Società sportive e modelli di organizzazione e gestione a confronto
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Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752 Direttore responsabile: Antonio Zama Società sportive e modelli di organizzazione e gestione a confronto verso un modello “integrato” 29 Giugno 2021 Roberto Compostella *Contributo sottoposto a referaggio secondo le regole della rivista Abstract Il contributo si propone di analizzare le specificità del modello di organizzazione, gestione e controllo nelle società sportive. In particolare, l’obbiettivo principale sarà quello di comprendere se il modello disciplinato dalla normativa sportiva ed in particolare dal nuovo Codice di Giustizia Sportiva e dallo Statuto della F.I.G.C. corrisponda al modello disciplinato dal d.lgs. n. 231/01 ovvero se non sia un modello differente. In ultimo, ritenendo che tali modelli siano tra loro differenti, si prenderà in considerazione la possibilità di redazione, da parte delle società sportive, di un unico modello integrato che tenga conto di entrambe le discipline. Abstract This work’s purpose consists of analyzing the specific hallmarks of the sports associations’ OM. Specifically, the main issue that the author will take on is whether the OM as regulated by sport law for the sports associations matches with the OM as disciplined by Legislative Decree no. 231/01, or if the two are different from each other. Finally, assuming that the OMs are different, the author will attempt to weigh on whether it may be a feasible option to draft a model that includes both disciplines. Sommario 1. Il modello di organizzazione e gestione nelle società sportive; il caso della F.I.G.C. 2. Il modello di organizzazione e gestione “sportivo” ed il modello ex d.lgs. n. 231/01: quali le differenze? 2.1. Le differenze tra la responsabilità amministrativa degli enti e la responsabilità sportiva. 2.2. Il modello di organizzazione e gestione nella prassi delle società calcistiche italiane. 2.3. Una prima parziale conclusione: modelli a confronto. 3. La costruzione del modello “sportivo”. 4. L’unificazione dei modelli 231 e sportivo: verso un modello integrato. 5. L’introduzione del reato di frode nelle competizioni sportive ed esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa nel novero dei reati presupposto ex d.lgs. n. 231/01. Ricadute in tema di avvicinamento tra modelli. 6. Conclusioni
Summary 1. The organization model in sports clubs; the case of F.I.G.C. 2. The “sports” organization model and the model ex Legislative Decree no. 231/01: which differences? 2.1. The differences between the administrative liability of the companies and the sporting liability. 2.2. The organization and management model in the Italian football clubs’ practice. 2.3. A first partial conclusion: models compared. 3. The construction of the “sportive” model. 4. The unification of the 231 and sports models: towards an integrated model. 5. The introduction of the crime of fraud in sports competitions and the abusive exercise of gambling or betting activities in the category of predicate offenses pursuant to Legislative Decree no. 231/01. Effects in terms of rapprochement between models. 6. Conclusions 1. Il modello di organizzazione e gestione nelle società sportive; il caso della F.I.G.C. d.lgs. n. 231/01 sono applicabili, ai sensi dell’art. 1, a tutti gli enti forniti di personalità giuridica, alle società e associazioni, quand’anche prive di personalità giuridica; in tale elenco rientrano, pacificamente, anche le società sportive[1]. Rispetto a tali società, tuttavia, occorre osservare preliminarmente che il complesso di norme di cui al d.lgs. n. 231/01 va necessariamente integrato con la normativa di settore[2], al fine di comprendere la corretta operatività del modello, sia con riferimento alla funzione esimente / attenuante, sia con riferimento alla disciplina applicabile; tale normativa, peraltro, è stata oggetto di recenti interventi, volti proprio a valorizzare il ruolo del modello in caso di sanzioni derivanti dalla commissione di illeciti sportivi[3]. Il riconoscimento in termini di esimente / attenuante dell’adozione da parte delle società calcistiche di un modello di organizzazione e gestione era disciplinata, sia pur in una forma molto attenuata, già dal previgente Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C. In particolare, l’art. 