RASSEGNA STAMPA CRT SICILIA - A CURA DELL'UFFICIO STAMPA CRT SICILIA (TIZIANA LENZO -MARIELLA QUINCI) - 12 GIUGNO

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RASSEGNA STAMPA CRT SICILIA - A CURA DELL'UFFICIO STAMPA CRT SICILIA (TIZIANA LENZO -MARIELLA QUINCI) - 12 GIUGNO
RASSEGNA STAMPA CRT SICILIA
                                     930APRILE
                                         MARZO 2018
                                             10 APRILE 2018
                                          12 GIUGNO

                      A CURA DELL’UFFICIO STAMPA CRT SICILIA
                         (TIZIANA LENZO –MARIELLA QUINCI)

File: Reg_10-CartaInt.02.doc   Data rev. 08/07/2011            Pagina 1 di 1

Responsabile del procedimento:
RASSEGNA STAMPA CRT SICILIA - A CURA DELL'UFFICIO STAMPA CRT SICILIA (TIZIANA LENZO -MARIELLA QUINCI) - 12 GIUGNO
Fondazione Giglio di Cefalù, nuovo test per la diagnosi
del tumore alla prostata
  insanitas.it/fondazione-giglio-di-cefalu-nuovo-test-per-la-diagnosi-del-tumore-alla-prostata/

                                                                                                  June 12, 2018

PALERMO. È stato introdotto alla Fondazione Giglio di Cefalù un nuovo test per la
diagnosi di tumore alla prostata denominato “Ixip”. Il test viene eseguito dal centro
prelievi del laboratorio analisi del Giglio su un semplice campione di sangue. L’esito
fornisce al medico l’indice di probabilità di tumore alla prostata ancor prima di eseguire la
biopsia prostatica, evitando quindi al paziente di essere sottoposto a un esame invasivo.

«Nell’ultimo congresso americano di urologia, che si è tenuto a San Francisco – ha detto il
professore Patrizio Rigatti – l’Ixpi è stato ritenuto il test diagnostico sulla prostata
attualmente più affidabile con una certezza del risultato pari al 90 percento. In caso di esito
positivo l’Ixpi ci offre anche l’indice di aggressività del tumore. Non sostituisce il PSA che
è l’esame di routine, ma quando questo è mosso o sospetto attraverso l’Ixip il medico può
definire la diagnosi con accuratezza. L’ixip- ha precisato l’urologo- deve essere preceduto
dall’ecografia rettale (Digital Rectal Exam) per determinare il volume della prostata e/o
dalla risonanza magnetica multiparametrica per evidenziare anche le zone di rischio
(Piras)».

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Patrizio Rigatti

L’Ixpi viene, infatti, calcolato sulla base di quattro parametri: livelli sierologici di PSA, livelli
sierologia di PSA-Igm (immunoglobine), il volume della prostata e l’età del paziente.

«Processando questi parametri – ha aggiunto Martino Tinaglia, responsabile del
laboratorio analisi – determiniamo il rischio di tumore alla prostata da nullo a molto alto».
«Su un valore di rischio medio- ha sottolineato Rigatti- viene consigliata la Biopsia». Il
laboratorio di Cefalù è il primo in Sicilia ad eseguire questo test.

«L’urologia di Cefalù- ha detto il direttore generale Vittorio Virgilio– si conferma
un’eccellenza della sanità siciliana sia sotto il profilo della diagnosi che della cura con un
equipe di chirurghi di elevata professionalità».

                                            Vittorio Virgilio

Soddisfazione per l’introduzione di questo nuovo test diagnostico è stata espressa dal
presidente del Consiglio di amministrazione, Giovanni Albano, «ritenendo l’innovazione in
sanità elemento fondamentale per qualificare una struttura”.
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Al Giglio viene, inoltre, eseguito anche il test delle cellule tumorali circolanti (Ctc)
indicato anche per altri tumori come mammella, colon ovaie, il fish test e la risonanza
magnetica con bobina endorettale per la diagnosi del tumore alla prostata.

