SOFT SKILL DEL MESE: Integrazione organizzativa di Gian Carlo Cocco - Time to Mind

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SOFT SKILL DEL MESE: Integrazione organizzativa di Gian Carlo Cocco - Time to Mind
“Soft Skill del Mese” n. 17

                                SOFT SKILL DEL MESE:

            Integrazione organizzativa di Gian Carlo Cocco
1. Definizioni generali
Enciclopedia Treccani:
integrazióne [dal lat. integratio -onis]. 1. In senso generico, il fatto di integrare, di rendere
intero, pieno, perfetto ciò che è incompleto o insufficiente a un determinato scopo,
aggiungendo quanto è necessario o supplendo al difetto con mezzi opportuni 2.
Unificazione, stretta collaborazione tra soggetti diversi, assimilazione, inserimento di
individui o gruppi in un ambiente sociale, in una comunità 3. Adeguamento ai modelli
socioculturali predominanti 4. Avvicinamento, coordinamento o anche fusione di sistemi
economici separati, al fine di raggiungere vantaggi quali la razionalità nell’uso dei fattori
produttivi, il coordinamento delle informazioni e delle scelte, l’abbattimento degli ostacoli
agli scambi ecc. 5. Il processo attraverso il quale gli individui diventano parte integrante di
un qualsiasi sistema sociale, aderendo in tutto o in parte ai valori che definiscono l’ordine
normativo. Si parla in proposito anche di socializzazione.

Varie fonti
Da un punto di vista organizzativo, l’integrazione va letta in relazione alla differenziazione.
In quest’ottica, l’integrazione rappresenta la capacità dell’organizzazione di riuscire a
far superare le differenze, non eliminandole ma facendole convergere verso gli
obiettivi comuni. I concetti di differenziazione e integrazione, soprattutto nei rapporti fra
funzioni e ruoli diversi, si configurano anche come due pilastri della formazione manageriale,
che ha favorito e tuttora supporta cambiamenti culturali coerenti con l’evoluzione
organizzativa.

2. Descrizione
Capacità di integrare le proprie competenze e le proprie energie all’interno
dell’organizzazione con il fine di fornire risultati di apprezzato valore professionale.
A) Ricercare negli interlocutori aziendali i contenuti professionali in grado di fornire le
     risposte più produttive.
B) Negoziare e convincere per stimolare interscambio e incrementare il valore dei
     contributi che devono essere forniti nell’ambito dell’organizzazione.
C) Stimolare l’integrazione e la sinergia tra i componenti dell’organizzazione per produrre
     soluzioni innovative e apprezzate.

