Le chiese barocche di Palazzolo Acreide - L'Identità di Clio

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Le chiese barocche di Palazzolo Acreide
Il barocco ibleo nelle sue peculiarità storico, artistiche e architettoniche.

Stratificazioni culturali.
Nella Sicilia sud-orientale, e precisamente in una zona ben delimitata dell’area iblea,
comprendente i comuni di Palazzolo Acreide, Cassaro, Ferla, Buccheri, Buscemi e
Sortino, si trova un territorio ricco di storia, natura, cultura, tradizioni religiose e
gastronomiche.
Una Koinè che ha radice antichissime, primordiali, che fa da filo conduttore a un
territorio dove il processo antropico è iniziato fin dal XIII sec. a.C. (come testimonia
la necropoli di Pantalica). Non si può rimanere impassibili davanti a un territorio che
offre una realtà storico-culturale e artistica così diversificata e ampia.
Visitare il comprensorio ibleo vuol dire intraprendere un viaggio sensoriale, culturale
e temporale. Dall’antica colonia greca di Akrai alla Necropoli sicula di Pantalica (la più
grande d’Europa), passando per il barocco fastoso di chiese e palazzi, è tutto un
susseguirsi di stratificazioni storico-artistiche.

Palazzolo Acreide
Il centro abitato, cosi come gli altri comuni iblei, sorge dalle macerie del famoso
terremoto del 1693. Poco o nulla rimane di ciò che fu costruito prima di quella data.
Dalle macerie del sisma rinasce un’arte plastica e pittorica tipicamente barocca, dalle
linee sinuose e spiraliformi il cui movimento mistilineo, sospinto da forze dinamiche
e in continuo movimento, rende ancora viva la struttura architettonica.
Ad accentuare ancora di più l’essenza barocca vengono ad aggiungersi quegli inserti
apotropaici, tipici del barocco che, in chiave scaramantica, cercano di allontanare
l’ira di Madre Natura.
I volti grotteschi e mostruosi, che si possono tutt’ora ammirare nelle facciate dei
palazzi e delle chiese, hanno infatti la funzione di scacciare il male che spesso si
presentava, nell’immaginario popolare, sotto forma di calamità naturali, come
appunto il sisma del 1693.
Fu così che le maestranze dell’epoca decisero di costruire le Chiese, gli edifici
pubblici e i palazzi nobiliari in maniera ancora più sontuosa, quasi come un atto di
sfida e rivalsa nei confronti di quella Natura che spesso e volentieri si ribellava
all’uomo mostrando tutta la sua protervia.
I protagonisti di questa rinascita barocca dovettero ricostruire l’assetto urbanistico
originario, modificandolo mediante la costruzione di strade e piazze che fossero
abbastanza ampie da diventare punti di raccolta in caso di terremoto.
Ma qual era la vera natura del Barocco? La monumentalità, la magniloquenza e la
spettacolarità degli edifici barocchi avevano e hanno lo scopo di suscitare emozioni,
di stupire l’osservatore, di uscire da quegli schemi rigidi e razionali tipici del
rinascimento, tutto ciò grazie a degli accorgimenti come l’illusionismo prospettico o
l’utilizzo di linee concave e convesse che, nel loro dilatarsi e comprimersi, rendono
l’edificio vivo nel suo immobilismo apparente.
La Sicilia di questo periodo è la protagonista di un nuovo “Rinascimento”delle forme,
arricchite da temi e motivi che si sviluppano scaramanticamente lungo le facciate
delle chiese o dei palazzi nobiliari.
L’elemento scaramantico non fu l’unico a caratterizzare la ricostruzione degli edifici.
La rinascita artistica e architettonica dell’isola si manifestò anche attraverso la
fondazione e la ricostruzione di nuove città, progettate seguendo un impianto
planimetrico votato alle “vie sacre”, ovvero a quelle arterie dove avevano sede le
autorità civili e religiose.
Durante la prima metà del XVIII secolo vennero coinvolte diverse maestranze,
provenienti da tutta la Sicilia, per ricostruire i centri più colpiti dell’altopiano Ibleo tra
i quali ricordiamo: Palazzolo Acreide, Ferla, Cassaro, Buccheri, Buscemi e Sortino.
