Stoccaggio e bilancio della CO2 delle piantagioni legnose. Le opportunità per il settore forestale
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Stoccaggio e bilancio della CO2 delle piantagioni legnose. Le opportunità per il settore forestale Lorenzo Ciccarese Dipartimento Conservazione della Natura Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) Via V. Barancati 48, 00144 Roma Tel.06 50074824 E‐mail address: lorenzo.ciccarese@isprambiente.it 1. Introduzione La Convenzione ONU sui cambiamenti climatici, entrata in vigore nel 1994 e approvata da ben 192 paesi, è stata integrata nel dicembre del 1997 dal Protocollo di Kyoto. Questo trattato impegna 40 Paesi industrializzati e con economia in transizione (indicati nell’Allegato I dello stesso Protocollo) a contenere le emissioni complessive di gas‐serra (alla base del riscaldamento globale in corso) del 5,2% rispetto a quelle registrate nel 1990. Questo impegno deve essere raggiunto entro il periodo 2008‐2012, il primo d'un processo di lungo termine che dovrà portare alla stabilizzazione climatica. Al centro del processo del Protocollo di Kyoto sono le unità di allocazione e le unità di accredito. Tutte le unità sono espresse in tonnellate metriche di CO2eq. Ogni Paese dell'allegato I ha disposizione un certo numero di Assigned Amount Units (AAU). Per l'Italia, che dovrà ridurre, a seguito d’un accordo UE, del 6,5% le emissioni del 1990, gli AAU sono pari a 485,7 MtCO2 eq milioni. Per raggiungere questo obiettivo i Paesi possono ricorrere a una serie di opzioni, tra cui le attività legate all’uso del territorio, alla sua trasformazione e alla selvicoltura (nel gergo Land‐ Use, Land‐Use Change and Forestry, LULUCF). Ciò dipende dal fatto che la vegetazione e le foreste scambiano grandi quantità di gas‐serra con l’atmosfera. Le piante, grazie alla fotosintesi, assorbono CO2 dall’atmosfera e rilasciano O2; una parte della CO2 assorbita è restituita all'atmosfera con la respirazione, mentre una parte è trattenuta come stock (letteralmente, deposito) nei vari composti organici presenti in una pianta. Ogni unità di carbonio sequestrata grazie alle attività LULUCF è detta in gergo Removal Units (RMUs), anch'essa espressa in tonnellate metriche di CO2eq, e viene aggiunto alle AAU di una nazione. 2. Le attività LULUCF Concretamente le attività LULUCF sono: una migliore gestione delle foreste già esistenti, una gestione dei terreni agricoli più attenta all’immagazzinamento del carbonio nel suolo (non lavorazione, minima lavorazione, inerbimento, ecc.) e la costituzione di nuove piantagioni forestali. Infatti quando, ad esempio, un’area agricola o pascoliva è convertita in bosco, una quota di CO2 è rimossa dall’atmosfera e immagazzinata nella biomassa arborea. Lo stock di carbonio su quell’area aumenta, creando quindi un sink di carbonio. Tuttavia, la foresta di nuova formazione funge da sink di carbonio fino a quando lo stock di carbonio non raggiunge il limite massimo, oltre al quale le perdite dovute alla respirazione, alla morte d'alberi e a cause esterne di disturbo, quali incendi, uragani, attacchi di parassiti o patogeni, utilizzazioni
ed altre operazioni forestali, bilanciano l’aumento di carbonio dovuto alla fotosintesi. Un soprassuolo forestale realizzato ex novo per la produzione di legname (per esempio: un pioppeto) può fungere da sink, ugualmente a una foresta creata per accumulare carbonio, seppure con differenze nell’ammontare finale dello stock di carbonio e nei tempi in cui questo può essere ottenuto. Per essere ammissibili, tali attività devono rispondere a due clausole: aver avuto inizio dal 1990 in poi ed essere intenzionali, cioè prodotte a seguito di interventi diretti, volontari, e non connesse quindi all’evoluzione naturale delle forme d’uso del suolo. Nei Paesi dell’UE‐15 le attività LULUCF dovrebbero generare circa 40,2 MtCO2, pari allo 0,9% delle emissioni registrate nel 1990, o all’11,7% dell’impegno di riduzione del periodo 