Segni New Generation Festival Essere

Pagina creata da Stefano Rocchi
 
CONTINUA A LEGGERE
Segni New Generation Festival
2019:     Terrier,    Essere
Fantastico
written by Mailè Orsi | Novembre 8, 2019
Lanciati al galoppo per le strade del centro storico di
Mantova con i loro cavalli: sono i bambini di Segni New
Generation che inaugurano l’edizione 2019, ossia la numero
quattordici. Bambini, felici, intraprendenti e curiosi, a
teatro.

Per raccontare il primo giorno di Festival, partiamo da qui,
dalla libertà e nobiltà del cavallo, animale totem quest’anno
della manifestazione, disegnato appositamente da Giulio
Romano, mantovano dal 1526 che, nella sala di Troia di Palazzo
Ducale, affresca questo splendido animale simbolo di fierezza
e libertà radicale. Uno spirito indomito come quello dei
bambini che si affacciano al mondo prima di subirne gli
effetti. Ed è proprio sulla relazione fra mondo bambino, mondo
adulto, e il misterioso ponte che a volte riesce a
congiungerli, che ci interroghiamo dopo aver visto i primi due
spettacoli in programma: Terrier ed Essere Fantastico.
Iniziamo con Terrier, produzione canadese in prima nazionale
al Teatro Ariston. Due creature, animaletti/umani, molto
simili agli scoiattoli Disney, Cip e Ciop, o ancor di più alle
simpatiche scoiattoline de La spada nella roccia. In un bosco,
d’autunno, fra le foglie che cadono, la coppia, un lui e una
lei – sembrerebbe, vanno in cerca di cibo, scoprendo anche
oggetti curiosi, da portare nella loro casa/tana per costruire
curiose invenzioni. Fiaba simpatica, che parla di convivenza,
diversità e amicizia, del piacere di stare insieme piuttosto
che da soli (e della difficoltà anche materiale dello stare da
soli). Interamente senza parole, utilizza un linguaggio
universale fatto di energia, intonazioni e gesti,
condivisibile da tutti, senza barriere linguistiche. Va però
sottolineato che, nella storia di Terrier, si nota qualcosa di
strano. È come se la dinamica fra i due (esemplare è il
litigio) fosse modellata su quella di una coppia adulta tipo.
Lei che, per evitare di tribolare e di affrontare le manie di
lui, agisce di nascosto pur di fare ciò che vuole; lui che non
la capisce e si spaventa di fronte al suo mondo interiore
(rappresentato dalla scrittura). E poi il litigio che esplode,
inspiegabilmente incontrollato, quasi sproporzionato, di
fronte al quale Elle (lei) resta semplicemente basita. Si ha
un po’ la sensazione che sia il mondo adulto che si fa fiaba,
ossia che per andare in scena usi la forma della favola e un
linguaggio accessibile ai bambini.
Essere Fantastico, alle 18.30 allo Spazio Gradaro ci regala
tante belle suggestioni, ma anche qualche profonda
perplessità. Tre artisti si ritrovano in scena per raccontare
il raccontare, la storia delle storie, ognuno con il proprio
linguaggio artistico e la propria lingua: pittore italiano,
attrice francese, musicista giapponese. Ognuno si presenta e
ripete una frase che si presume simile. Attendiamo che
ciascuno finisca di ripetere e, nell’attendere, restiamo
affascinati: ogni lingua, ogni discorso, ogni frase è un luogo
diverso nel mondo e c’è bisogno di tempo per passare da uno
all’altro. La durata di ogni discorso è anche quella di un
movimento, di un moto nello spazio che richiede tempo e
pazienza. L’inizio lascia piuttosto perplessi. Mentre
l’attrice in francese tenta di ripetere uno scioglilingua
buffo, i due compari si intromettono, un po’ per aiutarla (la
giapponese), un po’ per prenderla in giro o confonderla, o
farle perdere il filo (l’italiano). E così il nostro eroe si
distingue con due battute emblematiche: un bel “pipì e popò”
(con conseguenti risate del pubblico) e un bel “popi-popi”
(immancabile, si direbbe. Altre risate). In mezzo alla
ripetizione in francese di “popopo pupupu”, queste inserzioni
sono da un lato, comprensibilmente, ciò a cui ci si appiglia,
ma dall’altro anche un discreto marchio culturale, un filino
noioso e triste. Infastidisce parecchio anche il primo disegno
su carta (sul corpo dell’attrice): due curve all’altezza del