Tutti questi Comuni furono dotati di un nuovo impianto urbanistico che rispettava e
manteneva, come punti di riferimento, le principali chiese locali sapientemente
risorte dalle macerie.
In generale la ricostruzione dei comuni iblei riguardò sopratutto le facciate delle
chiese e dei palazzi nobiliari, arricchite da un barocco sfarzoso, caratterizzato da uno
stile bizzarro e grottesco costituito da linee sinuose, da spazi scenografici, da
modanature spezzate, da impianti elittici e curvilinei, che si ripetono all’infinito,
secondo un moto perpetuo, privo di schematizzazioni geometriche che potessero
limitarne l’infinita sinuosità.
I protagonisti di questa stagione di rinascita architettonica e artistica, così dinamica e
fastosa, furono capimastri e architetti come Giuseppe Ferrara, Fra’ Michele da Ferla,
i Mastrogiacomo, Rosario Gagliardi, Francesco Paolo Labisi, Giovan Battista Cascione,
Vincenzo Sinatra, Luciano Alì, Michelangelo Di Giacomo, per citarne solo alcuni.
Il loro operato andava di pari passo con le maestranze composte da muratori,
carpentieri e scalpellini. Questi ultimi, in particolare, ebbero un ruolo molto
importante, in quanto diedero libero sfogo ad una ricca e fantasiosa decorazione
che si può ancora ammirare in alcuni esempi eclatanti come le mensole della
balconata barocca (considerata la più lunga del mondo) di palazzo Lombardo Cafici o
quelle di palazzo Zocco a Palazzolo Acreide.
La maestria della loro rappresentazione plastica e volumetrica rimane tutt’oggi la
firma esclusiva di questi grandi autori del barocco ibleo, un barocco che seppur
periferico e lontano dai principali centri di irradiazione culturale, presenta comunque
degli elementi unici e particolari.
Durante la ricostruzione gli scalpellini ebbero un ruolo fondamentale nel realizzare le
decorazioni lapidee e gli elementi strutturali. Questi venivano applicati sulle facciate
delle chiese e dei palazzi barocchi grazie all’utilizzo di materiale lapideo composto
principalmente da calcareniti a grana fine facilmente malleabili, tipici della zona
iblea, mediante i quali si otteneva una resa plastica, un dinamismo decorativo e
riflessi coloristici difficilmente eguagliabili.
La ricostruzione del comune, avvenuta dopo il terremoto del 1693, si sviluppò lungo
tre direttrici corrispondenti ai tre principali nuclei abitativi: la chiesa Madre, la chiesa
di San Sebastiano e il Castello medievale; sia nella zona del Castello, che della chiesa
Madre fu mantenuto il vecchio assetto urbano. Per quanto riguarda il quartiere di
San Sebastiano, esso fu progettato ex novo, grazie alla costruzione di tre arterie
principali di collegamento costituite da via Gaetano Italia, via Roma e via San
Sebastiano.

La chiesa di San Sebastiano
Il primo edificio religioso che notiamo salendo verso il corso principale (corso
Vittorio Emanuele), punto di riferimento per gli abitanti del posto, è la chiesa di San
Sebastiano, ubicata in piazza del Popolo.
La struttura architettonica è caratterizzata da un’ampia facciata scenografica che si
sviluppa in tutta la sua verticalità (la chiesa raggiunge un’altezza di 43 metri), resa
ancora più imponente dall’alta scalinata di acceso che fu edificata nel 1877.
Originariamente, prima del terremoto del 1693, nello stesso sito, sorgeva la chiesa
di San Rocco risalente al 1414, successivamente, nel 1609, fu edificata la chiesa di
San Sebastiano la cui realizzazione si protrasse fino al 1655.
L’edificio si sviluppa su tre ordini, nel primo possiamo ammirare le alte paraste
binate, di stile corinzio, che sorreggono una massiccia trabeazione ritmata da
bassorilievi decorativi.
Nella parte centrale del primo ordine si erge il portale principale, attribuito a Paolo
Labisi (grande architetto tra i protagonisti della ricostruzione di Noto) preceduto, ai
lati, da due leoni scolpiti a tutto tondo che proteggono, in qualità di guardiani,
l’ingresso.
