SCUOLA ALTA FORMAZIONE SPECIALISTICA AVVOCATI

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SCUOLA ALTA FORMAZIONE SPECIALISTICA AVVOCATI
SCUOLA ALTA FORMAZIONE SPECIALISTICA AVVOCATI
               di Cammino in collaborazione con Scuola Superiore Avvocatura
                               e i Dipartimenti di giurisprudenza
                    delle Università di Roma3, Cassino – Lazio meridionale

SCUOLA ALTA FORMAZIONE SPECIALISTICA
             AVVOCATI
                         di Cammino
    in collaborazione con Scuola Superiore Avvocatura
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        Genitorialità e minorenni

L’interruzione volontaria della gravidanza
              della minorenne
    L’autorizzazione al riconoscimento
            dell’infrasedicenne

                    Avv. Carolina Ferro
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L’interruzione volontaria della gravidanza della
                   minorenne

                                                        Avv. Carolina Ferro
       Tutti i diritti riservati. Le presenti slides sono di esclusivi utilizzi e diffusione dei partecipanti alla SAFSA
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  La disciplina dell’interruzione volontaria della
                    gravidanza
L’interruzione volontaria della gravidanza (IVG) è stata
introdotta nel nostro ordinamento dalla L. 22 maggio 1978
n. 194. Lo stesso titolo della legge ne richiama la finalità: la
tutela sociale della maternità (che è conseguenza del suo
valore sociale) e la tutela della vita umana.
L’IVG non può essere considerata un mezzo per il controllo
delle nascite. Anzi, lo Stato, che deve garantire il diritto ad
una procreazione cosciente e responsabile, deve
promuovere, unitamente alle regioni ed agli enti locali, i
servizi socio-sanitari ed ogni altra iniziativa per evitare che
l’istituto venga utilizzato per la limitazione delle nascite.
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   La disciplina dell’interruzione volontaria della
        gravidanza nei primi novanta giorni
La legge, nel determinare cause ed iter dell’IVG, opera
una distinzione tra i primi novanta giorni della gravidanza
ed il periodo successivo.
Entro i primi novanta giorni dal concepimento, in base al
disposto dell’art. 4 L. 194/1978, la donna può rivolgersi a:
1. consultorio pubblico istituito ai sensi dell’art. 2 lettera
    a) della Legge 29 luglio 1975 n.405 (le cui funzioni sono
    indicate nell’art. 2 della L. 194/78);
2. Struttura socio sanitaria a ciò abilitata dalla regione;
3. Medico di sua fiducia.
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   La disciplina dell’interruzione volontaria della
        gravidanza nei primi novanta giorni
I compiti dei consultori pubblici:
1. Informare la donna sui diritti a lei spettanti in base alla
    legislazione nazionale e regionale e sui servizi socio –
    sanitari offerti dalle strutture che operano sul suo
    territorio;
2. Informarla sulle modalità idonee ad ottenere il rispetto
    delle norme sulla legislazione del lavoro a tutela della
    gestante;
3. Attuare concreti interventi quando la gravidanza o la
    maternità creano problemi non risolvibili con i normali
    interventi;
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   La disciplina dell’interruzione volontaria della
        gravidanza nei primi novanta giorni
4. Aiutare la donna in difficoltà, cercando di indurla a
    superare      le   cause   che     potrebbero     portare
    all’interruzione della gravidanza, ricorrendo anche a
    formazioni sociali o associazioni di volontariato che
    possono aiutare la donna anche dopo il parto.
Anche ai minori è consentita la somministrazione su
prescrizione medica, sia nelle strutture sanitarie che nei
consultori, di tutti i mezzi necessari per il conseguimento
delle finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione
responsabile.

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  La disciplina dell’interruzione volontaria della
       gravidanza nei primi novanta giorni

La donna può addurre circostanze per le quali la
prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità
comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica
o psichica, in relazione a:
a. suo stato di salute;
b. sue condizioni economiche, sociali o familiari;
c. circostanze in cui è avvenuto il concepimento;
d. previsioni di anomalie o malformazioni del concepito.

