SANGUE, CROCE, CROCIFISSO.

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                    SANGUE, CROCE, CROCIFISSO.

1. Sangue sulla sindone.

Nell'uomo il sangue, costituito da plasma ed elementi figurati, costituisce 1/13
del peso corporeo. Il plasma è una massa liquida incolore che, privata del
fibrinogeno, viene denominata siero. La sindone presenta numerose macchie di
colore rosso con le caratteristiche proprie delle macchie di sangue su stoffa. Dalle
indagini compiute è risultato in modo incontrovertibile che si tratta di sostanza
ematica, vale a dire di sangue. Il fatto che, contrariamente a quanto ci si
potrebbe attendere, il sangue conservi, nonostante l'antichità del reperto, un
colore molto vivo è dovuto al fatto che, in persone sottoposte a continuati e
violenti traumi, nel sangue si segnala un'altissima concentrazione di bilirubina,
dal caratteristico colore rosso acceso. Oltre ed accanto alle macchie di sangue, vi
sono altre chiazze connotate dalla presenza di una sostanza proteica di color
giallo oro, identificata come siero. Queste macchie di siero si trovano in
particolare in aree circostanti le ferite e soprattutto nella zona adiacente la ferita
del costato. Le impronte sanguigne si sono prodotte per contatto diretto con
coaguli veri sulla pelle di un uomo ferito ed ucciso. Il colore rosso è dovuto
esclusivamente al sangue, si dissolve totalmente a contatto con soluzioni atte a
sciogliere le sostanze ematiche. Si tratta di sangue umano, maschile ed
appartenente al gruppo AB. Lo stesso sangue è riscontrato nel miracolo
eucaristico di Lanciano. Dalle colate di sangue che fuoriescono dalle lesioni, si
evince che fino a prima della morte il sangue fluiva dalle ferite e che il cadavere
non fu lavato e fu avvolto nel lenzuolo non più di 2 ore dopo il decesso. Si
distinguono agevolmente emorragie di sangue arterioso e venoso, emorragie di
sangue vivo e travasi postmortali di sangue. Interessante è notare che la
differenza tra sangue arterioso e venoso fu scoperta solo nel 1593. Per produrre
un decalco di questo genere, è necessario che il corpo sia rimasto a contatto con la
stoffa per un tempo nè inferiore nè superiore alle 36-40 ore. In un tempo
inferiore il decalco non si forma, in un tempo superiore si hanno impronte meno
nette e nitide. Il fatto inspiegabile è che il contatto tra il corpo ed il lenzuolo si è
interrotto senza alterare i decalchi delineati. Manca qualsiasi segno di
decomposizione e corruzione del corpo. Nonostante le gravissime lesioni e i
molteplici traumi non si assiste all'inizio della putrefazione. Non si segnala
alcuna macchia nella zona delle labbra dovuta all'emissione di gas dalla cavità
orale, fenomeno che segnala l'inizio del processo di corruzione del cadavere.
E' evidente che la sindone ha avvolto un cadavere, fatto provato al di là di ogni
dubbio da tre fattori:
       a. Il rigor mortis che caratterizza il corpo avvolto.
       b. Le gravissime ferite subite dal soggetto, che non permettono di
ipotizzare la sua sopravvivenza.
       c. I travasi postmortali di sangue, in particolare sul costato.
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2. Crocifissione.

Fin dall'Antichità, in particolare in Oriente, la crocifissione fu una forma
particolarmente atroce e temibile di esecuzione capitale. E' provato che dal
Vicino Oriente, dove la pratica era diffusa e applicata, la crocifissione giunse ben
presto a Roma, dove era riservata per punire i delitti più gravi, come la ribellione
ed il tradimento, in particolare degli schiavi, come avvenne in occasione della
rivolta di Spartaco nel 71 a.C., quando seimila schiavi furono crocifissi lungo la
via Appia. La crocifissione era considerata la più grande tra le infamie, a cui
nessun cittadino romano poteva essere condannato.

Per questo motivo ci sono giunte relativamente poche rappresentazioni e
descrizioni di questo supplizio.
        a. Cicerone. Definisce la crocifissione "crudele e disgustosa", aggiungendo
che "la croce deve rimanere distante non solo dal corpo, ma anche dagli occhi e
dalle orecchie del cittadino, mentre rappresenta la pena suprema per lo schiavo".
        b. Seneca. Definisce la croce "l'albero maledetto", dichiarando che "la vita
vi si spegne goccia a goccia".
        c. IV secolo d.C.. La crocifissione è abolita da Costantino e Teodosio,
mentre nell'impero bizantino e poi in quello arabo è ancora applicata per vari
secoli come estremo supplizio per i delitti più efferati.

