Progressismo cattolico vs ortodosso
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Progressismo cattolico vs multipolarismo ortodosso russo di F.f. “Io credo nella Russia, nella sua Ortodossia. Credo nel Popolo Cristo”. Fedor Michajlovic Dostoesvkij L’amico Moreno Pasquinelli – che indicheremo da ora in poi con la iniziale MP per abbreviare – ha replicato al nostro scritto sul cattolicesimo con un articolo concettualmente e storicamente molto denso. La nostra risposta è d’obbligo non per tenere il punto, tantomeno per polemizzare, tutt’altro, ma viceversa per cercare di mostrare come talvolta la visione del “sovranismo di sinistra” rischi di essere, come d’altra parte quella del “sovranismo di destra” europeo, un altro volto della stessa medaglia di quel laicismo e relativismo europeistici ed occidentalistici, di radice Illuministica, di
cui vorrebbero costituire l’alternativa. Laicismo e relativismo democraticista, non democratico, antidemocratico, ben più che liberale (come dice invece il Nostro), che sono il marchio del Deep State. MP ci accusa, in senso storico- politico, di sostenere: a) il costantinismo; b) la mitologia panortodossa basata sulla Terza Roma; infine di aver costruito c) una fallace ideologia riguardo alla lotta del presente secolo basata su un presupposto astratto, ossia il discrimine di civiltà fra nazionalconservatori o neo-illuministi progressisti. Costantinismo? Non intendiamo rispondere troppo a lungo sul concetto di costantinismo. Vi è ormai una serie di concetti storico- politici, tra i quali costantinismo, fascismo, populismo, sovranismo, che vengono utilizzati fuori dal proprio specifico ambito contestuale. Sono divenuti, tali concetti, meri strumenti di lotta politica propagandistica. Gravissimo errore, dottrinario e di proposta politica concreta, quello dell’amico MP, che cade nella trappola di Antonio Spadaro, il validissimo propagandista gesuita della “rivoluzione nella Chiesa” di Sua santità Francesco. Il progressismo globalista e relativista, divulgato a piene mani dall’elite gesuita egemone, in larga parte derivante dal pensiero del teologo scientista e panteista Teihlard de Chardin, sta bollando ogni prototipo di “civilizzazione cristiana” come Neo- Costantiniana. MP, che intelligentemente ha sempre rifiutato la fascistizzazione del nemico, cade qui in pieno nella trappola. “Nuovo Costantino” fu infatti definito Mussolini per la Conciliazione del 1929, non dai comunisti italiani, ma dai dossettiani (la frazione che rispondeva a Giuseppe Dossetti, la guida degli anti-andreottiani e degli anti-DeGasperi che furono soliti fascistizzare il nemico Conservatore) e dalla Sinistra cattolica evoluzionistica e progressistica. Il bergoglismo, per quanto si nutra di varie fonti, è in diretta continuità strategica con il dossettismo, ossia con il
proposito che deve essere l’elite clericalistica, non lo Stato, a detenere il potere totale. Tale ideologia del potere politico del clero, per quanto sia oggi apparentemente più morbida, ripetiamo di nuovo apparentemente, di quella dei bei tempi del papa nero gesuita in offensiva su ogni fronte, si definisce Neo-Gelasiana, da Gelasio I 49° vescovo di Roma. Perfettamente neo-gelasiana fu l’interferenza politica globalista e progressista della sinistroide e gesuitica “Civiltà cattolica” contro la democrazia conservatrice russa in coincidenza delle ultime elezioni politiche. Terza Roma La ricostruzione compiuta dal Nostro riguardo alla storia religiosa della Russia, a parte le insolite, per lui, sbavature occidentalistiche – il Patriarcato di Mosca sarebbe per sua natura ontologica teocratico, chi lo appoggia nutrirebbe nostalgie teocratiche -, è buona e condivisibile. Le conclusioni non possiamo condividerle. Cristianità ortodossa russa è sia la rivoluzione modernizzatrice di Pietro il Grande e di Caterina II, sia la fiera reazione, ultranazionalistica, degli “Antichi Credenti” che si ribellarono alla “Riforma” del 1653 su cui si è soffermato MP. Al tempo stesso, nell’ultimo secolo, Cristianità ortodossa russa è l’infinito elenco dei Martiri sterminati dal regime ateo comunista, è la Chiesa catacombale che non vuole compromessi con i bolscevichi ma è anche l’elite ortodossa che, dalla Guerra Patriottica in avanti, temperò sino a raddrizzare l’utopismo materialista e globalista del regime marxista, rendendolo di fatto sempre più post-marxista, meno globalista e più russo. Ora, il lettore dirà che è questa una enorme contraddizione. E avrebbe ragione. Ma la contraddizione è il cuore e il lievito della Tradizione ortodossa russa. Il concetto di sobornost’, l’universalità e l’unità nella molteplicità, la comunione nel divenire della storia, è lo spirito della Chiesa russa che si
rivela nella storia, si storicizza. La Chiesa è perciò il Popolo, e il Popolo Russo è, nella visione ortodossa, per sua stessa essenza il Popolo Cristo, il Popolo Ortodosso. Al tempo stesso, però, nel “Domostroj” – Documento del XVII sec. in cui venivano dettate le norme per il popolo – lo Zar è presentato come il padre igumeno di tutto l’impero russo, l’obbedienza verso di lui è un autentico rituale che ha un valore religioso. Tale concetto è presente nella stessa democrazia conservatrice putinista. Che significato dare a tutto questo in relazione alla Terza Roma? Sono necessarie due premesse prima di tirare qui le conclusioni. La prima è che il pensiero filosofico cristiano russo ha la caratteristica del senso storico “mitico” (storicismo conservatore cristiano), mentre il pensiero cattolico ha la caratteristica del senso politico immediato, quello protestante del senso empirico individualistico. Il “mito” Mosca Terza Roma viene formulato dal monaco starec Filofej nella sua lettera al gran principe di Mosca Vasilj III (1505-1533): “O zar molto pio! Ascolta e ricorda che tutti i regni cristiani si sono riuniti nel tuo regno, che due Rome sono cadute, ma che la Terza sta in piedi e che non ce ne potrà mai essere una quarta. Il tuo regno cristiano non sarà mai rimpiazzato da nessun altro”. La Terza Roma sta in piedi. MP sottovaluta questo passaggio fondamentale, “la Terza Roma sta in piedi” e quindi confonde il messianismo universale russo, che è di sostanza metafisica e spirituale, con il millenarismo sociale rivoluzionaristico. Viceversa il messianismo ortodosso e storicista russo ha il fine opposto, più da barriera e fortezza, o ancor meglio da scudo di ciò che resta degli ultimi giorni, mantenendosi il piccolo resto nella santità e Santa il Popolo Cristo ha chiamato la Russia, unico caso nella storia della Cristianità di rituale santificazione di una intera terra benedetta. Per intensità e durata, quella ch’è stata probabilmente la più terribile prova che un popolo cristiano abbia dovuto