L’Ixpi è un esame non rimborsato dal servizio sanitario nazionale con un costo a
carico del paziente di euro 65. Non occorre la prenotazione, viene eseguito a digiuno e al
mattino. Il paziente al momento del test deve essere in possesso di altro esame
strumentale che indica il volume della prostata che è uno dei parametri per il calcolo
dell’Ixpi.

                                         Giovanni Albano

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Donazioni e trapianti di organi, iniziative divulgative
dell’Asp di Trapani
   insanitas.it/donazione-e-trapianti-di-organi-iniziative-divulgative-dellasp-di-trapani/

                                                                                             June 12, 2018

Giovedì 14 giugno, alle 16,30, alla curia vescovile di Trapani, sarà sottoscritto un
protocollo d’intesa tra l’Azienda Sanitaria Provinciale di Trapani, la Rete Nazionale
Trapianti e la Diocesi di Trapani, per la divulgazione e la promozione della cultura della
donazione e del trapianto di organi e tessuti.

Attività che si esplicherà attraverso la realizzazione, anche in collaborazione con le
associazioni del territorio, di convegni, giornate informative e formative sulla donazione,
nonché di eventi in occasione della Giornata nazionale della donazione e trapianto di
organi e tessuti, indetta annualmente dal ministro della Salute.

Alle ore 18, sempre a Trapani, al Palazzo del Governo, sarà presentato il progetto-
obiettivo del Piano sanitario nazionale “Donazione organi e tessuti: dichiara il tuo si a
sostegno della vita”, di cui è titolare l’ASP di Trapani, che ha individuato come referente il
coordinatore locale trapianti Antonio Cacciapuoti.

Interverranno, tra gli altri, il prefetto di Trapani Darco Pellos, il vescovo della diocesi Pietro
Maria Fragnelli, la senatrice Paola Binetti, il presidente del Centro nazionale trapianti
Alessandro Nanni Costa, la dirigente generale del dipartimento per le Attività sanitarie
della Regione Siciliana Maria Letizia Di Liberti, e il commissario dell’ASP di Trapani
Giovanni Bavetta.

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Ospedale Civico, arriva una donazione di 5 mila euro per
il reparto di Oncoematologia pediatrica
  insanitas.it/ospedale-civico-arriva-una-donazione-di-5-mila-euro-per-il-reparto-di-oncoematologia-pediatrica/

                                                                                                            June 11, 2018

PALERMO. Un assegno da 5 mila euro a favore dell’unità operativa di Oncoematologia
Pediatrica dell’Ospedale Civico di Palermo è stato consegnato questa mattina dal direttore
generale di Conad Sicilia, Vittorio Troia, al primario del reparto Paolo D’Angelo e a
Giuseppe Lentini, presidente dell’Associazione siciliana contro le leucemie e i tumori
infantili.

Il consiglio di amministrazione del Gruppo ha dato il via libera alla donazione per l’acquisto
di attrezzature mediche per il nuovo reparto del nosocomio palermitano, per potenziare i
servizi di assistenza ai piccoli pazienti e alle loro famiglie.

«Il nostro è un dovere morale- ha spiegato Vittorio Troia, direttore generale e CFO Conad
Sicilia a margine della consegna- perché riversiamo la fiducia dei nostri clienti in un
impegno capillare e costante sul territorio siciliano. La consegna di oggi – ha concluso Troia
– è un piccolo gesto a sostegno di un reparto fondamentale per la cura dei piccoli pazienti
e per il sostegno delle loro famiglie ed è un modo per avvinarci di più alle persone e alle
loro esigenze».

«Il sostegno dei privati- ha affermato il commissario dell’Arnas Civico, Giovanni Migliore–
ha una duplice valenza in oncoematologia pediatrica. Infatti, oltre a contribuire all’acquisto
di attrezzature, è soprattutto una tangibile dimostrazione di apprezzamento e fiducia, che
incoraggia chi ogni giorno si confronta con la sofferenza dei bambini affetti da patologie
tumorali».

Conad Sicilia negli scorsi ha donato un assegno in favore dell’associazione Piera Cutino e
a Modica ha collaborato con la Casa di Toti, per realizzare il primo albergo etico gestito da
disabili e sempre a Modica, prossimamente consegnerà un assegno da 5 mila euro
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all’Anffas per l’acquisto di un pulmino per il trasporto disabili che frequentano le attività
dell’associazione.

