The productivity slowdown and the labor market. What are the roles of labor flexibility and of technological progress?
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The productivity slowdown and the labor market. What are the roles of labor flexibility and of technological progress? Enrico Saltari∗and Giuseppe Travaglini†‡ Sommario In this paper we argue that the slowdown of labor productivity is at the root of the slowdown of the European economic growth over the last fifteen years. Using a simple dynamic model of the labor market, we show that this poor performance can only be accounted for by a combination of two shocks: an adverse technological shock to the labor demand and a positive non technological shock to the labor supply. We are interested in the long run properties of the model, so we use economic theory to study the long run impacts of different shocks to identify the model. Shocks which affect permanently productivity can lead to a transition from one steady state to another. We use a structural VAR to estimate the contribution of the technological and non technological shocks to the dynamics of employment and labor productivity. Our main result is that the technological shock is able to explain the decrease of the growth rate of productivity but not the increase in employment. In turn, the non technological shock can capture the dynamics of employment but not the slowdown of labor productivity. Thus, both shocks are necessary to provide a complete picture of the employment-productivity trade-off in Europe during the last ten years. Key words: Productivity slowdown, Labor market, SVAR JEL classification codes: E32, J60, E29 ∗ Dipartimento di Economia Pubblica, Facoltà di Economia, Università di Roma Sapienza, Italy. Email: enrico.saltari@uniroma1.it. † Istituto di Scienze Economiche, Facoltà di Economia, Università di Urbino Carlo Bo, Italy. Email: giuseppe.travaglini@uniurb.it. ‡ Uno speciale ringraziamento va a Bob Chirinko, Giancarlo Gandolfo e Marcello Messori. Desideria- mo ringraziare il MIUR per i fondi concessi a questa ricerca (Prin 2005, protocollo 2005133111_004). Eventuali errori e omissioni sono naturalmente solo di nostra responsabilità. 1
1 Introduzione Dall’inizio degli anni Novanta ad oggi la crescita dell’economia europea ha registrato il più brusco e prolungato rallentamento dalla fine del secondo conflitto mondiale. Nell’ultimo quindicennio il sintomo più vistoso di questa stagnazione è stato la riduzione del tasso di crescita della produttività del lavoro, specialmente nelle economie continentali come l’Italia, la Francia, e la Germania. Fino alla fine degli anni Ottanta — anche se in un contesto di generale rallentamento, coerente con la teoria del catching up — la crescita della produttività dei paesi europei si è mantenuta superiore a quella statunitense. Ha invece registrato un ulteriore rallen- tamento dalla metà degli anni Novanta, proprio mentre negli Stati Uniti si sperimentava un’accelerazione del tasso di crescita della produttività. A questa performance negativa europea si è però associata — dopo due decenni di crescente disoccupazione — la ripresa dei livelli occupazionali favorita da una politica comunitaria europea di riorganizzazione del mercato del lavoro. Sotto questo profilo il successo delle politiche è stato notevole, ma non completo. L’attenzione sui costi economici e sociali legati all’elevata disoccupazione ha portato a sottovalutare i costi legati alla riduzione del ritmo di crescita della produttività. Oggi nei paesi europei, i tassi di occupazione sono cresciuti rispetto ai valori di inizio anni Novanta, ma il tasso di crescita della produttività è diminuito. Ricordiamo brevemente quali sono i dati del problema. La tabella 1 riporta alcuni indicatori della crescita economica in media annua per gli Stati Uniti, per la media dei paesi che fanno parte dell’Unione Europea a 15 (EU15), e per l’Italia. Essa mostra lo straordinario rallentamento della produttività del lavoro nei paesi europei negli ultimi dodici anni e l’aumento dell’occupazione. Tra i paesi europei, l’Italia ha il risultato peg- giore. Il trade off tra il tasso di crescita della produttività e dell’occupazione testimonia il ribaltamento del tradizionale contributo che questi due fattori hanno dato alla crescita europea. Per la prima volta dagli anni Sessanta il tasso di crescita del Pil è principal- mente sostenuto dall’occupazione piuttosto che dalla produttività. Negli Stati Uniti si è invece registrata una dinamica opposta con un’accelerazione del tasso di crescita della produttività del lavoro che è quasi raddoppiata, mentre il contributo dell’occupazione si è mantenuto sostanzialmente costante. 2
tabella 1 Scomposizione del tasso di crescita del Pil reale. Fonti Ameco, per le ore lavoro, OCSE. 1966 - 1971 - 1981 - 1990 - 1995 - Tassi di crescita 1970 1980 1990 1994 2006 USA PIL 3.4 3.2 3.3 2.3 3.3 Lavoro (Ore totali) di cui: 1.5 1.6 1.7 0.9 1.0 Ore lavorate pro capite -0.9 -0.5 -0.1 -0.2 -0.1 Occupati 2.4 2.1 1.8 1.0 1.2 Produttività del lavoro (oraria) 1.9 1.6 1.5 1.5 2.3 EU 15 PIL 4.6 2.9 2.4 1.7 2.2 Lavoro (Ore totali) di cui: -1.0 -0.9 0.1 -0.7 0.8 Ore lavorate pro capite -1.2 -0.7 -0.6 -0.5 -0.4 Occupati 0.2 -0.2 0.7 -0.2 1.2 Produttività del lavoro (oraria) 5.6 3.8 2.3 2.4 1.4 ITALIA PIL 6.0 3.5 2.2 1.0 1.6 Lavoro (Ore totali) di cui: 0.1 0.1 0.3 -0.7 0.8 Ore lavorate pro capite 0.1 -1.0 -0.3 -0.5 -0.3 Occupati 0.0 1.0 0.6 -0.2 1.1 Produttività del lavoro (oraria) 5.9 3.5 1.9 1.7 0.8 Gran parte della letteratura che ha affrontato il problema della recente stagnazione europea ha posto al centro dell’analisi il funzionamento del mercato del lavoro, con una particolare enfasi sui meccanismi che regolano l’offerta di lavoro. La spiegazione della modesta crescita europea dall’inizio degli anni Novanta in poi va ricercata nella bassa flessibilità dell’offerta, ostacolo questo — secondo lo schema teorico — ad una maggiore crescita economica. I modelli basati sull’offerta di lavoro spiegano il rallentamento della produttività nei paesi europei come la conseguenza dello spostamento verso il basso della curva di offerta: la bassa crescita della produttività è solo un effetto di breve periodo dovuto alla crescente occupazione, con la produttività che recupererà nel lungo periodo grazie ai maggiori livelli di attività. In questo lavoro ci chiediamo se l’approccio centrato soltanto sull’offerta di lavoro sia in grado di catturare le evidenze empiriche ricordate sopra. Come vedremo, la risposta è negativa. Infatti, se la spiegazione precedente fosse esauriente, essa implicherebbe che negli anni più recenti la curva di domanda di lavoro non ha subito spostamenti, e che quindi non sono cambiate le caratteristiche della funzione di produzione aggregata. Pre- 3