13 prevedeva una circostanza attenuante o una esimente (a seconda dei casi) limitata invero alle sole ipotesi di fatti violenti posti in essere dai propri sostenitori o di comportamenti discriminatori, applicabile nel caso in cui ricorressero almeno tre delle seguenti circostanze: a) l’aver adottato ed efficacemente attuato, prima del fatto, un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire comportamenti della specie di quelli verificatosi, avendo impiegato a tal fine risorse finanziarie ed umane adeguate; b) l’aver cooperato con le forze dell’ordine e le altre autorità competenti; c) l’aver, al momento del fatto, immediatamente agito per rimuovere disegni, scritte, simboli, emblemi o simili o per far cessare i cori e le altre manifestazioni di violenza o di discriminazione; d) l’aver, altri sostenitori, manifestato la propria dissociazione da tali comportamenti; e) non aver omesso o prestato insufficiente prevenzione e vigilanza[4]. Risulta evidente, già dalla semplice lettura della norma, che tali effetti “benefici” derivanti dell’adozione di un modello di organizzazione e gestione da parte di una società calcistica erano troppo limitati[5] per poter realmente fungere da incentivo: da un lato, infatti, erano circoscritti solo ad alcuni tipi di condotte (solo fatti violenti posti in essere dai propri sostenitori o comportamenti discriminatori) e dall’altro necessitavano di ulteriori requisiti. Al contrario, tali restrizioni non erano e non sono presenti nella disciplina del d.lgs. n. 231/01, ove è
previsto che l’ente non risponda nel caso in cui abbia efficacemente adottato, prima della commissione di un reato (qualunque esso sia, senza limitazioni derivanti dal tipo di illecito) un modello di organizzazione e gestione[6], senza che siano richiesti ulteriori requisiti estranei alla corretta adozione del modello stesso[7]. La corretta implementazione del modello, peraltro, nel d.lgs. n. 231/01, è valorizzata anche in una prospettiva riparatoria post factum; l’art. 12 prevede infatti una circostanza attenuante applicabile a condizione che l’ente, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, abbia risarcito integralmente il danno, abbia eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ed abbia adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi[8]. Proprio la distanza normativa tra le previsioni contenute nel Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C. e nel d.lgs. n. 231/01 aveva reso necessario, al fine di incentivare l’adozione dei modelli nelle società calcistiche, una revisione del Codice; ciò anche e soprattutto alla luce della giurisprudenza sportiva che sul tema si era espressa nel senso dell’impossibilità di estendere, nella vigenza di tali norme, le disposizioni di maggior favore contenute nel decreto ai casi di violazioni sportive, attraverso un’operazione analogica[9]. In particolare, si discuteva della possibilità, nel caso in cui la società calcistica avesse effettivamente adottato ed implementato il modello organizzativo prima della commissione dell’illecito sportivo, di applicare analogicamente la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 231/01, in luogo della disciplina più restrittiva prevista dall’art. 13 del Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C. La giurisprudenza sportiva, tuttavia, non ha mai aderito in tal senso rilevando che: «l’art. 7, comma 2, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 non può fungere da scriminante nella fattispecie, in quanto la sua applicazione andrebbe a delineare, in senso negativo, la responsabilità oggettiva del club secondo parametri che, oltre ad essere del tutto estranei rispetto a quelli dell’ordinamento sportivo, ne stravolgerebbero la ratio»[10]. Tale disciplina, anche e soprattutto sulla scorta di sollecitazioni dottrinali[11], è stata di recente aggiornata ad opera del Nuovo Codice di Giustizia Sportiva approvato dalla Giunta Nazionale del CONI con deliberazione dell’11 giugno 2019, n. 258, che ha innovato in maniera sostanziale l’assetto relativo all’efficacia dell’adozione del modello nei procedimenti sportivi. Nello specifico, l’art. 7 ha introdotto una circostanza attenuante o una scriminante applicabili alla società la quale abbia efficacemente adottato il modello di organizzazione, gestione e controllo, così come definito dal comma quinto dell’art. 7 dello Statuto della F.I.G.C.