«Il progetto “In ospedale come a casa” – ha commentato Giuseppe Lentini, presidente di
Aslti (Associazione siciliana contro le leucemie e i tumori infantili)- è sostenuto con
entusiasmo da tantissimi privati cittadini, ma anche da imprese piccole e grandi, e questo ci
incoraggia a continuare a impegnarci per migliorare le condizioni delle strutture sanitarie
cittadine».

Nella foto da sinistra: Vittorio Troia, direttore generale e CFO Conad Sicilia, Giovanni
Migliore commissario Arnas Civico, Giuseppe Lentini, presidente dell’Associazione siciliana
contro le leucemie e i tumori infantili, Paolo D’Angelo, primario del reparto e Giovanni
Anania, direttore marketing e rete Conad Sicilia.

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Edizione del:12/06/18
                                                                      Dir. Resp.:Mario Calabresi                    Estratto da pag.:66
              Sezione:MEDICINA                         Tiratura: 216.733 Diffusione: 267.971 Lettori: 2.015.000               Foglio:1/1

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                                                                                                                         Peso:5%

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              Sezione:POLITICA SANITARIA               Tiratura: 164.785 Diffusione: 206.092 Lettori: 1.085.000               Foglio:1/2

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              Sezione:POLITICA SANITARIA                           Foglio:2/2

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IL RAPPORTO

Sempre più donne in sala operatoria Più uomini solo tra
gli over 50
Il numero delle donne iscritte al primo anno delle scuole di specializzazione in Chirurgia
Generale supera il 48%. Sei medici su 10 sono donne, ma le difficoltà sono molte

Cristina Marrone

                                                      Il sorpasso delle donne nella
                                                      professione medica in Italia è solo
                                                      una questione di tempo. Pur
                                                      rappresentando, infatti, ancora solo
                                                      un terzo dell’intera popolazione
                                                      medica chirurgica, le donne si
                                                      preparano a diventare la
                                                      maggioranza. Già oggi infatti la
                                                      prevalenza numerica degli uomini
                                                      persiste solo nella fascia di età over
50, mentre sotto questa soglia quasi sei medici su dieci sono donne. È quanto
emerge nel «Primo rapporto SIC sulle donne in chirurgia» pubblicato dalla Società
italiana di Chirurgia (SIC). L’indagine condotta dall’associazione presieduta dal
professor Marco Montorsi parte dalla «consapevolezza che occorre garantire parità
di genere sul posto di lavoro» e «fotografa la realtà delle sale operatorie italiane
dove è in atto un vero e proprio processo di rinnovamento, al cui centro ci sono le
donne».

I DATI DELLE SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE      Il numero delle donne iscritte al primo
anno delle scuole di specializzazione in Chirurgia Generale è costantemente
aumentato negli ultimi anni, tanto da raggiungere il 48,3% degli immatricolati nel
periodo 2008-2015 (433 su 896). Secondo gli ultimi dati disponibili, relativi all’anno
accademico 2014/2015, la percentuale di iscritte alla specializzazione in Chirurgia
generale è del 57,1% a Palermo, del 55,5% a Torino e Bologna, del 50% a Milano,
del 35% a Napoli e del 33,3% a Cagliari. Nel rapporto si segnalano alcuni casi di
atenei virtuosi dove i camici «rosa» costituiscono un ampia maggioranza: sono
donne il 100% degli iscritti alle scuole di specializzazione di Chirurgia generale
dell’Università degli Studi di Torino (anno accademico 2009/2010), dell’Università
degli Studi di Milano (anno accademico 2009/2010) e dell’Università di Cagliari
(anno accademico 2010/2011). Ulteriori segnali positivi si sono verificati a Palermo
(nell’anno accademico 2013/2014, su 6 iscritti ben 5 erano donne) e a Bologna
(62,5% nel 2011/2012). Dati che dimostrano come la crescita della presenza della
componente femminile non è influenzata da logiche Nord-Sud.

