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Università Commerciale Luigi Bocconi
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   Centre for Research on the Public Sector

SHORT NOTES SERIES

       Due libri importanti

          Roberto Artoni

          Short note n. 10

           January 2007

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DUE LIBRI IMPORTANTI

Negli ultimi anni J.S.Hacker, un politologo dell’Università di Yale, ha pubblicato due libri
importanti, di grande interesse per tutti gli scienziati sociali e quindi anche per gli economisti. Il
primo, The Divided Welfare State (Cambridge University Press,2002), ripercorre la storia dei
meccanismi di protezione sociale operanti negli Stati Uniti, evidenziando similarità e differenze
rispetto agli assetti europei. Il secondo, The Great Risk Shift (Oxford University Press, 2006) ,
uscito negli ultimi mesi dell’anno passato, analizza le conseguenze del progressivo
ridimensionamento del sistema di assicurazioni fondate sul rapporto di lavoro, che aveva
caratterizzato gli Stati Uniti nel secondo dopoguerra. Anche se il riferimento di questi due libri è
alla realtà statunitense, dato lo stato di sudditanza interpretativa in cui versa in particolare il nostro
paese, accurate informazioni sui problemi sociali americani sono comunque utili.
Il punto di partenza del primo libro di Hacker è essenzialmente empirico. Utilizzando una serie
d’indagini elaborate presso l’OECD, di cui in particolare è autore Adema, si sottolinea in primo
luogo che la spesa sociale degli Stati Uniti, corretta per i fattori fiscali e integrata con le cosiddette
componenti private, è sostanzialmente allineata a quella europea.
La differenza sostanziale, più che nella dimensione quantitativa, risiede nel fatto che negli Stati
Uniti la componente privata è molto più estesa di quella europea. Ricordando la tripartizione di
Titmuss fra welfare pubblico, aziendale e fiscale, negli Stati Uniti il welfare aziendale (in cui
l’accesso a pensioni e sanità è associato ad un determinato rapporto di lavoro, là dove l’impresa è in
grado ed è disposta a predisporre le condizioni per l’accesso a questi benefici) ha avuto
straordinario sviluppo, almeno fino a metà degli anni ’90 del XX secolo. Da allora la contrazione
del welfare aziendale è stata compensata dallo sviluppo del welfare fiscale, in cui l’accesso alle più
rilevanti forme di protezione sociale è il risultato di scelte individuali, anche se fiscalmente
incentivate, eventualmente con il concorso del datore di lavoro.
Lo sviluppo del welfare aziendale americano deve essere interpretato in stretta connessione con la
storia politica, sociale ed economica degli Stati Uniti. Cogliendo alcuni spunti dall’analisi
estremamente dettagliata di Hacker, qui si può ricordare l’impostazione corporativa del sindacato
americano, molto attento alle esigenze dei propri iscritti per larga parte collocati presso imprese di
grandissime dimensioni, dalle quali era relativamente agevole ottenere la concessione di piani
pensionistici e sanitari. Il fatto poi che le minoranze fossero relativamente poco rappresentate nei
settori sindacalizzati, spiega perché la divisione del welfare state negli Stati Uniti rifletta anche la
composizione etnica della società americana, nel senso i meccanismi di protezione sociale sono
relativamente poco diffusi fra le minoranza nere o latino-americane. Hacker dà anche importanza
alla natura molto frammentata del sistema politico americano, che rende difficile il raggiungimento
del consenso necessario per l’avvio di riforme di portata tendenzialmente universale. In questo
senso rimane peculiare il new deal, quando in una situazione di particolari difficoltà economiche fu
istituita la social security, senza che peraltro fosse possibile, allora o successivamente, avviare un
sistema sanitario riferito all’intera popolazione.
Qui interessa tuttavia soffermarsi sulle conseguenze di un sistema di protezione sociale largamente