Secondo tale norma, il modello di organizzazione, gestione e controllo deve prevedere, tenuto conto della dimensione della società e del livello agonistico in cui si colloca: «a) misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività sportiva nel rispetto della legge e dell’ordinamento sportivo, nonché a rilevare tempestivamente situazioni di rischio; b) l’adozione di un codice etico, di specifiche procedure per le fasi decisionali sia di tipo amministrativo che di tipo tecnico-sportivo, nonché di adeguati meccanismi di controllo; c) l’adozione di un incisivo sistema disciplinare interno idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello; d) la nomina di un organismo di garanzia, composto di persone di massima indipendenza e professionalità e dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, incaricato di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento»[12]. 2. Il modello di organizzazione e gestione “sportivo” ed il modello ex d.lgs. n. 231/01: quali le differenze? La normativa contenuta nel Nuovo Codice di Giustizia Sportiva nonché nello Statuto della F.I.G.C., pur attribuendo valenza attenuante / escludente della responsabilità alla corretta previa adozione ed implementazione del modello organizzativo da parte della società calcistica, non dedica norme di dettaglio atte a comprendere i caratteri fondamentali di tale modello. Occorre preliminarmente osservare che nel silenzio delle norme e già nella vigenza della precedente normativa di giustizia sportiva, si sarebbe potuto ritenere che il modello di organizzazione e gestione al quale faceva riferimento l’art. 13 del previgente CGS della F.I.G.C. fosse il modello disciplinato dal d.lgs. n. 231/01 tout court. Secondo tale ricostruzione, in altri termini, la società sportiva, per poter usufruire dei “benefici” già previsti dall’art. 13 e oggi previsti dall’art. 7 del CGS, si sarebbe potuta limitare ad adottare un modello di organizzazione e gestione seguendo la disciplina prevista dalle norme del d.lgs. n. 231/01 che avrebbe esplicato la sua efficacia sia nell’eventuale processo penale a carico dell’ente, sia nell’eventuale procedimento sportivo derivante da un illecito F.I.G.C. Tale interpretazione, tuttavia, non pare condivisibile per almeno due ordini di ragioni: anzitutto perché il modello 231/01, essendo prodromico alla prevenzione dei reati e non degli illeciti F.I.G.C., non avrebbe alcuna capacità (salvo i casi di coincidenza tra reato ed illecito) di prevenire la commissione di tali illeciti. In secondo luogo, una tale ricostruzione pare altresì smentita dai più recenti esempi di modelli di organizzazione e gestione implementati dalle società sportive e dalla stessa Lega Serie A che, come si vedrà nel prosieguo, sono strutturalmente diversi dai modelli disciplinati dal d.lgs. n. 231/01, nonché dalle linee guida adottate in data 1° ottobre 2010 dalla F.I.G.C. 2.1 Le differenze tra la responsabilità amministrativa degli enti e la responsabilità sportiva La responsabilità amministrativa degli enti presuppone la possibilità di muovere loro un “rimprovero”, trovando la sua ragion d’essere nella “colpevolezza dell’ente”; la responsabilità sportiva, al contrario, si basa essenzialmente sul criterio di imputazione oggettiva. Con riferimento alla responsabilità amministrativa, infatti, secondo quanto già stabilito dalla Relazione Governativa al d.lgs. n. 231/01: «Il reato dovrà costituire anche espressione della politica aziendale o quanto meno derivare da una colpa di organizzazione»[13]; colpa di organizzazione che è stata individuata dalla giurisprudenza della Suprema Corta nell’: «Omissione delle previste doverose cautele organizzative e
gestionali idonee a prevenire talune tipologie criminose. In tale concetto di "rimproverabilità" è implicata una forma nuova, normativa, di colpevolezza per omissione organizzativa e gestionale, avendo il legislatore ragionevolmente tratto dalle concrete vicende occorse in questi decenni, in ambito economico e imprenditoriale, la legittima e fondata convinzione della necessità che qualsiasi complesso organizzativo costituente un ente ai sensi del D.Lgs., art. 1, comma 2, adotti modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire la commissione di determinati reati»[14]. Il criterio di attribuzione della responsabilità sportiva, al contrario, si basa sull’imputazione oggettiva, con la conseguenza che l’ente sarà responsabile dell’illecito del tutto a prescindere da eventuali profili colposi o dolosi. Più in particolare, nell’ordinamento sportivo sono previste diverse ipotesi di responsabilità: una responsabilità “diretta” nel caso in cui la condotta sia stata posta in essere da un soggetto direttamente rappresentate della società; una responsabilità “oggettiva” nel caso in cui la condotta sia stata posta in essere da un soggetto tesserato o apicale; una responsabilità “presunta” nel caso in cui l’autore sia persona estranea alla società purché abbia determinato un “vantaggio” in capo alla stessa (salvo non si dimostri che l’ente era del tutto estraneo a tale