Tra benessere e burnout: come prendersi cura degli adulti nei servizi educativi

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Divisione Servizi Educativi
                  Coordinamento Ciclo Educativo dell’Infanzia

             Tra benessere e burnout:
come prendersi cura degli adulti nei servizi educativi

Giuseppe Nota - Santo Balistreri - Alida Galasso - Marica Marcellino - Tiziana
     Merzagora - Caterina Poggioli - Claudia Regio - Nicoletta Vigliani

                                 marzo 2009
Sommario

Definizioni

         L’origine del concetto come sindrome tipica delle helping professions
         Le due tendenze interpretative introdotte dalle ricerche sul campo
         L’elaborazione di scale di misurazione e parametri di valutazione del burnout
         L’analisi comparata come ulteriore contributo alla definizione del burnout

Contesto
      L’oggetto dell’indagine: dalla definizione del concetto di burnout
        all’individuazione del contesto lavorativo nell’ambito della Divisione Servizi
        Educativi del Comune di Torino
      Soggetti che curano: le helping professions
      Il contesto storico-sociale: Torino che cambia
      I rischi da valutare
      Sguardi di genere

Che fare
      Azioni in atto
      Prospettive in divenire

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Il presente documento è il frutto di un primo confronto ed approfondimento di un
gruppo di responsabili pedagogici, insieme ad alcuni responsabili degli uffici che si
occupano di personale docente e al dirigente coordinatore del settore, sulla necessità
di sviluppare un pensiero condiviso su come “prendersi cura degli adulti” ed in
particolare dei colleghi che nella nostra organizzazione esercitano la professione
docente, la quale è riconosciuta, fin dagli anni 80 da vari studi in campo psicosociale,
come particolarmente esposta al rischio di logoramento psicofisico e di burnout.

“E’ noto che nelle attività di assistenza e di interfaccia diretta con il pubblico proprie di
alcune categorie professionali (educatori, operatori sanitari, assistenti sociali ecc.),
dopo un certo numero di anni la sindrome del burnout può arrivare a rendere
insostenibile quella specifica attività lavorativa.
Nelle strutture scolastiche, particolare attenzione deve essere posta nei confronti dei
lavoratori che prestano servizio nelle “aree critiche”, dove sono presenti molteplici
fattori di stress, legati alla complessità degli interventi, al contatto continuo con
situazioni di sofferenza, sia dei bambini affidati che delle loro famiglie, con conseguenti
risultati che spesso possono generare frustrazioni, mentre le gratificazioni sono vissute
come limitate a fronte dell’impegno richiesto.
Da una disamina dei dati presenti in letteratura, emerge che il più importante indicatore
di condizioni di stress lavorativo, nelle sei aree della vita lavorativa considerate (carico
di lavoro, controllo, riconoscimento, comunità, valori ed equità) risulta essere l’equità,
intesa come il perseguimento di politiche lavorative ragionevoli ed eque. I livelli di
stress lavorativo sono maggiori per i lavoratori a diretto contatto con l’utenza e per
coloro che hanno responsabilità operative.” (Documento di VALUTAZIONE DEL
RISCHIO D.Lgs. 626/94 - Divisione 7 – Servizi Educativi)

Le riflessioni che seguono sono indirizzate alla direzione organizzativa del settore, allo
scopo di    avviare un momento di confronto collegiale sull’argomento, integrare il
presente documento con ulteriori osservazioni o spunti e costituire successivamente un
gruppo di lavoro con un mandato organizzativo da sviluppare in un progetto
sperimentale.

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DEFINIZIONI

Nel proporre un’analisi delle definizioni di burnout ci si è orientati intorno ad un quadro
interpretativo che considerasse:
    (a) il burnout come parte integrante dei contesti organizzativi tipici delle professioni
        di aiuto (G. Blandino 1)
    (b) gli ambienti organizzativi come potenziali osservatori e contenitori di specifiche
        e particolari idee di cura del burnout.

Si propone, quindi, una chiave di lettura che, proprio a partire dalla relazione tra
burnout e contesti organizzativi, tenda a mantenere, costantemente, un doppio
sguardo, concettuale e di metodo, evidenziando così la stretta interrelazione tra quadro
conoscitivo ed esigenze prescrittive.

Già a partire da una rapida descrizione dei movimenti che hanno caratterizzato lo
sviluppo della cultura sul burnout ci si trova, infatti, ad ancorare la definizione del
concetto ai contesti concreti nei quali (e per i quali) tale sindrome tende a sprigionarsi.
Se si assume questo vertice interpretativo, allora, l’analisi delle definizioni non potrà
che notare le forti implicazioni tra l’evoluzione delle concettualizzazioni (o modelli
interpretativi) e l’elaborazione crescente delle pratiche di ricerca che si possono
declinare su diverse tendenze:

L’origine del concetto come sindrome tipica delle helping professions

Il termine è stato introdotto per indicare un quadro sintomatologico caratterizzato da
affaticamento, logoramento, insoddisfazione, indifferenza, cinismo con perdita di
entusiasmo e interesse per la propria attività lavorativa. La voce burnout compare per
la prima volta negli anni Trenta nel gergo dell’atletica professionale per indicare quel
fenomeno per cui un atleta, dopo alcuni anni di successi, esaurisce le proprie ‘capacità
di dare’ dal punto di vista agonistico.
La letteratura sull’argomento concorda nell’affermare che il termine “burnout” nasce nel
1974 con Herbert J. Freudenberger 2 per descrivere una sindrome tipica delle
professioni d’aiuto a elevato tasso di relazionalità. Questo primo gruppo di definizioni
sembra attribuire il burnout all’incapacità di gestire le angosce lavorative e le
dimensioni emozionali a esse legate, con una forte caratterizzazione sull’analisi di un
disagio soggettivo che procura sia decadimento delle risorse psico-fisiche sia
peggioramento delle prestazioni professionali.
Eppure, fin dagli inizi delle ricerche, emerge la necessità di mantenere una definizione
multifattoriale del fenomeno, analizzando in modo integrato i fattori individuali, quelli del
contesto lavorativo e, infine, quelli della situazione storico-politico-sociale.

1
  “Quello che sostengo è che il burn-out è tanto maggiore quanto più lo si considera come una deviazione
da in’ipotetica normalità, e tanto più gestibile quanto più lo si considera come uno scotto normale della
nostra vita”, in G. Blandino, Quando non se ne può più, Animazione sociale, aprile, 2005 p. 73.
2
  Freudenberg definisce il burn-out come la sindrome tipica di chi si esaurisce e dimostra comportamenti
quali insoddisfazione, facile e continua irritabilità, incapacità, ricorso all’alcool. E’ una sindrome che si
manifesta in maniera sottile in tempi molto lunghi.
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Le due tendenze interpretative introdotte dalle ricerche sul campo

Una prima linea di tendenza pare essere più legata alla dimensione “clinica” e, quindi,
prevalentemente orientata alle dinamiche individuali (tra cui il contributo di
Freudenberger) e si orienta sull’analisi delle risposte individuali alle situazioni lavorative
percepite come stressanti. Cary Cherniss con “sindrome da burnout” definisce la
risposta individuale a una situazione lavorativa percepita come stressante e nella quale
l’individuo non dispone di risorse e di strategie comportamentali o cognitive adeguate a
fronteggiarla, una sorta di ‘ritirata psicologica dal lavoro’ in risposta ad un eccessivo
stress o insoddisfazione 3.La seconda prospettiva è, invece, maggiormente focalizzata
su paradigmi di tipo “psico-sociale” ed è caratterizzata dall’esigenza di accompagnare
alla definizione delle cause anche le variabili di contesto che facilitano o meno
l’insorgenza di tali sindromi da logoramento lavorativo. Tra le diverse prospettive
teoriche che hanno cercato di spiegare l’insorgenza, la genesi e la manifestazione del
burnout, quella psicosociale sembra, infatti, più di altre, mantenere un’efficacia sia
riflessiva sia pragmatica. Tale prospettiva considera i rapporti del lavoratore con
l’équipe in cui è inserito, con gli altri colleghi, con i superiori e con la struttura
organizzativa di cui fa parte. Significativo è il contributo del Labos 4 che, nell’analisi del
lavoro nei servizi sociali, porta attenzione, in particolare, ai fattori di posizionamento
strategico, organizzativo e ambientale di un servizio 5.

L’elaborazione di scale di misurazione e parametri di valutazione del burnout

Di particolare rilievo, ai fini della nostra riflessione, pare lo schema di analisi, proposto
da Maslach e Leiter 6, che considera il burnout come un ‘problema professionale’ e non
come una ‘colpa’ della persona. Il mal funzionamento delle organizzazioni costituisce il
principale motivo del diffondersi del burn out che comporta un altissimo costo sia per
gli individui sia per le organizzazioni. Maslach e i suoi collaboratori propongono un
modello        interpretativo     focalizzato,       prioritariamente,   sul    grado      di
adattamento/disadattamento tra persona e contesto organizzativo: l’impegno sul lavoro
e il burnout sono due polarità opposte di un continuum. La scala del burnout (MBI –
Maslach Burnout Inventory) offre una misura di rilevazione del grado di burnout ed è
usata per stabilire come i dipendenti vivano il loro lavoro. Consiste in un questionario
che fornisce una scala di misurazione sull’energia, il coinvolgimento e l’efficienza dei
dipendenti nei contesti lavorativi. Il successo nel trattare il burnout non riguarda, quindi,
tanto gli interventi di contrasto, quanto il modello di ‘salute organizzativa’ che deve
includere, in ogni luogo di lavoro, la promozione di valori umani con il coinvolgimento di
tutti i lavoratori.

