Segni New Generation Festival Essere
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Segni New Generation Festival 2019: Terrier, Essere Fantastico written by Mailè Orsi | Novembre 8, 2019 Lanciati al galoppo per le strade del centro storico di Mantova con i loro cavalli: sono i bambini di Segni New Generation che inaugurano l’edizione 2019, ossia la numero quattordici. Bambini, felici, intraprendenti e curiosi, a teatro. Per raccontare il primo giorno di Festival, partiamo da qui, dalla libertà e nobiltà del cavallo, animale totem quest’anno della manifestazione, disegnato appositamente da Giulio Romano, mantovano dal 1526 che, nella sala di Troia di Palazzo Ducale, affresca questo splendido animale simbolo di fierezza e libertà radicale. Uno spirito indomito come quello dei bambini che si affacciano al mondo prima di subirne gli effetti. Ed è proprio sulla relazione fra mondo bambino, mondo adulto, e il misterioso ponte che a volte riesce a congiungerli, che ci interroghiamo dopo aver visto i primi due spettacoli in programma: Terrier ed Essere Fantastico. Iniziamo con Terrier, produzione canadese in prima nazionale al Teatro Ariston. Due creature, animaletti/umani, molto simili agli scoiattoli Disney, Cip e Ciop, o ancor di più alle simpatiche scoiattoline de La spada nella roccia. In un bosco, d’autunno, fra le foglie che cadono, la coppia, un lui e una lei – sembrerebbe, vanno in cerca di cibo, scoprendo anche oggetti curiosi, da portare nella loro casa/tana per costruire curiose invenzioni. Fiaba simpatica, che parla di convivenza, diversità e amicizia, del piacere di stare insieme piuttosto che da soli (e della difficoltà anche materiale dello stare da soli). Interamente senza parole, utilizza un linguaggio universale fatto di energia, intonazioni e gesti, condivisibile da tutti, senza barriere linguistiche. Va però
sottolineato che, nella storia di Terrier, si nota qualcosa di strano. È come se la dinamica fra i due (esemplare è il litigio) fosse modellata su quella di una coppia adulta tipo. Lei che, per evitare di tribolare e di affrontare le manie di lui, agisce di nascosto pur di fare ciò che vuole; lui che non la capisce e si spaventa di fronte al suo mondo interiore (rappresentato dalla scrittura). E poi il litigio che esplode, inspiegabilmente incontrollato, quasi sproporzionato, di fronte al quale Elle (lei) resta semplicemente basita. Si ha un po’ la sensazione che sia il mondo adulto che si fa fiaba, ossia che per andare in scena usi la forma della favola e un linguaggio accessibile ai bambini. Essere Fantastico, alle 18.30 allo Spazio Gradaro ci regala tante belle suggestioni, ma anche qualche profonda perplessità. Tre artisti si ritrovano in scena per raccontare il raccontare, la storia delle storie, ognuno con il proprio linguaggio artistico e la propria lingua: pittore italiano, attrice francese, musicista giapponese. Ognuno si presenta e ripete una frase che si presume simile. Attendiamo che ciascuno finisca di ripetere e, nell’attendere, restiamo affascinati: ogni lingua, ogni discorso, ogni frase è un luogo diverso nel mondo e c’è bisogno di tempo per passare da uno all’altro. La durata di ogni discorso è anche quella di un movimento, di un moto nello spazio che richiede tempo e pazienza. L’inizio lascia piuttosto perplessi. Mentre l’attrice in francese tenta di ripetere uno scioglilingua buffo, i due compari si intromettono, un po’ per aiutarla (la giapponese), un po’ per prenderla in giro o confonderla, o farle perdere il filo (l’italiano). E così il nostro eroe si distingue con due battute emblematiche: un bel “pipì e popò” (con conseguenti risate del pubblico) e un bel “popi-popi” (immancabile, si direbbe. Altre risate). In mezzo alla ripetizione in francese di “popopo pupupu”, queste inserzioni sono da un lato, comprensibilmente, ciò a cui ci si appiglia, ma dall’altro anche un discreto marchio culturale, un filino noioso e triste. Infastidisce parecchio anche il primo disegno su carta (sul corpo dell’attrice): due curve all’altezza del