affrontare (“il più grande genocidio della storia” secondo l’archimandrita Nektarios), un fiume ininterrotto di sangue che arriverebbe alla cifra di quasi 70 milioni di cristiani ortodossi, per lo più di rito russo, martirizzati nel corso del Novecento avrebbe avuto, nell’ottica di Mosca Terza Roma, la misteriosa finalità provvidenziale nel confermare l’elezione storica del Popolo Cristo. Ciò non è nazionalismo o sovranismo, ma missione spirituale di cui la storia di un popolo si fa portatrice. Lo stesso andrebbe detto della Rivelazione di Fatima, riconosciuta solennemente dal Venerabile Pio XII, con al centro il destino della “Santa Russia” ma non è questo il contesto per soffermarsi su una questione così foriera di misteriose finalizzazioni. Il metropolita Tichon, Solzenicyn e il nichilismo occidentale MP, infine, fa dell’odierno patriarcato poco più che un braccio arrugginito del potere temporale putinista. In realtà occorrerebbe maggiore cautela e prudenza, consigliamo al Nostro la visione di questo importante video. Il metropolita Tichon, uno dei padri del Neoconservatorismo russo di questi tempi, influente pensatore e teologo, confessore del presidente VVP, dette la licenza al canale televisivo di stato russo, nel gennaio 2008, di trasmettere questo documentario che ci pare assai chiaro sulla prioritaria strategia del Cremlino, basata sulla difesa dell’identità cristiana russa. Identità cristiana russa, come abbiamo mostrato, dal valore universale non nazionalista filetista. Il filetismo, che indica la tendenza della Chiesa greco-ortodossa a prendere come base la nazionalità, e non lo Spirito, sarebbe perciò una nuova forma di nazionalismo o tribalismo. Vladimir Putin, inoltre, ha più volte definito l’attivista conservatore cristiano Solzenicyn come il proprio personale maestro. Poco prima di morire fu chiesto a Solzenicyn cosa si dicessero lui e Putin nel corso dei loro incontri. Il vecchio pensatore rispose che aveva continuamente avvertito il
presidente che la democrazia neo-illuministica all’occidentale è quanto di più radicalmente e pervicacemente anticristiano fosse comparso nella storia dell’umanità, missione di Putin era non solo sbarrare ogni tipo di via all’ingresso di quella “cosiddetta democrazia” in Russia, ma inverare storicamente il nazionalconservatorismo storico russo come Catechon, forza di lucida e eroica contrapposizione all’Anticristo, che secondo Solzenicyn si sarebbe manifestato in veste di “democrazia”, “diritti”, “ecumenismo”, tecnocrazia illuministica. La Russia non avrebbe dovuto essere antimoderna, reazionaria, rifiutare le conquiste scientifiche moderne. Ma avrebbe dovuto mettere al centro la sua storia spirituale, non il 5 G, non la Silicon Valley alla russa, non la ideologia radicalista LGTBQ. Solzenicyn indicò alla Russia il sentiero spirituale e storicistico che Benedetto XVI indicò all’Europa dal 2005. Dall’Orda d’Oro all’illuminismo massonico-rivoluzionario del bonapartismo, la Russia fece sempre scudo contro l’epidemia ultraprogressistica e rivoluzionaristica, spiega Alexander Solzenicyn. Lo stesso compitò avrà nel secolo attuale: arrestare l’avanzata irrefrenabile del neo-mongolismo tecnocratico globalistico. La Russia ha accettato la saggezza di Solzenicyn, l’Europa, democraticista e laicista, ha rifiutato la saggezza del Pontefice. Come si può vedere, il putinismo affonda in ben altre radici rispetto a quelle del laicismo machiavelliano che MP gli attribuisce; missione dell’ “Ortodossia di stato” russa è quella di chiudere le porte alla catastrofe, non di redimere un mondo, come è quello occidentale, che avrebbe armi e strumenti per salvarsi da se. Tanto meno è quella di spremere di nuovo come un limone il grande popolo russo, legna d’ardere sulla via di una rivoluzione mondiale o globalista di bolscevica memoria. E qui ritorna, nel pensiero di MP sulla Russia, quel millenarismo social-rivoluzionario estraneo, oggettivamente, alla linea del patriarcato, ma altrettanto estraneo a quella tradizione apostolica greco-cristiana (e non giudeo-cristiana) a cui il
concetto di Mosca Terza Roma si ispira. Il Nostro equivoca anche, a nostro modesto avviso, il senso della recente modifica della costituzione. Dio, Popolo (non patria come MP dice), Famiglia. Popolo è da intendersi nel senso sopra specificato di Popolo Cristo e Popolo Chiesa. Non vediamo inoltre dove vi possa essere l’affinità tra la “teologia politica” che sottintende la dottrina sullo Stato cristiano di San Giuseppe Volokolams (1440-1515) e la relativistica “Dichiarazione di Abu Dhabi”. Putin cita spesso Ivan Ilyn, non perché fascista (ammesso e non concesso lo sia stato, ma non è questo il punto) bensì perché profetizzò, nei lontani anni ’30 quando vi era il Grande Terrore anti- ortodosso, che il Comunismo sarebbe stato sconfitto dall’Ortodossia, che in Russia sarebbe rinato lo Stato ideocratico cristiano. Non abbiamo, inoltre, schiacciato il bergoglismo [1] sul liberalismo come sostiene il Nostro, anzi abbiamo sostenuto nel nostro precedente articolo contestatoci dall’amico MP che fu la “Sinistra progressista cristiana” del Dossetti, con la sua concezione di democrazia radicalista e illuministica, a vincere la battaglia politica del ‘900. Il liberalismo è fuffa oggi giorno: il Deep State clintoniano è forse laico e liberale come lo furono Cavour, Giolitti, Croce, Guizot, Bismarck? “Libera chiesa in libero stato”, “KulturKampf”? Giammai! La cristianità civile va annientata, seppur in modo soft, come affermano i progressisti di ogni colore e latitudine. Dalla laicità del Cavour si è arrivati, nel civile Occidente, alla più virulenta cristofobia, come sostiene Benedetto XVI. La quintessenza della secolarizzazione europeistica e occidentale, agli occhi del Conservatorismo del patriarcato moscovita, sarebbe estremismo anticristiano, più o meno morbido. Sbagliato? Giusto? Chi vede e osserva può giudicare da se, l’Europa “cristiana” è oggi il continente dell’ateismo nichilista più avanzato. Il Nostro ritiene sia una chimera la