3
  Cherniss definisce il burn out come una ‘corrosione dell’animo’ che colpisce lo spirito e la volontà delle
persone, in C. Cherniss, La sindrome del burn out, Centro Scientifico Torinese, 1983.
4
  Labos (Laboratorio per le politiche sociali) La fatica del lavoro sociale, T.E.R., Roma 1988.
5
  Un altro autore, G. Del Rio, definisce il burn-out come una ‘sindrome che coinvolge aspetti psicologici,
somatici e comportamentali, presente specificatamente in coloro che svolgono una professione socio-
sanitaria-educativa lavorando a diretto contatto con l’utenza in condizioni stressanti e affettivamente
coinvolgenti, per tempi prolungati e in modo inadeguatamente protetto o supportato; si ritiene che a
determinare tale sindrome contribuiscano fattori di natura soggettiva, ma che vi abbiano importanza
rilevante, se non determinante, le condizioni ambientali in cui tale lavoro si svolge, nonché quelle
storico-politico-sociali’, in G. Del Rio, Stress e lavoro nei servizi. Sintomi, cause e rimedi, NIS, Roma,
1990.
6
  Nel 1982 gli autori hanno individuato tre dimensioni della sindrome:- esaurimento come reazione allo
stress prodotto dalle richieste del lavoro oppure da cambiamenti significativi;- cinismo come senso
d’indifferenza e distacco per proteggersi dall’esaurimento e dalla delusione;- inefficienza come perdita di
fiducia nelle proprie capacità, come incremento del senso d’inadeguatezza, perdita di autostima.
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L’analisi comparata come ulteriore contributo alla definizione del burnout

Si confrontano le differenti ipotesi sulle modalità di insorgenza, decorso e conseguenze
della sindrome, puntando attenzione sia ai contributi di tipo prettamente organizzativo
sia a quelli peculiari delle personalità a rischio di burnout, con l’intento di definire le
componenti del rischio da logoramento correlato al lavoro. Un gruppo di ricercatori 7,
partendo dall’analisi degli accertamenti sanitari per l’inabilità al lavoro, svolta dai
Collegi Medici dell'ASL della Città di Milano nel periodo 1/92 - 12/01, ha operato un
confronto tra quattro categorie professionali di dipendenti della Pubblica
Amministrazione (insegnanti, impiegati, sanitari, operatori). I risultati dimostrano che “la
categoria degli insegnanti è soggetta a una frequenza di patologie psichiatriche pari a
due volte quella della categoria degli impiegati, due volte e mezzo quella del personale
sanitario e tre volte quella degli operatori” 8.
Il ruolo dell’insegnante (e per estensione del personale dei Nidi e delle Scuole
d’Infanzia) appare lacerato da un conflitto che si snoda, da un lato, sulle molteplici
attese che si rivolgono a queste figure professionali (cui si richiedono competenze
approfondite, innovazione e flessibilità) e, dall’altro, sulla svalutazione del loro ruolo. Il
compito di contenere e attenuare il livello di frustrazione, che ne deriva, compete in
primo luogo a chi ha responsabilità gestionali del personale. È solo la costruzione di
spazi per la comprensione della situazione (G. Blandino) che può attenuare schemi
persecutori e difensivi e che può promuovere contesti lavorativi atti a comprendere e a
elaborare l’esistenza del burnout in tutte le sue componenti.
Rimangono da indagare quegli aspetti che possono incidere sull’individuazione dei
fattori di rischio per la sicurezza e la salubrità negli ambienti di lavoro.

7
  AA.VV., Burn out e patologia psichiatrica negli insegnanti, Report Studio Getsemani, Milano 1/92-
12/01.
8
  Sudio Getsemani, op. cit

                                                                                                 6
CONTESTO

L’oggetto dell’indagine: dalla definizione del concetto di burnout
all’individuazione del contesto lavorativo nell’ambito della Divisione Servizi
Educativi del Comune di Torino

La ricognizione sulle diverse concezioni di burnout che il capitolo precedente ha
effettuato e approfondito è il primo passo per orientare un’indagine sull’incidenza del
fenomeno del burnout in un particolare comparto dell’amministrazione comunale, il
Settore Nidi e Scuole d’Infanzia, che costituisce una parte importante della Divisione
Servizi Educati e che comprende tutto il personale docente, ausiliario, amministrativo
che opera nei nidi e nelle scuole dell’infanzia a diretta gestione comunale.

La scelta dell’oggetto su cui orientare l’indagine segna un’importante linea di
demarcazione tra la tendenza a considerare il burnout come un fenomeno che ha
avuto un certo rilievo nella storia del servizio educativo torinese, ma che ha
concretamente coinvolto un numero circoscritto di persone, prevalentemente
appartenenti alla categoria degli insegnanti dei nidi e delle scuole dell’infanzia, e la
tendenza a mettere a fuoco le caratteristiche strutturali di alcune specifiche
professionalità in relazione ad un contesto organizzativo, sociale e culturale
potenzialmente generatore di forme di esaurimento nelle persone che vi lavorano.
Questo secondo tipo di esame implica l’impegno a analizzare senza preconcetti sia la
natura dei casi che si sono realmente determinati, sia le condizioni lavorative che
hanno influito sul fenomeno, individuandone le cause sincroniche e diacroniche
(caratteristiche strutturali persistenti dell’organizzazione, cambiamento del servizio e
della politica educativa cittadina dagli anni Settanta ad oggi).
Si può andare dalla constatazione minimalista che alcuni insegnanti scarsamente
“attrezzati” per motivi individuali (scelta professionale non adeguata al proprio bagaglio
formativo o alla proprie caratteristiche psicofisiche, scarsa motivazione al tipo di lavoro,
problemi di salute, problemi nella vita privata) non abbiano retto l’impatto con una
professione particolarmente sbilanciata sulla relazione e sull’impegno di cura nei
confronti di minori e di adulti, all’ipotesi di segno opposto che fattori generali, legati sia
alla categoria professionale sia all’organizzazione complessiva del servizio,
determinino una condizione di rischio che colpisce anche le persone “attrezzate” e
motivate, coinvolgendo tutte le categorie professionali del settore nidi e scuole
dell’infanzia della divisione, e diffondendo un sentimento collettivo di distacco e crisi
dell’appartenenza.

