Le chiese barocche di Palazzolo Acreide - L'Identità di Clio
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Le chiese barocche di Palazzolo Acreide Il barocco ibleo nelle sue peculiarità storico, artistiche e architettoniche. Stratificazioni culturali. Nella Sicilia sud-orientale, e precisamente in una zona ben delimitata dell’area iblea, comprendente i comuni di Palazzolo Acreide, Cassaro, Ferla, Buccheri, Buscemi e Sortino, si trova un territorio ricco di storia, natura, cultura, tradizioni religiose e gastronomiche. Una Koinè che ha radice antichissime, primordiali, che fa da filo conduttore a un territorio dove il processo antropico è iniziato fin dal XIII sec. a.C. (come testimonia la necropoli di Pantalica). Non si può rimanere impassibili davanti a un territorio che offre una realtà storico-culturale e artistica così diversificata e ampia. Visitare il comprensorio ibleo vuol dire intraprendere un viaggio sensoriale, culturale e temporale. Dall’antica colonia greca di Akrai alla Necropoli sicula di Pantalica (la più grande d’Europa), passando per il barocco fastoso di chiese e palazzi, è tutto un susseguirsi di stratificazioni storico-artistiche. Palazzolo Acreide Il centro abitato, cosi come gli altri comuni iblei, sorge dalle macerie del famoso terremoto del 1693. Poco o nulla rimane di ciò che fu costruito prima di quella data. Dalle macerie del sisma rinasce un’arte plastica e pittorica tipicamente barocca, dalle linee sinuose e spiraliformi il cui movimento mistilineo, sospinto da forze dinamiche e in continuo movimento, rende ancora viva la struttura architettonica. Ad accentuare ancora di più l’essenza barocca vengono ad aggiungersi quegli inserti apotropaici, tipici del barocco che, in chiave scaramantica, cercano di allontanare l’ira di Madre Natura. I volti grotteschi e mostruosi, che si possono tutt’ora ammirare nelle facciate dei palazzi e delle chiese, hanno infatti la funzione di scacciare il male che spesso si presentava, nell’immaginario popolare, sotto forma di calamità naturali, come appunto il sisma del 1693. Fu così che le maestranze dell’epoca decisero di costruire le Chiese, gli edifici pubblici e i palazzi nobiliari in maniera ancora più sontuosa, quasi come un atto di sfida e rivalsa nei confronti di quella Natura che spesso e volentieri si ribellava all’uomo mostrando tutta la sua protervia.
I protagonisti di questa rinascita barocca dovettero ricostruire l’assetto urbanistico originario, modificandolo mediante la costruzione di strade e piazze che fossero abbastanza ampie da diventare punti di raccolta in caso di terremoto. Ma qual era la vera natura del Barocco? La monumentalità, la magniloquenza e la spettacolarità degli edifici barocchi avevano e hanno lo scopo di suscitare emozioni, di stupire l’osservatore, di uscire da quegli schemi rigidi e razionali tipici del rinascimento, tutto ciò grazie a degli accorgimenti come l’illusionismo prospettico o l’utilizzo di linee concave e convesse che, nel loro dilatarsi e comprimersi, rendono l’edificio vivo nel suo immobilismo apparente. La Sicilia di questo periodo è la protagonista di un nuovo “Rinascimento”delle forme, arricchite da temi e motivi che si sviluppano scaramanticamente lungo le facciate delle chiese o dei palazzi nobiliari. L’elemento scaramantico non fu l’unico a caratterizzare la ricostruzione degli edifici. La rinascita artistica e architettonica dell’isola si manifestò anche attraverso la fondazione e la ricostruzione di nuove città, progettate seguendo un impianto planimetrico votato alle “vie sacre”, ovvero a quelle arterie dove avevano