E il parent training a cura di Flavia Caretto
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Autismo e altri DGS collaborazione fra genitori e professionisti e il parent training a cura di Flavia Caretto Sommario Breve storia della contrapposizione fra genitori e professionisti Motivi a sostegno della collaborazione Collaborazione nella diagnosi e nella valutazione Collaborazione nell’intervento Formazione dei genitori e genitori a sostegno dei genitori La relazione d’aiuto Conclusioni e prospettive Breve storia della contrapposizione fra genitori e professionisti I motivi storici della contrapposizione Identificazione “recente” della sindrome autistica e primi approcci teorici all’autismo Autismo come fenomeno “invisibile” e quindi psicologico Storico gap di potere nella relazione medico-paziente Convinzioni storiche sulla relazione madre-bambino La falsa credenza: l’autismo ha una relazione diretta con il comportamento dei genitori, in particolare delle madri: in breve, sono le madri a causare l’autismo del figlio (a partire dagli anni ’40) La falsa evidenza: i bambini sono “fisicamente sani”, sono belli (!), i fratelli sono sani (!), i genitori sono chiaramente disturbati (!), non esiste una causa organica dell’autismo (e ancora: famiglie altolocate, genitori “freddi”) La conseguenza erronea: il bambino deve essere allontanato dalla famiglia, deve godere della privacy e della sicurezza di buoni sostituti genitoriali, grazie ai quali trovare il coraggio di “aprirsi” (psicoterapia) il circolo vizioso dell’incomprensione: perchè? Professionista
Paura del fallimento (il bambino è “oggettivamente” difficile e non so che fare …) Paura del giudizio (pensano che io non sia in grado) Necessità di mantenere la stima di se (sto facendo quello che è meglio) Necessità di attribuire il fallimento all’esterno (non è colpa mia se va male, è colpa loro) Necessità di giustificare le proprie azioni professionali (il mio lavoro si basa su studi autorevoli …) … il circolo vizioso: perchè? Genitore Paura del giudizio (pensano che sia colpa mia) Ansia per il futuro (cosa succederà? Se va male, chi seguirà il mio bambino?) Convinzioni negative “storiche” nei confronti dei professionisti (questo professionista è probabilmente incompetente come gli altri) Necessità di gestire e controllare ciò che riguarda il figlio (devo essere sicuro che per mio figlio si stia facendo il meglio) Necessità di essere aiutato e di fidarsi di qualcuno (non posso farcela da solo) … Genitori e professionisti: una motivazione in comune! Ad entrambi interessa il bambino! Motivi a sostegno della collaborazione ➄ la famiglia è la prima risorsa del bambino ➄ …e, ad oggi, è la principale risorsa della persona con autismo nel tempo ➄ i genitori sono coloro che amano maggiormente il bambino, lo conosco più di chiunque e sono responsabili di lui ➄ la motivazione dei familiari ha sollecitato i maggiori cambiamenti sociali, culturali e scientifici sull’autismo ➄ il benessere del bambino passa attraverso il benessere dei suoi familiari Motivi a sostegno della collaborazione inoltre... ➄ 1. l’autismo è un disturbo generalizzato o “pervasivo”: esiste 24 ore su 24, tende a perdurare ed è “ambiente-dipendente” ➄ 2. uno dei principali problemi di apprendimento nell’autismo è legato alla generalizzazione
➄ per cui l’implicazione dei familiari nella valutazione, definizione degli obiettivi ed intervento non è solo un diritto… ➄ … ma anche una necessità per ottenere risultati effettivi dall’intervento Collaborazione: diagnosi e valutazione Sospetto diagnostico Considerazioni è il genitore che generalmente nota per primo delle particolarità nello sviluppo del figlio Il bambino non può essere osservato o diagnosticato se il genitore non si rivolge ad un Servizio diagnostico L’intervento precoce ha più probabilità di ottenere buoni risultati Conseguenze operative I genitori devono essere informati al pari di insegnanti e pediatri, di quali possono essere i primi segni È necessario stabilire un’alleanza con i genitori al fine di ottimizzare e rendere precoci le segnalazioni Collaborazione: diagnosi e valutazione Valutazione Considerazioni Non è possibile definire l’intervento da fare senza valutazione I