Per esemplificare, può essere utile porre alcuni interrogativi:
   • i casi a rischio di burnout sono diffusi in numero maggiore nella Divisione
       Servizi Educativi a confronto con le altre Divisioni del Comune?
   • sono presenti soprattutto tra gli insegnanti/educatori?
   • sono riferibili prevalentemente a persone con problemi personali?
   • quanti casi sono approdati agli uffici disciplinari?
   • come è intervenuta l’amministrazione?
   • nel caso di un esonero dalla funzione docente, quali cambiamenti si sono
       determinati nel rapporto tra la persona e il nuovo lavoro?
   • la presenza di persone in burnout ha reso problematico il funzionamento dei
       gruppi di lavoro (collegi docenti, segreterie, uffici) e condizionato la qualità del
       servizio?

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L’opportunità di individuare risposte per tali domande può dare l’avvio ad un’indagine
preliminare, utile a definire più precisamente il quadro generale e a contestualizzare le
definizioni di burnout esaminate nella vasta bibliografia ormai esistente sull’argomento.
La centrale e cospicua presenza di insegnanti/educatori nel servizio rende comunque
necessario approfondire l’argomento delle helping professions

Soggetti che curano: le helping professions

Gli educatori di nido e gli insegnanti di scuola dell’infanzia rientrano a pieno titolo nelle
categorie professionali definite helping professions o high touch (a contatto continuo),
in cui prevale la relazione di aiuto e il contatto diretto continuo con persone in difficoltà
(servizi sociali, assistenza sanitaria).
Sono quindi esposti a tutti i rischi di burnout che caratterizzano queste categorie.
Gli studi si occupano però in prima istanza degli insegnanti che operano in scuole
elementari, medie inferiori e superiori, con particolare attenzione per i problemi di
gestione di ragazzi preadolescenti, adolescenti, giovani. Problemi molti dibattuti anche
nei media, che si occupano massicciamente, e spesso in forma banalizzata, del
bullismo, della perdita di autorevolezza della scuola, delle relazioni tra scuola e
famiglia, pubblicizzando volentieri casi estremi di cronaca, come ragazzi che
maltrattano compagni disabili o padri che prendono a pugni insegnanti e presidi.

E’ opportuno mettere pertanto a fuoco in modo mirato il rischio di burnout degli
insegnanti ed educatori che operano con bimbi molto piccoli. Nei nidi e nelle scuole
d’infanzia gli insegnanti non sono logorati, se non in casi limitati, dalla difficoltà di
gestire la disciplina e di motivare all’apprendimento gli allievi, ma dalle delicate
relazioni con le famiglie, dall’eccesso di delega da parte di alcuni genitori, dalla
responsabilità per la sicurezza di minori privi di autonomia, dal contatto quotidiano con
nuclei famigliari inadeguati o disagiati, da modalità di lavoro fortemente incentrate
sull’accordo di coppia e di gruppo con i colleghi.
In alcuni contesti scolastici, inoltre, segnati più di altri dalla presenza di famiglie
disagiate o di origine straniera, gli insegnanti sono sottoposti a richieste di competenze
che sono proprie di altre professionalità (assistenti sociali, psicologi, pediatri).
L’insegnante diventa infatti il primo referente cittadino che i genitori consultano per
conoscere i servizi che la Città mette loro a disposizione, dalle strutture sanitarie ai
servizi sociali, dagli sportelli lavoro ai consultori per famiglie.

A questi elementi vanno aggiunti peraltro i fattori di rischio indicati già nel 2001 per gli
altri gradi dell’insegnamento nello Studio Getsemani (AA.VV., Burn out e patologia
psichiatrica negli insegnanti, Report Studio Getsemani, Milano 1/92-12/01): impatto con
i flussi migratori e con un’utenza multietnica/multiculturale, inserimento di portatori di
handicap e di bisogni educativi speciali, aggiornamento permanente, avvento dell’era
informatica, svalutazione sociale del lavoro a favore del successo e del guadagno,
continue riforme scolastiche, situazione di precariato protratto per alcuni, diminuzione
delle risorse, competitività tra colleghi, introduzione della valutazione, carente
preparazione socio-pedagogica a inizio carriera.

Il quadro complessivo rafforza l’ipotesi che la categoria della Divisione Servizi Educativi
più esposta al burnout sia quella degli insegnanti/educatori.
Ma se si tiene conto delle altre analisi, (soprattutto Maslach-Leiter), dove il burnout è
inteso principalmente come “una forte discordanza tra la natura del lavoro e la natura
della persona che svolge tale lavoro, (…) segnale evidente di una grave disfunzione
all’interno del contesto lavorativo”, si aprono prospettive diverse di orientamento e
impostazione dell’indagine.