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  La disciplina dell’interruzione volontaria della
       gravidanza nei primi novanta giorni
Le struttura di cui all’art. 4 ed il medico di fiducia devono
rispettivamente garantire e compiere i necessari
accertamenti sullo stato di salute della donna.
In particolare, il consultorio pubblico e la struttura socio-
sanitaria, soprattutto quando la richiesta di IVG è
determinata dall’incidenza delle condizioni economico-
socio-sanitarie della donna, devono aiutarla a rimuovere
le cause poste a base della decisione, offrendole il
supporto sia per la fase della gravidanza che per quella
successiva al parto.

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  La disciplina dell’interruzione volontaria della
       gravidanza nei primi novanta giorni
Il medico di fiducia, a sua volta, deve compiere tutti i
necessari accertamenti sanitari, informando la donna dei
suoi diritti ed anche, dopo avere valutato le circostanze
che l’hanno indotta alla decisione di interrompere la
gravidanza, rendendola edotta in merito agli interventi di
carattere sociale cui può fare ricorso, nonché sui consultori
e le strutture socio sanitarie che possono offrirle aiuto e
sostegno.
La successiva valutazione del medico di fiducia, del
consultorio pubblico o della struttura socio- sanitaria
attiene all’urgenza o meno dell’intervento.
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  La disciplina dell’interruzione volontaria della
       gravidanza nei primi novanta giorni
Se viene riscontrata l’urgenza, il medico rilascia con
immediatezza alla donna un certificato che attesta la
necessità di intervento immediato, che sarà da lei
presentato ad una delle strutture autorizzate a praticare
l’interruzione della gravidanza.
Se, al contrario, non viene ravvisata alcuna urgenza, alla
donna viene rilasciato un documento attestante lo stato di
gravidanza, la richiesta di interruzione, con l’invito a
soprassedere per sette giorni, decorsi i quali la stessa può
presentarsi presso una sede autorizzata.

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  La disciplina dell’interruzione volontaria della
     gravidanza dopo i primi novanta giorni
Dopo i primi novanta giorni, l’interruzione della gravidanza può
essere presentata solo in due casi (art. 6 L. 194/1978):
1. Quando la gravidanza o il parto comportano un grave
    pericolo per la vita della donna;
2. Quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli
    relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro,
    che determinano un grave pericolo per la salute fisica o
    psichica della donna.
Quando vi è possibilità che il feto abbia vita autonoma, l’IVG
può essere praticata solo quando vi è pericolo di vita per la
donna e il medico è tenuto ad adottare ogni misura idonea a
salvaguardare la vita del feto.
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                       L’obiezione di coscienza
La legge da rilievo anche all’obiezione di coscienza del
personale sanitario e di quello esercente le attività
ausiliarie, i quali non sono tenuti a prendere parte agli
interventi per l’interruzione della gravidanza se, con
preventiva dichiarazione, ne sollevano il rifiuto per motivi
legati alle loro convinzioni etiche, morali o religiose.
In ogni caso, essi non possono esimersi dall’assistenza
antecedente e conseguente l’intervento e non possono
invocare l’obiezione di coscienza quando il loro intervento
sia indispensabile per salvare la vita alla donna che sia in
imminente pericolo di vita.
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    Il ruolo centrale della volontà della donna
La decisione di interrompere la gravidanza è lasciata
esclusivamente alla donna, la cui volontà viene
estremamente valorizzata in considerazione dell’incidenza
della gravidanza e del parto sulla sua salute psicofisica.
L’art. 5 (1° e 2° comma) della L.194/78 prevede, ove la
donna lo consenta, che la persona indicata come padre
del nascituro possa partecipare ai colloqui presso il
medico di fiducia o presso il consultorio o la struttura socio
sanitaria. Tuttavia, egli non può in alcun modo intervenire
nella decisione o opporsi: il diritto di interrompere la
gravidanza nei termini consentiti dalla legge è lasciato alla
piena autodeterminazione della donna.
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    Il ruolo centrale della volontà della donna
La questione è stata anche sottoposta al vaglio della
Corte Costituzionale, innanzi alla quale è stata sollevata
questione di legittimità dell'art. 5 della legge 22 maggio
1978, n. 194, in riferimento agli articoli 29 e 30 della
Costituzione; ad avviso del giudice "a quo" la norma
impugnata, nella parte in cui non riconosce rilevanza alla
volontà del padre del concepito, marito della donna che
chiede di interrompere la gravidanza, violerebbe il
principio di uguaglianza tra i coniugi che gli artt. 29 e 30
Cost. pongono a base del matrimonio.
La Corte Costituzionale, con ordinanza n. 389 del 31 marzo
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    Il ruolo centrale della volontà della donna
1988, ha rilevato la manifesta inammissibilità della
questione: «…Considerato che la norma impugnata è frutto
della scelta politico-legislativa - insindacabile da parte di questa
Corte - di lasciare la donna unica responsabile della decisione di
interrompere la gravidanza; che tale scelta non può considerarsi
irrazionale in quanto è coerente al disegno dell'intera normativa
e, in particolare, all'incidenza, se non esclusiva sicuramente
prevalente, dello stato gravidico sulla salute sia fisica che
psichica della donna».