genitori conoscono il bambino meglio di chiunque altro e possono mediare la relazione con gli osservatori La collaborazione con il genitore durante la valutazione facilita la restituzione dei risultati Conseguenze operative Prima di vedere il bambino è necessario raccogliere informazioni dai genitori I genitori devono essere informati in precedenza di ciò che verrà fatto durante la valutazione I genitori devono poter osservare la valutazione Collaborazione: diagnosi e valutazione Diagnosi Considerazioni Il bambino con autismo è “ambiente-dipendente”, per cui non è possibile avere informazioni esaustive su di lui senza ricorrere ai familiari Una buona comprensione della diagnosi ed una partecipazione attiva del genitore offre al genitore l’opportunità di assumere un ruolo attivo nel lavoro successivo Conseguenze operative Spiegare ai genitori di cosa si tratta e cosa comporta il disturbo dello sviluppo e l’autismo Effettuare insieme ai genitori alcuni passi topici della diagnosi (es: ADI – R) e soprattutto discutere insieme i criteri del DSM IV Essere franchi e diretti (non brutali!) e aiutare la famiglia nel difficile momento che sta vivendo Collaborazione: intervento Considerazioni
Il professionista mira ad aiutare il bambino a “funzionare” meglio in ambiente naturale Conseguenze operative Il professionista deve mettere in grado i caregiver naturali di interagire positivamente con il bambino Collaborazione: intervento Ascoltare le priorità dei genitori Definire insieme gli obiettivi Implicare attivamente i familiari “nel modo più naturale possibile” rispettando il contesto familiare preservando affettivamente la casa e il ruolo proteggendo il benessere familiare Verificare costantemente con i familiari la presenza di cambiamenti e progressi e la “spendibilità” ecologica degli apprendimenti Collaborazione: contesto dell’intervento Intervento in un contesto specialistico Richiedere l’aiuto del genitore Intervenire lasciandosi osservare dal genitore Aiutare il genitore ad attuare ciò che ha osservato Scambiare feedback su quanto succede Intervento a casa Aiutare i genitori nell’organizzazione domestica Provare a migliorare le capacità di comunicazione e interazione del bambino e dei familiari in contesto domestico Aiutare il genitore ad interagire più efficacemente nel contesto domestico Attenzione! il genitore NON È l’educatore, il riabilitatore, il terapeuta bensì è genitore di un bambino speciale e come tale necessita di un aiuto speciale per essere un buon genitore. Tutti i genitori si occupano della crescita dei propri figli. È possibile confrontarsi con una crescita speciale come quella di un bambino con autismo, senza avere informazioni speciali, capacità speciali, un aiuto speciale?
Collaborazione Suggerimenti per il professionista Cercare informazioni su quelle che vengono considerate le buone prassi per l’intervento sull’autismo Fornire, prima dell’inizio dell’intervento, un’informazione chiara degli obiettivi, dei risultati attesi, delle aspettative nei confronti del genitore, e spiegando ciò che farà Dare rilievo alle informazioni che il genitore fornisce sul bambino Dare rilievo a quelli che sono gli obiettivi del genitore, i suoi sentimenti, le sue paure e le sue speranze Accettare di mettere in discussione il proprio punto di vista, e di assumere, almeno momentaneamente, quello del genitore Mostrargli la terapia, fornirgli testi, invitarlo alle formazioni Coinvolgerlo nei propri dubbi, facendolo partecipe dei problemi (senza dargliene il carico!) e discutendo insieme i risultati Essere consapevole che il bambino non è il proprio figlio, e che la persona che sarà sempre responsabile del bambino, e che non è sostituibile, è il genitore I genitori per i genitori Niente su di noi… …senza di noi Il parent training o la formazione dei genitori Obiettivi Il parent training mira a rendere i genitori consapevoli delle possibilità di intervento su una problematica che riguarda i figli o la loro relazione con questi inoltre fornisce ai genitori la possibilità di sollecitare interventi adeguati da parte dei professionisti può tendere a creare una rete di auto e mutuo aiuto all’interno di un gruppo di persone che ha in comune delle caratteristiche e condivide lo stesso linguaggio, gli stessi bisogni e la stessa prospettiva. Tipologie ed evoluzione ✣ Informazione e formazione informale ✣ Formazione alla famiglia ✣ Home training ✣ Colloqui in setting clinico ✣ Formazione a gruppi di genitori ✣ Su argomenti educativi