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Il contesto storico-sociale: Torino che cambia

L’analisi di Maslach-Leiter fa riferimento alla situazione americana degli ultimi decenni,
caratterizzata da pesantissime ristrutturazioni nel mondo dell’industria ma anche dei
servizi, in cui le figure lavorative di diverso grado vengono sottoposte a pressioni e
richieste che modificano le condizioni delle sei aree organizzative fondamentali (carico
di lavoro, controllo, ricompense, senso di comunità, equità, valori) e provocano un
deterioramento dell’impegno e delle emozioni. In questa prospettiva il burnout diventa
un fenomeno correlato con categorie professionali anche diverse dalle helping
professions, coinvolgendo un intero sistema produttivo e organizzativo.
Se la situazione del Comune di Torino non può essere lontanamente paragonata al
quadro a forti tinte della società americana dipinto dagli autori, non vanno però
sottovalutati i cambiamenti della politica organizzativa dell’ente locale affermatisi negli
ultimi decenni, e orientati per la prima volta, nella storia delle amministrazioni locali
italiane, a introdurre criteri di carattere privatistico e aziendale nella gestione delle
risorse economiche e umane.
Tali innovazioni hanno inciso su aspetti organizzativi della Divisione Servizi Educativi,
che hanno a loro volta inciso sugli aspetti pedagogici sui quali si è sedimentata nel
corso dei decenni l’identità culturale e educativa del servizio 0 – 6 anni.
Si è passati da una fase di pionierismo e forte espansione del servizio 1975/1985, in
cui ogni anno venivano aperte nuove scuole/nidi e servizi integrativi (ludoteche,
laboratori, punti famiglia, centri di cultura) all’attuale fase di ridimensionamento del
numero delle strutture, in cui si ipotizzano statalizzazioni di scuole dell’infanzia,
chiusura di laboratori e altri servizi integrativi, pur nell’ottica di aprire nuovi nidi.
La riduzione di risorse finanziarie nel bilancio comunale, la necessità di reintegrare
organici che di anno in anno si svuotano per il passaggio allo stato o il pensionamento
di molti docenti di ruolo, hanno creato una situazione di mobilità e instabilità in molti
collegi docenti, che fanno fatica a ricreare un’identità e un modus operandi comune.

Anche dal punto di vista della direzione pedagogica centrale vi è stato un forte stacco
tra un lungo periodo di continuità culturale e organizzativa, durato almeno tre decenni,
pur nel variare dei responsabili politici, e un’alternanza a breve periodo (cambi di
direzione dopo pochi anni), in cui il pensiero pedagogico è stato incalzato da
cambiamenti di tipo amministrativo e dalla tendenza alla parificazione con il modello
statale, parificazione accreditata anche sul piano legislativo.
Si è attenuato pertanto il senso di appartenenza ad un mondo in qualche modo unico, il
servizio educativo comunale di Torino, che se correva il rischio dell’autoreferenzialità,
era portatore di valori forti, come l’importanza del ruolo sociale e l’adesione ad un
modello di sviluppo cittadino.
In particolare si sono prodotti cambiamenti sensibili in un quadro di servizi per l’infanzia
abituati a lavorare nell’ottica di un sistema educativo integrato, dove le proprie
competenze erano rafforzate da quelle delle figure specializzate dei circoli (addette
all’handicap e bilinguiste) e da quelle delle docenti specializzate in vari linguaggi e
campi (laboratori e centri di cultura). Questo sistema di relazioni ha peraltro favorito il
rapporto delle scuole con il territorio e stimolato la riflessione sulla cosiddetta Città
Educativa.
La presenza per circa un decennio degli Sportelli Famiglia in un circolo per
circoscrizione, per quanto non sempre utilizzata al massimo delle potenzialità, ha
inoltre supportato gli insegnanti nell’organizzazione di iniziative di aggregazione con le
famiglie e nella riflessione sulle nuove forme di genitorialità, queste ultime discusse e
approfondite direttamente con esperti e animatori esterni.
Il cambiamento del quadro cittadino e i processi di ristrutturazione hanno investito tutte
le figure delle scuole, dai responsabili pedagogici alle segreterie amministrative
(economali) agli assistenti educativi, con ripercussioni diverse, a seconda del ruolo,
sulle aree organizzative sopra indicate e sulla qualità dell’’impegno lavorativo (energia,
coinvolgimento, efficienza).
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I rischi da valutare

Secondo questa prospettiva l’indagine può essere orientata a comprendere nella
riflessione le varie categorie professionali che operano nei nidi e nelle scuole
dell’infanzia della Divisione Servizi Educativi. Quest’orientamento implica anche la
scelta se condurre un approfondimento complessivo di sistema o se stabilire priorità
d’intervento, individuando le categorie con rischi più complessi e urgenti.
E’ in ogni caso utile cercare di distinguere per ogni categoria la duplice natura del
burnout, quella che riguarda prevalentemente la relazione individuale tra la persona e il
lavoro, quella che invece tocca strettamente la dimensione organizzativa e sociale del
rapporto.
Da questa distinzione discende un doppio elenco di possibili rischi per ciascuna
categoria (rischio A e rischio B).