sede le autorità civili e religiose. Durante la prima metà del XVIII secolo vennero coinvolte diverse maestranze, provenienti da tutta la Sicilia, per ricostruire i centri più colpiti dell’altopiano Ibleo tra i quali ricordiamo: Palazzolo Acreide, Ferla, Cassaro, Buccheri, Buscemi e Sortino. Tutti questi Comuni furono dotati di un nuovo impianto urbanistico che rispettava e manteneva, come punti di riferimento, le principali chiese locali sapientemente risorte dalle macerie. In generale la ricostruzione dei comuni iblei riguardò sopratutto le facciate delle chiese e dei palazzi nobiliari, arricchite da un barocco sfarzoso, caratterizzato da uno stile bizzarro e grottesco costituito da linee sinuose, da spazi scenografici, da modanature spezzate, da impianti elittici e curvilinei, che si ripetono all’infinito, secondo un moto perpetuo, privo di schematizzazioni geometriche che potessero limitarne l’infinita sinuosità. I protagonisti di questa stagione di rinascita architettonica e artistica, così dinamica e fastosa, furono capimastri e architetti come Giuseppe Ferrara, Fra’ Michele da Ferla, i Mastrogiacomo, Rosario Gagliardi, Francesco Paolo Labisi, Giovan Battista Cascione, Vincenzo Sinatra, Luciano Alì, Michelangelo Di Giacomo, per citarne solo alcuni. Il loro operato andava di pari passo con le maestranze composte da muratori, carpentieri e scalpellini. Questi ultimi, in particolare, ebbero un ruolo molto importante, in quanto diedero libero sfogo ad una ricca e fantasiosa decorazione che si può ancora ammirare in alcuni esempi eclatanti come le mensole della balconata barocca (considerata la più lunga del mondo) di palazzo Lombardo Cafici o quelle di palazzo Zocco a Palazzolo Acreide. La maestria della loro rappresentazione plastica e volumetrica rimane tutt’oggi la firma esclusiva di questi grandi autori del barocco ibleo, un barocco che seppur
periferico e lontano dai principali centri di irradiazione culturale, presenta comunque degli elementi unici e particolari. Durante la ricostruzione gli scalpellini ebbero un ruolo fondamentale nel realizzare le decorazioni lapidee e gli elementi strutturali. Questi venivano applicati sulle facciate delle chiese e dei palazzi barocchi grazie all’utilizzo di materiale lapideo composto principalmente da calcareniti a grana fine facilmente malleabili, tipici della zona iblea, mediante i quali si otteneva una resa plastica, un dinamismo decorativo e riflessi coloristici difficilmente eguagliabili. La ricostruzione del comune, avvenuta dopo il terremoto del 1693, si sviluppò lungo tre direttrici corrispondenti ai tre principali nuclei abitativi: la chiesa Madre, la chiesa di San Sebastiano e il Castello medievale; sia nella zona del Castello, che della chiesa Madre fu mantenuto il vecchio assetto urbano. Per quanto riguarda il quartiere di San Sebastiano, esso fu progettato ex novo, grazie alla costruzione di tre arterie principali di collegamento costituite da via Gaetano Italia, via Roma e via San Sebastiano. La chiesa di San Sebastiano Il primo edificio religioso che notiamo salendo verso il corso principale (corso Vittorio Emanuele), punto di riferimento per gli abitanti del posto, è la chiesa di San Sebastiano, ubicata in piazza del Popolo. La struttura architettonica è caratterizzata da un’ampia facciata scenografica che si sviluppa in tutta la sua verticalità (la chiesa raggiunge un’altezza di 43 metri), resa ancora più imponente dall’alta scalinata di acceso che fu edificata nel 1877. Originariamente, prima del terremoto del 1693, nello stesso sito, sorgeva la chiesa di San Rocco risalente al 