fondato su provvidenze aziendali.
In primo luogo, l’erogazione delle prestazioni dipende dall’attività imprenditoriale di operatori
privati, legittimamente mossi da motivi di profitto. Ma l’assenza di adeguati stimoli concorrenziali
o la concentrazione del mercato, associate alla tipica presenza di un terzo pagante (l’impresa o il
settore pubblico) non rende gli operatori privati fornitori dei servizi attenti nel controllo della
dinamica dei costi. Qui basti ricordare che il tasso medio di del premio delle assicurazioni private
sanitarie è aumentato nell’arco di tempo che va dal 1969 al 2002 del 10% annuo, contro
un’inflazione che si è collocata in media fra il 3 e il 4%. Analogamente, là dove la platea dei
potenziali assicurati non è vasta, l’accesso alle forme previdenziali private implica costi di gestione
e di distribuzione assai elevati, con la conseguente erosione di una parte consistente dei rendimenti
finanziari.
Il secondo elemento tipico del sistema americano riguarda il tasso di adesione ai piani previdenziali
e sanitari, comunque relativamente circoscritto, sia perché solo una parte delle imprese li offrono,
sia perché non tutti i potenziali beneficiari vi aderiscono. Il tasso di partecipazione si è collocato
negli ultimi decenni fra il 50 e il 60%, a seconda che si comprendano o meno i dipendenti pubblici.
Il terzo punto sottolineato da Hacker fa riferimento alla scarsa visibilità dei costi dei sistemi di
protezione sociale fondati sulle agevolazioni fiscali. Infatti le tax expenditures (le perdite di gettito
che derivano dalla concessione di agevolazioni fiscali e che concorrono al finanziamento delle
prestazioni private) sono difficilmente valutabili, anche se certamente consistenti. Per una loro
stima possiamo rinviare ai già ricordati lavori dell’OECD. Su un piano più generale Hacker
sottolinea come il legislatore americano sia stato in questi anni ideologicamente contrario
all’aumento degli interventi diretti in materia sociale, mentre è stato pronto, forse proprio per la
scarsa visibilità del meccanismo o per le sollecitazioni derivanti da tutti gli intermediari coinvolti
nel processo di erogazione delle prestazioni private, ad espandere le tax expenditures.
La copertura non universale (ma concentrata nei settori sindacalizzati o presso gli alti redditi, con
una scarsa presenza dei bassi redditi o del settore dei servizi o delle minoranze etniche), e le
modalità di finanziamento fondate sul meccanismo della deducibilità portano ad effetti distributivi
molto forti a favore delle classi abbienti (e anche su questo punto l‘analisi di Hacker è illuminante).
Credo che le precedenti considerazioni diano ampiamente ragione del titolo del primo libro di
Hacker, The Divided Welfare State: il meccanismo di protezione sociale, così come si è venuto
formando nel tempo con un forte ruolo delle corporation, copre solo una parte della popolazione, la
più abbiente o quello meglio collocata nel mercato del lavoro. La divisione non passa solo
attraverso l’accesso alle prestazioni, ma anche attraverso modalità di finanziamento che presentano
significativi elementi di regressività.
Tutto ciò deve essere paragonato con il modello che in linea generale si è venuto formando in
Europa, in termini di assorbimento di risorse, di efficacia sul piano sociale e anche di conseguenze
macroeconomiche. Questi temi non sono affrontati da Hacker, anche se qui è opportuno ricordare
che in questi anni è uscito un altro importante libro di un economista americano, P.H.Lindert,
Growing Public (Cambridge University Press, 2004), in cui si pongono in discussione, e di fatto si
demoliscono, alcuni dei temi più cari all’ortodossia economica; in particolare si dimostra che un
sistema di sicurezza sociale, consapevolmente organizzato ed attento alle esigenze di coesione
sociale, non sembra disincentivare gli individui al risparmio, al lavoro e in genere