senteremo alcune evidenze empiriche che mostrano invece come la curva di domanda di lavoro si è spostata verso il basso in conseguenza di un minore contributo del progresso tecnologico alla crescita. Il problema dell’identificazione degli shock che determinano la crescita dell’occupazione e della produttività può spiegare i discordanti risultati empirici sui fattori che influenzano questa relazione. Per esempio, Hansen e Wright (1992), Gam- ber e Joutz (1993), Chirinko (1995) e Christiano et al. (2003) mostrano l’evidenza di una relazione prociclica tra produttività e occupazione, Galì (1999), Galì et al. (2002) e Francis e Ramey (2003) trovano invece evidenze opposte. Infine, Christiano et al. (2001) e Smets e Wouters (2003) mostrano empiricamente che per spiegare l’evoluzione della pro- duttività è necessario ipotizzare l’esistenza di un’ampia gamma di shock diversi di natura tecnologica e non tecnologica. Il modello che presenteremo non è un modello di ciclo economico. Piuttosto, in questo lavoro poniamo la questione di quale siano gli shock che influenzano in maniera perma- nente la crescita della produttività, dell’occupazione. Presentiamo una spiegazione del rallentamento della produttività europea fondata sui cambiamenti — shock tecnologici e non tecnologici — che hanno influenzato nel lungo periodo la domanda e l’offerta di lavoro. Nel complesso, otteniamo risultati sia teorici che empirici. Un modello dinamico del mercato del lavoro è utilizzato per formalizzare le precedenti osservazioni. Il modello è simile a quello di Blanchard (1997). Tuttavia, se ne distin- gue perché la nostra soluzione mostra che il progresso tecnologico influenza in maniera permanente lo steady state. Uno shock tecnologico influenza la produttività del lavoro provocando un processo di aggiustamento che modifica l’equilibrio di lungo periodo. Il modello mostra che gli shock tecnologici spostano la curva di domanda lungo quella di offerta e nel lungo periodo generano una correlazione positiva tra produttività e occupa- zione. Gli shock non tecnologici invece provocano il movimento della curva di offerta lungo quella di domanda, modificando lo steady state senza però influenzare la produttività del lavoro nel lungo periodo. Dal punto di vista empirico, il risultato principale è che entrambi gli shock sono neces- sari per spiegare il rallentamento del tasso di crescita della produttività ed il trade-off tra produttività ed occupazione osservato nei paesi europei nell’ultimo decennio. Un modello vettoriale autoregressivo di tipo strutturale (SVAR) è utilizzato per stimare la reazione del tasso di crescita della produttività e dell’occupazione all’impulso iniziale degli shock. La reazione delle due serie illustra come la combinazione dei due shock abbia un effetto permanente sulla produttività e sull’occupazione. Il lavoro è articolato come segue. Nel paragrafo che segue presentiamo una breve rassegna della letteratura. Nel paragrafo 3 sono descritti i principali fatti e tendenze che, a nostro avviso, hanno caratterizzato più di altri la dinamica economica dagli inizi degli anni Novanta. Di seguito viene discusso il modello del mercato del lavoro. Le implicazioni dinamiche ricavate dal modello teorico sono infine utilizzate come guida per interpretare 4
le funzioni di risposta all’impulso ricavate dallo SVAR. L’ultimo paragrafo contiene alcune conclusioni. 2 Una (breve) rassegna della letteratura Esiste un’ampia letteratura sulle caratteristiche della crescita economica dei paesi europei. Possiamo dividere questi lavori in tre gruppi. Un primo gruppo è quello che analizza le cause della crescente disoccupazione europea degli anni Ottanta. Dal punto di vista teorico l’attenzione è rivolta allo studio degli effetti che i cambiamenti istituzionali hanno sul livello occupazionale. Questo approccio pone al centro della spiegazione la sola curva di offerta di lavoro (Layard et al. 1991; Nickell e Layard 1999; Belot e Van Ours 2000, 2001; Nickell 2003). La linea di ricerca è ben rappre- sentata da Nickell et al. (2005). Le evidenze empiriche ivi riportate tendono a sostenere l’ipotesi che negli ultimi quaranta anni l’evoluzione della disoccupazione in Europa è ben spiegata dai cambiamenti istituzionali che hanno influenzato il funzionamento del mercato del lavoro. Una parte della ricerca ha invece posto al centro dell’analisi l’interazione tra shock e istituzioni (Blanchard, 1997; Caballero e Hammour, 1998; e Bertola et al., 2002). Secondo questo approccio, la rigidità del mercato del lavoro amplifica lo shock iniziale (ai tassi di interesse, alla domanda aggregata, ai prezzi dei beni) con un effetto persistente e negativo sul tasso di equilibrio di disoccupazione. Il lavoro di Blanchard e Wolfers (2000) è forse il più completo esempio in questa direzione. Blanchard e Wolfers mostrano che mentre gli shock negativi possono spiegare la crescita della disoccupazione, solamente l’interazione tra shock e istituzioni può catturare l’eterogeneità della disoccupazione tra i diversi paesi europei dalla metà degli anni 60 agli inizi degli anni 90. Una terza linea di ricerca, teoricamente meno sviluppata delle precedenti, elabora un’analisi quasi esclusivamente empirica analizzando gli effetti del progresso tecnologico sulla crescita dei paesi europei degli ultimi quindici anni. Essa focalizza l’attenzione sui cambiamenti del progresso tecnologico e su i suoi riflessi sulla produttività. Shock tecnolo- gici avversi possono spiegare il rallentamento della produttività del lavoro. (Denis e Roger 2004; Estevao 2004; O’Mahony e van Ark 2003; Timmer e van Ark 2005; Gordon e Dew- Becker 2005). Tuttavia, questo approccio non fornisce una spiegazione teorica esplicita dei meccanismi che legano la produttività al progresso tecnologico e all’occupazione. Poiché l’esatta natura degli shock, la loro importanza relativa, ed i meccanismi attra- verso cui gli shock interagiscono rimane tuttora da scoprire, nel lavoro combiniamo gli shock tecnologici e non tecnologici, studiando il loro effetto congiunto sulla produttività e l’occupazione. In questa prospettiva, il presente lavoro può essere visto come uno svi- luppo di Blanchard (1997), che può essere considerato il primo tentativo di spiegare la 5