condotta)[15]. Tale evidente differenza in termini di ascrizione della responsabilità all’ente, ovvero di tipo colposo nella disciplina del d.lgs. n. 231/01 e di tipo oggettivo nella disciplina sportiva, permette di avanzare alcune considerazioni sulla funzione che il modello di organizzazione e gestione può rivestire in entrambi i settori. Ai sensi della disciplina dettata dal d.lgs. n. 231/01, la corretta predisposizione, l’adozione e l’efficace implementazione del modello prima della commissione del reato da parte della persona fisica, permettono di escludere quel profilo di “colpa in organizzazione” su cui si fonda la pretesa punitiva mentre l’eventuale adozione postuma, pur non facendo venire meno tale rimprovero colposo, ne attenua il grado. In un siffatto sistema, pertanto, l’adozione del modello esclude la “rimproverabilità” dell’ente e ne giustifica (e ne impone!) l’impunità. Diversamente, nell’ordinamento sportivo il ruolo del modello nella dinamica punitiva risulta meno evidente. Se il criterio di imputazione dell’illecito sportivo nei confronti dell’ente si basa sulla sola ascrizione obbiettiva, infatti, mal si comprende la ragione alla base dell’esclusione della responsabilità per l’ente in caso di previa adozione del modello di organizzazione e gestione[16]. Un secondo aspetto di netta differenza tra i due modelli è quello relativo alle condotte che proprio l’adozione dello stesso dovrebbe prevenire. Nel modello ex d.lgs. n. 231/01, evidentemente, le condotte che attraverso la corretta implementazione del modello dovrebbero essere prevenute sono quelle e solo quelle che potrebbero costituire uno dei reati previsti dagli artt. 24 e ss.; ciò spiega perché, nella redazione del modello assume particolare importanza l’attività di valutazione del rischio, attraverso la quale, previa la mappatura dei processi aziendali sensibili, si fornisce un quadro dei rischi da reato presenti nell’ente. Nel modello “sportivo”, al contrario, pare che l’attività di valutazione del rischio debba essere indirizzata alla prevenzione non dei reati ma degli illeciti sportivi (nel caso della Federazione Giuoco Calcio, gli illeciti F.I.G.C.). Così, nell’attività di
mappatura dei rischi del modello “sportivo” si dovrà prendere in considerazione la possibilità di verificazione dei singoli illeciti F.I.G.C., assegnarne un livello di rischio e prevedere procedure atte ad impedirne la realizzazione. 2.2. Il modello di organizzazione e gestione nella prassi delle società calcistiche italiane Confrontando i modelli di organizzazione e gestione delle principali società calcistiche professionistiche italiane, risulta evidente che il modello di organizzazione adottato è strutturalmente molto diverso dal modello disciplinato dal d.lgs. n. 231/01. Si può primariamente prendere come riferimento il MOG della Lega Nazionale Professionisti Serie A, approvato dall’Assemblea della Lega Nazionale Professionisti di Serie A in data 20 aprile 2012. Nella descrizione dello scopo e dei principi di base, si chiarisce che esso è orientato a determinare, da un lato le «aree a rischio reato» e dall’altro le «aree di rischio […] illecito F.I.G.C.»[17]. Per raggiungere tale obiettivo, la metodologia utilizzata è stata l’identificazione, al contempo, dell’esistenza di attività a rischio di commissione: «(i) di uno dei reati che presuppongono la responsabilità dell’ente o (ii) di un illecito F.I.G.C. e dei presidi e controlli ad essi riferiti»[18] Completa il modello la parte relativa alle incompatibilità dei membri dell’ODV che, oltre a quelle previste dalla normativa ex d.lgs. n. 231/01, sono integrate dalla normativa della F.I.G.C. Analogamente, tra le società sportive, virtuoso è l’esempio dell’Associazione Calcio Milan S.p.A. che, alla luce delle già citate modifiche del CGS della F.I.G.C., ha aggiornato il MOG nel 2019[19]. Tra le modifiche più rilevanti, per quanto d’interesse ai fini del presente contributo, v’è la previsione che il modello venisse adeguato alle più recenti prescrizioni dell’ordinamento sportivo: «Adoperandosi ad individuare nella c.d. fase di Risk Assessment le Aree a Rischio Reato relative agli illeciti sportivi, […] al fine di dettare a tutti i Destinatari i principi e le norme di comportamento che devono essere seguite nelle aree che potrebbero essere potenzialmente impattate dalla commissione degli illeciti sportivi previsti dal CGS»[20]. Sono poi stati valutati i singoli illeciti previsti dal CGS ed, in particolare, sono stati ritenuti rilevanti: a) doveri generali di comportamento e riservatezza (art. 22 c. 4), b) dichiarazioni lesive (art. 24), c) divieto di scommesse e obbligo di denuncia (art. 24), d) prevenzione di fatti violenti (art. 25), e) fatti violenti dei sostenitori (art. 26), f) comportamenti discriminatori (art. 28), g) illecito sportivo e obbligo di denunzia (art. 30), h) violazioni in materia gestionale ed economica (art. 31), i) doveri e divieti in materia di tesseramenti, trasferimento, cessioni e controlli societari (art. 32)[21]. 2.3. Una prima parziale conclusione: modelli a confronto Possono già essere tratte alcune parziali conclusioni: il modello di cui all’art. 7 del CGS della F.I.G.C., prodromico ad ottenere per la società sportiva un’attenuazione o un’esclusione della pena, non pare essere il modello ex d.lgs. n. 231/01. Tale conclusione è ora confermata dalle Linee Guida di cui all’art. 7 c. 5 dello Statuto Federale della F.I.G.C., adottate nell’assemblea del 1° ottobre 2019. In tale documento, infatti, si riconosce espressamente che: «I Modelli di prevenzione, adottati in base alle presenti Linee guida, adottati su base volontaria ai fini