all’intraprendenza, essendo semmai vero il contrario. Ma questi temi non possono essere affrontati
in questa sede.
Qualsiasi costruzione sociale è caratterizzata da un processo evolutivo che, dopo periodi
d’incubazione più o meno lunghi, produce mutamenti profondi negli assetti preesistenti. Nel
secondo libro, The Great Risk Shift, Hacker analizza appunto la portata e gli effetti della
trasformazione verificatasi nell’ultimo decennio nel sistema di protezione sociale degli Stati Uniti,
dove è stato avviato il passaggio da un welfare caratterizzato da una forte componente aziendale ad
uno di tipo fiscale in cui gli incentivi si applicano a scelte in buona misura individuali.
All’origine di questa trasformazione si possono individuare molti fattori fra loro interconnessi.
In primo luogo è stata dimostrata la scarsa funzionalità di meccanismi assicurativi a base ristretta in
cui il rischio è collocato sul datore di lavoro. La decadenza relativa dei settori produttivi tradizionali
e la stagnazione o il calo dell’occupazione in questi settori ha reso estremamente arduo per le
imprese rispettare i contratti alla base dei meccanismi di welfare aziendale. I piani pensionistici in
cui la pensione è legata al salario, con conseguente assunzione del rischio demografico da parte
dell’impresa, si sono rivelati eccessivamente onerosi in situazioni economiche e produttive meno
favorevoli di quelle originarie: di qui la chiusura a ritmi crescenti dei piani a beneficio definito e la
loro sostituzione con piani a contribuzione definita, in cui il rischio di rendimento inadeguato delle
contribuzioni o di cattiva gestione dei fondi previdenziali è totalmente a carico dell’individuo.
Analogamente, la copertura sanitaria, per l’inadeguato controllo della dinamica dei costi (come
abbiamo già osservato) e l’allungamento della vita media, là dove l’assicurazione sanitaria prosegue
sia pure parzialmente nel periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, ha posto oneri
di fatto insostenibili per le imprese. Si afferma che ogni automobile prodotta dalla General Motors è
gravata da 1400 dollari di spese per l’assicurazione sanitaria. L’adozione di meccanismi di
copertura meno capienti o, in molti casi, l’annullamento della possibilità di accedere ad
assicurazioni sanitarie promosse dal datore di lavoro sono state le tipiche riposte di quest’ultimo
decennio. Anche in questo caso, si è assistito ad uno spostamento del rischio dall’impresa
all’individuo.
Il secondo fattore di trasformazione ha natura ideologica e si risolve nell’affermazione di un
principio di responsabilità individuale anche nei confronti dei grandi rischi dell’esistenza, quali
sono la perdita delle salute e l’incapacità di guadagno per ragioni di vecchiaia. Per quanto riguarda
le pensioni, la mancata costituzione di risorse adeguate per un dignitoso tenore di vita nella fase
finale della vita è eventualmente “colpa” dell’individuo che non ha saputo risparmiare in maniera
adeguata, prescindendo quindi dalle condizioni famigliari individuali o dalle vicissitudini che
possono colpire segmenti più o meno larghi della popolazione per fatti che esulano completamente
dalla responsabilità individuale. Il compito della collettività o del governo è semplicemente la
predisposizione di veicoli fortemente agevolati sul piano fiscale che consentono la formazione di
rendite pensionistiche attraverso l’investimento del risparmio individuale, integrato da un contributo
comunque modesto dei datori di lavoro. Com’è noto il progetto di riforma del sistema pensionistico
di Bush, al momento impantanato, prevede che, oltre alle componenti private, anche parte dei
contributi destinati alla Social Security entrino nell’area del rischio di mercato a carico del
l’individuo. E’ evidente che queste agevolazioni fiscali, nella misura in cui sono state utilizzate,
hanno beneficiato le classi più abbienti (che hanno orientato il loro risparmio sulla componente
previdenziale), mentre chi non era in grado di risparmiare (e l’annullamento del tasso di risparmio