figura 1 Tasso di occupazione. Italia e EU15 (scala di sinistra). Fonte: Ameco. 70% 75% Usa 68% 74% 66% 73% 64% 72% 62% 71% 60% EU 15 70% 58% Italia 56% 69% 54% 68% 1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 crescente disoccupazione europea degli anni Ottanta attraverso un modello del mercato del lavoro con spostamenti delle curve di domanda e di offerta. Utilizzeremo il modello “alla rovescia” per spiegare le conseguenze di lungo periodo dell’aumento dell’occupazione e della riduzione del contributo tecnologico sulla produttività e sulla crescita. 3 Che cosa è accaduto In questo paragrafo concentriamo l’attenzione su alcuni fatti e tendenze che hanno ca- ratterizzato la dinamica economica dell’Unione Europea a 15, confrontandola con quella degli Stati Uniti. Particolare attenzione in questo confronto verrà dedicata all’economia italiana. 3.1 Quattro fatti stilizzati Iniziamo dai quattro “fatti stilizzati” che hanno caratterizzato il periodo 1991-2007. Le figure 1-4 sono la controparte grafica dei dati riportati nella tabella 1. Esse mostrano che dalla metà degli anni Novanta in poi la dinamica dell’economia europea è stata ca- ratterizzata da quattro fatti stilizzati apparentemente contraddittori. Il primo di questi fatti è ben noto: dalla metà degli anni Novanta si è registrato nei paesi europei un deciso aumento del tasso di occupazione (figura 1). Durante lo stesso periodo la crescita dei livelli occupazionali è stata però accompagnata da un corrispondente trend negativo del tasso di crescita della produttività del lavoro. La figura 2 illustra questo secondo fatto stilizzato mostrando che in Europa e in Italia la 6
figura 2 Produttività del lavoro (tasso di crescita). Fonte: Ameco. Italia 3.5% USA 2.5% 1.5% 0.5% EU 15 -0.5% -1.5% -2.5% 1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 crescita della produttività del lavoro si è ridotta di 1 punto percentuale dalla metà degli anni Novanta, mentre gli Usa hanno accelerato di una quantità di poco inferiore. Gli altri due fatti stilizzati sono meno noti ma ugualmente importanti. In primo luogo, il deterioramento della produttività è andato di pari passo con una inattesa crescita della quota dei profitti sul Pil. In Italia è addirittura superiore alla media EU15 e agli Usa. In quest’ultimo paese la quota dei profitti è inoltre rimasta sostanzialmente stabile. (figura 3). Teoricamente, ci si può interrogare se questo cambiamento nella distribuzione del red- dito nazionale incentiva o meno nuovi investimenti produttivi e quindi maggiore crescita. Tuttavia, la figura 4 mostra con evidenza la caduta (del tasso di crescita) dell’intensità di capitale durante lo stesso decennio in Europa ed in Italia. In altre parole, la figura suggerisce che le imprese hanno trovato conveniente rimanere o spostarsi verso i settori produttivi tradizionali a maggiore intensità di lavoro. Il risultato è stato che nell’ultimo decennio si è venuto affermando un gap di crescita in favore dell’economia statunitense rispetto a quella europea misurato sia in termini di produttività del lavoro che di intensità di capitale. La metà degli anni Novanta si connota, quindi, come uno spartiacque nella dinamica dell’occupazione e della produttività in Italia e nei paesi europei. Dopo due decenni di ele- vata disoccupazione, il lavoro è tornato ad essere utilizzato in modo intensivo nei processi produttivi. La crescente flessibilità del mercato del lavoro e la politica di moderazione salariale hanno certamente spinto in questa direzione. A questi cambiamenti di carattere istituzionale si è poi aggiunta l’immigrazione di lavoratori con bassa qualifica e titolo di studio che ha contribuito a contenere il costo del lavoro, accrescendo ulteriormente l’offer- ta di lavoro. All’aumento dell’occupazione ha fatto però da contraltare il rallentamento dell’accumulazione per occupato e l’aumento della quota dei profitti. Negli Stati Uniti si 7
figura 3 La quota dei profitti (in percentuale). Fonte: Ameco. 47 Italia 45 43 EU 15 41 39 37 USA 35 1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 figura 4 Intensità di capitale (tasso di crescita). Fonte: Ameco. 1.5% USA 1.1% EU 15 0.7% 0.3% Italia -0.1% 1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 8
è registrato invece un andamento opposto. In breve, i fatti stilizzati degli ultimi quindici anni sono: 1. l’aumento dell’occupazione, dopo due decenni di disoccupazione; 2. il rallentamento della crescita della produttività; 3. la riduzione dell’investimento per occupato segnalando che le imprese hanno prefe- rito tecniche di produzione capital-saving; 4. l’aumento della quota dei profitti. In ciò che segue analizziamo le ragioni che hanno indotto le economie europee ad adot- tare tecnologie capital-saving, a bassa qualità di lavoro, trovando profittevole permanere nei settori tecnologici a bassa produttività e a ridotto progresso tecnologico. 3.2 La contabilità della crescita Nella tabella 1 abbiamo effettuato una suddivisione del tasso di crescita del Pil tra occu- pazione e produttività negli ultimi quaranta anni. Essa però non è in grado di fornirci ulteriori indicazioni sui fattori che hanno contribuito al rallentamento della crescita della produttività del lavoro. A questo fine utilizziamo un semplice schema di contabilità della crescita per distinguere il contributo del progresso tecnologico da quello dell’accumulazione di capitale per occupato. La tabella 2 scompone appunto l’andamento della produttività del lavoro nel contribu- to del progresso tecnologico e in quello dell’accumulazione di capitale. È da sottolineare nel periodo che va dal 1995 al 2006 il rallentamento sia del ritmo di crescita dell’intensità del capitale che della produttività totale dei fattori (PTF), una misura del contributo del progresso tecnologico alla crescita. Questa evoluzione negativa ha trascinato verso il basso la produttività del lavoro. Al confronto, spicca l’accelerazione dell’economia statunitense che nel medesimo periodo ha accresciuto del 50% il tasso di crescita della produttività del lavoro, aumentando grosso modo nella stessa misura la crescita dell’intensità di capi- tale e quasi raddoppiando il contributo tecnologico. Dal punto di vista dei paesi europei, l’aspetto più preoccupante è proprio il rallentamento della PTF. Per la prima volta dopo due decenni il tasso di crescita del progresso tecnologico negli Stati Uniti è superiore alla media europea. 3.2.1 I macrosettori TIC e non TIC Da un punto di vista disaggregato, quale ruolo hanno avuto i settori produttivi in questo deludente risultato? La tabella 3 mostra che in Italia nel 2002 la dimensione del settore 9