Al di sopra del portale è collocata la statua in pietra di San Sebastiano, mentre ai lati
vi sono due ingressi secondari che danno accesso alle navate laterali.
Il secondo ordine è costituto, al centro, da un orologio incorniciato da due coppie di
colonne corinzie poggianti su mensole sporgenti.
Il terzo ordine è contraddistinto dalla cella campanaria.
Il progetto della chiesa fu realizzato dall’architetto siracusano Mario Diamanti; la
prima pietra fu posta nel 1723. I lavori si dilungarono per quasi sessant’anni, ossia
fino al 1782, anno in cui la chiesa fu terminata. I ritardi per la sua realizzazione sono
da ascrivere, principalmente, alle continue modifiche volute dai procuratori della
chiesa.
Alla costruzione dell’edificio sacro parteciparono diversi capimastri come Giovan
Battista Milito e mastro Giuseppe Buscema, autori, entrambi, delle decorazioni della
facciata e dei due leoni posti ai lati dell’ingresso principale.
L’interno della chiesa è suddiviso in tre navate; in quelle laterali si possono ammirare
diversi altari costruiti prevalentemente con marmi locali, ognuno di essi è dedicato
ad un santo ed è sormontato da quadri realizzati da pittori siciliani esponenti dello
stile barocco e tardo barocco. Tra questi ricordiamo il bellissimo dipinto di Marcello
Vieri eseguito nel 1785 raffigurante S. Pietro in Vincoli.
Attraversando la navata laterale ci troviamo di fronte all’altare maggiore strutturato
su ordini sovrapposti che richiamano le facciate delle chiese barocche. L’altare a sua
volta è sormontato da una nicchia con arco a tutto sesto, al cui interno è custodita la
statua di S. Sebastiano racchiusa da un drappo che viene svelato soltanto durante le
festività dedicate in suo onore (20 gennaio e 10 agosto).
Ai lati della nicchia si innalzano due coppie di colonne tortili su cui poggia un
timpano alla cui base possiamo leggere la scritta Protectori, il cui significato fa
riferimento al ruolo di protettore del paese attribuito a San Sebastiano dopo il
terremoto del 1693. La statua del simulacro è stata realizzata ad Augusta nel 1663 da
un autore ignoto originario di Messina.
Immettendoci lungo la navata sinistra, in direzione dell’uscita secondaria, ci troviamo
davanti alla cappella del Sacro Cuore il cui interno ospita la teca con le reliquie di
Sant’Urbano traslate a Palazzolo nel 1762.
Sempre proseguendo all’interno della navata, si può ammirare l’altare di Santa
Margherita da Cortona con l’omonimo dipinto realizzato nel 1758 da Vito D’Anna,
pittore palermitano di grande fama, tra i più importanti esponenti del rococò
siciliano, famoso per aver realizzato, a Palermo, diversi affreschi tra i quali quello di
Palazzo Isnello raffigurante Il Trionfo di Palermo (uno dei più grandi capolavori
dell’arte siciliana del XVIII secolo) nonché gli affreschi della chiesa dei Tre Re e di
palazzo Ventimiglia. L’autore fu anche genero di un altro grande esponente della
pittura siciliana: Olivio Sozzi.
Il dipinto di Vito D’Anna, si può considerare tra le opere più importanti presenti
all’interno della chiesa. Il quadro raffigura la santa in atteggiamento estatico, il volto,
che esprime pietas e devozione cristiana, è rivolto verso il crocifisso mentre, ai suoi
piedi, è collocato il cagnolino del suo amante Arsenio,ucciso durante una faida
guelfo-ghibellina. Il corpo di Arsenio, secondo la tradizione, fu trovato dal cagnolino
stesso. Quest’ultimo è raffigurato con lo sguardo rivolto verso lo spettatore, con la
chiara funzione di coinvolgerlo all’interno della scena mistica che gli si prospetta
davanti. L’estasi della santa è inoltre accentuata dalla presenza di una coppia di
puttini che sorvolano l’ambiente. Simboli, essi stessi, della presenza divina.