                                  insegnanti/educatori

Rischio A (relazione individuale tra persona e lavoro)

   •   scelta del lavoro senza una motivazione adeguata (alcune persone scelgono
       questo lavoro per la relativa facilità di accesso dopo il diploma di scuola media
       secondaria)
   •   fragilità personale (problemi di salute, psicologici, nella vita privata)
   •   personalità non adatta alla natura del lavoro (se la persona insiste a continuare
       il percorso professionale il rischio può tradursi in disagio grave per il singolo e
       per il gruppo di lavoro)
   •   helping professions: contatto continuo con soggetti richiedenti cura (bambini,
       bambini con handicap o bisogni educativi speciali, genitori)
   •   eccesso di delega da parte dei genitori, contatto con situazioni gravi di disagio
       famigliare, genitori richiedenti competenze/interventi da neuropsichiatra,
       psicologo, pediatra, assistente sociale, terapeuta famigliare
   •   necessità di costruire reti con altre professionalità e con il territorio
   •   necessità/difficoltà di lavorare in team, conflittualità, competitività con i colleghi.
   •   carente preparazione socio-pedagogica a inizio carriera
   •   eterogeneità dei percorsi formativi: coesistenza con colleghi in possesso di titoli
       di studio più elevati (es. laurea in pedagogia, differenze di formazione e status
       tra insegnanti di scuola dell’infanzia ed educatori)
   •   aggiornamento        permanente        (da      intendersi      anche      nell’ambito
       dell’informatizzazione)

Rischio B (relazione tra persona e contesto organizzativo-sociale)

   •   trasformazione del modello pedagogico, ristrutturazione permanente del
       servizio, riduzione delle risorse
   •   incertezza sul futuro (per le insegnanti di scuola dell’infanzia significa rischio di
       perdita di un’identità legata ad una scuola specifica in caso di statalizzazione)
   •   mobilità dei gruppi docenti (pensionamenti, passaggi allo stato, trasferimenti,
       vuoti di organico coperti da supplenti diversi)
   •   svalutazione del ruolo sociale
   •   impatto con i flussi migratori, con la società multietnica e multiculturale
   •   situazione di precariato protratto per alcuni
   •   introduzione della valutazione

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assistenti educativi

Rischio A (relazione individuale tra persona e lavoro)
   • scelta del lavoro senza una motivazione adeguata
   • fragilità personale, disagio famigliare, problemi di salute, difficoltà di relazione
   • difficoltà a lavorare in un gruppo e all’interno di un contesto gerarchico,
       conflittualità, competitività con i colleghi
   • helping professions: contatto continuo con soggetti richiedenti cura (bambini,
       bambini con handicap o bisogni educativi speciali)
   • titoli scolastici e preparazione culturale di livello inferiore alle altre categorie o ai
       nuovi assunti

Rischio B (relazione tra persona e contesto organizzativo-sociale)
   • ristrutturazione permanente del servizio, riduzione delle risorse
   • incertezza sul proprio futuro (esternalizzazione progressiva, perdita di identità
       legata ad una scuola specifica).
   • svalutazione del ruolo sociale
   • impatto con i flussi migratori, con la società multietnica e multiculturale
   • coesistenza con colleghi con profili contrattuali diversi (cantieristi, assunti con
       incarichi a tempo determinato)
   • introduzione della valutazione

                                personale amministrativo
                             (Responsabili Economali/Econome)

Rischio A (relazione individuale tra persona e lavoro)
   • scelta del lavoro senza una motivazione adeguata
   • fragilità personale (problemi di salute, problemi psicologici, problemi nella vita
       privata)
   • carente preparazione amministrativa
   • helping professions: assistenza ai genitori; assistenza al personale docente e
       ausiliario (la funzione di “aiuto” è diversa da quella dei docenti e degli assistenti
       educativi, ma comporta un contatto costante con “problemi da risolvere”).
   • difficoltà di gestire un personale (assistenti educativi, cantieristi) in alcuni casi
       poco motivato, conflittuale, inquadrato in diversi profili contrattuali.
   • gestione frequente dell’emergenza, competenze diverse (burocratiche,
       tecniche, relazionali)
   • relazioni con una molteplicità di soggetti (genitori, personale docente e
       ausiliario, tecnici, referenti di vari servizi e uffici)
   • aggiornamento continuo (ristrutturazione del servizio, informatizzazione)

Rischio B (relazione tra persona e contesto organizzativo-sociale)
   • ristrutturazione permanente del servizio, riduzione delle risorse (gestire un
       maggior carico di lavoro).
   • riformulazione del ruolo (rischio di perdita di un’identità legata ad una scuola
       specifica, passaggio al lavoro di gruppo).
   • insoddisfazione per il salario, divario rispetto alle conquiste sindacali delle altre
       categorie.
   • difficoltà di riconoscimento e copertura del ruolo (RE)
   • mobilità degli organici delle scuole (pensionamenti, trasferimenti)
   • impatto con i flussi migratori, con la società multietnica e multiculturale
   • introduzione della valutazione

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Sguardi di genere

Lo Studio Getsemani aveva accertato il fatto che le patologie psichiatriche risultavano
in percentuale superiore del doppio e del triplo tra gli insegnanti rispetto alle altre
categorie di dipendenti pubblici prese in esame (impiegati, personale sanitario,
operatori). L’indagine precisava inoltre che la malattia psichiatrica registrava una
diffusione uguale tra uomini e donne, anche se le donne erano di gran lunga più
numerose degli uomini sia nella popolazione generale dei docenti, sia nel gruppo di
insegnanti sottoposti all’accertamento.