tabella 2 Scomposizione della produttività del lavoro. Fonte: Ameco. 1966 - 1971 - 1981 - 1990 - 1995 - Tassi di crescita 1970 1980 1990 1994 2006 USA Produttività del lavoro (oraria) 1.9 1.6 1.5 1.5 2.3 PTF 1.2 1.1 0.6 0.7 1.2 Intensità di capitale 0.7 0.5 0.9 0.7 1.1 EU15 Produttività del lavoro (oraria) 5.6 3.8 2.3 2.4 1.4 PTF 3.8 2.4 1.1 1.1 0.6 Intensità di capitale 1.8 2.4 1.2 1.3 0.8 ITALIA Produttività del lavoro (oraria) 5.9 3.5 1.9 1.6 0.8 PTF 4.4 2.4 0.9 0.4 -0.1 Intensità di capitale 1.5 1.1 1.0 1.2 0.9 tradizionale (indicata in tabella con “non TIC”, dove TIC sta per tecnologia dell’informa- zione e della comunicazione), misurato in percentuale del valore aggiunto, non è dissimile da quello medio europeo, e comunque maggiore del settore tecnologicamente più avanzato (cioè appunto il settore TIC). Negli Stati Uniti il settore TIC è il principale macro comparto produttivo con un peso relativo pari al 55% del valore aggiunto. Spicca tra questi dati la profonda trasfor- mazione dell’economia americana che negli ultimi dieci anni ha mutato la sua struttura produttiva, riducendo drasticamente il peso dei settori tradizionali a bassa produttività e valore aggiunto. Questa riorganizzazione della sua struttura industriale spiega ampia- mente l’accelerazione dei tassi di crescita statunitensi a partire dalla metà degli anni Novanta. tabella 3 Quota di valore aggiunto dei settori TIC e non TIC nel 2002 (ai prezzi del 1995). Fonte: Groningen Growth and Development Centre. TIC Non TIC USA 55 45 EU15 41 59 Italia 36 63 Le tabelle 4 e 5 mostrano la scomposizione del Pil dei due macrosettori TIC e non TIC secondo i principi della contabilità della crescita. Questa scomposizione conferma le indicazioni che abbiamo già ricavato dall’analisi aggregata iniziale della tabella 1. L’eco- 10
nomia Usa ha registrato un’accelerazione del tasso di crescita della produttività del lavoro dalla metà degli anni Novanta, mentre per i paesi europei il differenziale di produttività si è ampliato con uno svantaggio di circa un punto percentuale in media annua. La più alta produttività dell’economia americana riflette la dinamica della produttività dei due macro settori. Negli Stati Uniti la pessima performance del settore non TIC (-2.7%) viene più che compensata dalla riduzione del peso relativo del settore tradizionale a vantaggio dei comparti più avanzati a cui è associata una forte crescita della produttività (8.6%). Questa evoluzione è sostenuta da quella della PTF, che negli Usa nei settori TIC passa dall’1.5% del periodo 1990-1994 al 7.7% del 1995-2002. Per gli stessi intervalli di tempo, i paesi europei, e in particolare l’economia italiana, sperimentano un tasso di crescita della PTF nei settori TIC molto più debole: in Europa è la metà degli Usa, in Italia è pari alla metà di quello europeo. tabella 4 La contabilità della crescita nel settore TIC. Fonte: Groningen Growth and Development Centre. 1980-90 1990-94 1995-02 Produttività del lavoro 1.7% 2.1% 8.6% USA Contributo dell’intensità di capitale 0.7% 0.6% 0.9% Quota di reddito da capitale 5% 6% 6% Intensità di capitale 15% 10% 14% PTF 1.0% 1.5% 7.7% Quota di valore aggiunto del settore 33% 34% 44% Produttività del lavoro 2.8% 2.4% 4.9% EU15 Contributo dell’intensità di capitale 0.4% 0.4% 0.5% Quota di reddito da capitale 3% 3% 4% Intensità di capitale 15% 10% 14% PTF 2.4% 2.1% 4.3% Quota di valore aggiunto del settore 30% 32% 36% Produttività del lavoro 0.0% 1.2% 2.8% Italia Contributo dell’intensità di capitale 0.3% 0.3% 0.4% Quota di reddito da capitale 3% 4% 4% Intensità di capitale 14% 9% 13% PTF -0.4% 0.9% 2.3% Quota di valore aggiunto del settore 33% 33% 34% 11
tabella 5 La contabilità della crescita nel settore non TIC. Fonte: Groningen Growth and Development Centre. 1980-90 1990-94 1995-02 Produttività del lavoro 1.2% 0.5% -2.7% USA Contributo dell’intensità di capitale 0.2% 0.3% 0.2% Quota di reddito da capitale 24% 24% 24% Intensità di capitale 1% 1% 1% PTF 1.0% 0.2% -2.9% Quota di valore aggiunto del settore 67% 66% 56% Produttività del lavoro 2.2% 2.2% 0.0% EU15 Contributo dell’intensità di capitale: 0.7% 0.9% 0.4% Quota di reddito da capitale 27% 28% 30% Intensità di capitale. 3% 3% 1% PTF 1.5% 1.2% -0.4% Quota di valore aggiunto del settore 70% 68% 64% Produttività del lavoro 3.1% 2.2% 0.0% Italia Contributo dell’intensità di capitale 0.8% 0.9% 0.5% Quota di reddito da capitale 28% 29% 35% Intensità di capitale 3% 3% 2% PTF 2.3% 1.3% -0.5% Quota di valore aggiunto del settore 67% 66% 66% È naturale concludere che il rallentamento della PTF registrato nell’economia eu- ropea, e in particolare in quella italiana, deve trovare un posto nella spiegazione della decelerazione del ritmo di crescita della produttività. Questo cambiamento della PTF viene recepito e formalizzato nel modello teorico. Per questa ragione, assumiamo che gli spostamenti della curva di domanda di lavoro dipendono dal progresso tecnologico. Più in generale il modello del mercato del lavoro del paragrafo successivo contempla due tipi di shock: • uno shock tecnologico, causato dalla variazione della PTF, che determina uno spo- stamento della curva di domanda di lavoro; • uno shock non tecnologico, causato da mutamenti istituzionali, come le riforme del mercato del lavoro, che conducono a spostamenti della curva di offerta di lavoro. Al riguardo, faremo due ipotesi. In primo luogo — e in linea con il modello di crescita di Solow — assumiamo che il progresso tecnologico determini in steady state la crescita 12
della produttività del lavoro e dell’intensità del capitale. In secondo luogo, assumiamo che l’equilibrio nel mercato del lavoro sia influenzato anche dai cambiamenti delle istituzioni. Su queste due ipotesi costruiamo la nostra spiegazione. 4 Il modello La figura 5 illustra l’interazione tra i due shock, quello tecnologico e quello non tecno- logico. Nel lungo periodo l’equilibrio del mercato del lavoro si muove da E0 a E1 , dove l’occupazione è maggiore ma la produttività è minore. La posizione della curva di offerta di lavoro è influenzata dagli shock non tecnologici, il cui peso è rappresentato nel modello dal parametro θ. Per convenienza, θ è definito in maniera tale che una riduzione di θ provoca una diminuzione dei salari. Consideriamo ora una riduzione di θ che fa scivolare la curva di offerta di lavoro in basso verso destra da S0 a S1 lungo la curva di domanda.1 Nel breve periodo la produttività del lavoro diminuisce e l’occupazione aumenta fino a raggiungere il punto A. Sappiamo tuttavia che il progresso tecnologico influenzi la posizione della curva di domanda. Consideriamo uno shock tecnologico negativo.2 La curva di domanda si sposta da D0 a D1 , scivolando lungo la curva di offerta di lavoro. Questo spostamento riduce 1 Non siamo qui interessati ad una microfondazione della curva di offerta. Nel modello θ è una black box che riflette i fattori istituzionali che influenzano la determinazione dei salari. In un mercato del lavoro imperfetto, la forza contrattuale dei sindacati, la legislazione di protezione al lavoro, i sussidi di disoccupazione hanno tutti l’effetto di aumentare il salario per un dato tasso di occupazione. Una minore regolamentazione del rapporto lavorativo — in altri termini la maggiore flessibilità — agisce in maniera opposta riducendo il salario a parità di occupazione. Per una microfondazione di queste relazioni e per le loro conseguenze su produttività e occupazione, si veda Cole e Rogerson (1996). 