PENALIZZAZIONE DELLE DONNE         Per affrontare in maniera efficace questo
fenomeno e non farsi trovare impreparati occorrono nuove organizzazioni del lavoro,
nuove politiche e nuove iniziative che tengano in considerazione le necessità e i
bisogni delle donne. Sondaggi interni al mondo medico e chirurgico mettono in
risalto come ancora oggi sussistano nelle strutture ospedaliere dinamiche che
penalizzano le donne. In primo luogo difficilmente vengono riconosciuti alle donne
impegni legati alla gravidanza e, successivamente, alla maternità. In secondo luogo
si evidenziano comportamenti discriminatori in termini di progressione di carriera e
possibilità formative (fino ad arrivare a vere e proprie situazioni di mobbing). Il 56%
delle donne ritiene che aver avuto figli abbia ridimensionato il proprio percorso di
carriera, contro il 16,4& degli uomini.

LA TESTIMONIANZA      Il rapporto però racconta anche casi di rivincita «rosa», come
quello dell’equipe di Chirurgia della Mano del Gruppo Multimedica si Milano: in un
team di 18 chirurghi ben 12 sono donne. Chiara Parolo, una delle chirurghe del
reparto, già intervistata da «Io Donna» del Corriere della Sera racconta la sua
esperienza: «Quando hai finito un turno di dodici ore in sala non torni a casa per
sdraiarti sul divano, se ti aspetta una famiglia. Al rientro in ospedale dopo la
gravidanza ho avuto un momento di crisi e ho temuto di non farcela, perché questo
non è un lavoro in cui stacchi di punto in bianco se devi andare a prendere il
bambino all’asilo. Conciliare tutto è possibile, però, se l’ambiente di lavoro lo
consente: io ho orari flessibili per cui alcuni giorni sono immersa fino a tardi negli
interventi, altri posso uscire nel pomeriggio ed essere tutta per mio figlio. In questo
modo mi è permesso di valorizzare il mio essere donna, non mi si chiede di
“comportarmi da uomo”: non ovunque purtroppo è così, perciò tante colleghe
mollano». Facendo riferimento ai pregiudizi che comporta essere una donna
chirurgo, ha affermato: «Spesso dobbiamo fare uno sforzo supplementare rispetto
agli uomini per guadagnarci la fiducia dei pazienti, che non sempre si sentono a
proprio agio con un chirurgo donna, per di più giovane come nel mio caso. L’empatia
femminile però aiuta a costruire un rapporto di fiducia che spesso, poi, diventa
ancora più forte proprio perché ci siamo guadagnate la stima sul campo, con la
nostra competenza. Certo è faticoso, se oltre alla professione si desidera una
famiglia: lo scoglio c’è, inutile negarlo, e può diventare insormontabile se non si
hanno aiuti domestici. Purtroppo nel nostro Paese manca un supporto adeguato:
all’estero gli asili nido negli ospedali o nelle aziende sono una realtà comune, in
Italia una rarità».

NIDI IN OSPEDALE           La professoressa Francesca Catalano, vicepresidente SIC e
primario del reparto di senologia dell’ospedale Cannizzaro di Catania, e la
dottoressa Isabella Frigerio, presidente dell’Associazione Women in Surgery Italia e
chirurgo del pancreas presso l’Ospedale Pederzoli di Peschiera del Garda,
delineano nel rapporto una prima e decisiva soluzione: «L’istituzione di asili nido
interaziendali, allo scopo di facilitare la transizione dal periodo di maternità al
reinserimento lavorativo e di costruire un rapporto di fiducia tra azienda e dipendenti.
Nei prossimi mesi, infatti, la SIC avanzerà al Ministero della Salute una proposta di
sondaggio tra i chirurghi sul livello di gradimento di tale servizio».