Vi sono alcune, per la verità scarse, testimonianze sulle modalità di crocifissione
impiegate dai romani.
       a. Tabula puteolana. Risalente all'impero di Augusto, contiene le norme
per la crocifissione degli schiavi.
       b. Graffito di Pompei. Sulla parete di fondo del cubiculo di uno schiavo è
visibile l'impronta di una croce.
       c. Graffito di Pozzuoli. Ritrovato in una taberna presso l'anfiteatro,
raffigura la scena di una crocifissione.
       d. Graffito del Palatino. Si tratta della raffigurazione blasfema della
crocifissione di un uomo con la testa d'asino, oltraggio al Cristo crocifisso.

Da questi reperti possiamo delineare le modalità di crocifissione utilizzate a
Roma e nell'impero.
       1. Il condannato, nudo e curvo, legato ad una bassa colonna, veniva
flagellato. Il flagellum o flagrum era costituito da un'impugnatura a cui erano
legate strisce di corda o cuoio, che a ciascuna estremità avevano appese due
sferette di metallo o due pezzi d'osso o di legno. Al condannato poteva venire
inferto un numero variabile di colpi, unica limitazione era l'evitare di ucciderlo
prima del supplizio.
       2. Dopo la flaggellazione, al condannato veniva imposto di trasportare
sulle spalle il patibulum, il palo orizzontale della croce, fino al luogo del
supplizio, situato fuori dalle mura della città, dove si trovava già infisso nel
terreno lo stipes, il palo verticale della croce.
       3. Giunto sul luogo dell'esecuzione, il condannato viene spogliato e le sue
vesti diventano proprietà dei carnefici. Steso a terra e inchiodato alla croce, il
condannato viene poi issato sullo stipes, a cui è fissato il patibulum, così da
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formare la caratteristica croce a tau, detta crux patibulata o compacta. A
differenza di quanto rappresentato nell'iconografia cristiana, al condannato non
venivano infissi i chiodi nelle palme delle mani, ma nei polsi. Questo perchè il
palmo delle mani non avrebbe potuto sostenere il peso del corpo. I piedi del
crocifisso, spesso sovrapposti, sono fissati con uno o più chiodi allo stipes. La
croce poteva presentare due aggiunte. Un suppedaneum, cioè una sporgenza dove
il crocifisso potesse appoggiare i piedi oppure un sedile o corno, dove il
condannato potesse cercare di trovare un appoggio per sostenersi. Ciò rendeva
l'agonia ancor più lunga e terribile, evitando una morte molto rapida. Sulla croce
era posto il titulus damnationis, cioè la motivazione scritta della condanna.
        4. i crocifissi potevano sopravvivere anche molte ore tra atroci tormenti. In
questo modo la sentenza risultava esemplare. La morte del crocifisso, dopo una
straziante agonia, sopravveniva per una serie di cause concatenate e connesse
tra loro. Fattori determinanti nel decesso erano l'asfissia ed il collasso cardio-
circolatorio.
        5. Volendo per qualche motivo accelerare la morte del condannato, era uso
procedere con due tecniche. Il crurifragium con cui si spezzavano le gambe al
crocifisso che, privo di ogni appoggio, moriva rapidamente per soffocamento.
Oppure con un colpo letale di lancia al cuore.
        6. Deposto dalla croce, il cadavere del crocifisso veniva sepolto, ma poteva
accadere che, per dare un ulteriore monito, il corpo fosse gettato in pasto agli
uccelli o lasciato appeso alla croce fino alla sua decomposizione.

Nell'area della Palestina, prima dell'occupazione romana, la pratica della
crocifissione era già diffusa. Leggiamo a questo proposito nel libro del
Deuteronomio:

              "Se un uomo avrà commesso un delitto degno di morte e tu lo avrai messo a
              morte appeso ad un albero, il suo cadavere non dovrà rimanere tutta la notte
              sull'albero, ma lo seppellirai lo stesso giorno, perchè l'appeso è una maledizione
              di Dio e tu non contaminerai il paese che il Signore tuo Dio ti dà in eredità."

Anche sotto l'occupazione romana la pratica della crocifissione è ampiamente
adottata in Palestina, come ricordano in particolare Filone di Alessandria e
Giuseppe Flavio. Nel 1968, in un cantiere edile a Giv'at ha-Mivtar, presso
Gerusalemme, sono ritrovate tre grotte sepolcrali risalenti al I secolo d.C., una
delle quali contenente lo scheletro di un uomo morto per crocifissione. Oltre che
dalla frattura della tibia e del perone destro, ciò è confermato dal chiodo inserito
ancora nel piede destro.
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3. Il crocifisso.

Risulta evidente che nella sindone fu avvolto il cadavere di un uomo morto in
seguito a crocifissione, esecuzione praticata secondo le modalità in uso
nell'impero romano. Dalla sindone emergono i seguenti dati:
       a. Il corpo presenta evidenti segni di flagellazione, si possono contare circa
120 colpi, numero inusuale per chi doveva in seguito subire anche la
crocifissione. L'uomo della sindone, certamente non un cittadino romano, è
flagellato nudo, fermo e legato ad una colonna bassa, curvo in avanti.
       b. Le spalle, già ferite dai flagelli, sono escoriate dal trasporto del
patibulum.
       c. Le ginocchia mostrano varie contusioni dovute a cadute. Vi è presenza di
sangue e terriccio.
       d. Il volto è sfigurato da numerose percosse, colpi di flagello e segni di
caduta.
       e. I polsi ed i piedi sovrapposti risultano trapassati da chiodi. La gamba
sinistra risulta flessa, il piede sinistro è inchiodato sopra il destro.