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3. Quali risultati consente di ottenere?
La finalità dell’integrazione organizzativa è di conseguire vantaggi che non si otterrebbero
con i soli contributi autonomi di ogni componente del gruppo o dell’organizzazione nelle
varie e complesse situazione che devono essere affrontate. In sostanza la capacità di
integrazione organizzativa consente:
• maggior soddisfazione dei bisogni collettivi e, conseguentemente, individuali;
• risparmio di risorse e recupero di risorse disperse o non possedute, ma acquisibili;
• raggiungimento di obiettivi irraggiungibili isolatamente dai vari attori organizzativi.
Fin dalle prime comunità umane il miglioramento delle possibilità di sopravvivenza si è
basato sulla specializzazione o differenziazione delle attività abbinata alla necessità di
cooperazione o integrazione. Tutte le culture primitive e in modo più articolato, tutte le
civiltà si sono basate su questa abbinata vincente, presupposto di ogni viluppo economico e
sociale.
Due studiosi di organizzazione, Lawrence e Lorsch, nella seconda metà del secolo scorso,
hanno preso in considerazione l’integrazione abbinata alla differenziazione come leva di
successo delle organizzazioni inserite in ambiti complessi. Tanto più l’ambiente di
riferimento risulta complesso, quanto più un’organizzazione si dividerà in sotto sistemi
aumentando il grado di specializzazione (unità organizzative) che hanno l’assoluta necessità
di cooperare con tutti le altre. Da un punto di vista organizzativo, la differenziazione
evidenzia profonde differenze presenti nelle persone e nei ruoli (per caratteristiche
individuali, competenza funzionale, professionalità richiesta, ecc.). Un’organizzazione che
vuole evitare di disperdersi nei vari ambiti di specializzazione deve, però, riuscire a far
superare le differenze, non combattendole, ma facendole convergere verso gli obiettivi
comuni. La capacità di integrazione organizzativa rappresenta, quindi, un comportamento
strategico indispensabile nei contesti organizzativi più vari caratterizzati da complessità
crescente e da specializzazioni sempre più approfondite.
Due studiosi di scienze cognitive, Steven Sloman e Philip Fernbach, nel loro libro “L’illusione
della conoscenza”, hanno evidenziato come tutte le persone raccolgono nelle loro menti un
numero limitato di conoscenze e di saper fare in relazione alla smisurata gamma del sapere
umano. In tal senso le persone inserite in qualsiasi tipo di comunità o organizzazione sono
come le api e le società umane sono simili ad alveari. Il sapere risiede in minima parte nelle
singole menti, ma bensì nella “mente collettiva” che risulta tanto più potente quanto più le
singole e differenziate menti risultano integrate (un esempio formidabile in tal senso è
rappresentato dalle “comunità scientifiche”).
Finché non ci si sofferma a prendere consapevolezza dell’effettivo limitatissimo sapere
individuale non ci si rende conto di quanto necessitiamo del sapere degli altri, soprattutto
nei contesti organizzati complessi nei quali si opera in forma necessariamente condivisa. Per
questo motivo la capacità di integrazione organizzativa rappresenta una leva
comportamentale indispensabile.
La gestione efficace dell’integrazione organizzativa è basata sull’umiltà intelligente, cioè
sull’accettazione dei propri limiti e sulla propensione e disponibilità a raccogliere i
contributi di coloro che si manifestano competenti in ambiti diversi dal nostro.
Come dice Paul Lawrence: “Integra alla grande chi ha percepito molte alternative di scelta.”
E Niccolò Machiavelli: “Molti hanno talento, ma pochi lo impiegano nella giusta direzione
se non vengono orientati.”

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E, infine, Hanry Ford: “Se coinvolgi, ma non dai strumenti crei solo frustrazione.”

4. Come metterla in pratica?
L’INTEGRAZIONE ORGANIZZATIVA CONSENTE DI RICERCARE E DI OTTENERE UN FFICACE
EQUILIBRIO E FUNZIONAMENTO ATTUATO MEDIANTE:
• il confronto aperto degli interessi e dei bisogni specifici dei vari attori organizzativi nella
    prospettiva delle finalità dell’intera organizzazione;
• la ricerca dei margini di manovra in una prospettiva ampia;
• la individuazione dell’utile comune alla luce delle aspettative specifiche;
• l’accettazione e la gestione della ineliminabile conflittualità;
• il raggiungimento di intese condivise che impegnano le parti.
L’integrazione organizzative ha anche come fine la gestione ottimale delle risorse disponibili.
Quando le risorse sono scarse le conseguenze possono originare il dominio di una parte o lo
scontro. In questa circostanza l’integrazione è molto difficile da praticare, ma occorre non
rinunciare a cercarla, per evitare conseguenze talvolta distruttive.
Quando le risorse sono sufficienti possono essere distribuite adeguatamente con un
processo che può alternativamente configurarsi come ripartizione condivisa o impiego
comune. Questa seconda modalità offre i vantaggi dell’integrazione.
Quando le risorse sono abbondanti possono essere distribuite in modo collaborativo. In
questa circostanza l’integrazione è l’unico modo per evitare lo spreco.
Per attivare l’integrazione organizzativa questi sono i fondamentali passaggi da applicare:
1. il riconoscimento che non si possiedono tutte le risorse necessarie per raggiungere gli
    obiettivi particolari e, soprattutto, gli obiettivi comuni;
2. la consapevolezza che non esistono modelli di comportamento predeterminati che
    regolano le modalità dell’operare insieme, ma che vanno ricercati sulla base dei contenuti
    professionali posseduti dagli interlocutori e dalle motivazioni e aspettative degli stessi;
3. l’accettazione che le diversità iniziali delle parti non si ricompongono automaticamente
    in una somma di comportamenti compatibili, ma che occorre operare intelligentemente
    perché ciò possa verificarsi.
4. la convinzione che non si riesce ad operare in modo ottimale insieme se non si definiscono
    i comportamenti reciproci da tenere e, soprattutto, non si accetta e affronta la
    conflittualità evitando di considerarla solo un ostacolo.
L’integrazione organizzativa consente di passare:
❖ dalla conflittualità fra i diversi attori che esaltano i bisogni antagonistici, la
      competizione tra le risorse e la divergenza tra gli obietti;
❖ alla collaborazione fra i diversi attori che ricercano bisogni compatibili, risorse
      integrabili e obiettivi convergenti.
Integrarsi, in pratica, vuol dire usare ognuno le opportunità che l’altro fornisce senza per
questo dover essere, fare, pensare come l’altro.
NON È SCOPO della capacità d‘integrazione ELIMINARE LA CONFLITTUALITÀ, MA
GESTIRLA.
Come dice Voltaire: “Solo le ventose e gli imbecilli aderiscono automaticamente.”
Come dice Kenneth Blanchard: “Non si possono motivare le melanzane e i pomodori a
crescere nell’orto, si può solo creare l’ambiente più adatto per consentirne la crescita.”