✣ Su problematiche di gestione domestica e relazionale ✣ Avvio dell’auto-aiuto Attività in gruppo Si effettua generalmente a partire da incontri tematici che prevedono l’esposizione di un esperto (“docente”, “trainer”, “tutor”) su argomenti teorici considerati di rilievo per il miglioramento della qualità della vita in famiglia Gli argomenti vengono trattati in gruppo secondo la modalità del dibattito, con esempi pratici e la possibilità, per i partecipanti, di condividere la propria esperienza e contribuire al dibattito con la mediazione del tutor Nei gruppi è generalmente prevista la partecipazione, diretta o indiretta, di un genitore esperto e “anziano”, in qualità di coordinatore. Preparazione dei gruppi Si effettua generalmente attraverso l’analisi dei bisogni dei genitori Tramite colloquio – intervista alla coppia Tramite questionario (per i gruppi) È possibile prevedere un periodo di parent training di coppia con l’obiettivo di preparare la famiglia all’inserimento in un gruppo Evoluzione Il parent training di coppia si “risolve” con l’evoluzione del problema del bambino e della famiglia, o con l’invito della famiglia di entrare a far parte di un gruppo o di una associazione parentale Il parent training di gruppo, si evolve generalmente nei gruppi di auto e mutuo aiuto, dove il professionista può fungere da facilitatore (ma può anche non essere presente, nei gruppi più evoluti) e le famiglie contano sull’aiuto reciproco Genitori a sostegno dei genitori Il “parent to parent” ✦I gruppi di auto e mutuo aiuto ✦Le associazioni dei genitori ✦I genitori - professionisti …e una comunità a sostegno… ✦I gruppi di fratelli
✦La sensibilizzazione a scuola ✦La “cultura” dell’autismo… Collaborazione Suggerimenti per il genitore Informarsi sugli sviluppi della ricerca e sulle buone prassi per l’autismo Chiarire con il professionista prima di iniziare un intervento, la propria posizione, i propri obiettivi e le proprie aspettative Fare richieste chiare, decise, operative, motivate ma non aggressive Implicarsi, per quanto concerne il proprio ruolo, nel lavoro educativo Confrontarsi con altri genitori e lavorando per un progetto comune che ampli le conoscenze e la cultura sull’autismo Lavorare a livello politico affinché siano diffuse e accettate le buone prassi Aiutare il professionista concretamente e politicamente a migliorare il servizio Essere consapevole di non poter aiutare “professionalmente” il proprio figlio (magari, altri bambini, si!) e di dover avere fiducia in un buon professionista INFO Per essere sempre aggiornati sul punto di vista dei genitori, si suggerisce di abbonarsi a: INFORMAUTISMO Per informazioni: Autismo Italia – ONLUS, via Pinaroli, 3, 20135 Milano, tel 02 54107499, fax 02 54104154, e mail giavivan@tin.it www.autismoitalia.org il sito di Autismo Italia, curato da Donata Vivanti Bollettino dell’ANGSA Per informazioni: ANGSA, via Casal Bruciato, 13, 00159 Roma, tel e fax 06 43587666, www.angsaonlus.org È possibile leggere testi scritti da genitori, come: Claiborne Park C (2001) Via dal Nirvana: vita con una figlia autistica. Astrolabio: Roma Sereni C (1994) Diario. In AAVV, Mi riguarda, e/o: Roma Oppure libri in cui viene preso in considerazione il punto di vista dei genitori, come: Asperger H (2003) Bizzarri, isolati e intelligenti. Erickson: Trento Brauner A & F (1983) Vivere con un bambino autistico. Giunti Barbera: Firenze Brauner A & F (1986, it 2002) Storia degli autismi. Erickson: Trento Hanau C. & Mariani Cerati D. (a cura di) (2003) Il nostro autismo quotidiano: storie di genitori e figli. Erickson: Trento Peeters T (1998) Autismo infantile. Phoenix: Roma Powers M (1994) Autismo: guida per genitori ed educatori. Raffaello Cortina: Milano Schopler E (1998) Autismo in famiglia: manuale di sopravvivenza per genitori. Erickson: Trento