2 Soltanto per semplicità espositiva parliamo di uno shock tecnologico “negativo”. Formalmente infatti il grafico del mercato del lavoro può essere letto direttamente in termini di tassi di crescita, ridenominando le variabili sugli assi e reinterpretando in modo appropriato le curve di domanda e offerta. Così, la variabile Ṅ sull’asse orizzontale è il tasso di variazione dell’occupazione N , cioè , dove il punto sta a indicare la N derivata rispetto al tempo. Allo stesso modo, sull’asse verticale si trova il tasso di variazione della produttività marginale del lavoro. Con una funzione di produzione Cobb-Douglas come Y = AN 1−α , dove A è il progresso tecnico che aumenta l’efficienza del lavoro e 1 − α è la quota di reddito da lavoro, la produttività marginale del lavoro è A (1 − α) N −α . In termini di tassi di variazione, quest’ultima variabile Ȧ Ṅ diviene − α . cioè, la curva di domanda di lavoro è inclinata negativamente e si sposta verso il basso A N quando il progresso tecnico rallenta. Analogamente, la curva di offerta di lavoro può essere scritta w = θN, dove θ è una black box che rappresenta le istituzione del mercato del lavoro. In termini di tassi di variazione può essere scritta come θ Ṅ + . La curva è inclinata positivamente e si sposta verso il basso ogni volta che la flessibilità aumenta. θ N 13
la produttività in modo permanente, dando luogo a parità di offerta di lavoro, ad una riduzione dell’occupazione. figura 5 L’effetto prodotto da un aumento della flessibilità del lavoro e da un rallentamento della produttività S0 S1 Salario reale E0 A E1 D0 D1 N0 N1 Occupazione Se ne conclude che solo una combinazione di shock tecnologici e non tecnologici può offrire una spiegazione del trade off tra occupazione e produttività registrato nei paesi europei negli ultimi anni. La figura mostra come si passi dall’equilibrio di lungo periodo E0 ad E1 dove la produttività è diminuita e l’occupazione cresciuta: un’appropriata com- binazione dei due shock può accrescere l’occupazione e ridurre la produttività in maniera permanente.3 Questa spiegazione mostra che l’aumento della flessibilità del mercato del lavoro ha l’effetto di rendere conveniente per le imprese permanere nei settori produttivi di ap- partenenza, anche quelli a ridotta produttività, mantenendo inalterate le strategie di investimento. Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, questo è quanto è avvenu- to nel decennio appena trascorso: la crescente flessibilità e moderazione salariale hanno indotto le imprese ad adottare un atteggiamento inerziale, trovando profittevole perma- nere nei settori tradizionali a bassa produttività ed evitando di incorrere nei rischi legati all’adozione di nuove tecnologie e all’accesso a nuovi mercati. Questa interpretazione richiede naturalmente di valutare l’importanza dei due shock nel determinare l’evoluzione di lungo periodo dell’occupazione e della produttività. Nel- l’analisi empirica discrimineremo tra gli shock, valutando quanta parte della componente strutturale delle due variabili sia da ricondurre agli spostamenti della curva di domanda e quanta a quelli della curva di offerta. 3 La versione dinamica del mercato del lavoro è presentata nella appendice A, dove si studiano le proprietà dinamiche del modello. È da sottolineare che la soluzione del modello mostra come il progresso tecnologico ha un effetto permanente su produttività e occupazione in steady state. 14
tabella 6 I dati della simulazione Valori iniziali delle variabili Tasso di profitto ρ = 0.15 Occupazione N0 = 0.90 Capitale K0 = 0.90 Rapporto lavoro-capitale n0 = 1 Quota dei profitti α = 0.30 Valori dei parametri Costi di aggiustamento del capitale h = 10 Costi di aggiustamento del lavoro c=4 Livello della tecnologia A = 0.50 Livello della flessibilità θ = 0.38 4.1 La curva di offerta di lavoro Utilizziamo le equazioni del modello dinamico per effettuare alcune simulazioni che ci consentono di chiarire quali dinamiche segue il sistema economico in seguito al verificarsi degli shock. I dettagli analitici del modello sono contenuti nelle appendice A e B. La tabella 6 riporta i valori iniziali delle variabili e i valori dei parametri utilizzati nelle simulazioni.4 La figura 6 illustra gli effetti dinamici dovuti ad uno shock non tecnologico, una ridu- zione inattesa di θ, che sposta la curva di offerta.5 Supponiamo di essere inizialmente in stato stazionario. Nel modello, lo shock non tecnologico cattura i cambiamenti istituzio- nali intervenuti nel mercato del lavoro. L’effetto immediato è di cambiare l’inclinazione della curva di offerta con una riduzione del salario reale a parità di occupazione. Dato lo stock di capitale, la riduzione del salario accresce la domanda di lavoro ed il rapporto lavoro-capitale. Questa riduzione è accompagnata da una redistribuzione del prodotto a favore dei profitti. Tuttavia, nel lungo periodo la maggiore profittabilità spinge nuove imprese ad entrare nel mercato, accrescendo la domanda di lavoro e di capitale. Il risultato finale di questo cambiamento è che l’occupazione e lo stock di capitale aumentano, spingendo la curva di domanda di lavoro lungo la curva di offerta a destra verso il nuovo stato stazionario. In questo nuovo equilibrio, la produttività del lavoro, e con essa il salario reale, e l’intensità di lavoro tornano al valore antecedente lo shock. La dinamica del sistema nelle sue principali 4 I valori indicati nella tabella 6 corrispondono a quelli di Blanchard (1997). 5 La dinamica descritta è conseguenza della riduzione di θ, dal livello iniziale θ 0 = 0.385 al livello θ 1 = 0.35. 15
variabili è descritta nella figura 6. Questo processo di aggiustamento è alla base delle spiegazioni centrate sugli spostamenti della curva di offerta di lavoro. figura 6 Gli effetti dinamici di uno shock non tecnologico L'occupazione La produttività del lavoro 0.95 0.5 0.9 0.49 0 50 100 0 50 100 Il salario Il rapporto lavoro-capitale 1.04 0.34 1.02 0.32 1 0.3 0.98 0 50 100 0 50 100 4.2 La curva di domanda Analizziamo ora gli effetti dinamici di una riduzione inattesa di A, ossia di uno shock tecnologico avverso che sposta in basso la curva di domanda di lavoro. Il processo di aggiustamento che segue è descritto nella figura 7.6 Nel breve periodo, lo shock tecnologico riduce il profitto, il salario e l’intensità di lavoro. La minore produttività induce le imprese ad investire di meno, modificando in maniera permanente lo stato stazionario. Poiché il costo d’uso del capitale rimane per ipotesi invariato, una minore produttività può essere compensata soltanto da una ridu- zione del salario nel lungo periodo, attraverso un aumento del rapporto lavoro-capitale (minore intensità di capitale). Si noti tuttavia che la minore produttività ha l’effetto di accrescere nel lungo periodo il tasso di disoccupazione. Questa caratteristica del modello è chiaramente in conflitto con uno dei quattro fatti stilizzati ricordati sopra, ossia l’au- mento dell’occupazione. Perciò, la riduzione del progresso tecnologico è una potenziale, ma incompleta, spiegazione dell’evoluzione dell’economia europea degli ultimi anni. 6 Il valore iniziale di A è A0 = 0.5; lo shock negativo lo riduce ad A1 = 0.49. 16