Vito D’Anna, in quest’opera, esprime la sua formazione classicista, caratterizzata da
una sobrietà e da un equilibrio accademico che ha le sue origini nella pittura
controriformista permeata, quest’ultima, da un senso di pietismo meditativo e
devozionale volto alla persuasione dei fedeli.
Proseguendo lungo il percorso possiamo ammirare l’altare di Maria Odigitria con un
gruppo statuario che raffigura la santa sostenuta dai padri calogeri. La Madonna
Odigitria fu eletta patrona di Palazzolo nel 1644 fino a quando, nel 1689,
non fu eletto dal popolo palazzolese San Paolo.
Arrivati all’ingresso principale e volgendo lo sguardo in alto si può notare, nella
cantoria, il pregevole organo di Carlo del Piano risalente al 1729.
Gli stucchi della navata, i putti, la balaustra che divide l’altare maggiore dalla navata
centrale e le statue in gesso poste ai lati del presbiterio, raffiguranti da una parte S.
Paolo e dall’altra S. Pietro, sono opera dell’abile stuccatore palermitano Gioacchino
Gianforma protagonista delle decorazioni interne delle principali chiese siciliane.

Chiesa di San Paolo
La chiesa di S.Paolo fu costruita intorno alla metà del XVIII secolo nel vecchio
quartiere medievale, in quello che si può definire l’altra anima del paese. Nello
stesso sito sorgeva anticamente la chiesa di Santa Sofia, quest’ultima fu demolita
dopo il terremoto del 1693 e non fu mai più ricostruita.
La chiesa di S. Paolo fu promossa come “sacramentale” nel 1669 da papa Innocenzo
IX. Nel 1688 S. Paolo fu eletto patrono dal popolo palazzolese, tale scelta fu
convalidata dalla Sacra Congregazione dei Riti nel 1690, sebbene vi si
oppose la Confraternita di S. Sebastiano fedele alla patrona Maria SS Odigitria eletta
nel 1644. Da qui nacque una conflittualità tra i due quartieri rimasta in vigore fino a
non molto tempo fa.
Dopo il terremoto del 1693 la chiesa fu riedificata a partire dal 1703. Nel 1785 fu
consacrata da Mons. Silvio Alagona arcidiacono della Cattedrale di Siracusa.
La facciata della chiesa è opera dell’architetto netino Vincenzo Sinatra, importante
esponente della ricostruzione post-terremoto dell’area iblea. L’architetto lavorò
sopratutto a Noto come allievo di Rosario Gagliardi (di cui aveva sposato una nipote)
per poi spostarsi a Palazzolo e Floridia. Tra le sue opere più importanti ricordiamo il
progetto del loggiato della Basilica di Santa Maria Maggiore a Ispica e palazzo
Ducezio a Noto.
Alla costruzione della chiesa di S. Paolo (su progetto iniziale di Corrado Mazza)
parteciparono, nel corso degli anni, Costantino Cultraro, Pasquale Mazza e Giuseppe
Ferrara, quest’ultimo fu particolarmente attivo a Palazzolo Acreide come
capomastro, egli infatti lavorò sia per la ricostruzione della chiesa di S. Paolo, che per
quella di S. Sebastiano, operò anche negli altri comuni iblei come Buccheri e
Buscemi, lo ritroviamo, infine, a Siracusa dove contribuì alla riedificazione del
Duomo.
La facciata della chiesa di San Paolo si sviluppa, in tutta la sua verticalità, su tre
ordini; il primo dei quali è contraddistinto da un’ampia scalinata di accesso che
conduce all’ingresso principale.
Il secondo ordine è arricchito dalla statua in pietra del Cristo benedicente. Ai lati
sono collocate coppie di statue in pietra, posizionate su alti piedistalli, raffiguranti gli
apostoli e i santi, tra cui lo stesso S. Paolo, collocato sul lato destro con
l’inconfondibile spada in mano. Il terzo ordine è costituito da una cella campanaria
balaustrata sorretta da un’alta zoccolatura mistilinea.
