Progressismo cattolico vs ortodosso

Pagina creata da Valerio Landi
 
CONTINUA A LEGGERE
Progressismo cattolico vs ortodosso
Progressismo cattolico vs
multipolarismo   ortodosso
russo di F.f.

“Io credo nella Russia, nella sua Ortodossia. Credo nel Popolo
Cristo”.
Fedor Michajlovic Dostoesvkij

L’amico Moreno Pasquinelli – che indicheremo da ora in poi con
la iniziale MP per abbreviare – ha replicato al nostro scritto
sul cattolicesimo con un articolo concettualmente e
storicamente molto denso. La nostra risposta è d’obbligo non
per tenere il punto, tantomeno per polemizzare, tutt’altro, ma
viceversa per cercare di mostrare come talvolta la visione del
“sovranismo di sinistra” rischi di essere, come d’altra parte
quella del “sovranismo di destra” europeo, un altro volto
della stessa medaglia di quel laicismo e relativismo
europeistici ed occidentalistici, di radice Illuministica, di
Progressismo cattolico vs ortodosso
cui vorrebbero costituire l’alternativa. Laicismo e
relativismo democraticista, non democratico, antidemocratico,
ben più che liberale (come dice invece il Nostro), che sono il
marchio del Deep State. MP ci accusa, in senso storico-
politico, di sostenere: a) il costantinismo; b) la mitologia
panortodossa basata sulla Terza Roma; infine di aver costruito
c) una fallace ideologia riguardo alla lotta del presente
secolo basata su un presupposto astratto, ossia il discrimine
di civiltà fra nazionalconservatori o neo-illuministi
progressisti.

Costantinismo?

Non intendiamo rispondere troppo a lungo sul concetto di
costantinismo. Vi è ormai una serie di concetti storico-
politici, tra i quali costantinismo, fascismo, populismo,
sovranismo, che vengono utilizzati fuori dal proprio specifico
ambito contestuale. Sono divenuti, tali concetti, meri
strumenti di lotta politica propagandistica. Gravissimo
errore, dottrinario e di proposta politica concreta, quello
dell’amico MP, che cade nella trappola di Antonio Spadaro, il
validissimo propagandista gesuita della “rivoluzione nella
Chiesa” di Sua santità Francesco. Il progressismo globalista e
relativista, divulgato a piene mani dall’elite gesuita
egemone, in larga parte derivante dal pensiero del teologo
scientista e panteista Teihlard de Chardin, sta bollando ogni
prototipo di “civilizzazione cristiana” come Neo-
Costantiniana. MP, che intelligentemente ha sempre rifiutato
la fascistizzazione del nemico, cade qui in pieno nella
trappola. “Nuovo Costantino” fu infatti definito Mussolini per
la Conciliazione del 1929, non dai comunisti italiani, ma dai
dossettiani (la frazione che rispondeva a Giuseppe Dossetti,
la guida degli anti-andreottiani e degli anti-DeGasperi che
furono soliti fascistizzare il nemico Conservatore) e dalla
Sinistra cattolica evoluzionistica e progressistica. Il
bergoglismo, per quanto si nutra di varie fonti, è in diretta
continuità strategica con il dossettismo, ossia con il
Progressismo cattolico vs ortodosso
proposito che deve essere l’elite clericalistica, non lo
Stato, a detenere il potere totale. Tale ideologia del potere
politico del clero, per quanto sia oggi apparentemente più
morbida, ripetiamo di nuovo apparentemente, di quella dei bei
tempi del papa nero gesuita in offensiva su ogni fronte, si
definisce Neo-Gelasiana, da Gelasio I 49° vescovo di Roma.
Perfettamente neo-gelasiana fu l’interferenza politica
globalista e progressista della sinistroide e gesuitica
“Civiltà cattolica” contro la democrazia conservatrice russa
in coincidenza delle ultime elezioni politiche.

Terza Roma

La ricostruzione compiuta dal Nostro riguardo alla storia
religiosa della Russia, a parte le insolite, per lui,
sbavature occidentalistiche – il Patriarcato di Mosca sarebbe
per sua natura ontologica teocratico, chi lo appoggia
nutrirebbe nostalgie teocratiche -, è buona e condivisibile.
Le conclusioni non possiamo condividerle. Cristianità
ortodossa russa è sia la rivoluzione modernizzatrice di Pietro
il Grande e di Caterina II, sia la fiera reazione,
ultranazionalistica, degli “Antichi Credenti” che si
ribellarono alla “Riforma” del 1653 su cui si è soffermato MP.
Al tempo stesso, nell’ultimo secolo, Cristianità ortodossa
russa è l’infinito elenco dei Martiri sterminati dal regime
ateo comunista, è la Chiesa catacombale che non vuole
compromessi con i bolscevichi ma è anche l’elite ortodossa
che, dalla Guerra Patriottica in avanti, temperò sino a
raddrizzare l’utopismo materialista e globalista del regime
marxista, rendendolo di fatto sempre più post-marxista, meno
globalista e più russo.