1414, successivamente, nel 1609, fu edificata la chiesa di San Sebastiano la cui realizzazione si protrasse fino al 1655. L’edificio si sviluppa su tre ordini, nel primo possiamo ammirare le alte paraste binate, di stile corinzio, che sorreggono una massiccia trabeazione ritmata da bassorilievi decorativi. Nella parte centrale del primo ordine si erge il portale principale, attribuito a Paolo Labisi (grande architetto tra i protagonisti della ricostruzione di Noto) preceduto, ai lati, da due leoni scolpiti a tutto tondo che proteggono, in qualità di guardiani, l’ingresso. Al di sopra del portale è collocata la statua in pietra di San Sebastiano, mentre ai lati vi sono due ingressi secondari che danno accesso alle navate laterali. Il secondo ordine è costituto, al centro, da un orologio incorniciato da due coppie di colonne corinzie poggianti su mensole sporgenti. Il terzo ordine è contraddistinto dalla cella campanaria. Il progetto della chiesa fu realizzato dall’architetto siracusano Mario Diamanti; la prima pietra fu posta nel 1723. I lavori si dilungarono per quasi sessant’anni, ossia fino al 1782, anno in cui la chiesa fu terminata. I ritardi per la sua realizzazione sono
da ascrivere, principalmente, alle continue modifiche volute dai procuratori della chiesa. Alla costruzione dell’edificio sacro parteciparono diversi capimastri come Giovan Battista Milito e mastro Giuseppe Buscema, autori, entrambi, delle decorazioni della facciata e dei due leoni posti ai lati dell’ingresso principale. L’interno della chiesa è suddiviso in tre navate; in quelle laterali si possono ammirare diversi altari costruiti prevalentemente con marmi locali, ognuno di essi è dedicato ad un santo ed è sormontato da quadri realizzati da pittori siciliani esponenti dello stile barocco e tardo barocco. Tra questi ricordiamo il bellissimo dipinto di Marcello Vieri eseguito nel 1785 raffigurante S. Pietro in Vincoli. Attraversando la navata laterale ci troviamo di fronte all’altare maggiore strutturato su ordini sovrapposti che richiamano le facciate delle chiese barocche. L’altare a sua volta è sormontato da una nicchia con arco a tutto sesto, al cui interno è custodita la statua di S. Sebastiano racchiusa da un drappo che viene svelato soltanto durante le festività dedicate in suo onore (20 gennaio e 10 agosto). Ai lati della nicchia si innalzano due coppie di colonne tortili su cui poggia un timpano alla cui base possiamo leggere la scritta Protectori, il cui significato fa riferimento al ruolo di protettore del paese attribuito a San Sebastiano dopo il terremoto del 1693. La statua del simulacro è stata realizzata ad Augusta nel 1663 da un autore ignoto originario di Messina. Immettendoci lungo la navata sinistra, in direzione dell’uscita secondaria, ci troviamo davanti alla cappella del Sacro Cuore il cui interno ospita la teca con le reliquie di Sant’Urbano traslate a Palazzolo nel 1762. Sempre proseguendo all’interno della navata, si può ammirare l’altare di Santa Margherita da Cortona con l’omonimo dipinto realizzato nel 1758 da Vito D’Anna, pittore palermitano di grande fama, tra i più importanti esponenti del rococò siciliano, famoso per aver realizzato, a Palermo, diversi affreschi tra i quali quello di Palazzo Isnello raffigurante Il Trionfo di Palermo (uno dei più grandi capolavori dell’arte siciliana del XVIII secolo) nonché gli affreschi della chiesa dei Tre Re e di palazzo Ventimiglia. L’autore fu anche genero di un altro grande esponente della pittura siciliana: Olivio Sozzi. Il dipinto di Vito D’Anna, si può considerare tra le opere più importanti presenti