All’interno la chiesa è suddivisa in tre navate finemente stuccate. Sulla navata
laterale sinistra, a ridosso dell’ingresso, si può ammirare un quadro di Giuseppe
Crestadoro dedicato alle anime purganti. Il pittore, di origine palermitana, fu allievo
di Vito D’Anna dal quale ha recepito uno stile raffinato, sobrio, elegante e
neoclassico, tipico dello stile pittorico di quel periodo.
La sua formazione artistica si svolse presso l’Accademia di S. Luca, a Roma, dove
ebbe maestri del calibro di Maratta e Giaquinto. Tra le sue opere più importanti
possiamo annoverare la chiesa madre di Sortino e Villa Airoldi a Palermo. Le ultime
opere dell’artista si trovano nella chiesa di San Paolo dove realizzò ben otto quadri.
Spostandoci verso l’altare maggiore si rimane colpiti da un crocifisso ligneo della fine
del seicento, dietro il quale si staglia, imponente, l’altare maggiore incorniciato da
due coppie di colonne tortili.
Ai lati dell’altare sono presenti due quadri: Il naufragio di S. Paolo a Malta e
L’assunzione di Maria. Al centro è collocato il quadro raffigurante La conversione di S.
Paolo del Crestadoro, dietro il quale si trova la nicchia che ospita la statua patronale.
Quest’ultima fu realizzata nel 1595 da Vincenzo Lorefice e rimaneggiata nel corso dei
secoli, a partire dal terremoto del 1693 che ne compromise l’integrità.
Durante le festività del 25 gennaio (giorno della conversione di S. Paolo) e del 29
giugno il simulacro viene svelato dalla nicchia e portato in processione, a spalla
nuda, per le vie del paese.

La chiesa Madre
Accanto alla chiesa di San Paolo vi è la chiesa Madre il più antico e il più grande
edificio di culto di Palazzolo. Secondo le fonti storiche, la chiesa era già presente fin
dal 1215 anno in cui il vescovo di Siracusa, Bartolomeo Gash la consacrò a S. Nicolò.
Distrutta durante il terremoto del 1693 fu ricostruita secondo il progetto di Giuseppe
Ferrara.
La facciata originaria del XVIII secolo crollò interamente nel 1882 e venne ricostruita
in uno stile neoclassico molto semplice e disadorno che contrasta notevolmente con
l’interno, riccamente decorato dalle maestranze locali.
Entrando dall’ingresso laterale destro la chiesa si presenta suddivisa in tre navate. Le
navata laterali ospitano una serie di altari riccamente decorati da colonne tortili, sia
binate che singole.
In corrispondenza degli altari si trovano una serie di dipinti, risalenti a un periodo
che va dal XVII secolo in poi, realizzati da importanti esponenti della pittura siciliana.
A partire dalla navata laterale destra si possono ammirare due quadri raffiguranti La
Madonna Immacolata e il Cristo con le anime del Purgatorio di Olivio Sozzi. Vale la
pena soffermarci su quest’ultimo autore attivo in gran parte della provincia
siracusana e non solo. Palermitano d’origine, si formò a Roma presso la bottega di
Sebastiano Conca con il quale collaborò alla decorazione di palazzo Farnese. Durante
la sua permanenza a Roma entrò in contatto con Corrado Giaquinta che ne influenzò
lo stile. L’artista, una volta ritornato a Palermo, affrescò la volta della chiesa della
Martorana per poi trasferirsi a Melilli con la famiglia, dove vi rimase alcuni anni per
completare una serie di affreschi sia nella chiesa di S. Sebastiano che nella chiesa
Madre. Morì tragicamente nel 1765 cadendo da un’impalcatura all’interno della
Basilica Maggiore di Ispica mentre era intento a finire uno degli affreschi più
importanti della Sicilia sud-Orientale.
Proseguendo verso il transetto si rimane incantati dall’arcata monumentale e dalle
colonne che la sostengono, ricche di bassorilievi fitomorfi. Al centro si erge l’altare
maggiore finemente decorato, al di sopra del quale è situato il grande quadro che
raffigura S. Nicolò, il santo a cui la chiesa era dedicata, opera risalente alla prima
metà del XIX secolo, del pittore locale Paolo Tanasi.