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Come dice un proverbio giapponese: “Nessuno di noi è così intelligente come possiamo
esserlo tutti noi se operiamo insieme.”
Come dicono, infine, Sloman e Fornbach: “quando il sapere del mondo lo possiamo reperire
con un click del dito, scatta la pericolosa illusione di averlo tutto presente nella nostra
testa. Viviamo nella pericolosa illusione di sapere, ma fortunatamente siamo ancora
immersi nella proficua comunità umana della conoscenza.”

5. Come leggerla negli altri e in noi stessi?
Se riesce a ricercare e valorizzare le competenze degli interlocutori organizzativi:
• cerca di riconoscere le competenze professionali chiave negli interlocutori organizzativi;
• cerca di coinvolgere le persone con le quali lavora valorizzando le loro professionalità;
• cerca criteri e accorgimenti per favorire l’interscambio e l’integrazione delle diverse
   competenze professionali possedute dai suoi interlocutori organizzativi;
• riesce a mettere a disposizione degli interlocutori organizzativi le sue competenze
   professionali;
• propone interscambi professionali finalizzati al miglioramento dei processi e al
   raggiungimento di risultati produttivi.
Se impiega l’integrazione per produrre maggiore efficacia:
• incoraggia il confronto tra i diversi attori organizzativi variando lo stile di relazione per
   adeguarlo alle situazioni;
• cerca di convincere gi interlocutori organizzativi a incrementare la quantità e la qualità
   dei loro contributi al gioco di squadra;
• cerca di integrare i singoli obiettivi di ruolo dei suoi interlocutori con gli obiettivi
   organizzativi;
• studia gli atteggiamenti degli interlocutori organizzativi con il fine di individuare spazi di
   negoziabilità in grado di incrementare la collaborazione;
• valorizza le singole diversità e autonomie come strumenti di arricchimento reciproco
   tramite un linguaggio condiviso.
Se impiega l’integrazione per produrre maggiore efficacia:
• cerca di mantenere relazioni interpersonali costruttive per orientarle verso i risultati;
• stimola gli interlocutori organizzativi a fornire risposte efficaci alle esigenze della clientela
   e degli utenti;.
• cerca di far chiarire i ruoli tra i diversi interlocutori organizzativi con il fine di suscitare
   interesse e gioco di squadra;
• stimola con sistematicità le sinergie operative per produrre soluzioni innovative ed
   efficaci;
• richiama gli obiettivi prioritari e comunemente condivisibili per orientare gli interlocutori
   verso l’efficacia d’azione.
Nella lettura della capacità di integrazione organizzativa facciamoci aiutare da alcuni
personaggi famosi.
Theodore Roosvelt: “Il gioco di squadra è il cemento che lega la convenienza con
l’emozione.”
Peter Drucker: “La difesa dei territori interni indeboliscono i confini di ogni
organizzazione.”

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Federico il grande (Federico Secondo di Prussia): “Un esercito è più governabile di un
individuo, purché i componenti sappiano di appartenervi.”
Jack Welsh: “I concorrenti all’interno di un’organizzazione sono coloro che nascondono i
problemi.”