all’interno della chiesa. Il quadro raffigura la santa in atteggiamento estatico, il volto, che esprime pietas e devozione cristiana, è rivolto verso il crocifisso mentre, ai suoi piedi, è collocato il cagnolino del suo amante Arsenio,ucciso durante una faida guelfo-ghibellina. Il corpo di Arsenio, secondo la tradizione, fu trovato dal cagnolino stesso. Quest’ultimo è raffigurato con lo sguardo rivolto verso lo spettatore, con la chiara funzione di coinvolgerlo all’interno della scena mistica che gli si prospetta davanti. L’estasi della santa è inoltre accentuata dalla presenza di una coppia di puttini che sorvolano l’ambiente. Simboli, essi stessi, della presenza divina. Vito D’Anna, in quest’opera, esprime la sua formazione classicista, caratterizzata da una sobrietà e da un equilibrio accademico che ha le sue origini nella pittura
controriformista permeata, quest’ultima, da un senso di pietismo meditativo e devozionale volto alla persuasione dei fedeli. Proseguendo lungo il percorso possiamo ammirare l’altare di Maria Odigitria con un gruppo statuario che raffigura la santa sostenuta dai padri calogeri. La Madonna Odigitria fu eletta patrona di Palazzolo nel 1644 fino a quando, nel 1689, non fu eletto dal popolo palazzolese San Paolo. Arrivati all’ingresso principale e volgendo lo sguardo in alto si può notare, nella cantoria, il pregevole organo di Carlo del Piano risalente al 1729. Gli stucchi della navata, i putti, la balaustra che divide l’altare maggiore dalla navata centrale e le statue in gesso poste ai lati del presbiterio, raffiguranti da una parte S. Paolo e dall’altra S. Pietro, sono opera dell’abile stuccatore palermitano Gioacchino Gianforma protagonista delle decorazioni interne delle principali chiese siciliane. Chiesa di San Paolo La chiesa di S.Paolo fu costruita intorno alla metà del XVIII secolo nel vecchio quartiere medievale, in quello che si può definire l’altra anima del paese. Nello stesso sito sorgeva anticamente la chiesa di Santa Sofia, quest’ultima fu demolita dopo il terremoto del 1693 e non fu mai più ricostruita. La chiesa di S. Paolo fu promossa come “sacramentale” nel 1669 da papa Innocenzo IX. Nel 1688 S. Paolo fu eletto patrono dal popolo palazzolese, tale scelta fu convalidata dalla Sacra Congregazione dei Riti nel 1690, sebbene vi si oppose la Confraternita di S. Sebastiano fedele alla patrona Maria SS Odigitria eletta nel 1644. Da qui nacque una conflittualità tra i due quartieri rimasta in vigore fino a non molto tempo fa. Dopo il terremoto del 1693 la chiesa fu riedificata a partire dal 1703. Nel 1785 fu consacrata da Mons. Silvio Alagona arcidiacono della Cattedrale di Siracusa. La facciata della chiesa è opera dell’architetto netino Vincenzo Sinatra, importante esponente della ricostruzione post-terremoto dell’area iblea. L’architetto lavorò sopratutto a Noto come allievo di Rosario Gagliardi (di cui aveva sposato una nipote) per poi spostarsi a Palazzolo e Floridia. Tra le sue opere più importanti ricordiamo il progetto del loggiato della Basilica di Santa Maria Maggiore a Ispica e palazzo Ducezio a Noto. Alla costruzione della chiesa di S. Paolo (su progetto iniziale di Corrado Mazza) parteciparono, nel corso degli anni, Costantino Cultraro, Pasquale Mazza e Giuseppe Ferrara, quest’ultimo fu particolarmente attivo a Palazzolo Acreide come capomastro, egli infatti lavorò sia per la ricostruzione della chiesa di S. Paolo, che per quella di S. Sebastiano, operò anche negli altri comuni iblei come Buccheri e Buscemi, lo ritroviamo, infine, a Siracusa dove contribuì alla riedificazione del Duomo.