Ai lati del transetto si possono visitare le due cappelle principali: a destra quella
dedicata a S. Giuseppe e a sinistra quella del Sacro Cuore abbellita, quest’ultima, da
un ricco altare marmoreo e da una statua lignea del Cristo alla Colonna di probabile
origine seicentesca.
Lungo la navata laterale sinistra è collocato Il martirio di S.Ippolito attribuito a Mario
Minniti, pittore siracusano allievo e grande amico del Caravaggio che conobbe a
Roma mentre lavorava nella bottega di Lorenzo Siciliano. Nel 1608 Mario Minniti
ospitò, a Siracusa, Caravaggio in fuga da Malta. Grazie al suo gesto oggi si può ancora
ammirare l’opera di Caravaggio La sepoltura di Santa Lucia (chiesa di S. Lucia alla
Badia).
Lo stile del Minniti risente molto della lezione caravaggesca, nell’uso di soggetti
popolari, nello stile classicheggiante (con una forte impronta rinascimentale) nel
naturalismo dei soggetti, nel chiaroscuro e nell’uso della luce che penetra
diagonalmente e mette in risalto la resa plastica e volumetrica delle figure
rappresentate. Non manca l’utilizzo di tonalità calde che contrastano con il
chiaroscuro, tuttavia la luce, rispetto alle opere del Caravaggio, qui si fa più vivida.
Un’ultima opera importante, custodita all’interno della chiesa, riguarda un crocifisso
su tavola, risalente alla fine del ‘400 di chiaro gusto bizantineggiante caratterizzato
da una raffigurazione frontale e schiacciata delle figure del Cristo, della Addolorata e
di S. Giovanni evangelista.
Chiesa dell’Annunziata
La chiesa dell’Annunziata, insieme alla Matrice, è una delle più antiche chiese di
Palazzolo, essa fu quasi distrutta nel terremoto del 1693.
La ricca facciata barocca fu progettata da Giuseppe Ferrara e realizzata dal
capomastro Matteo Tranisi a partire dal 1698.
La chiesa presenta, nel prospetto centrale, un ricco portale barocco contraddistinto
da quattro colonne binate tortili, di stile corinzio, che sostengono una trabeazione
mistilinea.
Le colonne sono arricchite da decorazioni in rilievo che raffigurano tralci di vite e
fregi raffiguranti melecotogne, melograni, cachi, grappoli di uva, pere e fichi, frutti
che simboleggiano la grazia divina. Sulla destra del prospetto si erge la cella
campanaria con due aperture architravate chiuse da balaustre.
L’interno della chiesa è suddiviso in tre navate. Le arcate sono abbellite da
decorazioni costituite da festoni alternati da fregi di frutta.
Nei pressi dell’altare maggiore, sulla destra, si può ammirare una bellissima statua
lignea della Madonna del Carmelo venerata fin dal 1651 e festeggiata fin dal XVIII
secolo, dalla ricca confraternita dell’Annunziata, ogni prima domenica di agosto.
Un’altra statua lignea, custodita all’interno della chiesa, è quella di S. Caterina
d’Alessandria, realizzata da un autore ignoto nel XVII secolo, il simulacro è
caratterizzato da una volumetria semplice e da una carica espressiva dolce e
soave. Le vesti e il manto eleganti sono riccamente decorate da motivi vegetali e
attestano l’origine nobile della santa.
L’opera più importante, all’interno della chiesa, è costituita dall’altare maggiore
in marmo policromo. Le decorazioni intarsiate con colori vivaci sono un vero
capolavoro del primo barocco ibleo. La superficie marmorea è ricca di girali
floreali la cui linea sinuosa si espande seguendo un impianto simmetrico. Il
fondo, di un blu acceso, è abbellito da una serie di uccelli incorniciati da
pergolati fioriti, arricchiti, a loro volta, da raffinate composizioni costituite da
margherite e rose. Le tonalità marmoree si intrecciano in un vorticoso gioco di
colori in cui predomina un cromatismo incentrato sul rosso, il giallo, il verde e il
blu.
Dietro l’altare fa da cornice il grande quadro raffigurante L’annunciazione opera del
pittore locale Paolo Tanasi, eseguito nel 1827.