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    Il ruolo centrale della volontà della donna
Anche la Corte EDU ha ritenuto non configurabile in capo
al marito un diritto ad essere consultato o ad adire il
giudice nel caso in cui la moglie sia ricorsa all’aborto in
assenza di sua condivisione, considerando l’esclusione del
padre del nascituro dal processo decisionale in sintonia
col rispetto della vita familiare di cui all’art. 8 della
Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo (Corte EDU, 5
settembre 2002, caso Bosov c. Italia).
Infine, molto significativa al riguardo è la sentenza n. 388
del 26 gennaio 2006, del Tribunale di Monza, che, nel
decidere sulla richiesta di addebito della separazione alla
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     Il ruolo centrale della volontà della donna
moglie, per essersi sottoposta ad un intervento di
interruzione della gravidanza, nonostante la contraria
volontà del marito, che si riteneva leso nel «diritto alla
paternità», così decideva: «…i principi di diritto sostanziale
che, ai fini della presente decisione, possono essere enucleati
dalla disciplina speciale in materia di aborto, sono in tutta
evidenza di segno contrario alla tesi, prospettata dal ricorrente,
che vorrebbe affermare ed introdurre l’obbligo per la donna (ed
il corrispondente diritto del partner) di rendere partecipe il marito
– padre della procedura e della decisione finale di interruzione
della gravidanza.

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     Il ruolo centrale della volontà della donna
Gioverà rammentare che, nella ricorrenza delle condizioni
previste dalla legge, la Corte di Cassazione ha affermato
l’esistenza di un vero e proprio diritto della madre all’aborto
(Cass. 1° dicembre 1999 n.12195)…La stessa Suprema Corte,
infatti, ha avuto modo di considerare irrilevante la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 5 della l.194/1978, nella parte in
cui, consentendo alla madre l’interruzione della gravidanza entro
i primi novanta giorni dal concepimento, non considera il diritto
alla paternità del padre del concepito, nonché il diritto alla vita
di quest’ultimo (Cass. 5 novembre 1998 n.11094).