della applicazione dell’art. 7 del Codice di Giustizia Sportiva, perseguono finalità diverse rispetto ai modelli organizzativi predisposti ai sensi del D.Lgs. 231/2001 (di seguito “Modelli 231”). Ed infatti i Modelli di prevenzione sono volti a prevenire il compimento da parte delle società di atti contrari ai principi di lealtà, correttezza e probità previsti dall’ordinamento sportivo, mentre i Modelli 231 sono volti a prevenire il compimento di quei reati contemplati dal Codice Penale che costituiscono presupposto della responsabilità delle società ai sensi del D.Lgs. 231. Ove la società abbia adottato il Modello 231, sarà opportuno un coordinamento di tale Modello 231 con il Modello di prevenzione»[22]. Premessa la differenza tra i due modelli, la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 231/01, pur non essendo direttamente applicabile in tutte le sue disposizioni nel caso di modelli “sportivi”, ben può essere considerata come disciplina residuale per tutti gli aspetti non compiutamente normati dalla normativa F.I.G.C. In concreto, nella redazione del modello sportivo, le società potranno compiutamente fare affidamento sulle norme contenute nel decreto e sull’interpretazione che di tali norme è stata fornita dalla dottrina e dalla giurisprudenza, naturalmente adattandole alle finalità di tale modello. Per leggere il contributo integrale, CLICCA QUI! [1] A. Bassi, F. D’Arcangelo, Il sistema della responsabilità da reato dell’ente, Milano, 2020, 83, secondo cui: «Il d.lgs. n. 231 del 2001 troverà, dunque, applicazione con riferimento […] alle società sportive»; D. Castronuovo, G. De Simone, E. Ginevra, A. Lionzo, D. Negri, G. Varraso (a cura di), Compliance, responsabilità da reato degli enti collettivi, Milano, 2019, 24: «Non sembra, invece, ci siano problemi interpretativi nell’estensione della disciplina ex d.lgs. n. 231/2001 anche alle società di calcio professionistiche»; M. Ippolito, Le società di calcio professionistiche in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, M. Lavis, A. Perini (a cura di), Bologna, 2014, 108, secondo cui: «Non vi sono dubbi nel ritenere che anche le società di calcio professionistiche soggiacciono al regime di responsabilità amministrativa». [2] In particolare, ogni Federazione, per quanto di sua competenza, disciplina gli aspetti relativi alla disciplina sportiva di riferimento. Nel presente contributo, per il particolare interesse nella materia, si privilegerà il riferimento alla normativa, oltre che del C.O.N.I., della F.I.G.C. [3] Ci si riferisce, nello specifico, alle norme contenute nel Nuovo Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C., approvato dalla Giunta Nazionale del CONI, con deliberazione n. 258 dell’11.06.2019. [4] L’art. 13 così recitava: «La società non risponde per i comportamenti tenuti dai propri sostenitori in violazione degli articoli 11 e 12 se ricorrono congiuntamente le seguenti circostanze: a) la società ha adottato ed efficacemente attuato, prima del fatto, modelli di organizzazione e di gestione della società idonei a prevenire comportamenti della specie di quelli verificatisi, avendo impiegato risorse finanziarie ed umane adeguate allo scopo; b) la società ha concretamente cooperato con le forze dell’ordine e le altre autorità competenti per l’adozione di misure atte a prevenire i fatti violenti o discriminatori e per identificare i propri sostenitori responsabili delle violazioni; c) al momento del fatto, la società ha immediatamente agito per rimuovere disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, o per far cessare i cori e le altre manifestazioni di violenza o di discriminazione; d) altri sostenitori hanno chiaramente manifestato nel corso della gara stessa, con condotte espressive di correttezza sportiva, la propria dissociazione da tali comportamenti; e) non vi è stata omessa o insufficiente prevenzione e vigilanza da parte della società. 2. La