nostra ipotesi teorica che il secolo vedrà una lotta di frazione — sia tra élite sia a livello popolare — tra nazionalconservatori e progressisti illuministi. In verità, il contesto di Benedetto XVI pontefice rappresentò il punto di massima concordia, nella storia dell’umanità, tra la prima Roma e la Terza Roma. Il testo ratzingeriano del 2009, Europa patria spirituale: idea russa per l’Europa, fu il manifesto teologico politico di questa linea strategica comune tra Roma e Mosca. Ne riprendiamo un importante passo: “Questa cultura illuminista sostanzialmente è definita dai diritti di libertà; essa parte dalla libertà come un valore fondamentale che misura tutto….Il concetto di discriminazione viene sempre più allargato, e così il divieto di discriminazione può trasformarsi sempre più in una limitazione della libertà religiosa….Una confusa ideologia libertà (neo- illuministica e progressista, ndc) conduce a un dogmatismo che si sta rivelando sempre più ostile verso la libertà”. Con il silenziamento forzato di Benedetto XVI, senza cadere nel complottismo ma senza nemmeno escluderlo semplicemente perché ignoriamo cosa abbia potuto determinare un evento così grande come le epocali dimissioni del 2013, il Deep State del radicalismo neoilluministico ha oggettivamente portato a casa la più grande vittoria che potesse ottenere. Ad essa avrebbe dovuto seguire l’annientamento di civiltà del putinismo nazionalconservatore e Ortodosso, il ridimensionamento della Russia a minuscola potenza regionale, l’ucrainizzazione, la banderizzazione sul territorio occidentale della Federazione e l’offensiva del neo-colonialismo cinese dalla Siberia in avanti. Ciò non solo non è avvenuto, ma sconfiggendo il Terrorismo globale anticristiano tatticamente sostenuto da Occidente, la Russia è rientrata con Stati Uniti e Cina nel novero delle potenze globali. VVP, saggiamente sostenuto dal patriarcato di Mosca, affiancato dai teorici più Conservatori interni allo stesso, ha aperto una nuova epoca storica e di civiltà, il
multipolarismo, mandando all’aria i sogni utopistici della sinistra radicale clintoniana e del partito progressista di Roma cattolica. Da patriota non occidentalista, multipolarista, quale MP è, o almeno così lo ricordavamo, dovrebbe esserne rallegrato. Benedetto XVI e il patriarca Kirill, con il presidente Putin all’opera, si ricordi lo storico discorso di Monaco del 2007 di quest’ultimo, hanno aperto la nuova era Multipolare, non occidentale. La stessa America è oggi post-globale e lo stesso Vaticano a guida gesuita è post-romano. La prima Roma è andata e la Terza Roma sta reggendo l’equilibrio internazionale sempre più multipolare. La fraternità spirituale e multipolarista di cui la Terza Roma è espressione storica ha il centro metafisico nel concetto di “umanesimo divino cristiano” (Solzenicyn), il “fratelli tutti” di Sua santità Francesco è invece espressione storica di un umanesimo umanitaristico che dà grande rilievo sociale a ciò che Benedetto XVI già bollò come “neo-paganesimo” mondano relativistico e naturalistico. Con questo non ci azzardiamo, naturalmente, a affermare che il santo padre Francesco sia un pagano o un relativista progressista tout court. Il testo integrale della nuova enciclica, di eccezionale valore storico, di Sua santità Francesco merita certamente una lettura più disincantata, e meno partigiana, di quella de “il manifesto” ma non è chiaramente questa la sede. Va comunque ribadito in conclusione che l’umanesimo storicista cristiano slavofilo-europeo di un Solzenicyn o quello conservatore (neo- europeo) di un Benedetto XVI, strategicamente vicino al patriarcato di Mosca, si pongono certamente in una differente prospettiva e strategia di civilizzazione, più radicalmente multipolarista, rispetto al neo-universalismo globalista e populistico di Sua santità Francesco. NOTE [1] Sua santità Francesco è figlio ideologicamente della peronista e terzomondista Teologia del popolo argentina, non
della Teologia della Liberazione come sostiene MP. Non sta a noi, ne tantomeno in questo contesto, stabilire se la sua azione di Pontefice ricalchi la visione della Teologia del Popolo IL DESTINO DELLA RUSSIA E LA CHIESA CATTOLICA di Moreno Pasquinelli «Quanto tempo, arciprete, dovranno ancora durare questa sofferenze? Risposi: Fino alla morte. E lei con un sospiro replicò: così sia; proseguiamo il nostro cammino». Avvacum, Autobiografia
Giorni addietro SOLLEVAZIONE ha pubblicato, a firma F.f, SCISMA NEL CATTOLICESIMO UNIVERSALE? L’autore, posto che sarebbe in atto una “guerra civile ideologica a bassa intensità nel mondo cattolico contemporaneo”, per la precisione tra l’ala progressista bergogliana e quella conservatrice e rigorista (Vigano et similia), sostiene di non schierarsi né con la prima né con la seconda. Alla fine del suo scritto confessa tuttavia di simpatizzare per i rigoristi e per auspicare (sulla base di tradizionali “valori cristiani non negoziabili”) una “santa alleanza” tra conservatori cattolici e Chiesa ortodossa russa, posto che egli crede “nel ruolo e nella missione della Russia cristiano-ortodossa nel nuovo ordine internazionale” — in altre parole il mito di “Mosca Terza Roma”, la Russia come un’universale centro redenzione dell’umanità. Tenterò di mostrare quanto fallace sia il mito di “Mosca Terza Roma” e come sia vano sperare in un’alleanza tra conservatori cattolici e russi ortodossi sulla base dei cosiddetti “valori non negoziabili”. Per farlo il lettore dovrà avere la pazienza di seguirmi in un breve viaggio a ritroso nella storia della Russia. La sindrome costantiniana Sotto il nome di “sindrome costantiniana” s’intende, in ambito cristiano, il perverso rapporto tra il potere secolare e quello spirituale. Un male antico, che risale appunto all’ascesa di Costantino il Grande al seggio di imperatore romano (324). Costantino non si limitò ad appoggiare la Chiesa, ne fece un braccio, sia spirituale che secolare, del potere imperiale. Così i verdetti, non solo dei Sinodi (primo fra tutti quello di Nicea, 325), ma dei singoli vescovi, ebbero, una volta ratificati dall’imperatore, forza di legge. Con la fusione, nell’Impero Romano d’Oriente, di Chiesa e impero in un unico corpo politico teocratico avvenne una svolta epocale che ebbe conseguenze di lungo periodo. I capi della Chiesa che fino ad allora esercitavano un’autorità solo