La relazione d’aiuto Dispensa di Flavia Caretto fcaretto@libero.it università di roma tor vergata Che cos’è la relazione d’aiuto La “relazione d’aiuto” è un processo che comporta una crescita di una o di entrambe le persone coinvolte attraverso la relazione Nel contesto delle relazioni d’aiuto, è possibile individuare una linea di “specializzazione” progressiva, che parte dalle relazioni spontanee della vita quotidiana per arrivare a forme di aiuto via via più complesse che si definiscono (…) come counseling o psicoterapia (adattato da Carkhuff, 1987, it ’98, vol. 1) Il counseling Il counseling consiste nell’aiutare qualcuno a comprendere una situazione e a gestire un problema prendendo da solo e pienamente la responsabilità delle eventuali scelte (autodeterminazione) Si basa sul presupposto che nella persona vi siano le risorse interiori e che l’aiuto debba consistere nel rendere possibile una riattivazione o riorganizzazione di queste risorse originarie gli atteggiamenti personali dell’helper I due “attori” del counseling possono essere definiti helper o colui che aiuta e colui che viene aiutato (paziente? cliente? Persona!) Due autori hanno definito gli atteggiamenti o disposizioni personali dell’helper come Rogers autenticità e congruenza accettazione positiva incondizionata empatia Carkhuff confronto e immediatezza
Autenticità e congruenza Essere se stessi, ovvero essere realmente come si appare, senza negare la propria personalità ma esprimendola Mostrare una autentica congruenza o coerenza fra ciò che si è e ciò che si sente (emozioni) ciò che si pensa (pensieri) ciò che si fa (comportamenti) Accettazione positiva incondizionata Essere interessati sinceramente e profondamente all’altro come essere umano, sospendendo il giudizio su idee e motivazioni, sentimenti e comportamenti dell’altro Empatia Capacità di mettersi al posto dell’altro, di vedere il mondo come lo vede l’altro, nei suoi significati più intimi e personali; sentire insieme all’altro (come se si fosse l’altro), continuando a mantenere la propria identità senza eccessiva intellettualizzazione e senza confondersi con l’altro e provare per forza “simpatia” (avere sentimenti positivi di adesione personale in comune con l’altro) Confronto e immediatezza Essere pronti a confrontarsi su discrepanze o incongruenze distorsioni giochi e tattiche relazionali evasioni Essere capaci di riferirsi a ciò che avviene nella relazione al momento
Gli stili di comunicazione Aggressivo Passivo Aggressivo – Passivo ASSERTIVO Le modalità della relazione d’aiuto L’accoglienza L’attenzione, l’ascolto e il rispecchiamento La parafrasi Gli esempi, le metafore, i gerghi L’autorivelazione L’uso delle informazioni La ridefinizione Disporsi all’accoglienza Una pausa di “silenzio” fra due incontri Preparare il setting Spazio Connotazione degli ambienti Disposizione delle sedie Personalizzazione dell’arredo Tempo Comunicare calma e disponibilità Presentazione e cura di sé Abbigliamento, trucco, capigliatura Pulizia, monili, profumi Attenzione, ascolto e rispecchiamento Dare attenzione e ascolto Sguardo Retroazione o feedback Assenso vocale e motorio Rispecchiamento para verbale e non verbale Para verbale Volume, altezza, intensità, velocità, fluenza Non verbale Mimica, gestualità, orientazione e postura
Movimenti Distanze e spazi interpersonali La parafrasi “Parafrasare” significa riformulare verbalmente quello che l’interlocutore sta dicendo, ripetendolo con parole proprie, riassumendolo e chiarificandolo Si può parafrasare cominciando con: Lei mi sta dicendo… Se ho ben capito… Quindi mi sembra che… In altre parole… … Non si tratta di ripetere “a pappagallo” ciò che ha detto l’interlocutore! Bensì di “riorganizzare” ciò che dice l’altro in maniera personale ma senza “tradirne” il senso. La parafrasi può essere fatta: al contenuto Riformulazione dei contenuti espliciti, dei “fatti” raccontati dall’altro Risponde alle domande: cosa è successo? Di cosa mi sta parlando? Come mi sentirei io al suo posto? all’emozione Riproposizione dei sentimenti che l’altro dice di aver provato o che sembra provare al momento Risponde alle domande: come si è sentito? Come si sente adesso? al significato Riproposizione di contenuti ed emozioni insieme Risponde alle domande: qual è il senso di ciò che dice questa persona e di come lo dice? Cosa sta cercando veramente di dirmi? Il linguaggio verbale Gli esempi Le metafore Uso di linguaggio gergale Uso di linguaggio tecnico Dare del tu, del lei, del voi L’autorivelazione L’autorivelazione ovvero il “parlare di sé” può essere fatto nella relazione d’aiuto, quando è davvero pertinente, non per suscitare “simpatia” o per togliere uno spazio all’interlocutore, bensì per fornire l’esempio di un’esperienza sentita con un’autentica partecipazione