seno e un cerchio con un taglio sul basso ventre. Dei segni
che ci fanno pensare. O meglio, ripensando a ciò che afferma
Alexander Lowen, sappiamo che l’universo dei bambini è diverso
da quello degli adulti e imporre al primo il secondo è una
sottile (ma significativa) forma di violenza. Non si tratta di
un problema di censura, quanto di metodo, del confrontarsi con
la limitazione della fantasia dell’immaginario adulto che si
impone (o sovrappone) a quello del bambino, che è al contrario
più variegato, aperto, folle forse. Ma certo diverso. Qui
vediamo un adulto giocare con i suoi simboli e il suo
immaginario e inserirli all’interno di uno spettacolo rivolto
all’infanzia. È possibile mantenere o avere ancora uno sguardo
sognante, invece che sovrapporre al teatro per l’infanzia un
immaginario adulto? Il mistero resta aperto: in fondo nessun
adulto, in quanto adulto, può dire di conoscere più
l’immaginario bambino (a meno che non lasci davvero ai bambini
la parola), eppure c’è una differenza fra abitare quella zona
misteriosa che si muove fra le due sponde di infanzia e
adultità, e prendere un immaginario adulto incollandolo sul
teatro per l’infanzia. Ma torniamo a ciò che ci ha convinti.
Momento molto suggestivo è quello delle ombre, del gioco di
mani che si deformano, fino a sembrare alberi, strade, sogni e
incubi. Affascinante e altrettanto suggestivo, in un altro
momento, lo stagliarsi delle mani sul cartoncino marrone, che
ci suggerisce quanto subitaneamente si crei la
rappresentazione non appena si diano figura e sfondo.
Interessante avere gli strumenti musicali in sala, soprattutto
l’effetto dello xilofono, oggetto analogico, che vibra in ogni
canna, dislocata nel suo spazio, e ci fa godere la bellezza
del suono reale, di legno, piuttosto che quello amplificato
dalle casse. E non dimentichiamo la zucca vuota, momento
stravagante, in bilico fra lo scherno e il divertimento: come
se le zucche vuote fossero i bambini (ma soprattutto i loro
genitori). Scollamento fra artista e spettatore, fra scena e
pubblico, in cui il palco è più intelligente, lo sa e gioca su
questa doppia linea, perché, pur essendo più intelligente di
lui, deve comunque stare con il pubblico e giocarci insieme. O
forse è solo un memento zucca, perché in fondo siamo tutti
zucche più o meno vuote. Dolce è ricordare che le storie, le
devi portare a dormire; che è importante condividerle; che
anche quando per noi non hanno più senso, possiamo donarle a
qualcun altro. E ancora, che quando si è stanchi di giocare
con una storia, si può (anzi, si deve) comunque passarla agli
altri, in modo da farla continuare a vivere, anche se si ha
finito di usarla. Strano concetto, ma affascinante. Tante
suggestioni in un lavoro interessante, che cattura pur essendo
tutto sommato difficile vista l’assenza di una trama, il tipo
di costruzione e i ritmi che deve sostenere, con il passaggio
da un medium all’altro, da una lingua all’altra, come in un
gioco che si scompone in singoli pezzi e poi si ricompone, che
mette il focus di volta in volta su una parte per tornare poi
sul tutto. Questa la sensazione finale, almeno per noi
vecchietti. Chissà com’è stato per i bambini

 Gli spettacoli sono andati in scena nell’ambito di Segni New
 Generation Festival 2019:
 Mantova, varie location

 Sabato 26 ottobre 2019, ore 15.00
 Teatro Ariston
 via Principe Amedeo, 20
 Terrier (Canada)
 coproduzione Théatre di Gros Méchano – Les Incomplètes
 di Josiane Bernier, Carol Cassistat, Audrei Marchand e
 Laurence P. Lafaille
 regia Josiane Bernier e Carol Cassistat

 ore 18.30
 Spazio Gradaro
 Via Gradaro, 40
 Essere Fantastico
 di e con Sandra Denis, Dario Moretti e Saya Namikawa
 regia Denis Woelffel
 coproduzione Compagnie Sémaphore – Teatro all’Improvviso –
 Kinosaki International Arts Center (Toyooka City)
spettacolo in collaborazione con La Francia in Scena,
Stagione artistica dell’Institut Français Italia, realizzata
su iniziativa dell’Ambasciata di Francia in Italia, con il
sostegno dell’Institut Français, del Ministère de la Culture
e della Fondazione Nuovi Mecenati
Puoi anche leggere