Nel settore educativo del Comune di Torino vi è una netta predominanza del personale
femminile, con un rapporto percentuale di 0,6% di insegnanti maschi; questa
percentuale condiziona i termini della ricerca, anche se è interessante esaminare se vi
sono casi di burnout e di riconversione professionale tra i pochissimi educatori e
insegnanti di scuola dell’infanzia che lavorano in collegi ad assoluta preminenza
femminile, e se questi sono in qualche modo riferibili allo squilibrio di genere.
L’esistenza di un organico così esteso (1490 tra insegnanti e educatrici di ruolo nelle
strutture a gestione diretta) costituisce sicuramente un campo d’indagine interessante
per avviare una riflessione sulle particolari dinamiche che si sprigionano in contesti
così connotati dal punto di vista del genere e sui riflessi che producono non solo
all’interno dei gruppi di lavoro ma anche nei confronti dell’utenza (bambini e genitori).

Non mancano una serie di stereotipi che riconoscono alle donne lavoratrici un’elevata
capacità di impegno e di investimento nella “missione” professionale, risorse che in
qualche modo sarebbero però sminuite dalla tendenza a confondere il piano personale
con quello professionale, e dalla spiccata competitività con le colleghe.
L’elevata conflittualità, se accertata, costituisce peraltro uno degli elementi principali
del burnout che affligge i contesti educativi.
Le donne rischiano, inoltre, di patire in forma più incisiva rispetto agli uomini il carico
della relazione con i bambini e le famiglie, per il più facile riferimento alla funzione
materna e alle storiche forme di associazione tra femminilità ed empatia, tra femminilità
e vocazione alla cura e all’assistenza.
Analogamente, le insegnanti e le altre categorie professionali della scuola
(responsabili, econome, assistenti educativi) possono essere svantaggiate da una
gestione poco calibrata delle energie e delle emozioni sia nelle attività con i bambini e
con i genitori, sia nelle attività gestionali del gruppo (programmazione, organizzazione,
coordinamento, relazioni con l’esterno).
L’insegnamento, inoltre, abitua i docenti a gestire una relazione non paritaria con i
minori di cui si occupano, condizione forse difficile da compensare quando la relazione
si sposta nel confronto con figure paritarie o gerarchicamente superiori.

Pertanto, affrontare il tema secondo forme il più possibile scientifiche può fornire un
contributo importante alle strategie da attivare per modificare i meccanismi negativi che
intaccano le relazioni all’interno di gruppi marcatamente femminili e che
compromettono il rapporto di ognuna con il proprio lavoro.

Si può partire da alcune suggestioni culturali, sia dalla lucidità e ricchezza di sguardo
sul “secondo sesso” di “debeauvoiriana” memoria, sia dalla constatazione di come,
antropologicamente parlando, l’arco di tempo che ha visto le donne confrontarsi con un
lavoro esterno all’ambito privato sia un frammento cronologico insignificante nella
storia dell’evoluzione umana, quell’evoluzione in cui l’uomo ha invece sviluppato e
affinato una esperienza e cultura del lavoro individuale e collettiva.

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CHE FARE

Azioni in atto

Possiamo osservare che attualmente non è presente nella Divisione Servizi Educativi,
e più in generale nell’organizzazione del Comune di Torino, un progetto finalizzato alla
cura del benessere degli adulti e alla prevenzione del disagio da stress lavorativo. Le
situazioni di disagio lavorativo vengono affrontate abitualmente con un percorso che
può prevedere, in linea di massima, tre livelli di intervento:
    • il colloquio: la persona in questione viene incontrata dal Responsabile
        Pedagogico per esaminare insieme la situazione o i comportamenti che si sono
        rivelati problematici e trovare indicazioni utili per avviare qualche cambiamento
        funzionale al superamento della criticità. In una fase successiva è possibile il
        coinvolgimento del Dirigente Coordinatore del Settore.
    • l'attivazione di azioni di supporto: per affrontare il problema vengono mobilitate
        le risorse disponibili a livello di sezione o dell’insieme del gruppo di lavoro
        interessato.
    • l'azione disciplinare: quando si rilevano i comportamenti previsti per l’avvio delle
        procedure disciplinari (v. "Procedimenti Disciplinari - Manuale operativo per i
        Servizi Educativi”. A cura dell'Ufficio procedimenti disciplinari – settembre
        2006).

   Possono essere considerate eventuali richieste di invio alle commissioni mediche
   competenti per la verifica dell’idoneità alla mansione.