morale o teologica, accettarono di diventare funzionari imperiali con facoltà coercitive inoppugnabili. Pur di ottenere la protezione imperiale e di conservare gli enormi privilegi che detta protezione assicurava, molti patriarchi e vescovi si comportarono da veri e propri tiranni, persecutori implacabili degli “eretici” cristiani, spesso più degli stessi imperatori più osservanti. Mentre lo Stato romano assunse il compito di proteggere l’ortodossia della gerarchia cattolica, questa accettò di ubbidire ad esso, anzi sacralizzandolo. F.f. sembra avere nostalgia del sistema teocratico. Dopo aver condannato “l’élitismo gesuitico del Concilio Vaticano II” — Concilio che tra le diverse decisioni cercò appunto di liberare definitivamente la Chiesa dalla sindrome costantiniana — giunge infatti ad elogiare la teologia di Eusebio di Cesarea che qualifica come un “modello di cultura teologica organicistica e comunitaria”. L’apologia è rivelatrice. Biografo e strenuo difensore di Costantino, fu proprio Eusebio a gettare le basi della sindrome costantiniana in quanto teorizzò il carattere supremo e sacro del potere imperiale, così giustificando la sottomissione della Chiesa al potere secolare. Sembra sfuggire a F.f. come Eusebio ponesse un’analogia tra il piano teologico e quello politico: dalla sua concezione teologica subordinazionista e semi-ariana per cui il Figlio è inferiore al Padre, Eusebio ricavava l’idea che il Padre fosse l’imperatore e figlio la Chiesa. Se la Chiesa cattolica, dopo secoli di tormenti e dolorose sconfitte, ha finito per accettare la distinzione e la separazione del potere spirituale da quello secolare, il cristianesimo bizantino e quello russo in particolare, al contrario, non hanno sciolto il dilemma restando anzi prigionieri della esusebiana sindrome costantiniana. Di quale “Chiesa ortodossa” parla poi F.f.? Egli lascia intendere che si riferisce a quella ufficiale, di cui il Patriarcato di Mosca di Kirill è ultima propaggine. Ed è a questa che F.f. sembra assegnare la missione salvifica di
erigere la “Terza Roma”. Ma il Patriarcato moscovita davvero ritiene di possedere questa missione? Mostreremo che la risposta è no. Il mito della “Terza Roma” Questo mito sorse dopo la liberazione dal domino dei tartari (1480). Alla base non solo l’idea della traslatio imperii, ma quella per cui dopo la caduta di Roma e di Costantinopoli sarebbe spettato ai russi il ruolo di custodi di una ortodossia incontaminata, chiamati ad assolvere una messianica ed escatologica missione mondiale. “La Chiesa dell’antica Roma cadde per la sua eresia; le porte della seconda Roma, Costantinopoli, furono abbattute dalle asce dei turchi infedeli; ma la Chiesa di Mosca, la nuova Roma, risplende più del sole in tutto l’universo. Tu sei il sovrano ecumenico, tu devi reggere le redini del governo nel timore di Dio; abbi timore di colui che te le ha affidate. Due Rome sono cadute, ma la terza rimane salda in piedi; una quarta non vi sarà. Il tuo Regno Cristiano non sarà mai dato ad alcun altro sovrano”. Con questa parole, nel 1532, il monaco Filoteo, si rivolse a Basilio III, granduca di Mosca. Nel 1547 Ivan IV venne proclamato Zar. Ma proprio in quei tempi e attorno al dilemma del rapporto tra potere spirituale e temporale, sorsero le due tendenze storiche di dilanieranno l’ortodossia russa. Quella di tradizione bizantina per cui lo Zar sarebbe l’equivalente del Basileus per cui l’imperatore era l’incarnazione di Gesù Cristo, ed in quanto tale sovrano supremo di un unico corpo, secolare e spirituale; e quella opposta per cui era invece la comunità dei credenti che, essendo sotto la protezione dei Santi, dello Spirito Santo e di Maria, aveva la supremazia nelle questioni di fede e non tollerava sopra di sé alcun potere secolare. La prima frattura avvenne quindi nel XVI secolo e fu quella
tra i cosiddetti “Non Possidenti”, ed i “Possidenti”. Per i primi era incompatibile con i principi cristiani, sia la pratica della servitù della gleba sia possedere proprietà. Per essi inoltre, molto similmente a San Francesco, la povertà era coessenziale ad una sincera vita religiosa cristiana. Infine i “non possidenti” propugnavano la libertà religiosa, la primazia delle comunità di base dei credenti quindi il rifiuto di ogni interferenza del potere secolare. Auspicavano infine l’unione ecumenica con tutti gli ortodossi. La vittoria dei “Possidenti” sfociò nella persecuzione implacabile come eretici dei “Non Possidenti” (tra essi il monaco e teologo S. Massimo il Greco il quale, vissuto a Firenze, fu un ardente sostenitore di Girolamo Savonarola). Da questo momento avremo non solo la subordinazione della Chiesa allo Zar (l’autocrazia zarista era infatti da venerare come sacra), ma un perpetuo periodo di decadenza della Chiesa ortodossa, decadenza spirituale e morale che spiega il vero e proprio scisma del 1653. In quell’anno il Patriarca Nikon, convinto assertore del regime teocratico con a capo lo Zar, emanò unilateralmente un decreto col quale ordinava ai russi di seguire il rituale greco tutte le volte che questo differiva dal loro. Contro questa decisione si opposero quelli che si chiamarono “Antichi Credenti”, o “Antichi Ritualisti”. La rottura, lo scisma (Raskol), formalmente, avvenne per capziose questi liturgiche – ad esempio il Credo, la maniera di fare il segno della croce o il numero di alleluia cantati durante le funzioni religiose. In verità la sua irriducibilità veniva dall’intrecciare fattori sociali e teologici. Dal punto di vista sociale gli “Antichi Credenti” erano portatori di una visione collettivista dei rapporti agrari, ovvero di una concezione comunistico-cristiana della società, mentre i nikoniani erano difensori del sistema fondato sulla servaggio dei contadini e del predominio dell’aristocrazia terriera. A questa idea sociale collettivista gli “Antichi Credenti” facevano corrispondere, sul piano ecclesiologico la tesi che nessun