responsabilità della società per i comportamenti tenuti dai propri sostenitori in violazione degli articoli 11 e 12 è attenuata se la società prova la sussistenza di alcune delle circostanze elencate nel precedente comma 1». [5] Anche la dottrina aveva sin da subito evidenziato come il circoscritto ambito di applicazione della norma citata non avrebbe costituito un incentivo per le società calcistiche all’adozione del modello; sul punto, si veda C. Cupelli, Problemi e prospettive di una responsabilità da reato degli enti in materia di illeciti sportivi, in Dir. Pen. Cont., 20 dicembre 2013, 12, secondo il quale anche la circostanza che le condotte illecite dovessero essere necessariamente poste in essere dai “sostenitori” e non già anche dai dirigenti, tesserati o soci, contribuiva a restringere oltremodo l’ambito applicativo della norma. [6] Sull’efficacia della corretta adozione del modello ai fini di esimere la responsabilità dell’ente occorre invero distinguere tra i modelli ante factum ed i modelli post factum; mentre i primi, alle condizioni previste dal decreto, è riconosciuta l’effetto di esonero della responsabilità, l’adozione postuma permette che all’ente sia concessa una circostanza attenuante, così come previsto dall’art. 12 c. 2 lett. b) del d.lgs. n. 231/01. In questo senso si veda A. Bassi, F. D’Arcangelo, Il sistema della responsabilità da reato dell’ente. Disciplina e prassi applicative, cit., 165 ss. [7] Nel d.lgs. n. 231/01 si distingue, quanto ai requisiti per l’applicazione dell’esimente, a seconda che reato sia stato commesso dai soggetti apicali o dai soggetti subordinati; mentre, in quest’ultima ipotesi, l’art. 7 prevede la punibilità dell’ente solo nel caso in cui la commissione del reato sia stata possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza (v’è una presunzione di osservanza di tali obblighi qualora vi sia stata previa adozione ed efficace attuazione di un modello di organizzazione idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi nel primo caso), nel caso di soggetti apicali, l’art. 6 prevede che l’ente non risponda se, oltre ad aver adottato ed efficacemente attuato il modello prima della commissione del fatto, abbia nominato un organismo di vigilanza, non vi sia stata omessa o insufficiente vigilanza da parte di tale organismo e gli autori del reato abbiano commesso il reato eludendo fraudolentemente il modello. In dottrina, sulla differenza dei criteri di imputazione dell’ente nel caso di soggetti apicali e subordinati, si vedano: C. E. Paliero, Soggetti sottoposto all’altrui direzione e modelli di organizzazione dell’ente, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, cit., 186 ss., A. Bassi, F. D’Arcangelo, Il sistema della responsabilità da reato dell’ente. Disciplina e prassi applicative, cit. 159 e ss., B. Assumma, M. Lei, Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, cit., 165 ss., D. Castronuovo, G. De Simone, E. Givevra, A. Lionzo, D. Negri, G. Varraso (a cura di), Compliance, cit., 93 e ss., A. Bassi, T.E. Epidendio, Enti e responsabilità da reato. Accertamento, sanzioni e misure cautelari, Milano, 2006, 143 ss.; G. Lattanzi (a cura di), Reati e responsabilità degli enti. Guida al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Milano, 2010, 56 ss. [8] L’art. 12 del d.lgs. n. 231/01 prevede espressamente che: «La sanzione è ridotta da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado: a) l'ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso; b) è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi». [9] Sull’impossibilità di procedimenti analogici nei procedimenti sportivi, si veda il Lodo Ascoli Calcio 1989 S.p.A. c. F.I.G.C. , del 6 dicembre 2012, 12, secondo cui: «Né appare fondata la tesi della ricorrente, allorquando (specialmente nel primo motivo di gravame) cerchi di delineare la responsabilità oggettiva secondo parametri propri di istituti estranei all’ordinamento sportivo (in particolare, quello di cui all’art.
2049 c.c.), dimostrando, in tal modo, di trascurare completamente, da un lato, l’assoluta tipicità e singolarità della fattispecie ex art. 4, comma 2 del C.G.S., e, dall’altro, la non meno acclarata ed inattaccabile autonomia dell’ordinamento sportivo medesimo: convinzione, questa, che la sporadica e, comunque, superata pronuncia del T.A.R. Catania, richiamata dal Sodalizio istante nei propri scritti difensivi, non appare in grado di scalfire». In senso contrario, invece, si veda il Lodo arbitrale dd. 27 ottobre 2006, nel procedimento di arbitrato n. 1336 del 6 settembre 2006 promosso da Juventus F.C. s.p.a. c. F.I.G.C. , 5 e 6, secondo cui, anche se non in termini di esimente ma solo di trattamento sanzionatorio: «la Juventus F.C. s.p.a. si è adoperata per eliminare la possibilità di reiterazioni dell’illecito, revocando i poteri agli amministratori coinvolti e sostituendo integralmente il consiglio di amministrazione, adottando un codice etico e, soprattutto, un modello organizzativo idoneo a prevenire illeciti sportivi» e che tale circostanza debba essere apprezzata: «sul piano del trattamento sanzionatorio, in applicazione analogica della disciplina sulla 6 responsabilità delle persone giuridiche (d.lvo 8 giugno 2001, n. 231), secondo cui allo scopo di determinare l’entità della sanzione, deve farsi riferimento non solo alla gravità del fatto e al grado di responsabilità dell’ente, ma anche all’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti». [10] Lodo arbitrale dd. 10 aprile 2013, nel procedimento di arbitrato prot. 3120 del 19.11.2013 – 687, promosso dal Novara Calcio S.p.A. contro la F.I.G.C.; il Collegio ha poi sottolineato che la normativa