figura 7 Gli effetti dinamici di uno shock tecnologico L'occupazione La produttività del lavoro 1 0.51 0.98 0.5 0.96 0.48 0 50 100 0 50 100 Il salario Il rapporto lavoro-capitale 1.04 0.35 1.02 0.345 1 0.34 0.98 0 50 100 0 50 100 4.3 Una combinazione dei due shock In quest’ultima simulazione i due shock vengono combinati. Il processo di transizione verso il nuovo steady state è descritto nella figura 8, e coincide con il passaggio dell’equilibrio da E0 a E1 della figura 5.7 La combinazione dei due shock genera due effetti: l’aumento dell’occupazione e la riduzione della produttività. La maggiore occupazione è determinata dall’aumento della flessibilità, e quindi da uno spostamento verso destra della curva di offerta di lavoro. La minore produttività dipende invece dallo shock tecnologico che sospinge verso destra in maniera permanente la curva di domanda. 7 In questa simulazione l’effetto dei due shock è di ridurre A ed θ ai nuovi valori A1 = 0.48 e θ1 = 0.35. 17
figura 8 Gli effetti dinamici di una combinazione dei due shock L'occupazione La produttività del lavoro 0.96 0.5 0.94 0.48 0.92 0.9 0.46 0 50 100 0 50 100 Il salario Il rapporto lavoro-capitale 1.1 0.34 1.05 0.32 1 0.3 0.95 0 50 100 0 50 100 Due conseguenze possono essere tratte da quest’ultima simulazione. In primo luogo, uno shock tecnologico negativo può potenzialmente spiegare la caduta della produttività a partire dalla metà degli anni Novanta. In secondo luogo, abbiamo bisogno di due shock di diversa natura per catturare l’evoluzione della produttività e dell’occupazione. Lo shock tecnologico, spostando la domanda di lavoro, può catturare la dinamica della produttività; lo shock non tecnologico, spostando la curva di offerta, accresce l’occupazione. 5 La verifica empirica: Il VAR strutturale Nel modello empirico che presentiamo il livello della produttività e dell’occupazione nel lungo periodo è determinato dal progresso tecnologico e dalle istituzioni che influenzano il tasso naturale di occupazione. Poiché gli shock che influenzano le componenti cicliche dell’economia possono anche influenzare la crescita nel lungo periodo, utilizzeremo le restrizioni di lungo periodo derivate dal precedente modello del mercato del lavoro per identificare tali shock (Shapiro e Watson, 1988; Blanchard e Quah, 1989) Assumiamo che non tutti gli shock abbiano effetti transitori (di breve periodo), ma che alcuni possono avere effetti permanenti (di lungo periodo) sul livello della produttività e dell’occupazione. L’obiettivo è di dipanare questi shock e i loro effetti al trascorrere del tempo. La crescita della produttività del lavoro nel lungo periodo può essere attribuita interamente al progresso tecnologico. Nel breve periodo, invece, la produttività può de- viare dal suo valore di steady state. Queste deviazioni possono essere attribuite agli shock non tecnologici che influenzano l’offerta di lavoro nel lungo periodo, ma che non hanno 18
effetti permanenti sulla produttività. Anche le variazioni della domanda aggregata pos- sono avere effetti transitori sulla produttività e sull’occupazione, senza però influenzare i relativi valori di steady state. La crescita della produttività e dell’occupazione nel lungo periodo, ed il loro como- vimento nel breve periodo, può dunque essere ricondotta a tre differenti tipi di shock: gli shock tecnologici che influenzano la curva di domanda, quelli non tecnologici che in- fluenzano la curva di offerta e quelli della domanda aggregata che possono avere effetti transitori su entrambe le curve. I primi due hanno effetti permanenti sulla produttività e sull’occupazione e determinano la transizione del sistema economico da uno steady state all’altro. Il terzo, cioè lo shock di domanda aggregata, non influenza l’equilibrio di lungo periodo del sistema. Il modello del mercato del lavoro fornisce le restrizioni di lungo periodo per identificare il VAR strutturale (SVAR). I dati utilizzati sono l’occupazione totale misurata in numero di occupati, il Pil reale per calcolare la produttività del lavoro, e la domanda aggregata. I dati sono annuali.8 Assumiamo che la variazione (∆) del (logaritmo) della produttività (p), del (logaritmo) dell’occupazione (l) e del (logaritmo) della domanda aggregata (d) sia generata da tre shock di diversa natura il cui impatto iniziale si propaga fra le variabili al trascorre del tempo. Indichiamo con ∆pt , ∆lt , ∆dt i relativi tassi di crescita. Dal modello teorico discendono le prime due restrizioni: 1. gli shock tecnologici hanno effetti di lungo periodo sul logaritmo della produttività del lavoro e dell’occupazione; 2. gli shock non tecnologici non hanno effetti permanenti sulla produttività, ma hanno effetti di lungo periodo sul logaritmo dell’occupazione; La terza restrizione riguarda la domanda aggregata, che viene utilizzata per catturare parte della variabilità di breve periodo della produttività e dell’occupazione. Assumiamo che: 3. le variazioni della domanda aggregata abbiano solo effetti di breve periodo sul logaritmo dell’occupazione e della produttività. La rappresentazione del VAR strutturale è: Xt = C(L)t 8 Impiegheremo i dati di Ameco, che hanno la proprietà di essere resi omogenei e comparabili per tutti i paesi. il periodo considerato va dal 1960 al 2006. 19
