pochi invece
conoscono il ruolo di apripista giocato da Casimiro Sperino. Oftalmologo, specializzato nella cura
della piaga della sifilide, questo giovane medico aprì gratuitamente uno dei primissimi ambulatori
per la cura gratuità delle malattie degli occhi in un paio di locali in prossimità di piazza Statuto.

Il riferimento a Saccarelli non può essere disgiunto dal discorso legato alla costruzione del tempio
dedicato all’Immacolata Concezione di Maria (all’indomani della proclamazione del dogma per
volontà di Pio IX, si tratta della prima chiesa con questo titolo a Torino, una delle prime in Italia).

                                                          Immacolata Concezione e San Donato

La chiesa, completata dall’ingegner Serena nel 1867, si colloca come uno dei primi esempi di quel
filone Eclettico che sarebbe stato in gran voga sul finire del secolo, ma testimonia altresì, prima di
edifici sacri ben più famosi (vedasi la chiesa del Sacro Cuore di Maria), l’apostolato laico, in primis
quello aristocratico, in grado di supportare importanti figure religiose, non solo nella carità fattiva,
ma nell’aprire ad un rinnovamento del gusto che verrà traslato, copiato, anche in quartieri borghesi.

In questo complesso panorama, fuori dal coro per le scelte che egli praticò con grande tenacia nei
propri cantieri, si situa la personalità di Giuseppe Gallo. Architetto devoto al passato, a quel
Barocco che ha lasciato un segno indelebile a Torino, come nell’intera regione, egli promosse la
costruzione di templi in cui venivano ripresi i modelli costruttivi sei-settecenteschi, tralasciando
completamente il nuovissimo utilizzo del cemento armato. Esempio cardine di una santificazione di
Campidoglio e San Donato, la chiesa dedicata a Sant’Alfonso Maria de’Liguori, ne rappresenta per
certi versi la vetta artistica: per il modellato esterno sinuoso (omaggio a Guarini); come per le
costolature della cupola interna, per quel far prevalere l’architettura barocca sulla pittura Rococò
(debito all’omonimo architetto monregalese che fu Francesco Gallo).

                                                                      Chiesa di Sant’Alfonso

Con quest’immagine veniamo trasportati al 1928, allor quando venne inaugurato il sottopasso di
corso Regina Margherita. La ditta che lo realizzò era la Visetti: sorta da Vincenzo Visetti sul finire
dell’Ottocento fu la seconda impresa edile torinese ad utilizzare il cemento armato. Bisogna
ricordare che non solo si trattava di un’eccellenza tutta sabauda, ma che senza l’uso di questo
materiale, non sarebbero sorte le ardite torrette, i bellissimi bovindi in stile Art Noveau. Il capo
famiglia in quegli anni era Giovanni Visetti, detto in famiglia Il Pontefice, per la sua mania di
costruire ponti: ricordo che fu sua la realizzazione della splendida passerella sul Po per la sontuosa e
celebre Grande Esposizione del 1911.

Finora abbiamo toccato solo tangenzialmente il cuore di Campidoglio (il nome verrebbe da i campi
del Signor Doglio), ma cosa potremmo vedere di particolare interesse, su cosa soffermarci?
Proviamo a dare poche linee, quasi uno schizzo come per San Donato.
Asilo Infantile Andrea e Margherita Verna

Molte famiglie operaie vogliono dire altrettanti bimbi. Siamo all’inizio del XX secolo, ed il Borgo
Vecchio di Campidoglio straripa di fanciulli, i locali finora utilizzati non bastano più, ed allora il
costruttore Andrea Verna, in accordo con la Società di Mutuo Soccorso e la Cassa di Risparmio di
Torino, compra a proprie spese il lotto di via San Rocchetto e, sempre tirando fuori i soldi dalle
proprie tasche, edifica la scuola. Questo accade nel 1909, la moglie Margherita se ne occuperà fino
alla morte nel ’20. Nell’atrio sono presenti i busti dei coniugi (ricordano i vecchini di Talmone).