A proposito dell’Annunciazione bisogna ricordare che l’importanza della chiesa
dell’Annunziata non risiede soltanto nella sua stupenda facciata barocca ma per
l’opera che ha custodito al suo interno, per diversi secoli, ovvero l’Annunciazione
di Antonello da Messina (di cui si può ammirare una copia all’interno della
chiesa situata nella navata laterale destra).
L’Annunciazione fu commissionata nel 1474 dal rettore della chiesa Juliano Maniuni,
come attesta un atto notarile scoperto nell’Archivio di Stato di Messina da Gaetano
La Corte Cailler, grande studioso messinese di storia patria.
Antonello da Messina in quel periodo si trovava già a Noto in quanto stava lavorando
al gonfalone dello Spirito Santo della città e fu proprio in quella occasione che
conobbe Juliano Manuni il quale, a sua volta, gli commissionò la tavola
dell’Annunciazione, che verrà poi notificata dal notaio nel 1474.
Sempre in quel periodo operò, sia a Noto che a Palazzolo, un altro grande esponente
del Rinascimento italiano: Francesco Laurana. Impegnato anch’egli a Noto per la
realizzazione delle due madonne in marmo bianco da destinare alla chiesa del SS.
Crocifisso, seppur non datate rispetto alla Madonna col bambino di Palazzolo
Acreide (attualmente conservata presso la Chiesa dell’Immacolata) sulla quale
l’autore appone la sua firma con la data 1471.
L’Annunciazione di Antonello da Messina (oggi conservata presso il museo Bellomo
di Siracusa) si presenta con una chiara prospettiva geometrica, resa ancora più
evidente dalle linee geometriche scorciate del leggio e dalla mobilia raffigurata in
secondo piano, al contempo la composizione dell’opera attesta l’abilità dell’autore
nell’aver recepito la lezione prospettica del Brunelleschi.
La scena rappresentata è inserita all’interno di un loggiato di architettura gotico-
catalana. L’ambiente è illuminato da una luce naturale soffusa proveniente dalle
due aperture in fondo alla stanza, da cui si intravede un paesaggio agreste con scene
di vita contadina, tra le quali spicca un asinello, un cane, diverse figure che
camminano in una strada di campagna ed infine due uomini in barca.
La tavola fu scoperta dallo storico dell’arte Enrico Mauceri nel 1902 mentre stava
eseguendo un censimento delle opere d’arte presenti nella provincia per conto del
Museo Archeologico di Siracusa.
L’opera fu trovata in condizioni critiche e fu quindi soggetta ad un accurato restauro.
Conservata inizialmente nella sede della Soprintendenza venne poi trasferita al
museo regionale di Palazzo Bellomo.

Vincenzo Signorelli

Bibliografia

Carlo Bertelli, Giulio Briganti, Antonio Giuliano, Storia dell’arte italiana, Milano,
Bruno Mondadori, 2010.
Marcello Cioè, Santi Minori e luoghi sacri nell’altopiano ibleo, Siracusa, Mediterraneo
Tipografia, 2009.
Paolo Giansiracusa, La Vallle dell’Anapo e il Leontinoi nelle terre di Hyblon e Thukles,
Siracusa, Edizioni, 2008.
Paolo Giansiracusa, I centri iblei dopo il terremoto del 1693. Architettura e
Urbanistica, Noto Arti grafiche S. Corrado, 1992.
Paolo Giansiracusa, Il Barocco Minore. Documentazione di immagini per una ricerca
sul territorio e sull’architettura dell’altopiano ibleo, Noto Arti grafiche S. Corrado,
1990.
Maria Giuffrè, Barocco in Sicilia, Verona, Arsenale Editore, 2008.
Istituto Acrense, Guida di Palazzolo Acreide, Palazzolo Acreide, 1994.
Luca Trigilia, Luigi Lombardo, Terra Palatioli, Siracusa, Arnaldo Lombardi Editore,
1999.

Per visualizzare le chiese barocche di Palazzolo Acreide http://www.palazzolo-
acreide.it/fotografie_il_barocco_di_palazzolo_acreide/index.htm
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