dove Xt è il vettore dei tassi di crescita ∆pt , ∆lt , ∆dt , C(L) è la matrice dei polinomi P∞ p c ij (k) = Cij (L), ed t = l è il vettore degli shock strutturali tra loro ortogona- k=0 d li.9 Le restrizioni di identificazione implicano che la matrice di lungo periodo C(1) abbia la forma: C11 (1) 0 0 C(1) = C21 (1) C22 (1) 0 (1) C31 (1) C32 (1) C33 (1) La matrice (1) impone che la componente secolare del logaritmo della produttività sia determinata dai soli shock tecnologici, ed il coefficiente C11 (1) identifica il moltiplicatore di lungo periodo di questo shock strutturale.10 Gli zero della matrice implicano che gli shock non tecnologici l non influenzino nel lungo periodo il logaritmo della produttività (sebbene possano avere effetti transitori), ma che la componente secolare del logaritmo dell’occupazione dipende dagli shock tecnologici p e non tecnologici l .11 Infine, gli shock di domanda aggregata d non hanno effetti permanenti sul logaritmo dell’occupazione e della produttività. La metodologia SVAR richiede che le variabili siano stazionarie. L’analisi preliminare dei tassi di crescita soddisfa questa condizione che è motivata empiricamente attraverso l’applicazione dei test Levin, Line Chu, e Breitung di radice unitaria comune, e dai test ADF e PP di radice unitaria delle singole serie. Questi test (qui non riportati) rigettano l’ipotesi nulla di radice unitaria quando applicati ai tassi di crescita (al 5% di significati- vità). Tuttavia, poiché questi test non riescono a discriminare perfettamente tra processi stazionari fluttuanti intorno ad un trend variabile, e processi stazionari per differenzia- zione, nell’analisi empirica abbiamo stimato diverse specificazioni dinamiche ipotizzando l’esistenza di processi alternativi di generazione dei dati. 9 L’ipotesi di ortogonalità degli shock implica che E p = I; per convenienza, gli shock strutturali sono normalizzati in modoP tale che var( p ) = 1, var( l ) = 1, var( d ) = 1. 10 La restrizione ∞ k=0 cij (k) = Cij (1) = 0 implica che nel lungo periodo uno specifico shock strutturale non ha effetti sul livello (nel nostro caso il logaritmo) di quella variabile. 11 Come chiariscono Blanchard and Quah (1989) “ this ortogonality assumption does not eliminate for example the possibility that supply disturbances directly affect aggregate demand. Put another way the assumption that the two disturbances are uncorrelated does not restrict the channels through which demand and supply disturbances affect output and umployment. (p.659) Utilizziamo la stessa ipotesi nel nostro contesto. Per quanto gli shock non tecnologici possano avere effetti permanenti sulla produttività, questi effetti sono trascurabili nel lungo periodo se confrontati con gli effetti degli shock tecnologici. 20
5.1 I risultati empirici Il modello trivariato (1) è stimato utilizzando dati annuali che coprono il periodo 1960- 2006. Le serie storiche per EU15 e per l’Italia mostrano un trend apparente, e si osserva una cambiamento di regime nella produttività e nella domanda aggregata a partire dalla metà degli anni Novanta. Poiché non c’è un modo univoco di trattare dati con queste caratteristiche, abbiamo stimato diverse specificazioni dinamiche. Esse includono due dummy per tenere conto del cambiamento del tasso di crescita dell’occupazione e del prodotto nel 1974 e nel 1993 per l’Europa, e nel 1975 e 1993 per l’Italia.12 Stimiamo tre diverse forme del VAR di partenza. Nella stima di base, che discuteremo qui di seguito, vengono utilizzati i tassi di crescita delle tre variabili, con l’aggiunta di una costante, di un trend lineare e di due dummy. Nelle altre due specificazioni i valori medi e le costanti sono rimossi all’inizio della verifica empirica. In un caso abbiamo incluso un trend lineare; nell’altro si è proceduto impiegando il tasso di crescita delle variabili. Tutti i VAR contengono uno o al più due ritardi per ogni variabile. I residui sono naturalmente white noise. I risultati qualitativi sono simili per i diversi trattamenti delle componenti determini- stiche, dei ritardi e dei break strutturali. Per questo motivo riportiamo soltanto i risultati della specificazione di base. Anche le funzioni di risposta all’impulso sono simili. La sola differenza significativa riguarda la reazione nel breve periodo del tasso di occupazione allo shock tecnologico: in alcune specificazioni lo shock positivo dà luogo a un effetto iniziale negativo per divenire poi positivo nel lungo periodo. Questa correlazione condizionale negativa di breve periodo tra shock tecnologico ed occupazione può essere la conseguenza di rigidità reali e nominali che impediscono nel breve periodo un riequilibrio completo del mercato del lavoro. Comunque, tali rigidità scompaiono nel lungo periodo, ed il processo di aggiustamento assicura una crescita permanente dell’occupazione.13 Le funzioni di risposta all’impulso sono naturalmente subordinate alle restrizioni di lungo periodo imposte per identificare gli shock strutturali del VAR. Siamo interessati agli effetti permanenti degli shock sulla crescita. I nostri risultati sono in accordo con quelli di Shapiro e Watson (1988), di Hansen e Wright (1992) e Christiano et al. (2003), e sono basati sulla risposta dell’occupazione totale, misurata in unità di lavoro, e della produttività ad un iniziale shock tecnologico. Come abbiamo detto sopra, nel breve pe- riodo possiamo osservare una correlazione negativa tra tassi di crescita di produttività e occupazione teoricamente riconducibile alle frizioni (rigidità nominali e reali) del mercato 12 Dal punto di vista empirico le due dummy sono da ricondurre agli effetti del primo shock petrolifero che segna in Europa il primo cambiamento di struttura rispetto alla dinamica della crescita del periodo 1950-1973, e agli Accordi di Maastricht del 1992 con le sue immediate conseguenze sulla stabilità del Sistema Monetario Europeo (si pensi all’Italia) e sui vincoli posti agli strumenti di politica economica. 13 Considerazioni simili sono presenti ad esempio in Blanchard e Quah, 1989, e Galì, 1999, 2004. 21
del lavoro. Tuttavia, nel lungo periodo, il VAR strutturale mostra una relazione condizio- nale positiva tra produttività e occupazione dopo la realizzazione dello shock tecnologico. Questa evoluzione — in assenza di shock non tecnologici — spinge il sistema verso un nuovo steady state dove la produttività è maggiore. È importante sottolineare che la risposta dell’occupazione allo shock tecnologico è positiva ma relativamente piccola (l’occupazione cresce poco) nel lungo periodo rispetto alla crescita della produttività. Questa evidenza empirica è coerente con il modello di Solow, in cui il progresso tecnologico influenza la produttività ma non l’occupazione. Infine, dal punto di vista strettamente empirico c’è il problema dell’inclusione o meno dell’intercetta nella stima del VAR. Includere l’intercetta in un VAR espresso nelle diffe- renze prime del logaritmo significa ipotizzare l’esistenza di un trend lineare deterministico nei livelli, oppure l’esistenza di un processo non stazionario con un drift nel livello del- le variabili. I test preliminari di radice unitaria accettano l’ipotesi di processi dinamici non stazionari nei livelli (il logaritmo della produttività e dell’occupazione) con e senza costante e trend. Così per testare la robustezza del risultato, nell’analisi empirica sono state sviluppate alcune stime che escludono le componenti deterministiche. I risultati sono poco sensibili a questa