potere secolare poteva porsi sopra la comunità autorganizzata dei credenti; quindi, su quello teologico, l’idea che l’incarnazione significhi la divinizzazione non solo dell’uomo ma dell’umanità. E qui sta la peculiarità della cristologia e della fede originarie dell’ortodossia russa, tanto diverse sia dal pensiero classico greco e scolastico, sia del coevo razionalismo occidentale. La lotta, asprissima, si concluse con la sconfitta degli “Antichi Credenti”. Non solo Avvacum che li capeggiava venne arso vivo, ma molti dei suoi seguaci, convinti che il mondo fosse oramai in mano all’Anticristo, preferirono morire bruciando con le loro case alle quali essi stessi, anziché conformarsi alla decisioni dell’alto clero e dello Zar, appiccarono il fuoco. Nel XVIII secolo gli “Antichi Credenti” dettero addirittura vita a movimenti di lotta armata e molti di loro parteciparono alla devastante rivolta di Pugacev. Dopo di allora avremo in Russia due chiese ortodosse, quella ufficiale, sempre sottomessa agli Zar e sprofondata nella corruzione, e quella reietta e perseguitata degli “Antichi Credenti”. Per questi ultimi la Chiesa russa ufficiale (quella ai giorni nostri capeggiata dal Patriarca Kirill) sarebbe caduta nell’eresia e gli Zar saranno tutti considerati apostati in quanto traditori della missione sacra di fare di Mosca la “Terza Roma”. Il mito della “Terza Roma” non appartiene infatti alla Chiesa russa ufficiale ma a quella dissidente, quella che dai “Non Possidenti” sfocia negli “Antichi Credenti”. La secessione degli “Antichi Credenti” accelerò due fenomeni complementari destinati a durare nei secoli successivi: la crescente putrefazione della Chiesa ufficiale e, incoraggiata dagli Zar, la sua progressiva occidentalizzazione. Entrambi i fenomeni toccarono l’apice con l’ascesa definitiva al trono di Pietro il Grande (1721). L’imperatore non solo impose il processo di occidentalizzazione (le scuole teologiche seguiranno pedissequamente gli schemi occidentali ed i libri
di testo erano in latino, come in latino venivano impartite le lezioni), ma accentuò il controllo secolare sulla vita della Chiesa. Col Regolamento Ecclesiastico (1721) l’invadenza del potere zarista si spinse fino all’abolizione del Patriarcato e la sua sostituzione con un Consiglio Permanente composto da persone scelte dallo Zar medesimo e a lui obbedienti. Sconvolgendo il diritto canonico ortodosso, che implicava l’elezione dei vescovi da parte della comunità, questi vennero d’ora in avanti scelti dal potere secolare. La Chiesa perdette per sempre il diritto di esprimersi liberamente su qualsiasi questione religiosa o morale. Questa svolta fu sancita, simbolicamente, dall’abolizione di una vecchia consuetudine russa, quella per cui nel giorno della processione della domenica delle Palme, il Patriarca, che impersonava Cristo, attraversava le vie della capitale cavalcando un asino che lo Zar umilmente conduceva per la cavezza. Si consideri, per comprendere fino a che punto di abiezione giunse la Chiesa ortodossa russa, che con la Rivoluzione 1905 l’Impero riconobbe libertà di culto e il diritto delle chiese all’autogoverno, ma questo diritto non venne concesso alla Chiesa russa, la quale obbedì ancora una volta. Ci vorrà la Rivoluzione di febbraio del 1917 e la contestuale caduta del sistema zarista per porre definitivamente fine a due secoli di umiliante sottomissione. Quell’anno, due secoli, si svolse infatti il Concilio Ecclesiastico Panrusso che ripristinò l’autogoverno. Da Lenin a Putin La vittoria della Rivoluzione Bolscevica spinse il Patriarcato ortodosso su una posizione di aperta ostilità verso il regime rivoluzionario. I comunisti, equiparati a criminali usurpatori che dovevano essere presto rovesciati, vennero ben presto scomunicati dal Patriarca Ticone (19 gennaio 1918). I bolscevichi risposero usando il bastone e la carota, ma le persecuzioni divennero la consuetudine, con due ondate che furono durissime nel periodo del terrore staliniano (1928-29 e
1937-39). Davanti al fatto che la decapitazione della Chiesa non spazzò via, anzi, la religiosità popolare (che risorse in modo impressionante durante la seconda guerra), e nella necessità di respingere il proditorio attacco nazista, Stalin fu costretto a retrocedere e nel 1943 autorizzò l’elezione del Patriarca facendo numerose concessioni alla Chiesa, a condizione che essa accettasse un ruolo subordinato al potere politico. Ai vertici della Chiesa prevalse quindi la posizione di considerare quella staliniana una forma legittima di governo. Pur di essere autorizzata a praticare dottrina e culto la Chiesa ufficiale accettò la sottomissione al controllo politico delle autorità — che si riservavano infatti, sulla scia della tradizione zarista, di accettare o respingere le nomine interne alla Chiesa. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica (1990-91) la Chiesa ortodossa, che si considera l’anima spirituale identitaria del popolo russo, riconquistò apertamente un ruolo centrale nella vita politica del Paese — tanto più a fronte dello sfascio politico, sociale e spirituale del periodo eltsiniano. Con l’ascesa al potere di Putin questo ruolo del Patriarcato venne consolidato e istituzionalizzato. Sorge a questo punto una domanda cruciale. Qual è oggi in Russia, posta la diarchia tra potere secolare e quello spirituale, il vero sovrano? Se ben si osserva la realtà russa la risposta è inequivocabile: il potere secolare. E’ il Cremlino il decisore d’ultima istanza, il Patriarcato essendo un comprimario, un alleato a cui è affidata la funzione di legittimare e assecondare le decisioni del centro politico supremo. In buona sostanza Kirill (che ai tempi dell’URSS era un collega di Putin poiché è stato probabilmente un informatore del Kgb) colloca il Patriarcato sul solco storico sempre seguito dalla Chiesa ortodossa ufficiale, quello di accettare un ruolo istituzionalmente subordinato al cospetto del potere secolare — un mese prima delle elezioni del 2011, Kirill arrivò a definire il governo di Putin «un miracolo di Dio». In questo senso, e solo in questo senso, Mosca sembra essere la “Terza Roma”, ma solo in