                                                             Avv. Carolina Ferro
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    Il ruolo centrale della volontà della donna
Del resto, sarebbe quantomeno incongruo stabilire che la donna,
quando abbia assunto anche la condizione di moglie, debba
essere sanzionata (con l’addebito della separazione e con le
rilevanti conseguenze giuridiche a tale pronunzia direttamente
riconducibili) a causa e per l’effetto dell’esercizio di un diritto
riconosciutole dalla legge…Pertanto, l’interruzione volontaria
della gravidanza non potrà in alcun modo essere considerata
quale questione rilevante ai fini dell’addebito della
separazione.». Il tribunale respingeva anche la richiesta di
risarcimento del danno, sempre per violazione del diritto
alla paternità, avanzata dal marito.

                                                            Avv. Carolina Ferro
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 L’interruzione volontaria della gravidanza della
                    minorenne
La legge 194/1978 prevede (in base al combinato disposto
degli artt. 1 e 12) che anche la donna minorenne possa
chiedere l’autorizzazione all’interruzione volontaria della
gravidanza, senza che sia prevista un’età minima.
Tuttavia, non essendo la stessa in grado di esercitare
autonomamente i propri diritti, necessita dell’assenso dei
genitori o del tutore, assenso che costituisce condizione
necessaria per potersi rivolgere al consultorio pubblico o
alla struttura socio-sanitaria o al medico di fiducia.

                                                           Avv. Carolina Ferro
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  L’interruzione volontaria della gravidanza della
                     minorenne
L’art. 12 della L. 194/78 prevede una particolare
procedura (per l’IVG nei primi novanta giorni dal
concepimento) se:
1. Se vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la
     consultazione dei genitori o del tutore;
2. Se questi rifiutano l’assenso o se danno pareri difformi.
In tal caso, il consultorio o la struttura socio sanitaria o il
medico di fiducia, dopo avere espletato i compiti di cui
all’art. 5, entro sette giorni rimettono una relazione
dettagliata, corredata dal loro parere, al Giudice tutelare
del luogo dove essi operano. Non è necessaria
l’autorizzazione del GT per la minore emancipata, la quale
è pienamente capace per gli atti di natura personale.
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 L’interruzione volontaria della gravidanza della
                    minorenne
Il GIUDICE TUTELARE, per il quale non è prevista l’obiezione
di coscienza, sentita la minorenne e tenuto conto della
sua volontà, delle ragioni che la stessa adduce e della
relazione trasmessagli, può, con atto non soggetto a
reclamo, autorizzare la donna all’interruzione volontaria
della gravidanza.
Ma qual è il compito del GT? Deve solo consentire alla
minore di decidere in merito all’interruzione della
gravidanza,     limitandosi    a    verificarne    l’effettiva
consapevolezza della scelta da intraprendere, o può,
invece, esprimersi a favore o contro l’aborto, sostituendosi
nella decisione alla futura madre?
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 L’interruzione volontaria della gravidanza della
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Sul punto si è pronunciata la Corte Costituzionale con
l’ordinanza n.196 del 19 luglio 2012, dichiarando
manifestamente inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 4 L. 194/78 nella parte in cui
consente alla donna di procedere volontariamente all’IVG
entro i primi novanta giorni dal concepimento. Il Giudice
Tutelare di Spoleto, giudice a quo, rilevato che «…in virtù
della direttiva europea 98/44/CE, art. 6, che riconosce
l’embrione umano, quale soggetto di primario valore assoluto, fin
dalla fecondazione», sollevava il contrasto della norma in
esame con gli art. 2, 32 comma 1, 11 e 117 Cost.
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 L’interruzione volontaria della gravidanza della
                    minorenne
Proseguiva il GT adducendo che «…in ossequio al principio di
primazia del diritto comunitario sul diritto interno, la nozione di
embrione umano, come elaborata dalla Corte Europea di
Giustizia dell’Unione Europea nella decisione dell’8 ottobre 2011,
deve trovare piena cittadinanza nel nostro ordinamento…deve
essere tutelato l’uomo sin dalla fecondazione…che la volontaria
interruzione della gravidanza genererebbe un vulnus al diritto alla
salute    riconosciuto    a   chiunque      possiede     un’identità
giuridicamente rilevante, e, quindi, anche all’embrione.