esclusione, con un numero di ritardi nelle variabili del VAR che sale a quattro per avere residui white noise. La sola differenza significativa nel segno delle correlazioni si osserva quando la stima è fatta per ritardi superiori a otto. Shock tecnologici e curva di domanda di lavoro La figura (9) illustra le funzioni di risposta all’impulso (FRI) della produttività del lavoro e dell’occupazione dopo l’ini- ziale shock tecnologico di dimensione pari ad una deviazione standard. Per costruzione lo shock è positivo. Lo shock iniziale ha un effetto cumulato permanente sul logaritmo della produttività del lavoro e sull’occupazione. Possiamo interpretare la reazione delle due variabili a questo shock come uno spostamento della curva di domanda di lavoro lungo quella di offerta. Per l’Europa e per l’Italia uno shock tecnologico positivo (negativo) ha un’effetto permanente e positivo (negativo) sulla produttività e sull’occupazione. In altri termini, la correlazione condizionale è positiva. Questo comovimento spiega però una parte trascurabile della dinamica dell’occupazione: l’ordine di grandezza della rea- zione di quest’ultima allo shock tecnologico non è superiore ad un decimo di quello della produttività, sul medesimo arco di tempo. Lo shock tecnologico appare quindi come la principale fonte di variazione della produttività ma non dell’occupazione. Questo dato è coerente con il modello di crescita e con la contabilità della crescita della tabella 2, da cui risultava, per l’ultimo decennio, un riduzione del tasso di crescita del progresso tecnologico dell’ordine dello 0.5 di un punto percentuale in EU15 e dello 0.8 in Italia. Shock non tecnologici e curva di offerta di lavoro Lo shock non tecnologico sposta la curva di offerta di lavoro. Nel nostro schema teorico rappresenta l’effetto delle riforme 22
figura 9 FRI cumulate dello shock tecnologico su produttività e occupazione. 8% 0.4% Produttività Occupazione 7% EU15 0.3% IT 6% 0.3% 5% 0.2% 4% IT 0.2% EU15 3% 0.1% 2% 0.1% 1% 0.0% 0% -0.1% 1 3 5 7 9 11 13 15 1 3 5 7 9 11 13 15 periodi periodi strutturali sull’occupazione. Tuttavia, esso ha un effetto permanente (di lungo periodo) solo sul livello dell’occupazione. Nel breve periodo, le funzioni di risposta dell’occupa- zione e della produttività allo shock iniziale hanno un andamento speculare e opposto: inizialmente, l’occupazione aumenta e la produttività diminuisce. Per l’Italia, il massi- mo effetto si ha dopo tre periodi; in seguito, la produttività converge verso il suo livello iniziale antecedente lo shock non tecnologico mentre il livello occupazionale si aggiusta verso il suo nuovo livello di stato stazionario. L’effetto sulla produttività è negativo nel breve e medio periodo, segnalando però che inizialmente il crescente livello occupazionale — data la tecnologia e lo stock di capitale — è associato ad una occupazione di qualità decrescente. Da notare inoltre che, mentre l’effetto sulla produttività scompare al trascorrere del tempo (shock transitorio), lo shock non tecnologico ha un effetto permanente e positivo sull’occupazione generando una transizione del sistema verso il nuovo stato stazionario. Nel lungo periodo, l’effetto è simile per tutti i paesi europei: uno shock iniziale genera un incremento permanente del livello dell’occupazione di circa l’1.2%. Più precisamente, dopo dieci periodi lo shock istituzionale spiega il 76 ed il 64 per cento in Europa e in Italia della risposta complessiva del tasso di crescita dell’occupazione ai tre differenti shock strutturali. Gli shock della domanda aggregata Infine, lo shock di domanda aggregata ha sol- tanto effetti transitori sulla produttività e sull’occupazione. Lo steady state non cambia, ma le variabili subiscono una deviazione transitoria dai valori di equilibrio. Nel breve periodo lo shock di domanda aggregata è inizialmente associato ad una risposta positiva della produttività. Questo comovimento positivo di breve periodo è da ricondurre all’e- spansione della domanda aggregata che accresce il livello della produzione e dell’utilizzo degli impianti e dei macchinari. Tuttavia, a mano a mano che questo effetto iniziale sva- 23
figura 10 FRI cumulata degli shock non tecnologici su occupazione e produttività. 1.6% 0.6% Occupazione Produttività 1.4% 0.4% 1.2% EU15 EU15 0.2% 1.0% IT 0.8% 0.0% 0.6% -0.2% IT 0.4% -0.4% 0.2% 0.0% -0.6% 1 3 5 7 9 11 13 15 1 3 5 7 9 11 13 15 periodi periodi nisce, la produttività e l’occupazione tornano al loro livello iniziale, senza influenzare lo stato stazionario. 5.1.1 La scomposizione della varianza La scomposizione della varianza degli errori di previsione ci consente di quantificare la pro- porzione della variabilità dell’occupazione e della produttività che può essere attribuita a ciascuno dei tre shock strutturali su un determinato orizzonte temporale. Natural- mente, affinché l’operazione abbia senso, la varianza totale dell’errore di previsione deve essere determinata unicamente dalle varianze e non dalle covarianze. Per questa ragione utilizziamo l’identificazione degli shock ricavata nel precedente VAR strutturale. La tabella 7 riporta i valori di scomposizione della varianza dopo 1, 5 e 15 perio- di. Questi valori rimangono sostanzialmente stabili per tutte le specificazioni dinamiche adottate per il VAR. I dati della tabella fanno, comunque, riferimento alla specificazione base. 24
figura 11 FRI cumulate dello shock della domanda aggregata su produttività e occupazione. 0.7% 0.4% Produttività Occupazione 0.6% 0.3% 0.5% 0.2% 0.4% IT EU15 0.3% 0.1% 0.2% EU15 0.0% 0.1% -0.1% 0.0% IT -0.1% -0.2% 1 3 5 7 9 11 13 15 1 3 5 7 9 11 13 15 periodi periodi tabella 7 La scomposizione della varianza Produttività Occupazione periodi produttività occupazione domanda periodi produttività occupazione domanda EU15 EU15 1 64 35 1 1 1 64 35 5 75 23 2 5 1 81 18 15 83 16 2 15 1 81 18 ITALIA ITALIA 1 71 1 28 1 4 94 2 5 82 3 15 5 4 93 3 15 83 3 14 15 4 93 3 Tre sono le conclusioni che emergono. In primo luogo, gli shock tecnologici spiegano la parte più rilevante della variabilità della produttività del lavoro (dal 65 all’85%). Al contrario, gli shock non tecnologici catturano solo una parte trascurabile della fluttuazione della produttività: il contributo relativo dello shock di offerta alla variazione della produttività in Italia ed in EU15, dopo un periodo, è rispettivamente uguale al 35% e all’1%. Per l’Europa, questo contributo tende a ridursi nel lungo periodo mentre la domanda aggregata ha un ruolo residuale nello spiegare la volatilità. Piuttosto, è evidente che per l’Italia le variazione della domanda aggregata spiegano dal 28 al 14% della varianza della produttività. Questa percentuale 25
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