6. Come allenarsi e incrementare il livello di espressione?
ACCORGIMENTI PER RICONOSCERE ED ACCETTARE LE COMPETENZE ALTRUI
Riconoscere ed apprezzare le competenze chiave di colleghi e collaboratori:
• leggere le competenze degli altri in termini di conoscenze e capacità (hard skill e soft skill)
    considerandole un patrimonio al quale possiamo attingere;
• individuare le conoscenze e le capacità possedute che ci sono utili e stabilire come
    possiamo utilizzarle;
• definire i vantaggi di utilizzo;
• stabilire quando e in che contesto utilizzare le conoscenze e le capacità e cosa proporre
    e fornire in contropartita.
Per realizzare una efficace integrazione organizzativa è necessario conoscere in cosa
consistono le conoscenze e le capacità che vanno a formare la competenza e sostengono il
capitale umano.
Le conoscenze (acquisibili tramite lo studio e l’esperienza) rappresentano il bagaglio del
sapere necessario per svolgere qualsiasi tipo di attività di contenuto complesso. Per essere
proficuamente utilizzate hanno necessità di un “mezzo” comportamentale definito
“capacità” e che rappresenta il supporto all’impiego di qualsiasi know-how. Solo tramite la
sinergia tra conoscenze e capacità si possono originare prestazioni efficaci.
Questa sinergia è prima di tutto individuale, ma tramite la capacità di integrazione
organizzativa può divenire collettiva e, accrescendo il valore del cosiddetto “capitale umano”
(che rappresenta il patrimonio intangibile più strategico delle imprese e delle organizzazioni
attuali), produrre prestazioni collettive eccellenti.
I contributi che forniamo in quanto componenti di un’organizzazione, dicono i citati Sloman
e Fernbach, dipendono sostanzialmente dalla nostra capacità di lavorare e di integrarci con
gli altri e, in maniera limitatissima, dalla potenza mentale e dalla ricchezza delle competenze
individualmente accumulate. Il contributo di competenza che i singoli possono fornire è di
gran lunga sopravvalutato e potenzialmente in grado di alimentare la superbia e la
presunzione, purtroppo umanamente molte diffuse.
Il faticoso processo di apprendimento di conoscenze e di incremento di capacità significa
soprattutto imparare a collaborare con gli altri ai quali dobbiamo affidarci per colmare le
lacune e, soprattutto, per ottenere risultati che da soli sarebbe impossibile conseguire.
Va sottolineato che il sapere cristallizzato rintracciabile tramite internet pur essendo
facilmente accessibile non è paragonabile in termini di valore al sapere organico acquisibile
tramite l’interazione e il confronto dialettico con altre persone, con le quali si opera in modo
congiunto.

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Infine, è molto utile tenere presenti i tre più diffusi atteggiamenti che ostacolano
l’integrazione organizzativa.
       Essere superbi = esprimere uno smodato orgoglio, un’esagerata considerazione di sé
       e della propria competenza accompagnata da scarsa stima per gli altri.
       Essere presuntuosi = pretendere che il proprio sapere e il proprio potere non
       abbiamo assolutamente necessità di confronto, di ausilio e di supporto.
       Rifuggire dall’autocritica = non avvertire alcuna necessità di mettere in discussione
       le proprie idee e il proprio operato per risolvere inconvenienti e ottenere
       miglioramenti nel futuro.