personale negli Stati Uniti ne è testimonianza eloquente) non ha potuto beneficiare di questi
meccanismi.
Nel campo sanitario il punto di attacco è stato individuato nell’azzardo morale, ossia nella
propensione dell’individuo, in quanto assicurato, a richiedere più cure mediche di quanto
necessario; di qui la creazione dei cosiddetti Health Individual Accounts, che, alimentati dagli
accantonamenti individuali e da generose agevolazioni fiscali, dovrebbero spingere la popolazione
americana a limitare la domanda di prestazioni sanitarie.
Nella copertina del libro di Hacker si fa riferimento a The Assault on American Jobs, Families,
Health Care, and Retirement, e sulla base di una documentazione per certi versi aneddotica, ma
comunque molto ricca si analizzano le conseguenze che questa diversa distribuzione dei rischi fra
individui e imprese, in una quadro di limitate responsabilità dell’autorità pubblica, ha avuto sulla
popolazione americana e, in particolare, su quel segmento che si definisce classe media. Lo
sviluppo economico di questi anni sembra aver avuto beneficiato solo una fascia ristretta della
popolazione. Per larga parte della popolazione, a partire da redditi tipici della classe media, gli
incrementi eventualmente ottenuti sono stati assorbiti dall’aumento di spese essenziali, educazione e
sanità; il ricorso all’indebitamento è stato in larga misura indirizzato al finanziamento, e al
rifinanziamento, di investimenti intrinsecamente rischiosi quali gli acquisti immobiliari o gli studi
superiori, se è vero che il numero di diplomati o laureati che finiscono i loro studi indebitati è
fortemente cresciuto. Hacker parla da un lato d’insicurezza diffusa, e dall’altro dimostra come lo
spostamento del rischio dalle strutture collettive alla dimensione individuale ha creato in molti casi
forti situazioni di disagio, che nella sua analisi sono destinate ad ampliarsi in futuro.
Al di là dell’analisi e delle prospettive della società americana, i due libri di Hacker sono importanti
a mio giudizio perché delineano in maniera precisa il problema fondamentale delle nostre società:
come devono essere ripartiti i rischi di natura sociale, per i quali le responsabilità individuali sono
comunque circoscritte. I creatori dello stato sociale moderno, lungi dal considerare il welfare state
con un meccanismo puramente redistributivo (dai ricchi e gli intraprendenti ai poveri e agli
incapaci) hanno ritenuto che malattia, disoccupazione, vecchiaia o impossibilità per ragioni
economiche di accesso all’istruzione fossero di competenza collettiva e che elementari principi
assicurativi giustificassero la massima estensione della platea degli assicurati. Come ha chiaramente
spiegato Hacker, negli Stati Uniti, al contrario, si è voluto evitare per quanto possibile questa
assunzione di responsabilità collettiva (ma Social Security, Medicare e Medicaid sono stati via via
introdotti), attribuendo alle imprese una grande responsabilità nella sfera sociale. Il meccanismo del
welfare aziendale, per ragioni interne ed esterne, sembra essersi rotto. Al momento la risposta del
governo americano sembra essere quella di allargare per quanto possibile la componente
individuale. Richiamando quanto abbiamo osservato, si deve aggiungere che dal punto di vista delle
dimensioni macroeconomiche l’assorbimento di risorse connesso agli interventi in campo sociale
non è sostanzialmente diverso sulle due sponde dell’Atlantico, mentre è molto più sperequata la
distribuzione dei benefici negli Stati Uniti.
Quali insegnamenti si possono trarre per l’Europa o il nostro paese? Due sono le alternative
ragionevolmente configurabili: mantenere intatte le strutture fondamentali dello stato sociale, con
tutti gli adattamenti e le correzioni che le specifiche circostanze economiche e sociali imporranno, o
inseguire il modello americano nelle sue ultime modulazioni.
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