2008‐ 2012 (un impegno che prevede un taglio di 341 MtCO2 alle emissioni del 1990). Come si vede (soprattutto per via delle regole di attuazione del Protocollo di Kyoto piuttosto restrittive rispetto al potenziale reale delle attività LULUCF), il ruolo attribuito al settore LULUCF nell’orizzonte del primo periodo di impegno dell’UE‐15 è molto limitato. Nel caso dell’Italia, viceversa, il ruolo attribuito al settore LULUCF è di una certa rilevanza. Nel 2010 il livello delle emissioni italiane è stato pari a 493,6 MtCO2 eq., ossia 7,9 MtCO2 eq sopra la soglia media annua assegnata all’Italia dal Protocollo di Kyoto nel periodo 2008‐2012. La media delle emissioni nazionali di gas serra dei primi tre anni del primo periodo d’adempimento 2008‐2012 è pari a 508,8 MtCO2 eq, ossia 15,2 MtCO2 eq sopra la quota delle AAU (485,7 MtCO2 eq). A questo punto, quindi, il ruolo che il settore forestale gioca in questa strategia è rilevante sia in termini relativi sia assoluti: le variazioni degli stock di carbonio previste dall’uso delle attività LULUCF (nella sostanza le sole attività forestali, dal momento che quelle agricole non sono state selezionate dal Governo italiano) sono pari a circa 15 milioni di tonnellate di CO2 eq, di cui 5 MtCO2 eq deriverebbero dalla fissazione di carbonio degli impianti di afforestazione e riforestazione realizzati dal 1990 in poi, al netto delle fonti di carbonio dovute alla deforestazione. In altre parole, il carbon sink derivante dalle foreste nazionali potrebbe essere sufficiente a coprire il 44% dei 33,8 MtCO2 eq, ossia l’entità delle emissioni nazionali da tagliare rispetto a quelle del 1990. 3. I prodotti legnosi Il contributo del settore forestale diventa ancora più significativo se si includono anche i prodotti legnosi (ovvero i materiali legnosi, corteccia inclusa, ma escluse ramaglie e cimali se rilasciati) e la bioenergia. Secondo diversi autori, è nel suo impiego come materiale da costruzione e come fonte energetica in sostituzione d'altri materiali edili o di combustibili fossili che il legno fornisce il maggior contributo alla riduzione delle emissioni, ancor più che attraverso la ritenzione di carbonio nella biomassa. Infatti, il legno prelevato dal bosco e dalle piantagioni forestali e trasformato in prodotti legnosi costituisce uno stock di carbonio e, come tale, ha un ruolo sul ciclo del carbonio e l’effetto serra. Questo stock extraboschivo aumenterà, agendo pertanto da sink, fino a quando il deperimento e la distruzione per combustione o lo smaltimento in discarica dei vecchi prodotti resterà inferiore alla fabbricazione di nuovi. La durata dello stock extraboschivo dipende dalla composizione dei prodotti legnosi, ovvero dal loro livello di produzione‐consumo e dalla vita media degli stessi, un parametro estremamente variabile (dai pochi mesi della carta da giornale ai molti decenni
di una trave lamellare). Al contrario, il Protocollo di Kyoto, per il periodo 2008‐2012, non include l’effetto di fissazione del carbonio nei prodotti legnosi forestali nei sistemi di contabilizzazione dei gas‐serra, soprattutto per via dell’oggettiva difficoltà di contabilizzare i flussi di carbonio all’interno del pool «prodotti legnosi» sia per il reporting richiesto dall’UNFCCC, sia dalla contabilizzazione per il protocollo di Kyoto. Finora, per il reporting dei bilanci di gas‐serra in ambito UNFCCC, le metodologie IPCC consideravano in maniera semplicistica che il prelievo di legname ad uso industriale ed energetico sia una fonte immediata di emissioni, da riportate nello stesso anno dei tagli boschivi. In sostanza si assumeva che i prodotti legnosi non potessero esercitare alcuna funzione come stock temporaneo di CO2. Le metodologie IPCC Guidelines for National Greenhouse Gas Inventories del 2006 identificano quattro diversi approcci per contabilizzare le emissioni di gas‐serra nei prodotti forestali: IPCC default method, Stock change approach, Production approach, Atmospheric‐flow