7. Il personaggio emblematico
Marco Ulpio Nerva Traiano (18 settembre 53 – 8 agosto 117, e regnante dal 98 al 117).
L’Imperatore che portò Roma al suo massimo splendore e alla sua massima estensione e fu
detto «la delizia delle genti» per le sue virtù. La sua opera di legislatore, amministratore e
conquistatore nel segno della giustizia e della grandezza di Roma lo hanno reso leggendario.
Dante stesso, sebbene Traiano fosse pagano, lo pone in Paradiso.
Con Traiano l’Impero giunse alla sua massima estensione e sotto la sua guida ispirata, Roma
riacquistò fiducia non solo nella sua sicurezza interna, ma anche nel suo destino imperiale.
Quella traianea è una delle epoche più felici della storia imperiale, l'inizio di quella che viene
definita "Età aurea", e che proseguirà con gli Antonini (tramite gli imperatori “adottati”
secondo un classico criterio di integrazione organizzativa).
Traiano fu esaltato già dai contemporanei e dagli storici antichi come Optimus princeps. Da
molti storici è considerato, in virtù del suo operato e delle sue grandi capacità, come "il
migliore imperatore conosciuto da Roma nell'arco di tutta la sua lunga storia" ed uno degli
statisti più completi e parsimoniosi della storia dell'umanità. Dimostrò un elevatissimo livello
di capacità di integrazione organizzativa in un contesto di vastità e complessità enorme.
Nelle pause tra una guerra e l'altra, Traiano ha trovato il tempo di rivelarsi efficace
organizzatore dell'amministrazione civile. Fu anche un oculato statista e filantropo,
interessato alle condizioni dei suoi cittadini, attento alle riforme sociali e politiche. Aderì
sempre alle forme costituzionali della tradizione confermando fedelmente i privilegi del
senato (dimostrando anche in questo una notevole capacità di integrazione organizzativa).
Anche le necessità materiali della popolazione attrassero la sua attenzione: i rifornimenti di
grano furono assicurati e furono assicurate le distribuzioni gratuite a un numero di persone
maggiore del passato e, soprattutto, per i fanciulli poveri. Liberò molta gente che era stata
ingiustamente imprigionata da Domiziano e restituì una gran quantità di proprietà private
che Domiziano aveva confiscato.
Nel corso del suo regno furono anche fatti programmi sempre più ampi di lavori pubblici, tra
cui la realizzazione di una grande rete di strade con relativi ponti in tutto il vasto impero. In
Italia l'ultimo degli acquedotti per l'alimentazione della capitale, quello dell'Aqua Traiana,
consentì un sostanziale aumento della dotazione quotidiana agli abitanti. Le famose terme
cittadine di Traiano sorgevano sul colle Esquilino e formavano un complesso di dimensioni
triple di quelle delle terme di Tito. Traiano fece anche costruire ex novo dall'architetto greco-
nabateo Apollodoro di Damasco, il celeberrimo porto di Traiano esagonale nella zona di
Fiumicino.

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Il suo intento fu quello di governare non come dominus (signore), ma come princeps (primo
uomo dello stato). Dione Cassio scrisse di lui: "era particolarmente eminente per giustizia,
per coraggio e per semplicità di abitudini. Non era invidioso, né fece assassinare alcuno, ma
onorò ed esaltò tutti gli uomini buoni, senza eccezione, e per questo non temette, né odiò
alcuno. Ai calunniatori prestò scarsissima attenzione e non era schiavo dell'ira. Amava
entrare nelle case dei privati cittadini, magari senza scorta, e ivi gioire della visita."
Traiano risanò anche le finanze pubbliche, indispensabili per poter avviare le grandi opere
come la bonifica delle paludi pontine, la costruzione di porti, strade, acquedotti e il foro che
porta il suo nome:. Concesse ai piccoli proprietari terrieri italici prestiti a tasso agevolato per
poter investire nell'agricoltura italica (l'esportazione dalle province aveva minato il mercato
italiano). Fece istituire luoghi dove venivano accolti i figli dei poveri e gli orfani, garantendo
a tutti la possibilità di ricevere un'istruzione.
Proseguì la modalità inaugurata da Nerva nei suoi confronti designando come suo
successore Adriano, basandosi sulle effettive e verificate capacità di governare di
quest’ultimo e abbandonando la pericolosa successione familiare che tanti inconvenienti
aveva originato.
Alcune sue affermazioni sulla sua capacità di integrazione organizzativa:
“ll principe appartiene allo Stato, non lo Stato al principe.“
“Le denunce anonime non hanno valore.”
“Una volta usciti dalla prima giovinezza, nella vita è necessario stabilire delle priorità. Una
sorta di graduatoria che permetta di distribuire al meglio tempo ed energia. Se entro una
certa età non si definisce in maniera chiara questa scala dei valori, l’esistenza finisce col
perdere il suo punto focale.”
(Rispondendo ad una lettera di Plinio il Giovane che gli chiedeva come doveva comportarsi
con la setta dei cristiani): “Essi non sono da perseguitare, sono da punire solo quelli che
vengono denunciati e convinti di colpa, con la riserva che se uno nega di essere cristiano,
anche se di lui si è sospettato nel passato, può ottenere il perdono per la sua penitenza.”

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                                          Buon “Time to Mind” a tutti!

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