                                                            Avv. Carolina Ferro
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 L’interruzione volontaria della gravidanza della
                    minorenne
La Corte Costituzionale precisava come il compito
attribuito al GT è «di "autorizzazione a decidere", un compito
che (alla stregua della stessa espressione usata per indicarlo
dall'art. 12, secondo comma, della legge n. 194 del 1978) non
può configurarsi come potestà co-decisionale, la decisione
essendo rimessa - alle condizioni ivi previste - soltanto alla
responsabilità della donna» (ordinanza n. 76 del 1996); e che «il
provvedimento del giudice tutelare risponde ad una funzione di
verifica in ordine alla esistenza delle condizioni nelle quali la
decisione della minore possa essere presa in piena libertà
morale» (ordinanza n. 514 del 2002).

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 L’interruzione volontaria della gravidanza della
                    minorenne
Emblematico, al riguardo, è un provvedimento del GT di
Monza del 29 febbraio 2016, di rigetto della richiesta di
autorizzazione  per    mancata     comparizione       della
minorenne: «la mancata comparizione della minore al fine di
essere sentita, non consente a questo giudice di operare alcuna
verifica in ordine alla effettiva consapevolezza, in capo alla
stessa, della scelta alla quale si è determinata, e, in particolare,
di verificare se la stessa sia in grado di comprenderne il
significato e le conseguenze; in assenza di tale necessaria
verifica, la richiesta, allo stato, non può essere accolta…fermo
restando la possibilità per la minore di presentare nuova istanza»

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 L’interruzione volontaria della gravidanza della
                    minorenne
È anche previsto dall’art. 12 L.194/78 che, in caso di
urgenza e di grave pericolo per la salute della minore, il
medico, senza né assenso di genitori o tutore e senza adire
il giudice tutelare, possa certificare l’esistenza delle
condizioni che giustificano l’interruzione della gravidanza.
In tal caso, la certificazione del medico costituisce titolo
per ottenere in via di urgenza l’intervento e, qualora
necessario, il ricovero.
Per l’interruzione della gravidanza dopo i primi novanta
giorni dal concepimento, si applicano le stesse procedure
previste     per     la    donna     di    maggiore     età,
indipendentemente dall’assenso dei genitori o del tutore.
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L’autorizzazione al riconoscimento
        dell’infrasedicenne

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                   L’autorizzazione al riconoscimento
                           dell’infrasedicenne
Art. 250 c.c. 5° comma
«Il riconoscimento non può essere fatto dai genitori che
non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, salvo
che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze ed avuto
riguardo all’interesse del figlio».
L’articolo in esame è stato oggetto di integrazione da
parte della legge 219/2012, che ha aggiunto all’originaria
formulazione della norma l’inciso «salvo che il giudice li
autorizzi, valutate le circostanze ed avuto riguardo
all’interesse del figlio», originariamente non previsto. La
ratio dell’intervento è ravvisabile sia nel fine di
responsabilizzare i genitori, anche se giovanissimi, sia nel
ridurre la durata del periodo nel quale il figlio non era
riconoscibile.                                               Avv. Carolina Ferro
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        L’autorizzazione al riconoscimento
                dell’infrasedicenne
Le circostanze rilevanti, ai fini dell’autorizzazione, sono:
1. L’età anagrafica del minore
2. La sua maturità psico-fisica
3. L’ambiente familiare
4. L’idoneità dell’ambiente familiare a supportare il
     genitore infrasedicenne ed a sostenerlo nell’assunzione
     delle sue responsabilità.
La norma dell’art. 250 comma 5° c.c. deve essere
coordinata con l’art. 11 della L. 184/1983 (Diritto del
minore ad avere una famiglia), che, al comma 3°, si
riferisce al rinvio della procedura di immediata
dichiarazione dello stato di adottabilità del minore,
quando non è riconoscibile per difetto di età del genitore.
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         L’autorizzazione al riconoscimento
                 dell’infrasedicenne
In tal caso, la procedura è rinviata fino al sedicesimo anno
di età del genitore, purché il nato sia assistito dal genitore
o dai parenti sino al quarto grado, permanendo,
comunque, in questo caso, il rapporto col genitore.
Al compimento del sedicesimo anno di età, il genitore può
richiedere un ulteriore sospensione della procedura per
altri due mesi.
La medesima sospensione per ulteriori due mesi può essere
chiesta anche dal genitore che sia già stato autorizzato al
riconoscimento prima del compimento del sedicesimo
anno di età.