Cristina Marrone
11 giugno 2018 | 11:21
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Edizione del:12/06/18
                                                                     Dir. Resp.:Maurizio Molinari                  Estratto da pag.:1,35
              Sezione:POLITICA SANITARIA               Tiratura: 164.785 Diffusione: 206.092 Lettori: 1.085.000               Foglio:1/2

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                                                        Estratto da pag.:1,35
              Sezione:POLITICA SANITARIA                           Foglio:2/2

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Anche la danza può curare il Parkinson (ed è meglio l’hip
hop) | Buone notizie gratis in edicola
Nelle sale civiche di Bassano del Grappa lezioni terapeutiche: i malati (ma non solo) traggono
ispirazione dalle tele e dalle sculture. «Ho ripreso a fare cose che facevo prima della malattia»

                                                      Il «palcoscenico» è una sala del
                                                      Museo Civico di Bassano del Grappa,
                                                      provincia di Vicenza, che ospita una
                                                      mostra temporanea, titolo «In-
                                                      colore», dell’artista cinquantatreenne,
                                                      originario di Marostica, Daniele
                                                      Marcon: dipinti con disegni
                                                      geometrici, quadrati e rettangoli,
                                                   colori prevalentemente scuri, in
                                                   contrasto fra loro, linee ben marcate.
A stimolare, proprio attraverso i colori, intesi come espressione della forza della vita,
la partecipazione emotiva di chi li guarda. Gli attori o, meglio, i «danzatori» , che si
esibiscono su questo palcoscenico, sono soprattutto malati di Parkinson che
traggono ispirazione da questi dipinti. Ma ci sono anche giovani e giovanissimi,
immigrati, persone comuni. Tutti insieme. Ore 9.30 di un lunedì dell’aprile 2018: ha
inizio la lezione di danza contemporanea. E la coreografa -insegnante invita il
gruppo, di almeno una settantina di persone, a muoversi secondo percorsi
immaginati nello spazio, seguendo linee soprattutto, come ispirano i quadri esposti
alle pareti. Avanti e indietro. A destra e a sinistra. Con le braccia verso l’alto o
sdraiati a terra. Da soli o in coppia. Cercando propri spazi vitali oppure creando
traiettorie che permettano di incontrare quelle degli altri, anche attraverso un
contatto fisico che, alla fine, può diventare terapeutico.

«Tutto è partito dall’idea, confermata da ricerche scientifiche, che la danza
contemporanea può aiutare i pazienti con il Parkinson a migliorare le loro
capacità di movimento e, in definitiva, la loro qualità della vita», conferma Daniele
Volpe, direttore del Dipartimento di Neuro-riabilitazione di Villa Margherita ad
Arcugnano (Vicenza) che fa parte del Fresco Parkinson Institute (comprende in
totale sei centri di eccellenza in Italia). Cosa non da poco se si considera che la
malattia di Parkinson (i malati, per via di un’alterazione di certe zone del cervello,
vanno incontro a progressive difficoltà di movimento) sta diventando, secondo gli
esperti, una vera e propria «pandemia», cioè interesserà sempre più persone in un
prossimo futuro e avrà un forte impatto economico sui sistemi sanitari. «Occorre
trovare nuovi modelli di cura e di riabilitazione, al di là di quelli classici – continua
Volpe - E che coinvolgano anche figure non sanitarie, come i maestri di danza, per
esempio, ovviamente con una formazione adeguata».

Così ha preso vita, a Bassano del Grappa, l’iniziativa Dance Well, ideata e
promossa da Roberto Casarotto, nell’ambito di Operaestate Festival Veneto, di
cui Casarotto è direttore artistico. «Questo progetto è nato da un incontro con
un’organizzazione olandese che si chiama Dance for Health – precisa Casarotto –
ma si è sviluppato, poi, in maniera indipendente, e ha dato particolare rilevanza alla
parte artistica». A Bassano, infatti, non si parla di «danzaterapia», cioè di un’attività
che ha a che fare solo con il movimento e, di solito, trova spazio nelle palestre. Qui
le persone vanno al museo e danzano nelle varie sale, cercando di tradurre in
movimenti del corpo le suggestioni che le opere d’arte inspirano (anche quelle
classiche di cui il Museo di Bassano è ricchissimo, dalle sculture di Antonio Canova,
per esempio, alle tele di Iacopo Da Ponte, il Bassano ).