approach, Simple decay approach. Esistono significative differenze tra i diversi approcci, che riguardano soprattutto il “dove” e il “quando” le variazioni del carbon stock avvengono e sono contabilizzate. Queste differenze, nel caso dell’Italia, possono condurre a stime molto divergenti del carbon stock e del carbon sink. Uno studio ISPRA ha evidenziato che applicando i diversi approcci proposti dall’IPCC per la stima dei bilanci di gas‐serra nei prodotti legnosi in Italia, il carbon sink può variare da 0,9 fino a 4,1 milioni di tonnellate di CO2 l’anno utilizzando, rispettivamente, il production approach o lo stock‐change approach; viceversa, applicando l’atmospheric‐flow approach, che penalizza i paesi come l’Italia, che è uno dei maggiori importatori netti di legname nel mondo e uno dei primi esportatori nel mondo di mobili e prodotti a base di legno, i prodotti legnosi in Italia diventano viceversa un emettitore netto di carbonio, fino a 1,5 milioni di tonnellate di CO2. 4. Conclusioni Il nostro Paese si affida in maniera significativa al settore forestale e in particolare alla gestione delle foreste esistenti e alla creazione di piantagioni legnose forestali per mantenere gli impegni internazionali di mitigazione dei cambiamenti climatici. Le possibilità che ai gestori e ai proprietari forestali italiani si riconosca in forma diretta o generalizzata un premio economico per l’eventuale ruolo di assorbimento dei gas‐serra legato alle attività forestali sono, in linea teorica, diverse e ‐ a giudicare dagli attuali piani governativi ‐ considerevoli. Tuttavia, sul piano concreto, sono molti gli ostacoli ancora presenti. 1. L’esclusione dei crediti forestali dal mercato UE delle emissioni (ETS) non consente ai proprietari forestali italiani ed europei—cosa che avviene per esempio in Australia, Nuova Zelanda e in alcuni stati Usa—di partecipare ai mercati regolati e ricevere una remunerazione (ma anche di assumersi obblighi, rischi e responsabilità in caso in cui si registrino perdite nette invece che carbon sink) dal commercio dei crediti di carbonio. 2. il governo italiano, come quelli di altri paesi UE, intende usare i RMU per ottemperare agli obblighi di Kyoto, senza per questo offrire ai proprietari forestali una corresponsione diretta per ogni RMU usato. Ciò, d’altra parte, richiederebbe la creazione di un Registro che raccolga
dettagliate informazioni sulle singole proprietà forestali che chiedono di sottoporre a registrazione e monitoraggio le attività di gestione forestale. 3. Per quanto riguarda il mercato degli investimenti volontari compensativi nel settore forestale, va detto che esso è certamente un positivo elemento di novità nell’organizzazione del settore in quanto rende operativo quel principio “chi fornisce benefici ambientali viene remunerato” (provider gets), complementare a quello universalmente accettato del “chi inquina paga” (polluters pays). Compensare gli interventi addizionali di fissazione del carbonio, soprattutto quando questi sono realizzati in territori economicamente marginali, non è solo un principio di efficiente gestione del mercato, ma anche una scelta eticamente corretta, sempre che gli investimenti considerino anche requisiti di tutela ambientale e sociale. Due problemi restano da risolvere: i costi di transazione elevati associati alla verifica di monitoraggio, certificazione e commercializzazione delle quote di carbonio e la mancanza di trasparenza del mercato in termini di qualità e affidabilità dei certificati di carbonio volontari, che alla fine potrebbe fiaccare la fiducia dei partecipanti al mercato in questo tipo di prodotto. Esiste oggettivamente un problema di mancanza di uniformità degli standard impiegati per lo sviluppo e la vendita dei progetti volontari forestali carbon offset, problema che alla radice dell’attuale scarso valore di mercato dei Ver forestali. Il mercato volontario del carbonio può essere considerato come un’opportunità di reddito