                                                                                 Ex Casa Balilla

Facendo nuovamente un salto nel Novecento, potremmo poi parlare dell’edificio iniziato nel ’29,
dedicato a Vittorio Emanuele III il Vittorioso e al Duce Benito Mussolini, che prima di essere Isef, o
Provveditorato agli Studi, fu la casa della Gioventù Italiana. Da piazza Bernini potremmo piegare in
corso Tassoni e parlare del Liceo Cavour, o infine spingerci in corso Svizzera per ammirare alcuni
villini Deco. Ma non è mia intenzione entrare troppo nel XX secolo, quanto soffermarsi sulla fine
del precedente, sulle stradine acciottolate (presenti tuttora) che vanno da via Rocciamelone a via
Fiano. Qui era tutto un pullulare di piccole botteghe, di stalle ove alloggiare i cavalli per le carrozze.
Un mondo scomparso certo, ma che rivive attraverso le parole di Sartorio in una collana di volumi
dedicati ai quartieri di Torino.

La fotografia è quella della copertina del libro, ci regala un tuffo in quel tempo lontano. Vorrei
dunque lasciarvi con quanto ho riscoperto andandomi a rileggere quelle pagine, e più precisamente
facendo riferimento alla testimonianza di Maria Teresa e Candido Martinacci, fratelli appartenenti
ad una numerosa famiglia che vive da sempre in quel trapezio che abbiamo provato a conoscere.

Il borgo San Donato era affollato di negozietti appiccati l’uno all’altro, tutti di piccole dimensioni,
stretti davanti e lunghi sul retro, diciamo tre metri per dieci, che ciononostante consentivano ai
loro proprietari di sbarcare dignitosamente il lunario, magari facendo contemporaneamente del
bene al prossimo. C’era per esempio un orefice che soleva far da padrino di battesimo ai bimbi
poveri, a ciascuno dei quali in ricordo della cerimonia regalava un braccialetto d’oro. C’era una
famiglia proprietaria di un negozio di tessuti che era solita aiutare i “barboni” (ce n’erano tanti
anche allora): quando ne incontravano uno la sera, rincasando dopo aver chiuso il negozio, se lo
portavano a casa, lo lavavano, gli facevano indossare abiti non nuovi ma puliti, lo tenevano a cena
con loro, lo facevano dormire in una stanza del loro appartamento, in un vero letto e il mattino
successivo, dopo colazione, lo congedavano avendolo rimesso, per così dire, a nuovo. Quanti oggi
farebbero una cosa del genere?
In questo angolo della Vostra, della Nostra amata Torino, hanno vissuto Gozzano e Amalia
Guglielminetti (solo per ricordarne un paio), è sorto, in Campidoglio, il primo museo di arte
contemporanea a cielo aperto d’Europa (che avremmo dovuto visitare e che spero non resti soltanto
un sogno), ha lavorato Fenoglio, ed hanno corso per strada i fanciulli della Scuola Boncompagni,
sono cadute le bombe alleate (che hanno squarciato il Maria Vittoria), ha lavorato il Materassaio
Migliore di Campidoglio (che all’anagrafe faceva Paolo Migliore di nome), ed è nato uno dei primi
laboratori musicali italiani (Il Magazzino di Gilgamesh), e molto, molto altro ancora. Ma, quel che
conta, per me e per Voi, in occasione di quella che avrebbe dovuto essere la nostra ultima lezione
del presente anno accademico, è forse soltanto (si fa per dire) la cura del ricordo: perché la memoria
istruisce, conforta, ma soprattutto apre alla speranza di poterla integrare, di aggiungervi nuovi
scampoli di quotidianità, pezzetti di un vissuto insieme, siano essi i nostri periodici incontri
accademici, piuttosto che le nostre uscite che così tanto ci mancano.

Non voleva essere una lezione esaustiva, quanto evocativa e, su tutto, vorrebbe essere la prima di
una serie (che magari vi tenga compagnia o vi annoi) nel tempo a venire: nei mesi prossimi
aspettatevi dunque altre briciole. Voglio però sottolineare che con il titolo odierno ho voluto
riprendere il bandolo della programmazione interrotta per, almeno in parte, darvi seguito, ed altresì
per tentare di perseguire il ritorno di tutti noi alla normalità. Un tempo ritrovato che, occhieggiando
le parole dei Martinacci, possa vederci più solidali, meno preoccupati, ed in special modo fieri e
grati per la bellezza che si cela nelle piccole cose, per la nostra Torino.

A Voi Tutti giunga il mio più affettuoso, riconoscente, cordiale saluto, ed insieme la mia gratitudine
e la mia vicinanza,

Sant’Antonino di Susa, 30 Aprile 2020.

                                                                                        Paolo Magrini
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