quanto, mutatis mutandis, imita formalmente la catena di comando dell’impero bizantino ove il potere assoluto spettava all’imperatore. E così ci spieghiamo le recentissime profonde modifiche alla Costituzione della Russia, tra cui, oltre ai crescenti poteri politici assegnati all’imperatore, è stata sancita la “fede in Dio” come elemento ideologico e identitario dello Stato. Una generica “fede in Dio” si badi, non il Cristo redentore. Doveroso segnalare come questa esortazione ecumenica, rivolta anzitutto ai musulmani, faccia il paio con quella contenuta nella Dichiarazione di Abu Dhabi sulla fratellanza umana sottoscritta nel febbraio 2019 da Papa Bergoglio e il Grande imam di al-Azhar. Dichiarazione considerata “eretica” dalla destra cattolica per la quale la fede cattolica sarebbe la sola porta d’accesso alla salvezza eterna, destra che ama citare, come dogma incontrovertibile: “Io sono la via, la verità, la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”, [Atti 4, 11-12]. Se non bastasse questo per comprendere quanto l’attuale tandem Cremlino-Patriarcato di Mosca siano lontani dal considerarsi la “Terza Roma”, di quanto siano distanti dal pretendere di accollarsi la suprema funzione salvifica dell’umanità — quanto cioè siano estranei alla visione escatologica della prima ortodossia russa — ci giunge in soccorso un’affermazione di alto valore simbolico pronunciata nel marzo scorso dal deputato di Russia Unita (il partito putiniano) Aleksandr Il’tjakov: “Il nostro obiettivo non è costruire il paradiso in terra, ma prepararsi per la prossima vita”. Ognuno comprende che non c’è alcuna concessione al messianismo tipico dell’autentica ortodossia cristiana (l’attesa dell’avvento del definitivo Regno di Dio in Terra), e come invece si assegni alla Chiesa, in linea con quanto accaduto dal XVII secolo in poi, una modesta funzione ideologica di legittimazione conservativa dell’ordine sociale dato. La battaglia del secolo F.f. immagina e auspica che la Russia cristiano-ortodossa
possa giocare un ruolo ed una missione centrali nel nuovo ordine internazionale. Tutto indica che questa è una chimera. Ed lo è per due ragioni complementari. La prima è che l’attuale Patriarcato, sul solco della infausta tradizione della Chiesa ufficiale, non si assegna alcuna funzione mistica e redentrice; la seconda è che il Patriarcato non può svolgere alcun ruolo autonomo sulla scena mondiale, in quanto accetta che ciò sia esclusiva prerogativa del Cremlino, al quale deve ubbidire. In parole povere il Patriarca fa quel che Putin ordina di fare. E, si badi, ciò vale anche sul piano ecumenico, sul piano delle relazioni religiose con la Chiesa cattolica. E’ il potere secolare (dato che gli affari religiosi hanno dimensione politica e geopolitica) che decide a che punto può spingersi il Patriarca. Ma F.f. potrebbe obiettare che sia Putin che Kirill sono in perfetta sintonia, sul piano di quelli che definisce “valori non negoziabili” (in sostanza “Dio, patria e famiglia”), non solo col fronte cattolico conservatore, ma anche coi settori oltranzisti dell’evangelismo protestante a stelle e strisce e financo con certo ebraismo sionista oggi egemone in Israele. L’errore di F.f. è evidente. Egli immagina che la battaglia principale del del XXI secolo sia quella manichea che si svolge sul piano dei “valori” religiosi ed ideologici, ovvero tra “progressisti-globalisti” e “tradizionalisti-sovranisti”. Questa immaginazione è fasulla. Sono ben altre le decisive linee di faglia dello scontro geopolitico. F.f. scambia il proprio universo simbolico e immaginario con quello storico- reale. La verità è che, abbattuto il “socialismo reale”, siamo per la prima volta nella storia in un universo completamente colonizzato dal capitalismo. Non che i fattori ideologici non abbiamo importanza, ma essi, in ambiente capitalistico, sono fattori strumentali agli interessi economici e strategici degli player globali, siano essi Stati che i giganteschi conglomerati multinazionali. Peggio: i valori morali e l’ideologia sono spesso il Velo di Maja dietro al quale questi attori ammantano e camuffano i loro meschini interessi di
parte. Come il concreto vince sempre sull’astratto, la moderna visione realista del Politico, in ultima istanza, è destinata a prevalere su quella normativa — di cui quella religiosa non è che la sua versione ancillare. Putin, con Machiavelli sa che “gli stati non si tengono co’ paternostri in mano”. Kirill, da parte sua, non pare proprio il tipo che voglia fare la parte del Savonarola. Sul piano ecumenico-religioso, Putin, che è più allievo di Machiavelli che dei mistici ortodossi, certo auspica un avvicinamento con la Chiesa cattolica, ma si guarderà bene dall’incoraggiare Kirill a fomentare la velleitaria sedizione della destra cattolico-conservatrice per defenestrare Bergoglio. Che poi questo avvicinamento abbia fatto passi avanti — F.f. sottolinea il ruolo di Ratzinger ma per la verità fu proprio il Vaticano II a rilanciare l’ecumenismo cristiano ed a porre fine a quello che gli ortodossi hanno chiamato “imperialismo spirituale cattolico” — è vero, ma la riunificazione dei battezzati in Cristo in una Chiesa unita resta, a nostro parere, se non impossibile, altamente improbabile. Troppo profonde le cicatrici storiche, troppo grandi le differenze liturgiche, ecclesiologiche e canoniche — queste ultime non afferiscono solo al ruolo guida del vescovo di Roma sul piano spirituale ma alle sue prerogative giurisdizionali per cui non la comunità dei credenti sceglie il vescovo bensì il Papa medesimo ed a qualsiasi latitudine). Se il Patriarcato moscovita può ben accettare, nel nome di “Santa Madre Russia”, una relazione di ubbidienza politica e geopolitica col Cremlino, non acconsentirà mai, pena un nuovo scisma interno, ad una subalternità spirituale e giurisdizionale con Roma. Tanto più improbabile sarebbe questa ricongiunzione ecumenica ove il Vaticano cadesse nelle mani dei papisti irriducibili della destra rigorista cattolica, composta appunto da strenui difensori del primato universale della Chiesa apostolica romana.