Prospettive in divenire

a) La politica aziendale

E’ essenziale il consolidamento di una politica aziendale che si prenda carico della
“cura degli adulti”; impegnata sul piano della prevenzione e su quello della riduzione
del fenomeno del disagio lavorativo.
Gli interventi di prevenzione, finalizzati a mantenere e rafforzare la “condizione di
benessere lavorativo”, potrebbero essere effettuati a livello di ambiente lavorativo ed a
livello individuale.
Il personale dovrebbe essere coinvolto, il più possibile, nelle decisioni che hanno un
impatto diretto con la propria vita lavorativa; a questo scopo sarebbe opportuno
proseguire sulla strada del rafforzamento dei legami tra l’Amministrazione e il
personale incrementando e mantenendo regolari linee di comunicazione. Per
contribuire a mantenere l’impegno e il coinvolgimento nell’organizzazione e nel lavoro,
indici della “condizione di benessere lavorativo” potrebbe, quindi, rivelarsi decisamente
utile proporre al personale incontri informativi periodici in cui esporre/approfondire gli
obiettivi di gestione dell’Amministrazione ed i valori perseguiti dall’organizzazione ed
incontri a contenuto pedagogico sulle linee educative di riferimento del Servizio.
Si ritiene importante prevedere delle azioni finalizzate alla conoscenza della situazione
complessiva all’interno dell’organizzazione.

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b) Il gruppo di lavoro

Per proseguire le riflessioni avviate su come “prendersi cura degli adulti”, elaborare
sperimentazioni e coordinare le conseguenti azioni operative, si propone la
costituzione di un gruppo di lavoro costituito da:
     • un Responsabile Pedagogico per zona di coordinamento
     • un rappresentante degli uffici centrali
     • il Medico Competente per la Sicurezza
     • il Dirigente Coordinatore del Settore
tale gruppo si occuperebbe anche della presa di contatto con i servizi competenti del
Servizio Sanitario Nazionale e con le Organizzazioni Sindacali per individuare spazi di
collaborazione nell’ambito del progetto stesso.
Il gruppo potrebbe produrre proposte di utilizzo maggiormente flessibile del sistema di
mobilità orizzontale e verticale.

c) Ipotesi di ricerca

Si propone di avviare un’analisi dello stato di benessere lavorativo presente nel Settore
Nidi e Scuole d’Infanzia attraverso una delle seguenti azioni:
    • utilizzo di un questionario di check-up organizzativo (es.: Borgogni, 2005):
        analisi e conoscenza dello strumento, ricerca di collaborazioni a livello
        universitario (tesi o ricerche) o di consulenza esterna
    • elaborazione di un questionario esplorativo sull’argomento e somministrazione
        ad alcune scuole campione (ad esempio una scuola ed un nido per zona);
        eventuale collaborazione dell’ufficio qualità.

d) La formazione

A livello individuale l’azione formativa dovrebbe perseguire il rafforzamento delle difese
personali contro lo stress. Possono rivelarsi efficaci percorsi di studio finalizzati a
riconoscere e combattere lo stress lavorativo, preparare alla gestione del conflitto,
rafforzare la capacità di comunicazione con la famiglia problematica o con le famiglie di
nazionalità non italiana.
Altri percorsi ipotizzabili a livello di collegio potrebbero essere organizzati con brevi
corsi di tecniche di rilassamento corporeo.
Al fine di sensibilizzare ed aumentare la consapevolezza sulla questione del
“benessere globale del lavoratore” potrebbero essere previsti specifici corsi di
informazione/formazione rivolti a Dirigenti, Responsabili Pedagogici e Amministrativi.

e) Ascolto e partecipazione

Sul piano della prevenzione, ma anche dell’avvio della cura, potrebbe essere
funzionale iniziare un confronto con il Medico Competente per la Sicurezza per
verificare la possibilità dell’attivazione, nell’ambito della sua collaborazione
professionale, di uno “spazio” di ascolto/informazione a cui possa rivolgersi il personale
per esser aiutato nell’identificazione dei sintomi dello stress, prima che il disordine sia
acuto, e nella scelta delle azioni da intraprendere per affrontare la situazione.
Sempre come azione preventiva, potrebbe essere utile sperimentare l’utilizzo di un
gruppo di auto-mutuo aiuto tra insegnanti ed educatori, su base volontaria, anche per
promuovere una maggior consapevolezza sulla necessità di prendersi cura di se stessi
e della propria professionalità con proprie risorse.

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BIBLIOGRAFIA

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    La Nuova Italia Scientifica, Roma 1990

-   Cristina Maslach, P. Leiter, Burnout e organizzazione. Modificare i fattori
    strutturali della demotivazione al lavoro, Erikson, Gardolo (Tn) 2000 (titolo
    originale the truth about bun out. How organizations cause personal stress and
    what to do about it, 1997 USA)

-   AA.VV., Burnout e patologia psichiatrica negli insegnanti,          report Studio
    Getsemani, Milano 1/92 – 12/01

-   G. Blandino, Quando non se ne può più del burn-out o del male di vivere,
    Animazione Sociale n. 4 aprile 2005, Gruppo Abele, Torino 2005

-   C. Cherniss, La sindrome del burnout, Centro Scientifico Torinese, 1983

-   Labos (Laboratorio per le politiche sociali), La fatica del lavoro sociale, criteri
    organizzativi per i servizi alle persone, T.E.R. , Roma ,1988

-   L. Borgogni, D. Galati, L. Petitta, Questionario di Check-up Organizzativo:
    Manuale, Centro Formazione A. Schweitzer, Firenze Organizzazioni Speciali,
    2005

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