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         L’autorizzazione al riconoscimento
                 dell’infrasedicenne
Se il Tribunale sospende la procedura, nomina, ove
necessario un tutore provvisorio. Se, nei termini, viene
effettuato il riconoscimento, la procedura per la
dichiarazione dello stato di adottabilità, se non sussiste
abbondono morale e materiale, viene dichiarata chiusa.
Al contrario, se non si procede al riconoscimento, il
Tribunale per i minorenni, senza altra formalità, provvede a
dichiarare lo stato di adottabilità.
Intervenuta     la   dichiarazione     di   adottabilità,    il
riconoscimento è privo di effetti. L’eventuale giudizio per la
dichiarazione di paternità e maternità è sospeso di diritto,
estinguendosi in seguito al passaggio in giudicato della
pronuncia di adozione.
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         L’autorizzazione al riconoscimento
                 dell’infrasedicenne
L’art. 250 5° comma c.c. attribuisce la competenza a
concedere l’autorizzazione al «giudice», senza specificare
se si tratti di Giudice ordinario o Tribunale per i minorenni.
L’autorizzazione al riconoscimento dell’infrasedicenne,
tuttavia, non è materia che l’art. 38 disp. att. cod. civ.,
come novellato dall’art. 3 L.219/2012, attribuisce alla
competenza del Tribunale per i minorenni, sebbene, a tal
proposito, potrebbe essere fuorviante l’espresso richiamo,
ad opera proprio dell’art. 38 disp. att. cod. civ., all’art. 251
c.c., che regola l’autorizzazione al riconoscimento dei figli
incestuosi, che, al contrario, compete al Tribunale per i
minorenni. Con l’ordinanza n. 16103 del 29 luglio 2015, la
Corte di Cassazione ha enunciato il principio di diritto
applicabile alla fattispecie:
                                                           Avv. Carolina Ferro
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          L’autorizzazione al riconoscimento
                  dell’infrasedicenne
«l provvedimenti di cui all'art. 250 c.c., non sono più, pertanto, di
competenza del giudice specializzato, senza che possa farsi
eccezione per quello previsto dal comma 5: deve infatti
escludersi che l'(anch'esso novellato) art. 251 c.c., che subordina
all’autorizzazione del giudice il riconoscimento del figlio nato da
persone fra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta o
all'infinito, detti nell'ultimo periodo (secondo cui "il riconoscimento
di una persona minore di età è autorizzato dal tribunale per i
minorenni") una disposizione di carattere generale valevole
anche per il riconoscimento del figlio nato da genitore non
ancora sedicenne.
Va in primo luogo rilevato, sul piano sistematico, che v'è una
chiara differenziazione fra le due ipotesi contemplate dalle
norme in esame.