Ora, il lettore dirà che è questa una enorme contraddizione. E
avrebbe ragione. Ma la contraddizione è il cuore e il lievito
della Tradizione ortodossa russa. Il concetto di sobornost’,
l’universalità e l’unità nella molteplicità, la comunione nel
divenire della storia, è lo spirito della Chiesa russa che si
Progressismo cattolico vs ortodosso
rivela nella storia, si storicizza. La Chiesa è perciò il
Popolo, e il Popolo Russo è, nella visione ortodossa, per sua
stessa essenza il Popolo Cristo, il Popolo Ortodosso. Al tempo
stesso, però, nel “Domostroj” – Documento del XVII sec. in cui
venivano dettate le norme per il popolo – lo Zar è presentato
come il padre igumeno di tutto l’impero russo, l’obbedienza
verso di lui è un autentico rituale che ha un valore
religioso. Tale concetto è presente nella stessa democrazia
conservatrice putinista. Che significato dare a tutto questo
in relazione alla Terza Roma? Sono necessarie due premesse
prima di tirare qui le conclusioni. La prima è che il pensiero
filosofico cristiano russo ha la caratteristica del senso
storico “mitico” (storicismo conservatore cristiano), mentre
il pensiero cattolico ha la caratteristica del senso politico
immediato, quello protestante del senso empirico
individualistico. Il “mito” Mosca Terza Roma viene formulato
dal monaco starec Filofej nella sua lettera al gran principe
di Mosca Vasilj III (1505-1533):

“O zar molto pio! Ascolta e ricorda che tutti i regni
cristiani si sono riuniti nel tuo regno, che due Rome sono
cadute, ma che la Terza sta in piedi e che non ce ne potrà mai
essere una quarta. Il tuo regno cristiano non sarà mai
rimpiazzato da nessun altro”.

La Terza Roma sta in piedi. MP sottovaluta questo passaggio
fondamentale, “la Terza Roma sta in piedi” e quindi confonde
il messianismo universale russo, che è di sostanza metafisica
e spirituale, con il millenarismo sociale rivoluzionaristico.
Viceversa il messianismo ortodosso e storicista russo ha il
fine opposto, più da barriera e fortezza, o ancor meglio da
scudo di ciò che resta degli ultimi giorni, mantenendosi il
piccolo resto nella santità e Santa il Popolo Cristo ha
chiamato la Russia, unico caso nella storia della Cristianità
di rituale santificazione di una intera terra benedetta. Per
intensità e durata, quella ch’è stata probabilmente la più
terribile prova che un popolo cristiano abbia dovuto
Progressismo cattolico vs ortodosso
affrontare (“il più grande genocidio della storia” secondo
l’archimandrita Nektarios), un fiume ininterrotto di sangue
che arriverebbe alla cifra di quasi 70 milioni di cristiani
ortodossi, per lo più di rito russo, martirizzati nel corso
del Novecento avrebbe avuto, nell’ottica di Mosca Terza Roma,
la misteriosa finalità provvidenziale nel confermare
l’elezione storica del Popolo Cristo. Ciò non è nazionalismo o
sovranismo, ma missione spirituale di cui la storia di un
popolo si fa portatrice. Lo stesso andrebbe detto della
Rivelazione di Fatima, riconosciuta solennemente dal
Venerabile Pio XII, con al centro il destino della “Santa
Russia” ma non è questo il contesto per soffermarsi su una
questione così foriera di misteriose finalizzazioni.

Il metropolita Tichon, Solzenicyn e il nichilismo occidentale

MP, infine, fa dell’odierno patriarcato poco più che un
braccio arrugginito del potere temporale putinista. In realtà
occorrerebbe maggiore cautela e prudenza, consigliamo al
Nostro la visione di questo importante video.