La facciata della chiesa di San Paolo si sviluppa, in tutta la sua verticalità, su tre ordini; il primo dei quali è contraddistinto da un’ampia scalinata di accesso che conduce all’ingresso principale. Il secondo ordine è arricchito dalla statua in pietra del Cristo benedicente. Ai lati sono collocate coppie di statue in pietra, posizionate su alti piedistalli, raffiguranti gli apostoli e i santi, tra cui lo stesso S. Paolo, collocato sul lato destro con l’inconfondibile spada in mano. Il terzo ordine è costituito da una cella campanaria balaustrata sorretta da un’alta zoccolatura mistilinea. All’interno la chiesa è suddivisa in tre navate finemente stuccate. Sulla navata laterale sinistra, a ridosso dell’ingresso, si può ammirare un quadro di Giuseppe Crestadoro dedicato alle anime purganti. Il pittore, di origine palermitana, fu allievo di Vito D’Anna dal quale ha recepito uno stile raffinato, sobrio, elegante e neoclassico, tipico dello stile pittorico di quel periodo. La sua formazione artistica si svolse presso l’Accademia di S. Luca, a Roma, dove ebbe maestri del calibro di Maratta e Giaquinto. Tra le sue opere più importanti possiamo annoverare la chiesa madre di Sortino e Villa Airoldi a Palermo. Le ultime opere dell’artista si trovano nella chiesa di San Paolo dove realizzò ben otto quadri. Spostandoci verso l’altare maggiore si rimane colpiti da un crocifisso ligneo della fine del seicento, dietro il quale si staglia, imponente, l’altare maggiore incorniciato da due coppie di colonne tortili. Ai lati dell’altare sono presenti due quadri: Il naufragio di S. Paolo a Malta e L’assunzione di Maria. Al centro è collocato il quadro raffigurante La conversione di S. Paolo del Crestadoro, dietro il quale si trova la nicchia che ospita la statua patronale. Quest’ultima fu realizzata nel 1595 da Vincenzo Lorefice e rimaneggiata nel corso dei secoli, a partire dal terremoto del 1693 che ne compromise l’integrità. Durante le festività del 25 gennaio (giorno della conversione di S. Paolo) e del 29 giugno il simulacro viene svelato dalla nicchia e portato in processione, a spalla nuda, per le vie del paese. La chiesa Madre Accanto alla chiesa di San Paolo vi è la chiesa Madre il più antico e il più grande edificio di culto di Palazzolo. Secondo le fonti storiche, la chiesa era già presente fin dal 1215 anno in cui il vescovo di Siracusa, Bartolomeo Gash la consacrò a S. Nicolò. Distrutta durante il terremoto del 1693 fu ricostruita secondo il progetto di Giuseppe Ferrara. La facciata originaria del XVIII secolo crollò interamente nel 1882 e venne ricostruita in uno stile neoclassico molto semplice e disadorno che contrasta notevolmente con l’interno, riccamente decorato dalle maestranze locali. Entrando dall’ingresso laterale destro la chiesa si presenta suddivisa in tre navate. Le navata laterali ospitano una serie di altari riccamente decorati da colonne tortili, sia binate che singole.
In corrispondenza degli altari si trovano una serie di dipinti, risalenti a un periodo che va dal XVII secolo in poi, realizzati da importanti esponenti della pittura siciliana. A partire dalla navata laterale destra si possono ammirare due quadri raffiguranti La Madonna Immacolata e il Cristo con le anime del Purgatorio di Olivio Sozzi. Vale la pena soffermarci su quest’ultimo autore attivo in gran parte della provincia siracusana e non solo. Palermitano d’origine, si formò a Roma presso la bottega di Sebastiano Conca con il quale collaborò alla decorazione di palazzo Farnese. Durante la sua permanenza a Roma entrò in contatto con Corrado Giaquinta che ne influenzò lo stile. L’artista, una volta ritornato a Palermo, affrescò la volta della chiesa della Martorana per poi trasferirsi a Melilli con la famiglia, dove vi rimase alcuni anni per completare una serie di affreschi sia nella chiesa di S. Sebastiano che nella chiesa Madre. Morì tragicamente nel 1765 cadendo da un’impalcatura all’interno della Basilica Maggiore di Ispica mentre era intento a finire uno degli affreschi più importanti della Sicilia sud-Orientale. Proseguendo verso il transetto si rimane incantati dall’arcata monumentale e dalle colonne che la sostengono, ricche di bassorilievi fitomorfi. Al centro si erge l’altare maggiore finemente decorato, al di sopra del quale è situato il grande quadro che raffigura S. Nicolò, il santo a cui la chiesa era dedicata, opera risalente alla prima metà del XIX secolo, del