                                                             Avv. Carolina Ferro
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           L’autorizzazione al riconoscimento
                   dell’infrasedicenne
Attribuendo al tribunale ordinario la competenza a provvedere
sulla domanda proposta ai sensi dell'art. 250 c.c., di
riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio, ancorchè
minori, la L. n. 219 del 2012, ha infatti inteso sottolineare la
necessità di rimuovere ogni discriminazione ancora esistente fra
figli naturali e figli legittimi, dovendosi tutelare l'interesse dei figli in
quanto tali - e in quanto unici titolari della posizione giuridica
protetta - a conseguire il proprio status e la propria identità
biologica, quali diritti soggettivi della personalità riconosciutigli
dalla Costituzione italiana e dalle fonti sovranazionali. Ebbene,
non pare dubbio che al medesimo intento risponda la previsione
contenuta nel modificato ultimo comma dell'articolo che,
nell'ammettere - previa autorizzazione del giudice - il
riconoscimento anche da parte del genitore non ancora
sedicenne (in precedenza non consentito), evidenzia come le

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          L’autorizzazione al riconoscimento
                  dell’infrasedicenne
esigenze di tutela di quest'ultimo non possano più ritenersi
prevalenti rispetto a quelle del figlio.
Per la fattispecie di cui all'art. 251 c.c. è stata invece dettata una
specifica disciplina, che stabilisce, da un lato, che il
riconoscimento, quale che sia l'età del genitore richiedente,
possa essere effettuato solo previa autorizzazione del giudice e
prevede, dall'altro, che il provvedimento venga emesso avuto
riguardo all'interesse del figlio posto in stretta correlazione con la
necessità di evitargli qualsiasi pregiudizio: deve allora ritenersi
che, con esclusivo riferimento a tale ipotesi, il legislatore abbia
previsto la possibilità che il diritto allo status filiationis ceda a
fronte del diritto alla protezione ed alla salvaguardia del figlio
nato da una relazione incestuosa, in ragione della situazione,
particolarmente delicata, in cui egli versa.

                                                            Avv. Carolina Ferro
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         L’autorizzazione al riconoscimento
                 dell’infrasedicenne
La peculiarità della posizione del figlio nato da persone legate
da un vincolo di parentela giustifica, in definitiva, la scelta di
attribuire al tribunale specializzato (a composizione mista ed
anche per questo maggiormente attrezzato allo svolgimento di
indagini che richiedono l'integrazione di saperi squisitamente
giuridici con quelli propri delle discipline socio-psicologiche) a
provvedere sulla domanda di autorizzazione al riconoscimento
del minore proposta ai sensi dell'art. 251 c.c.. Va peraltro verso
osservato, sul piano meramente esegetico, che l'attuale
testo dell'art. 38 disp. att. c.c., così come ulteriormente
modificato dal D.Lgs. n. 154 del 2013, attribuisce espressamente
al giudice minorile la competenza per il provvedimento
autorizzativo di cui all'art. 251 c.c., ma non per quello previsto
dall'art. 250, u.c..

                                                            Avv. Carolina Ferro
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                                               e i Dipartimenti di giurisprudenza
                                    delle Università di Roma3, Cassino – Lazio meridionale

                  L’autorizzazione al riconoscimento
                          dell’infrasedicenne
La competenza territoriale è del tribunale del luogo in cui il
minore risiede abitualmente.
Stabilita la competenza del tribunale ordinario, occorre
verificare, nel silenzio della legge, se essa spetti al giudice
tutelare o al tribunale in composizione collegiale. Sul punto
si registra un’isolata decisione del Tribunale di Catanzaro
del 5 marzo 2013, secondo cui la competenza andrebbe
attribuita al giudice tutelare sul rilievo che l’autorizzazione,
atto tipico di quel magistrato, avrebbe solo la funzione di
rimuovere un limite posto dall’ordinamento nei confronti di
un soggetto, superando, in tal modo, la presunzione di
incapacità del minore infrasedicenne. Inoltre, tale scelta
valorizzerebbe la posizione centrale assunta dal Giudice
Tutelare in tema di protezione dei minori di età e delle
persone incapaci, tanto nel codice civile che nelle leggi
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        L’autorizzazione al riconoscimento
                dell’infrasedicenne
In realtà, venuta meno la competenza del TM a seguito
della modifica apportata dall’art. 38 disp. att. cod. civ.,
trattandosi di procedimenti in materia di famiglia, la
       .
competenza è sicuramente del Tribunale in composizione
collegiale.
Il procedimento non ha natura contenziosa e rientra nelle
procedure di volontaria giurisdizione; inizia con ricorso e
prevede la partecipazione necessaria del pubblico
ministero. La decisione è assunta con decreto, reclamabile
in Corte d’appello. Il provvedimento emesso dal giudice di
secondo grado, essendo revocabile e modificabile, non è
ricorribile in Cassazione.