seno e un cerchio con un taglio sul basso ventre. Dei segni che ci fanno pensare. O meglio, ripensando a ciò che afferma Alexander Lowen, sappiamo che l’universo dei bambini è diverso da quello degli adulti e imporre al primo il secondo è una sottile (ma significativa) forma di violenza. Non si tratta di un problema di censura, quanto di metodo, del confrontarsi con la limitazione della fantasia dell’immaginario adulto che si impone (o sovrappone) a quello del bambino, che è al contrario più variegato, aperto, folle forse. Ma certo diverso. Qui vediamo un adulto giocare con i suoi simboli e il suo immaginario e inserirli all’interno di uno spettacolo rivolto all’infanzia. È possibile mantenere o avere ancora uno sguardo sognante, invece che sovrapporre al teatro per l’infanzia un immaginario adulto? Il mistero resta aperto: in fondo nessun adulto, in quanto adulto, può dire di conoscere più l’immaginario bambino (a meno che non lasci davvero ai bambini la parola), eppure c’è una differenza fra abitare quella zona misteriosa che si muove fra le due sponde di infanzia e adultità, e prendere un immaginario adulto incollandolo sul teatro per l’infanzia. Ma torniamo a ciò che ci ha convinti. Momento molto suggestivo è quello delle ombre, del gioco di mani che si deformano, fino a sembrare alberi, strade, sogni e incubi. Affascinante e altrettanto suggestivo, in un altro momento, lo stagliarsi delle mani sul cartoncino marrone, che ci suggerisce quanto subitaneamente si crei la rappresentazione non appena si diano figura e sfondo. Interessante avere gli strumenti musicali in sala, soprattutto l’effetto dello xilofono, oggetto analogico, che vibra in ogni canna, dislocata nel suo spazio, e ci fa godere la bellezza del suono reale, di legno, piuttosto che quello amplificato dalle casse. E non dimentichiamo la zucca vuota, momento stravagante, in bilico fra lo scherno e il divertimento: come se le zucche vuote fossero i bambini (ma soprattutto i loro genitori). Scollamento fra artista e spettatore, fra scena e pubblico, in cui il palco è più intelligente, lo sa e gioca su questa doppia linea, perché, pur essendo più intelligente di lui, deve comunque stare con il pubblico e giocarci insieme. O
forse è solo un memento zucca, perché in fondo siamo tutti zucche più o meno vuote. Dolce è ricordare che le storie, le devi portare a dormire; che è importante condividerle; che anche quando per noi non hanno più senso, possiamo donarle a qualcun altro. E ancora, che quando si è stanchi di giocare con una storia, si può (anzi, si deve) comunque passarla agli altri, in modo da farla continuare a vivere, anche se si ha finito di usarla. Strano concetto, ma affascinante. Tante suggestioni in un lavoro interessante, che cattura pur essendo tutto sommato difficile vista l’assenza di una trama, il tipo di costruzione e i ritmi che deve sostenere, con il passaggio da un medium all’altro, da una lingua all’altra, come in un gioco che si scompone in singoli pezzi e poi si ricompone, che mette il focus di volta in volta su una parte per tornare poi sul tutto. Questa la sensazione finale, almeno per noi vecchietti. Chissà com’è stato per i bambini Gli spettacoli sono andati in scena nell’ambito di Segni New Generation Festival 2019: Mantova, varie location Sabato 26 ottobre 2019, ore 15.00 Teatro Ariston via Principe Amedeo, 20 Terrier (Canada) coproduzione Théatre di Gros Méchano – Les Incomplètes di Josiane Bernier, Carol Cassistat, Audrei Marchand e Laurence P. Lafaille regia Josiane Bernier e Carol Cassistat ore 18.30 Spazio Gradaro Via Gradaro, 40 Essere Fantastico di e con Sandra Denis, Dario Moretti e Saya Namikawa regia Denis Woelffel coproduzione Compagnie Sémaphore – Teatro all’Improvviso – Kinosaki International Arts Center (Toyooka City)
spettacolo in collaborazione con La Francia in Scena, Stagione artistica dell’Institut Français Italia, realizzata su iniziativa dell’Ambasciata di Francia in Italia, con il sostegno dell’Institut Français, del Ministère de la Culture e della Fondazione Nuovi Mecenati
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