di cui al d.lgs. n. 231/01 non potrebbe essere applicata anche e soprattutto perché si struttura intorno alla “colpevolezza”, mentre la responsabilità sportiva è ascritta a titolo di responsabilità oggettiva. In particolare, si legge: «Questa forma di responsabilità, come ripetutamente affermato dai Collegi arbitrali di questo Tribunale, prescinde dalla colpevolezza della società ed opera persino nell’ipotesi in cui dall’infrazione del tesserato discenda uno svantaggio in capo alla società 6 medesima (v. già citato lodo Benevento Calcio S.p.A. c. F.I.G.C., 20 gennaio 2012). Pertanto, allo stato, nel sistema della responsabilità oggettiva calcistica la mancanza di colpevolezza non incide sull’an, bensì eventualmente sulla sola determinazione del quantum della sanzione da irrogare alla società coinvolta». [11] Sul punto, si veda in particolare C. Cupelli, Problemi e prospettive di una responsabilità da reato degli enti in materia di illeciti sportivi, cit., 15, secondo il quale, al fine di incentivare le società sportive ad investire nella redazione ed implementazione del modello di organizzazione, si sarebbe dovuto necessariamente riformare il sistema di “benefici” associati. Tali benefici venivano individuati dall’Autore in attenuazioni o esclusioni della responsabilità, finalizzate in ultima istanza a calmierare il principio di attribuzione della responsabilità vigente nella giustizia sportiva, ovvero la responsabilità oggettiva. Nello specifico, sottolineava l’Autore: «Si perverrebbe così ad un’ascrizione di responsabilità non più rigidamente oggettiva, ma fondata sull’accertamento di condotte delle società meritevoli di rimprovero, quantomeno per non avere adeguatamente previsto e attuato un modello idoneo a prevenire il verificarsi di taluni illeciti». [12] Cfr. art. 7 Nuovo Codice di Giustizia Sportiva, approvato dalla Giunta Nazionale del CONI, con deliberazione dell’11.06.2019, n. 258. [13] Cfr. Relazione governativa al d.lgs. n. 231/01, par. 3.3. ove si analizza il riferimento, di matrice tedesca, della colpa in organizzazione, che viene così definita: «Una rinnovata concezione della colpevolezza in senso normativo (riprovevolezza) consente oggi di adattare comodamente tale categoria alle realtà collettive […] Ai fini della responsabilità dell'ente occorrerà, dunque, non soltanto che il reato sia ad esso ricollegabile sul piano oggettivo (le condizioni alle quali ciò si verifica, come si è visto, sono disciplinate dall'art. 5); di più, il reato dovrà costituire anche espressione della politica aziendale o quanto
meno derivare da una colpa di organizzazione». [14] Cass. Pen., Sez. VI, n. 36083/2009, Rv 244256. In senso contrario rispetto alla teorica della colpa in organizzazione, si veda A. Bassi, T.E. Epidendio, Enti e responsabilità da reato, Accertamento, sanzioni e misure cautelari, cit., 468 ss., secondo il quale: «Il riferimento alla teorica di matrice tedesca della “colpa in organizzazione”, ricostruita oltretutto sulla falsariga dei modelli di organizzazione e controllo, pecca quindi di artificiosità e costituisce una mera sovrastruttura ideologica motivata dall’esigenza di giustificare il rispetto del principio di colpevolezza che si ritiene tutelato dall’art. 27 Cost. e che è modellato sull’esempio della persona fisica. Palese è la fragilità di una ricostruzione teorica della colpa in organizzazione […] Si finirebbe infatti per imporre all’accusato di discolparsi, costruendo così una disciplina, questa sì costituzionalmente illegittima, fondata su una inammissibile presunzione di colpevolezza dell’accusato, che violerebbe pertanto non solo l’art. 27 ma anche l’art. 25 Costituzione. […] Se poi il parametro di rimproverabilità fosse quello della particolare organizzazione adottata dal singolo ente si finirebbe per introdurre una colpa insita nell’ente in sé, a prescindere quindi dal reato commesso e dall’illecito che ne dipende, configurando così una forma peculiare di “colpa d’autore” parimenti ritenuta pacificamente inammissibile e contrario al principio di offensività tutelato dall’art. 27 Costituzione». Sull’esimente relativa all’adozione del modello si veda anche M. Arena, G. Cassano, La responsabilità da reato degli enti collettivi, Milano, 2007, 90 ss., nonché S. Gennai, A. Traversi, La responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, Milano, 2001, 46 ss. [15] Sui caratteri della responsabilità oggettiva nell’ordinamento sportivo, si vedano, A. Canducci, La responsabilità oggettiva nella giustizia sportiva: un architrave su pilastri di argilla, in Riv. dir. econ. dello sport, Vol. IV, n. 1, 2012, 87 ss.; A. Attanasio, Il D.lgs. 231/01 e le società di calcio: analisi e prospettive future, in Riv. dir. econ. dello sport, Vol. X, Fasc. 2, 2014, 91 ss.; G. Valori, Il diritto nello Sport, III ed., Torino, 2016, 238 ss.; A. Manfredi, Considerazioni in tema di responsabilità oggettiva e sua compatibilità con l'ordinamento giuridico generale, in Riv. Dir. Sport., 1987, pp. 55 e ss.; A. Manzella, La responsabilità oggettiva, in Riv. Dir. Sport., 1987, pp. 153 ss.