pittore locale Paolo Tanasi. Ai lati del transetto si possono visitare le due cappelle principali: a destra quella dedicata a S. Giuseppe e a sinistra quella del Sacro Cuore abbellita, quest’ultima, da un ricco altare marmoreo e da una statua lignea del Cristo alla Colonna di probabile origine seicentesca. Lungo la navata laterale sinistra è collocato Il martirio di S.Ippolito attribuito a Mario Minniti, pittore siracusano allievo e grande amico del Caravaggio che conobbe a Roma mentre lavorava nella bottega di Lorenzo Siciliano. Nel 1608 Mario Minniti ospitò, a Siracusa, Caravaggio in fuga da Malta. Grazie al suo gesto oggi si può ancora ammirare l’opera di Caravaggio La sepoltura di Santa Lucia (chiesa di S. Lucia alla Badia). Lo stile del Minniti risente molto della lezione caravaggesca, nell’uso di soggetti popolari, nello stile classicheggiante (con una forte impronta rinascimentale) nel naturalismo dei soggetti, nel chiaroscuro e nell’uso della luce che penetra diagonalmente e mette in risalto la resa plastica e volumetrica delle figure rappresentate. Non manca l’utilizzo di tonalità calde che contrastano con il chiaroscuro, tuttavia la luce, rispetto alle opere del Caravaggio, qui si fa più vivida. Un’ultima opera importante, custodita all’interno della chiesa, riguarda un crocifisso su tavola, risalente alla fine del ‘400 di chiaro gusto bizantineggiante caratterizzato da una raffigurazione frontale e schiacciata delle figure del Cristo, della Addolorata e di S. Giovanni evangelista.
Chiesa dell’Annunziata La chiesa dell’Annunziata, insieme alla Matrice, è una delle più antiche chiese di Palazzolo, essa fu quasi distrutta nel terremoto del 1693. La ricca facciata barocca fu progettata da Giuseppe Ferrara e realizzata dal capomastro Matteo Tranisi a partire dal 1698. La chiesa presenta, nel prospetto centrale, un ricco portale barocco contraddistinto da quattro colonne binate tortili, di stile corinzio, che sostengono una trabeazione mistilinea. Le colonne sono arricchite da decorazioni in rilievo che raffigurano tralci di vite e fregi raffiguranti melecotogne, melograni, cachi, grappoli di uva, pere e fichi, frutti che simboleggiano la grazia divina. Sulla destra del prospetto si erge la cella campanaria con due aperture architravate chiuse da balaustre. L’interno della chiesa è suddiviso in tre navate. Le arcate sono abbellite da decorazioni costituite da festoni alternati da fregi di frutta. Nei pressi dell’altare maggiore, sulla destra, si può ammirare una bellissima statua lignea della Madonna del Carmelo venerata fin dal 1651 e festeggiata fin dal XVIII secolo, dalla ricca confraternita dell’Annunziata, ogni prima domenica di agosto. Un’altra statua lignea, custodita all’interno della chiesa, è quella di S. Caterina d’Alessandria, realizzata da un autore ignoto nel XVII secolo, il simulacro è caratterizzato da una volumetria semplice e da una carica espressiva dolce e soave. Le vesti e il manto eleganti sono riccamente decorate da motivi vegetali e attestano l’origine nobile della santa. L’opera più importante, all’interno della chiesa, è costituita dall’altare maggiore in marmo policromo. Le decorazioni intarsiate con colori vivaci sono un vero capolavoro del primo barocco ibleo. La superficie marmorea è ricca di girali floreali la cui linea sinuosa si espande seguendo un impianto simmetrico. Il fondo, di un blu acceso, è abbellito da una serie di uccelli incorniciati da pergolati fioriti, arricchiti, a loro volta, da raffinate composizioni costituite da margherite e rose. Le tonalità marmoree si intrecciano in un vorticoso gioco di colori in cui predomina un cromatismo incentrato sul rosso, il giallo, il verde e il blu. Dietro l’altare fa da cornice il grande quadro raffigurante L’annunciazione opera del pittore locale Paolo Tanasi, eseguito nel 1827. A proposito dell’Annunciazione bisogna ricordare che l’importanza della chiesa dell’Annunziata non risiede soltanto nella sua stupenda facciata barocca ma per l’opera che ha custodito al suo interno, per diversi secoli, ovvero l’Annunciazione di Antonello da Messina (di cui si può ammirare una copia all’interno della chiesa situata nella navata laterale destra). L’Annunciazione fu commissionata nel 1474 dal rettore della chiesa Juliano Maniuni, come attesta un atto notarile scoperto nell’Archivio di Stato di Messina da Gaetano La Corte Cailler, grande studioso messinese di storia patria.