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         L’autorizzazione al riconoscimento
                 dell’infrasedicenne
La legittimazione attiva
Il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio è atto
personalissimo, per cui può essere compiuto solo dal
genitore, ritenendosi inammissibile ogni forma di
sostituzione o di rappresentanza.
Bisogna, tuttavia, distinguere la legittimazione sostanziale
al riconoscimento dalla legittimazione processuale alla
richiesta di autorizzazione giudiziale al riconoscimento.
Secondo il Tribunale di Milano, che si è pronunciato con
provvedimento del 2 dicembre 2013 «In materia di
riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio, in caso di
minore di anni sedici, l’autorizzazione va richiesta dal genitore
interessato che gode di legittimazione attiva».
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                  L’autorizzazione al riconoscimento
                          dell’infrasedicenne
Il ragionamento del Tribunale di Milano prende le mosse
dal divieto di sostituzione processuale, salvo casi
eccezionali previsti dalla legge, di cui all’art. 81 c.p.c.,
rapportandolo, principalmente, agli atti personalissimi, in
cui, in linea di principio, risulta perfino inammissibile una
rappresentanza sostitutiva. In materia di riconoscimento,
l’atto giuridico tipizzato dall’art. 254 cc (atto di nascita o
apposita dichiarazione resa davanti all’ufficiale di stato
civile o contenuta in un atto pubblico o in un testamento)
può essere compiuto direttamente e personalmente da
chi riconosce. L’art. 250 c.c. comma quinto non muta
assolutamente la struttura morfologica dell’istituto, ma
introduce l’autorizzazione giudiziale per il caso in cui il
genitore non abbia ancora compiuto il sedicesimo anno
di età.                                                      Avv. Carolina Ferro
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                  L’autorizzazione al riconoscimento
                          dell’infrasedicenne
Già con decreto del 17 aprile 2013, il tribunale di Milano
aveva precisato che « Il procedimento ex art. 250, comma V,
c.c. non è diretto ad accertare né la paternità del neonato, né
l’idoneità della ricorrente a validamente occuparsi della cura,
della crescita e dell’educazione del piccolo, bensì solo a
verificare se possa la madre procedere a quel riconoscimento
che, comunque, costituirebbe un suo diritto, laddove ella avesse
già compiuto il sedicesimo anno di età». Il giudice, pertanto,
giunge alla considerazione che l’autorizzazione va
richiesta direttamente dal genitore (infrasedicenne), al cui
impulso ed alla cui volontà resta affidato. Non lascia
neanche spazio ad una legittimazione attiva dei servizi
sociali, precisando che questi, semmai, potranno attivarsi
per un intervento dell’Autorità competente, in caso di
situazioni che richiedano una presa in carico o l’intervento
del giudice      minorile.                                  Avv. Carolina Ferro
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         L’autorizzazione al riconoscimento
                 dell’infrasedicenne
Non è apparsa dello stesso avviso la Corte di Cassazione,
almeno così si deduce dall’ordinanza 16103/2015, già
citata in questo lavoro, in cui il ricorso introduttivo era stato
presentato proprio dai genitori dell’infrasedicenne, in
qualità di genitori, senza che in motivazione sia stato
mosso alcun rilievo al riguardo.
La questione, quindi, è ancora molto controversa, come è
dubbio se occorra nominare un curatore speciale quando
l’azione è esercitata dai genitori, con i quali è ravvisabile
un conflitto di interessi.

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