«Anche il tango o le danze irlandesi sono utili ai pazienti di Parkinson –
continua Volpi - perché stimolano aree del cervello come la corteccia sensoriale e
motoria che hanno a che fare con i movimenti. Ma la danza contemporanea,
inspirata dall’arte, stimola più aree cerebrali come il sistema limbico che a che fare
con le emozioni e con i processi creativi». Racconta Eva, quarantotto anni, 15
passati con il Parkinson: «In questi ultimi quattro anni ho trovato nella danza un
punto si svolta nella mia vita e ho potuto riprendere a fare cose che facevo prima
della malattia. Ma soprattutto ho superato il problema dello stigma: ora non mi sento
più giudicata dagli altri e la mia autostima ne ha guadagnato». Ancora sul piano
scientifico: «L’importante è la continuità dell’esercizio – ragiona Volpi - perché
questo promuove, nel cervello, anche meccanismi di neuroprotezione e
neuroplasticità, con un aumento della creazione di nuove sinapsi. Come dire che la
malattia può rallentare».

Perché quello che alcuni neurologi italiani segnalano è un eccessivo uso di
farmaci (come la dopamina o analoghi) che comporta effetti collaterali come
movimenti incontrollati o addirittura blocchi del movimento (il cosiddetto freezing),
per citarne alcuni: la danza può aiutare anche a ridurre il ricorso alle medicine. Se
l’iniziativa Dance Well è indirizzata soprattutto ai malati di Parkinson, coinvolge però
altre persone della comunità: giovani, per esempio, e migranti (tutte le settimane si
contano nelle sale del Museo Civico almeno 250-300 persone coinvolte
nell’iniziativa). «Alle nostre lezioni - dice Casarotto - partecipano anche richiedenti
asilo. Pensiamo che questa pratica sia utile per creare inclusione e abbiamo un
progetto in tal senso, nonostante alcune critiche negative da certe parti politiche».
La performance al museo si conclude dopo un’ora, senza spettatori, tranne chi
scrive. Ma alcuni pazienti parkinsoniani un pubblico l’avranno al prossimo Festival
Veneto Operaestate a Bassano (dal prossimo luglio fino a settembre). I «Parkinson
dancer» andranno in scena con una piccola pièce, coordinata da un coreografo, a
testimoniare il loro lavoro di fronte alla comunità degli spettatori. Perché la disabilità
non è sempre un limite, ma può essere anche un’opportunità.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Adriana Bazzi
11 giugno 2018 | 15:59
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Dieta: non è tanto quanto mangi ma a che ora ti siedi a tavola - Repubblica.it                                                          12/06/18, 11)11

                         Alimentazione e Fitness

    Dieta: non è tanto
    quanto mangi ma
    a che ora ti siedi a
    tavola

 Perché se è vero che un piatto di pasta è sempre un piatto di pasta, diversi studi negli ultimi anni indicano che
 il nostro metabolismo cambia nel corso delle 24 ore

 di TINA SIMONIELLO
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 POTREMMO aver sbagliato tutto nella nostra ossessione della bilancia e del controllo di quello che mettiamo nel piatto. Distratti dal quanto e
 dal cosa mangiare abbiamo tralasciato un concetto fondamentale: il quando. Potrebbe essere insomma che una amatriciana consumata a
 pranzo non è la stessa cosa, in termini di effetti sul peso corporeo e quindi sulla salute, di una identica pasta consumata prima di andare a
 letto: a parità di gusto, condimento e – attenzione – a parità di calorie. Perché se è vero che un piatto di pasta è sempre un piatto di pasta,
 diversi studi negli ultimi anni indicano che il nostro metabolismo cambia nel corso delle 24 ore. E che con il metabolismo, cambia la nostra
 capacità di lavorare, di assimilare e appunto metabolizzare il cibo che ingeriamo.