“stare” insieme…quando le cose sono difficili… Quando l’altro ci porta sentimenti di lutto, di disperazione, di impotenza… cosa possiamo fare? Imparare a “stare” insieme su qualcosa, condividere in silenzio, “risuonare” della stessa emozione, senza andare in pezzi… aiutare…quando è impossibile cambiare le cose… Imparare ad accettare che certe cose non si possono cambiare: si può aiutare qualcuno a convivere meglio con gli eventi aiutare…quando vorremmo cambiare l’altro… “... Per quanto si possa desiderarlo, non si può salvare lo spirito di un’altra persona. Si può soltanto indurlo a lottare per salvarsi…” (Donna Williams) Imparare ad accettare che non possiamo cambiare l’altro: possiamo solo aiutarlo a trovare una motivazione a cambiare, e sostenerlo nel suo percorso Fornire informazioni Mettere in grado l’interlocutore di reperire informazioni Citare le fonti Distinguere il parere personale dalla fonte Contestualizzare, ovvero: • manipolazione vs correttezza e umiltà • dire “la verità” senza ferire e senza “rovesciare il carico” dell’informazione sull’interlocutore Ridefinire “Ridefinire in positivo” significa cogliere la parte della situazione “utilizzabile” concretamente per un possibile miglioramento di fatto o di prospettiva (accettazione) Insegnare a ridefinire in positivo Mostrandosi come modelli Sollecitando la ridefinizione con domande dirette Aiutare ad identificare obiettivi Con il problem solving Come vorrebbe che andasse, invece? Cosa si potrebbe fare?
Quali potrebbero essere le conseguenze? È realistico? È davvero attuabile? Un aiuto a partire concretamente Riassumere quello che è stato fatto Definire insieme le cose da fare Obiettivi Attività Fare un “piano” a piccoli passi Dare speranza, mostrare disponibilità e presenza E poi? E poi, salutare. Salutare… “mia madre mi diceva: lascia un piccolo oggetto alle persone, si ricorderanno di te…” Finite con qualcosa di positivo Date qualcosa all’altro (metaforicamente o concretamente), lasciandolo libero di “prenderla” o meno Non pensate che DEBBA esserci un seguito: definite appuntamenti futuri, ma chiudete ogni incontro come se fosse l’unico Lasciate sempre aperta una porta Le regole del counseling Adattate da Meier e Davis. Guida al Counseling: in 40 regole fondamentali, cosa fare e non fare per costruire un buon rapporto d’aiuto. Franco Angeli Le regole del counseling Entrate in contatto con la persona Prepararsi ad accogliere Presentarsi Fase sociale Create un’alleanza Spiegate alla persona chi siete e quello che farete insieme, ed eventualmente alcune “regole” (es: il segreto professionale…)
Accompagnate e guidate la persona: non siete voi a decidere per l’interlocutore, ma dovete essere realmente presenti! Parlate poco Se non sapete cosa dire, non dite niente Quanto più avete fatto sentire la persona sostenuta, tanto più potete fare delle “obiezioni” Se volete cambiare qualcosa, fatene oggetto del counseling Personalizzate: usate le vostre parole, i vostri oggetti, i vostri gesti… con consapevolezza! Attenti alle resistenze: se la persona non vuole entrare in contatto con qualcosa… ha i suoi buoni motivi! Se affrontate una problematica, attenti: dovete poi saperla gestire! Se avete dei dubbi, state attenti ai sentimenti Ragionate in maniera paradossale: dandovi sempre obiettivi per un prossimo incontro, ma facendo in modo che l’incontro presente sia qualcosa di “finito” (come “psicoterapia a seduta singola” Guardate sempre al presente e al futuro Fatevi un “programma” che preveda sempre la fine degli incontri Non date consigli a buon mercato: nelle cose ci vuole buon senso, ma il buon senso spesso non è sufficiente… Non date soluzioni premature: insegnate all’altro a risolvere i problemi Non contate troppo sulle domande in cui chiedete “perché” o esplicitamente le motivazioni dell’interlocutore (soprattutto con i bambini e gli adolescenti!) Fate molta attenzione a ciò che la persona dice e a come lo dice State attenti ai messaggi non verbali e alle incongruenze fra diversi livelli comunicativi Concentratevi completamente sulla persona Siate concreti Attenzione alle metafore, agli esempi, ecc…: a quelli usati dalla persona e a quelli che usate voi Fate costantemente il punto della situazione Pensiero positivo e pensiero razionale non sono la stessa cosa! Fate attenzione alle idee irrazionali, anche se non è detto che sapere che una determinata idea sia irrazionale serve a “liquidarla” facilmente! L’intesa non è la stessa cosa dell’empatia Non pensate che cambiare sia facile! Fate le vostre valutazioni, ma non date giudizi! Non date per scontato di conoscere i sentimenti, i pensieri e i comportamenti dell’interlocutore
Non siate troppo sicuri di sapere come la persona reagirà a pensieri, sentimenti e comportamenti Cercate di prevedere possibili situazioni di “emergenza” Mantenete il controllo della situazione Cercate di capire chi ha più bisogno di aiuto Sottolineate tutti gli elementi positivi Mobilitate tutta la rete di rapporti sociali State attenti a variabili quali il genere, l’età, la razza, l’orientamento sessuale… Pur offrendo disponibilità, siate disponibili a considerare anche la modificazione del rapporto, l’interruzione, l’invio Documentatevi! E passate informazioni quando è necessario. State attenti che non si verifichino dei peggioramenti Continuate a seguire l’evoluzione degli studi Documentate il vostro lavoro: scrivete sempre qualcosa, ma attenzione al modo in cui prendete appunti durante il colloquio Se la persona non viene ad un appuntamento, non la prendete come un fatto personale, ma cercate di analizzare le motivazioni senza fare troppe “scene” Sistemate il setting nel modo migliore e… rispettatelo! Vestite ecc… in modo appropriato Collocate le sedie Fate in modo che l’ambiente sia il più possibile confortevole, calmo, silenzioso Evitate interruzioni e distrazioni (telefonini!) Siate sempre puntuali Tenete con voi i fazzolettini di carta Raccontate dei vostri clienti solo ai colleghi e in ambiti professionali Siate consapevoli delle vostre caratteristiche, motivazioni, problemi Perché hai deciso di iniziare questa professione? Quali sono le emozioni che ti mettono a disagio? Che tipo di soddisfazioni ti aspetti dal lavoro? Come reagirai ai sentimenti che le persone nutriranno nei tuoi confronti? Come reagirai ai sentimenti che nutrirai nei confronti delle persone con cui lavorerai? Riesci ad essere flessibile, tollerante e delicato? Siate aperti alla supervisione Supervisione di un “maestro” Supervisione reciproca fra colleghi Supporto e aiuto reciproco fra colleghi Non nascondetevi dietro i test Per i problemi etici, consultatevi
Situazioni particolari nel counseling Una relazione “amicale” o di innamoramento Accettare regali Richieste eccessive o alle quali non ci si sente comunque in grado di rispondere Il coinvolgimento in “giochi” relazionali: es: la coalizione … Il senso della relazione d’aiuto Cosa significa “SERVIZIO” Cosa significa “PRENDERSI CURA” di qualcuno Forza, coraggio e capacità… “signore, dammi la forza di cambiare ciò che posso cambiare, il coraggio di accettare ciò che non posso cambiare, e la capacità di vedere la differenza…” Bibliografia Carkhuff R. (1987, it 1989) L’arte di aiutare (2 vol). Erickson: Trento Dass R. & Gorman P. (1985, it 1990) Io e gli altri. Cittadella: Assisi Goldfarb LA et al. (1986, it 1990) La sfida dell’handicap e della malattia cronica: guida all’auto aiuto per la famiglai e gli operatori professionali. Erickson: Trento Hough M. (1996, it 1999) Abilità di counseling: manuale per la prima formazione. Erickson: Trento Mambriani S. (1992) La comunicazione nelle relazioni d’aiuto. Cittadella: Assisi Meier ST & Davis SR (1993, it 1994) Guida al counseling: in 40 regole fondamentali, cosa fare e non fare per costruire un buon rapporto d’aiuto. Franco Angeli: Milano Mucchielli R. Apprendere il counseling. Erickson: Trento Grazie! Flavia Caretto fcaretto@libero.it
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