aggiuntivo piuttosto che un incentivo a privilegiare la funzione di sequestro del carbonio come prodotto principale. Occorre capire se lo stato, in attesa di diversi approcci da seguire nel post‐2012, potrà offrire ai proprietari forestali e al settore forestale in genere altre forme di compensazione per il servizio di carbon sequestration fornito dalle foreste: rafforzamento delle misure di protezione o più attiva gestione delle risorse forestali; potenziamento di attività di ricerca e sviluppo e di formazione, miglioramento della base conoscitiva del settore forestale e dei servizi offerti. Infine, bisogna sottolineare il ruolo significativo dei prodotti legnosi nelle strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici. Il legno è una fonte di materiale rinnovabile relativamente efficiente dal punto di vista energetico, lo si può utilizzare al posto di altri materiali a maggiore intensità d’energia, riducendo così le emissioni di gas‐serra. Si tratta, perciò, d’individuare soluzioni pratiche e tecniche valide per aumentare l’impiego del legno nelle applicazioni domestiche e industriali a scapito di altri materiali, allungare il loro ciclo di vita, aumentare il riciclo. Ad esempio, in alcuni paesi lo studio dell’energia richiesta per costruire edifici con diverse combinazioni di materiali, suggerisce che massimizzare l’impiego del legno nelle nuove costruzioni potrebbe ridurre le emissioni di gas‐serra causate dalla produzione di materiali edili, dal 30% fino all’85%. Nondimeno, è necessario che il settore forestale sia attivamente informato e consideri con attenzione le opportunità e gli effetti associati con le politiche di lotta ai cambiamenti climatici, tenendo presente che il carbon sink è solo uno dei servizi ecosistemici offerti dalle foreste, che si aggiunge a quelli di produzione di legna da opera e da ardere, di prodotti non legnosi e di una serie numerosa di servizi ecosistemici. Oltre alla mitigazione, l’UNFCCC contempla anche l’adattamento tra gli interventi di lotta ai cambiamenti climatici, i quali faranno sentire i loro effetti, anche se le emissioni nette globali di gas‐serra dovessero stabilizzarsi o contrarsi entro la metà del secolo in corso. Rispetto alle azioni di adattamento il settore forestale è interessato per due aspetti:
1. il contributo che gli interventi forestali possono dare alle comunità per affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici; 2. gli interventi necessari per ridurre gli impatti dei cambiamenti climatici sul settore. Riguardo al primo aspetto, le foreste e la selvicoltura possono ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici fornendo protezione alle colture e agli animali, riducendo i fenomeni erosivi e gli effetti degli eventi climatici estremi come alluvioni e tempeste, migliorando le caratteristiche fisiche e chimiche dell’acqua, concorrendo alla costruzione del reddito delle comunità rurali colpite dai cambiamenti climatici. Esistono numerosi esempi di adattamento ai cambiamenti climatici, anche in Italia, che dimostrano come gli interventi forestali siano più efficaci e più economicamente convenienti degli impianti convenzionali, ingegneristici, e come essi riescano ad associare benefici ambientali, sociali ed economici a quello dell’adattamento ai cambiamenti climatici. Rispetto al secondo punto, occorre sviluppare nuovi approcci di gestione forestale per affrontare le minacce legate ai cambiamenti climatici in corso: siccità, patogeni, parassiti, eventi meteo estremi e incendi. Ci sono molte incertezze associate ai cambiamenti climatici e ai loro impatti sulle foreste, sulla selvicoltura e sulle operazioni forestali. Tali incertezze non devono però impedire l’adozione di misure di adattamento, ma devono spingere i decisori politici a utilizzare tutti gli strumenti per implementare misure che aumentino la resilienza, indipendentemente dall’entità dei cambiamenti climatici.
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