Antonello da Messina in quel periodo si trovava già a Noto in quanto stava lavorando al gonfalone dello Spirito Santo della città e fu proprio in quella occasione che conobbe Juliano Manuni il quale, a sua volta, gli commissionò la tavola dell’Annunciazione, che verrà poi notificata dal notaio nel 1474. Sempre in quel periodo operò, sia a Noto che a Palazzolo, un altro grande esponente del Rinascimento italiano: Francesco Laurana. Impegnato anch’egli a Noto per la realizzazione delle due madonne in marmo bianco da destinare alla chiesa del SS. Crocifisso, seppur non datate rispetto alla Madonna col bambino di Palazzolo Acreide (attualmente conservata presso la Chiesa dell’Immacolata) sulla quale l’autore appone la sua firma con la data 1471. L’Annunciazione di Antonello da Messina (oggi conservata presso il museo Bellomo di Siracusa) si presenta con una chiara prospettiva geometrica, resa ancora più evidente dalle linee geometriche scorciate del leggio e dalla mobilia raffigurata in secondo piano, al contempo la composizione dell’opera attesta l’abilità dell’autore nell’aver recepito la lezione prospettica del Brunelleschi. La scena rappresentata è inserita all’interno di un loggiato di architettura gotico- catalana. L’ambiente è illuminato da una luce naturale soffusa proveniente dalle due aperture in fondo alla stanza, da cui si intravede un paesaggio agreste con scene di vita contadina, tra le quali spicca un asinello, un cane, diverse figure che camminano in una strada di campagna ed infine due uomini in barca. La tavola fu scoperta dallo storico dell’arte Enrico Mauceri nel 1902 mentre stava eseguendo un censimento delle opere d’arte presenti nella provincia per conto del Museo Archeologico di Siracusa. L’opera fu trovata in condizioni critiche e fu quindi soggetta ad un accurato restauro. Conservata inizialmente nella sede della Soprintendenza venne poi trasferita al museo regionale di Palazzo Bellomo. Vincenzo Signorelli Bibliografia Carlo Bertelli, Giulio Briganti, Antonio Giuliano, Storia dell’arte italiana, Milano, Bruno Mondadori, 2010. Marcello Cioè, Santi Minori e luoghi sacri nell’altopiano ibleo, Siracusa, Mediterraneo Tipografia, 2009. Paolo Giansiracusa, La Vallle dell’Anapo e il Leontinoi nelle terre di Hyblon e Thukles, Siracusa, Edizioni, 2008. Paolo Giansiracusa, I centri iblei dopo il terremoto del 1693. Architettura e Urbanistica, Noto Arti grafiche S. Corrado, 1992. Paolo Giansiracusa, Il Barocco Minore. Documentazione di immagini per una ricerca sul territorio e sull’architettura dell’altopiano ibleo, Noto Arti grafiche S. Corrado, 1990.
Maria Giuffrè, Barocco in Sicilia, Verona, Arsenale Editore, 2008. Istituto Acrense, Guida di Palazzolo Acreide, Palazzolo Acreide, 1994. Luca Trigilia, Luigi Lombardo, Terra Palatioli, Siracusa, Arnaldo Lombardi Editore, 1999. Per visualizzare le chiese barocche di Palazzolo Acreide http://www.palazzolo- acreide.it/fotografie_il_barocco_di_palazzolo_acreide/index.htm
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