Vi sono inoltre alcuni particolari che rendono del tutto singolare la crocifissione
in questione:
        a. La testa è ferita da un casco di spine. Non si tratta, come riportato
nell'iconografia cristiana, di una corona di spine circolare, ma di un casco di
spine che copre l'intera calotta cranica, simile alle corone regali o alle mitrie
orientali.
        b. Il costato risulta trafitto da una punta di lancia, riconducibile ad
un'hasta romana. Dalla ferita, che misura 1.5x4.5cm fluisce sangue postmortale,
su un'area di 15x6cm. La natura postmortale del sangue è evidente dal fatto che
si è già verificata la separazione del sangue nelle due componenti, corpuscolata e
sierosa, processo che avviene solo dopo il decesso. La grande quantità di sangue
fuoriuscito, inusuale per un cadavere, si giustifica con un pregresso versamento
di sangue nella cavità pleurica in seguito ai traumi subiti ed al collasso cardiaco
che porta alla morte. Il colpo di lancia non è un colpo di grazia, ma viene inferto
per testimoniare la morte già avvenuta. Non si ha crurifragium.
        c. Il cadavere viene avvolto nel lenzuolo nudo e non lavato.
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4. La sepoltura.

Rispetto a quanto accadeva normalmente, la sepoltura del crocifisso della
sindone manifesta caratteri particolari e si connota per una peculiare cura. Come
indicato nel Deuteronomio, nella cultura ebraica la sepoltura ha importanza
fondamentale, anche i nemici e gli stranieri sono sepolti. La sepoltura, nella
roccia o nel terreno, avviene il giorno stesso della morte. Anche i condannati a
morte sono sepolti. Solitamente il cadavere, lavato e unto con oli e profumi, è
rivestito. Solo i cadaveri di uomini appartenenti a quattro categorie particolari
non venivano lavati prima della sepoltura: le vittime di morte violenta, i
giustiziati per crimini di natura religiosa, i proscritti dalla comunità giudaica e
gli uccisi da non giudei. L'uomo della sindone non è lavato, come dimostra il
sangue, e rientra in una di queste quattro categorie. Gesù vi rientra pienamente.
Il cadavere è avvolto da una tela bianca di lino, sul viso viene posto un sudario.
Le vesti e i teli funerari sono imbevuti di aloe e mirra. Il lenzuolo in cui è avvolto
l'uomo della sindone risulta nuovo, di pregevole fattura, inusuale per un
crocifisso. Le misure della sindone, se espresse in cubiti siriani, unità di misura
usata in epoca romana nel Vicino Oriente, risultano esattamente di 2 cubiti di
larghezza e 8 cubiti di lunghezza. Non vi è alcuna mescolanza con lana, come
prescritto dalla legge giudaica.

5. Il sudario.

Il sudario era il telo posto sul volto del defunto. In Spagna, nella cattedrale di
Oviedo, è custodito un telo di lino che la tradizione definisce come santo sudario o
sagrado rostro, vale a dire santo volto. Si tratta di una tela di 83x52cm, con
numerose macchie di sangue simmetriche, che hanno trapassato il tessuto
mentre era piegato in due. La reliquia è portata a Oviedo nel IX secolo,
proveniente da Toledo, dove era giunta nel 614, trasportata attraverso il Nord
Africa da Gerusalemme, conquistata dai Persiani di Cosroe II. Natura e tessitura
del sudario di Oviedo sono analoghe a quelle della sindone, vi si trovano tracce di
aloe e di pollini provenienti dalla Palestina e dall'Africa Settentrionale. Il sangue
umano sul sudario appartiene al gruppo AB. Sono settanta le macchie di sangue
coincidenti con quelle del volto sindonico.
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6. La parola alla statistica.

Basandosi su sette particolari comuni alla descrizione evangelica della passione
di Cristo e alle tracce presenti sulla sindone, è stata calcolata la probabilità che
l'uomo della sindone non sia Gesù di Nazareth. I fatti considerati sono:

1. Dopo la morte è stato avvolto in un lenzuolo;

2. Presenta ferite di un casco di spine e i segni della flagellazione;

3. Trasportò sulle spalle un oggetto pesante;

4. Fu fissato alla croce con chiodi;

5. Riportò una ferita al costato destro a morte già avvenuta e non gli furono
spezzate le gambe;

6. Fu avvolto subito nel lenzuolo, senza che il cadavere fosse unto o lavato;

7. E' rimasto nel lenzuolo per poco tempo;

A partire da questi dati, ponendo che si siano verificati su un uomo solo, come
testimonia la sindone e narrano i Vangeli, vi è una possibilità su 200 miliardi che
l'uomo della sindone non sia Gesù.
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