 • È LA CRONONUTRIZIONE BELLEZZA
 È questa semplificando l’idea che sta dietro alla crononutrizione, che non è l’ennesima dieta ma un regime alimentare di cui si è cominciato
 a parlare verso la metà degli anni ’80 e che tiene conto dell’importanza di sincronizzare i pasti col nostro orologio interno, a cominciare dal
 ciclo sonno-veglia, luce-buio. E' recente uno studio pubblicato su Diabetic Medicine che sostiene che le persone con diabete di tipo 2 che
 fanno colazione tardi, hanno maggiori probabilità di avere un indice di massa corporea più alto rispetto a chi ha l’abitudine di anticipare il
 prino pasto della giornata. A parità di calorie assunte. Un'altra ricerca più datata ma forse più indicativa della prima, ha valutato la relazione
 tra timing alimentare (l’orario dei pasti) e efficacia di un regime dimagrante su un campione di 420 persone sottoposte a 20 settimane di dieta
 dimagrante. Il risultato? Chi aveva l’abitudine di pasteggiare più tardi, chiamiamoli i mangiatori tardivi, perdeva meno peso e a un tasso più
 lento rispetto ai mangiatori chiamiamoli anticipati. Anche in questo caso: a parità di calorie, alimenti, consumo energetico, ormoni
 dell'appetito e durata del sonno. Ma – secondo i ricercatori - i mangiatori tardivi erano gli stessi che andavano più speso a letto tardi la sera,
 che la mattina facevano colazioni meno sostanziose, o che la colazione la saltavano proprio. Insomma con i pasti, più anticipi meglio è
 sembrerebbe.
                                         PUBBLICITÀ

http://www.repubblica.it/salute/alimentazione-e-fitness/2018/06/11…non_e_tanto_quanto_mangi_ma_a_che_ora_ti_siedi_a_tavola-198723066/    Pagina 1 di 3
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 • IL RITMO CIRCADIANO DEGLI ORMONI
 Ma qual è la ragione scientifica del vantaggio di anticipare i pasti? E, più in generale, perché il timing alimentare influenza gli effetti del cibo
 in termini di peso corporeo, e quindi di salute? “Sappiamo ancora poco di crononutrizione però sappiamo quello che osserviamo”, spiega
 Andrea Ghiselli, dirigente di ricerca al CREA di Roma. “E cioè – riprende - che gli ormoni seguono un ritmo circadiano, vale a dire che la
 loro produzione varia nel corso delle 24 ore. È il caso dell’insulina, che ha un picco intorno alle 17, o della leptina, l’ormone anoressizzante,
 che ce l’ha verso l’una di notte. Non solo. Osserviamo che chi consuma la maggior parte delle calorie nella prima parte della giornata è più
 magro, ha minor rischio diabetico e cardiovascolare. Al contrario di chi per lavoro è costretto a stare sveglio la notte, che invece è a maggior
 rischio metabolico e cardiaco.

 • IL GRADIENTE OBESITÀ
 “Osserviamo – riflette ancora Ghiselli- che esiste un gradiente geografico obesità: in Europa la diffusione dell’eccesso di grasso corporeo
 aumenta scendendo verso i paesi del Sud, che sono gli stessi dove si tende a cenare la sera tardi. Infine abbiamo dati sugli animali da
 laboratorio, che non si possono trasferire sugli umani, ma sono indicativi: i ratti sottoposti a un ritmo luce-buio normale sono meno grassi di
 quelli tenuti artificialmente a un ritmo luce-meno luce, cioè mai al buio, che mangiano di più. Ecco, tutto questo ci dice che anticipare la quota
 maggiore di energia nella prima parte della giornata aiuta a sincronizzarci con i ritmi circadiani. Ma sulle ragioni, cioè sui perché le cose
 vanno così, oggi possiamo solo fare ipotesi”. Facciamole. “Potrebbe esserci più di un causa e cause diverse che agiscono insieme – riflette
 l’esperto - Per esempio ragioni comportamentali: come dire che se la notte stai sveglio tendi a mangiare di più, molto semplicemente.
 Oppure potrebbe essere che la luce compromette il corretto funzionamento dell’orologio biologico. Tuttavia nell’attesa di ampliare le nostre
 conoscenze, se concentriamo la maggior parte dell’energia nella prima parte della giornata non sbagliamo”, ribadisce.

 Ma ci sono alimenti che è meglio mangiare prima, e altri che volendo si possono consumare anche più tardi nel corso della giornata? “So
 che c’è chi dice che evitare di mangiare carboidrati dopo le 17 del pomeriggio fa perdere peso. è una sciocchezza: mille calorie sono mille
 calorie – conclude - carboidrati o no”.

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