D’altra parte la Chiesa cattolica, per sua stessa natura, non può accettare nel suo seno chiese autocefale nazionaliste — né, come vedremo, può sostenere, se non in funzione tattica, movimenti politici che facciano del nazionalismo secolarizzato la loro cifra identitaria. Il pontificato di Bergoglio, di contro a certa vulgata “sovranista” non fa eccezione e segue un solco multisecolare. Qual è dunque l’autentica natura, quindi il vero orizzonte, del pontificato bergogliano? F.f. ne ricusa il “modernismo” e il “globalismo progressista”. Si spinge anzi a schiacciare Bergoglio sulle posizioni dell’élite liberale, se non addirittura del “deep state” nordamericano. Noi saremo più prudenti. Posto che la Chiesa cattolica è per sua stessa essenza universalistica (l’ecumene a cui mira è l’umanità intera), essendo quindi universale la sua missione salvifica, risulta massimamente errato stabilire un’equipollenza con il cosmopolitismo liberal-capitalista. La convergenza è, come dire, tattica, transeunte. Con due millenni alle spalle, Roma punta a sopravvivere sia al tramonto dell’ordine capitalista e mercatistica provvisoriamente dominante, sia alla primazia dell’Occidente. Tramonto che non solo Bergoglio ma gia Ratzinger aveva, se non profetizzato, messo nel conto. Roma, la partita, la gioca sui tempi lunghi, mentre Sua Maestà Il Capitale, per sua natura, non può che guardare agli utili del trimestre se non addirittura al corso dei titoli di borsa in tempo reale. Vero che le grandi potenze statuali sono tenute ad agire in base ad una visione strategica, ma essendo appunto potenze diverse in rotta di collisione, alla fine non possono che soggiacere al caos e quindi all’eterogenei dei fini. La Chiesa no. Si può aborrire fin che si vuole il gesuitismo, ma esso è riottoso ad accettare qualsivoglia fine che non si quello proprio, quello del più potente partito politico mondiale, posto che esso si fa forte dell’assistenza della Provvidenza. La Chiesa bergogliana anti-sovranista? Lo sarebbe anche una
Chiesa che cadesse in mano agli scismatici della destra rigorista. Perché? Perché, lo abbiamo detto, cattolicesimo, lo dice la parola, non può che essere universalistico. Così ci spieghiamo la ragione per cui, al contrario delle Chiese ortodosse, quella romana, alla forma stato-nazionale, preferisce per vocazione la forma stato-imperiale, plurinazionale. Non sta qui la differenza sostanziale tra bergogliani e anti. Essi hanno il medesimo scopo ultimo, cattolicizzare il mondo considerato come ecumene con Roma caput mundi (di passata: la “Prima Roma” non è mai crollata veramente, è sopravvissuta come centro del cattolicesimo mondiale); divergono nel considerare quali siano le forze secolari, sociali e spirituali su cui appoggiarsi per giungere allo scopo. Mentre i bergogliani guardano ad un futuro post- occidentale e policentrico e tentano quindi di separare la Chiesa dall’Occidente che giudicano moribondo, la destra cattolica è agli antipodi poiché si attesta su una posizione di arroccamento e di strenua difesa della supremazia mondiale dell’Occidente imperialistico. Non che i “valori” non abbiamo importanza, ma uno scisma dalle conseguenze imprevedibili, se avverrà, avverrà su questo terreno. Se abbiamo ragione è evidente come i papisti del cattolicesimo conservatore, oltreché islamofobi sono i più distanti da una alleanza con la Russia ortodossa. Da questo punto di vista, considerando come sarà il mondo fra cinquanta o cento anni, con la gran parte della popolazione mondiale ammucchiata nel Sud e nell’Est del pianeta, e con l’Occidente euro-americano scristianizzato e che non sarà più il baricentro mondiale, la visione bergogliana, ovvero quella realista dei gesuiti, ci pare quella, se non destinata a conservare l’egemonia, quella più realista. Qui sta la formale convergenza, non teologica ma tutta politica, tra il bergoglismo e il terzomondismo della Teologia della Liberazione. Concludiamo infine tornando sul mito di “Mosca Terza Roma”.
C’è stato in effetti un momento nel quale questo mito si è incarnato nella storia, ed è stato nel secolo scorso con la rivoluzione bolscevica e la sua potente spinta espansiva su scala mondiale. Come scrisse Nicola Berdajev: «Il comunismo russo è esso stesso una fede, una religione. Nel suo carattere esclusivo si esprime il temperamento religioso dei russi, la loro psicologia di scismatici e settari. (…) Esso più tradizionalista di quel che si è soliti pensare, è una trasformazione ed una deformazione della vecchia idea messianica russa». [Nicola Berdtjev, Il senso e le premesse del comunismo russo, Roma 1944] SCISMA NEL CATTOLICESINO UNIVERSALE? di F.f.
Riceviamo e pubblichiamo Ci eravamo già occupati, più di un anno fa, della guerra civile ideologica a bassa intensità che caratterizza il mondo cattolico contemporaneo (QUI; QUI). Avevamo cercato di non schierarci né con il fronte conservatore cattolico né con quello progressista, oggi di certo egemone grazie al Pontefice Francesco. E’ uscito in questi giorni un importante documento del più rappresentativo corifeo di quello che chiamavano il Partito Nero di Bergoglio; si tratta di un importante scritto del gesuita Antonio Spadaro per la “Civiltà Cattolica” sulla spinta propulsiva dell’attuale pontificato, la quale (Cfr. Accenti, 09, 2019) dette spazio anche all’ermeneutica dell’identità cristiana russa, rimanendo in sostanza nel clichè neo-bizantinista e non soffermandosi sulla sostanza escatologica di Mosca “Terza Roma” quale “Quarta Gerusalemme” o Nuova Israele. Spadaro non ritorna qui sul concetto di Rivoluzione profetica e antiapocalittica quale misura del Pontificato di Francesco, non caratterizza più il Governo di Francesco come governo del cambiamento storico mondiale, ma si
limita, abbassando assai il tiro, a rimarcare l’ispirazione bergogliana dal “prete riformato Pietro Savre (1506-1546), teologo francese vicino a Ignazio di Loyola (fondatore della Compagnia di Gesù, 1491-1556) e da qui sviluppa la sua nuova tesi. Il Savre fu il primo gesuita nella storia ad esser ordinato sacerdote e il recupero di Spadaro è a nostro avviso finalizzato alla spinta nel senso del massimo realismo storicista da parte della chiesa “progressista” odierna, oltre ogni ideologia e teologia, che non sia la teologia politica gesuitica. La contraddizione è politica Non a caso, nel nostro scritto avevamo già sottolineato l’intimo politicismo clericalistico e machiavellista dell’attuale pontificato, oltre ogni retorica pseudoterzomondista o pseudoumanitaria. Ora tutto ciò viene finalmente allo scoperto senza eccessivi giri di parole. In questo contesto, inoltre, Spadaro fa valere l’importante concetto di discernimento spirituale, dispozione interiore ignaziana, quale base dell’azione decisionale di Governo del Pontefice, quale intimo ascolto consolante, a fronte della desolazione planetaria. Alla “rivoluzionaria” parresia pontificale di fronte ai potenti del mondo, si aggiunge il discernimento come acuminato punteruolo adialettico di possibile armonizzazione di conflitto e contraddizione. Vi è, in nuce, la risoluzione storico-spirituale del discernimento “riformato” gesuita come modello di condotta etica, e politica, rispetto alla contrapposizione ideocratica e teologico-politica che divampa nella Chiesa dal concilio Vaticano II, quella appunto tra conservatori e progressisti. Il fatto che Spadaro rimetta al centro del discorso la spinta propulsiva dell’attuale pontificato significa chiaramente che varie cose non sono andate, in questi sette anni, nel verso auspicato. Dalla Brexit al conservatorismo cristiano trumpiano al timone nella nazione più importante d’Occidente, dalla avanzata della