[16] Diversamente, si potrebbe ritenere di valorizzazione di tale attività di redazione del modello in un’ottica di attenuazione della responsabilità, pur oggettiva, basata sull’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti. In questo senso si era espresso anche il già citato Lodo arbitrale dd. 10 aprile 2013, nel procedimento di arbitrato prot. 3120 del 19.11.2013 – 687, promosso dal Novara Calcio S.p.A. contro la F.I.G.C., secondo il quale: «L’art. 7, comma 2, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 mal si presta a fungere da scriminante nella fattispecie. Il microsistema punitivo delineato dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 presenta connotati marcatamente penalistici e richiede, per poter ascrivere all’ente la responsabilità amministrativa dipendente da reato, la “colpevolezza” dell’ente medesimo, “intesa (in senso normativo) come rimproverabilità” […] Allo stato della normativa della F.I.G.C. , l’attuazione di protocolli di comportamento risulta dunque irrilevante ai fini della configurabilità della responsabilità oggettiva per infrazioni disciplinari dei propri tesserati; e ciò non solo in virtù del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo, ma anche in quanto questa forma di responsabilità, come ripetutamente affermato dai Collegi arbitrali di questo Tribunale, prescinde dalla colpevolezza della società ed opera persino nell’ipotesi in cui dall’infrazione del tesserato discenda uno svantaggio in capo alla società 6 medesima (v. già citato lodo Benevento Calcio S.p.A. c. F.I.G.C. , 20 gennaio 2012). Pertanto, allo stato, nel sistema della responsabilità oggettiva calcistica la mancanza di colpevolezza non incide sull’an, bensì eventualmente sulla sola determinazione del quantum della sanzione da irrogare alla società coinvolta». [17] Cfr. MOG della Lega Nazionale Professionisti Serie A, approvato dall’Assemblea della Lega Nazionale Professionisti di Serie A in data 20 aprile 2012, 26. [18] Cfr. loc. ult. cit., 27. [19] Altri esempi si potrebbero citare; tra i tanti, di particolare interesse è quello relativo alla Società Genoa che ha implementato un «codice per la prevenzione degli illeciti sportivi, attraverso un pool di professionisti che prestano attività di assistenza e consulenza in materia di elaborazione, aggiornamento ed attuazione di modelli di organizzazione […] Tale iniziativa si sostanzia nella stesura di un codice, vale a dire un complesso di regole, accompagnate da previsioni di carattere sanzionatorio, volto a prevenire la commissione di illeciti sportivi e specificamente di condotte rilevanti ai sensi degli artt. 6 (divieti in materia di scommesse e obbligo di denuncia) e 7 (illecito sportivo e obbligo di denuncia) del CGS», A. Attanasio, Il d.lgs. 231/2001 e le società di calcio: analisi e prospettive future, cit., pp. 99 e ss. [20] Cfr. MOG dell’Associazione Calcio Milan S.p.A., dd. 28.06.2019. [21] Cfr. loc. ult. cit., 19. [22] Linee Guida di cui all’art. 7 c. 5 dello Statuto Federale della F.I.G.C., adottate nell’assemblea del 1° ottobre 2019. TAG: Sistema 231, sport, società sportiva Avvertenza La pubblicazione di contributi, approfondimenti, articoli e in genere di tutte le opere dottrinarie e di commento (ivi comprese le news) presenti su Filodiritto è stata concessa (e richiesta) dai rispettivi autori, titolari di tutti i diritti morali e patrimoniali ai sensi della legge sul diritto d'autore e sui diritti connessi (Legge 633/1941). La riproduzione ed ogni altra forma di diffusione al pubblico delle predette opere (anche in parte), in difetto di autorizzazione dell'autore, è punita a norma degli articoli 171, 171-bis, 171- ter, 174-bis e 174-ter della menzionata Legge 633/1941. È consentito scaricare, prendere visione, estrarre
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