Nuova Destra israeliana anti-occidentale e filorussa sino al ridimensionamento di quelle frazioni islamiche rivoluzionarie, derivanti dalle Rivoluzioni Colorate arabe, più fanatiche e violente, genericamente vicine al “progressismo cattolico”, il quadro globale è profondamente mutato dal 2013. Il pontificato di Francesco è stato quasi un lasciapassare per sovranisti e conservatori di ogni sorta, dal mondo arabo-mediterraneo a quello occidentale. La politica sui migranti e sul cambiamento climatico, è di pochi giorni fa il discorso inviato dal Pontefice al Forum Ambrosetti, basato su ecologia, fratellanza, discernimento, rimangono in un certo senso le ultime carte che Francesco si può giocare su quel tavolo storicistico-politico a cui l’elite gesuita tiene così tanto. La sfida storica contro il conservatorismo e il sovranismo è sostanzialmente perduta, a prescindere dal risultato elettorale del novembre americano, anzi a maggior ragione dovessero prevalere Biden e Kamala Emhofff Harris. Con Trump, Bergoglio può continuare recitare la parte di presunto “oppositore globale” e rimane un solido punto di riferimento ideocratico dell’elitismo globalista; con i Liberal e la Sinistra progressista globalista al timone in Occidente, la sua voce sarebbe inevitabilmente ai margini e vieppù solo tollerata. A destra e sinistra di Cristo L’elitismo gesuita, sin dal concilio Vaticano II, ebbe di mira il costantinismo e la teologia eusebiana come modello di cultura teologica organicista e comunitaria da estinguere e superare. Il pragmatismo, grande e nobile punto di forza del gesuitismo, è al riguardo d’obbligo nell’analisi ed in tal senso dobbiamo tentare di apprendere qualcosa proprio dallo studio della storia italiana; storia che fu dalla prima guerra alla fine della guerra fredda l’ avanzato laboratorio politico internazionale dell’epoca, con le varie frazioni cattoliche in prima linea. Lo scontro tra queste due frazioni, modernisti e conservatori nella chiesa, è infatti da allora a oggi
ininterrotto. La vittoria conciliare del “progressismo”, un grande e significativo momento nella storia della chiesa, fu al tempo stesso la vittoria globale della sinistra democristiana filosocialista (Y. Congar) ma anche dell’elitismo progressista cattolico, come sottolineò con arguzia il teologo gesuita Danièlou, una rarissima voce fuori dal coro della “sinistra gesuita”. La chiesa dei poveri, la chiesa del popolo si identificava infatti con la chiesa conservatrice del Pontificato di Pio XII (1876-1958) e con il tradizionalismo antimodernista, che non dovrebbe significare antimoderno, di Padre Pio (1887-1968); la chiesa conciliare e progressista fu invece la chiesa dei soli puri, degli eletti, degli “iniziati”, fu la chiesa dei Teilhard de Chardin e dei Rahner, fu la chiesa dei sapienti e degli “scienziati” con a cuore problematiche sociali progressiste. Del resto, specificò Del Noce, il progressista cattolico si trova teologicamente più a suo agio con un altro progressista o rivoluzionario, anche se ateo, piuttosto che con un altro cristiano, soprattutto se ortodosso slavo o russo. Realisticamente, va infine detto che la “eversione” elitista conciliare – sono parole di Mons. Lefebvre, fondatore della Fraternità San Pio X e scismatico, secondo Papa Paolo VI e Giovanni Paolo II, ma non secondo Benedetto XVI – ha finito per rendere l’Italia un paese culturalmente e religiosamente più vicino a quel secolarismo protestante ateo, materialistico e nichilista che la fa da padrone in Nord Europa e in alcune metropoli del Nord America. La Sinistra democristiana dossettiana o neo-dossettiana, alleata del radicalismo ideologico di massa, ha di fatto trionfato nella storia italiana mediante Paolo VI, Bergoglio ma anche Karol WoJtyla che fu certamente un carismatico condottiero politico modernista e progressista russofobo, con notevoli spunti sociali antimercatisti, di sinistra. Le analisi di Baget Bozzo sulla storia del “partito cristiano italiano”, che va ben oltre la storia della DC ma coinvolge lo
stesso fascismo e il movimento storico socialista, sono a nostro avviso illuminanti. Il centrismo degasperiano e andreottiano, strategicamente basati sul concetto “populista”, si direbbe oggi, di “democrazia sovrana e protetta” (Cfr U. Nieddu, De Gasperi e lo Stato forte, “Concretezza”, 1 luglio 1972) repressiva verso le Sinistre ma finalizzata all’assorbimento dei neofascisti del Msi dentro il centrismo decisionista e “sovranista”, veniva considerato dai dossettiani prima, dai fanfaniani poi, una metamorfosi postfascista forse più pericolosa del Movimento sociale anche in virtù dell’ambigue posizioni di Alcide De Gasperi in occasione della guerra civile spagnola e delle disposizioni razziali antiebraiche del 1938, salutate come un dono della provvidenza. Tale interpretazione sarà fatta propria anche dal filosofo marxista Ugo Spirito, quando negli anni ’70 si pose all’ordine del giorno il procedimento di scioglimento del Msi. La dicotomia cattolica novecentesca fu in effetti il frutto di una politicizzazione del teologico operata in entrambi i campi, non solo dai destri degasperiani e andreottiani, ben rappresentati da correnti presidenzialiste, antiregionaliste e ultraconservatrici come “Europa 70”, ma anche dai sinistri dossettiani. Se vogliamo parlare di costantinismo, dunque, entrambi gli schieramenti lo furono, costantiniani, e lo sono tuttora. E’ una dicotomia che rimanda evidentemente al posto che il sacro occupi nella società civile, al fatto, come dichiarò Ratzinger nel lontano 1971 contro il cosidetto centro-sinistra (Cfr “Democrazia nella chiesa: possibilità, limiti, pericoli”) che in democrazia individualistica o sociale non vi sarebbe spazio per i cosiddetti “valori non negoziabili”, il mercato trionferebbe comunque con la sua anarchia spietata, lo Stato non sarebbe perciò il garante di valori morali e spirituali superiori ma sarebbe un semplice meccanismo burocratico. E non a caso, la linea di faglia è oggi, ben più di quanto si creda,
sul ruolo e la missione della Russia cristiano-ortodossa nel nuovo ordine internazionale. “Vaticano e Russia nell’era Ratzinger” di Nico Spuntoni, uscito proprio in questi tempi, ha evidenziato il ruolo centrale, invero assai trascurato, che l’asse Mosca-Benedetto XVI ha giocato e forse sta tuttora giocando nel disegnare un nuovo ordine globale non progressista e non rivoluzionario, ma escatologico cristiano. La Terza Roma sarà quindi la Nuova Israele? Ciò che dovrebbe chiamare, se così fosse, i cattolici conservatori a guardare più verso Mosca, meno verso Occidente…..? UNIVERSALISMO CATTOLICO E OCCIDENTALISMO IMPERIALISTA di F.f. Ilya Glazunov, La Russia eterna, 1988 [ domenica 9 giugno 2019 ]
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