Il metropolita Tichon, uno dei padri del Neoconservatorismo
russo di questi tempi, influente pensatore e teologo,
confessore del presidente VVP, dette la licenza al canale
televisivo di stato russo, nel gennaio 2008, di trasmettere
questo documentario che ci pare assai chiaro sulla prioritaria
strategia del Cremlino, basata sulla difesa dell’identità
cristiana russa. Identità cristiana russa, come abbiamo
mostrato, dal valore universale non nazionalista filetista. Il
filetismo, che indica la tendenza della Chiesa greco-ortodossa
a prendere come base la nazionalità, e non lo Spirito, sarebbe
perciò una nuova forma di nazionalismo o tribalismo.

Vladimir Putin, inoltre, ha più volte definito l’attivista
conservatore cristiano Solzenicyn come il proprio personale
maestro. Poco prima di morire fu chiesto a Solzenicyn cosa si
dicessero lui e Putin nel corso dei loro incontri. Il vecchio
pensatore rispose che aveva continuamente avvertito il
Progressismo cattolico vs ortodosso
presidente       che   la   democrazia    neo-illuministica
all’occidentale è quanto di più radicalmente e pervicacemente
anticristiano fosse comparso nella storia dell’umanità,
missione di Putin era non solo sbarrare ogni tipo di via
all’ingresso di quella “cosiddetta democrazia” in Russia, ma
inverare storicamente il nazionalconservatorismo storico russo
come Catechon, forza di lucida e eroica contrapposizione
all’Anticristo, che secondo Solzenicyn si sarebbe manifestato
in veste di “democrazia”, “diritti”, “ecumenismo”, tecnocrazia
illuministica. La Russia non avrebbe dovuto essere
antimoderna, reazionaria, rifiutare le conquiste scientifiche
moderne. Ma avrebbe dovuto mettere al centro la sua storia
spirituale, non il 5 G, non la Silicon Valley alla russa, non
la ideologia radicalista LGTBQ.

Solzenicyn indicò alla Russia il sentiero spirituale e
storicistico che Benedetto XVI indicò all’Europa dal 2005.
Dall’Orda d’Oro all’illuminismo massonico-rivoluzionario del
bonapartismo, la Russia fece sempre scudo contro l’epidemia
ultraprogressistica e rivoluzionaristica, spiega Alexander
Solzenicyn. Lo stesso compitò avrà nel secolo attuale:
arrestare l’avanzata irrefrenabile del neo-mongolismo
tecnocratico globalistico. La Russia ha accettato la saggezza
di Solzenicyn, l’Europa, democraticista e laicista, ha
rifiutato la saggezza del Pontefice. Come si può vedere, il
putinismo affonda in ben altre radici rispetto a quelle del
laicismo machiavelliano che MP gli attribuisce; missione dell’
“Ortodossia di stato” russa è quella di chiudere le porte alla
catastrofe, non di redimere un mondo, come è quello
occidentale, che avrebbe armi e strumenti per salvarsi da se.
Tanto meno è quella di spremere di nuovo come un limone il
grande popolo russo, legna d’ardere sulla via di una
rivoluzione mondiale o globalista di bolscevica memoria. E qui
ritorna, nel pensiero di MP sulla Russia, quel millenarismo
social-rivoluzionario estraneo, oggettivamente, alla linea del
patriarcato, ma altrettanto estraneo a quella tradizione
apostolica greco-cristiana (e non giudeo-cristiana) a cui il
Progressismo cattolico vs ortodosso
concetto di Mosca Terza Roma si ispira.

Il Nostro equivoca anche, a nostro modesto avviso, il senso
della recente modifica della costituzione. Dio, Popolo (non
patria come MP dice), Famiglia. Popolo è da intendersi nel
senso sopra specificato di Popolo Cristo e Popolo Chiesa. Non
vediamo inoltre dove vi possa essere l’affinità tra la
“teologia politica” che sottintende la dottrina sullo Stato
cristiano di San Giuseppe Volokolams (1440-1515) e la
relativistica “Dichiarazione di Abu Dhabi”. Putin cita spesso
Ivan Ilyn, non perché fascista (ammesso e non concesso lo sia
stato, ma non è questo il punto) bensì perché profetizzò, nei
lontani anni ’30 quando vi era il Grande Terrore anti-
ortodosso, che il Comunismo sarebbe stato sconfitto
dall’Ortodossia, che in Russia sarebbe rinato lo Stato
ideocratico cristiano.

Non abbiamo, inoltre, schiacciato il bergoglismo [1] sul
liberalismo come sostiene il Nostro, anzi abbiamo sostenuto
nel nostro precedente articolo contestatoci dall’amico MP che
fu la “Sinistra progressista cristiana” del Dossetti, con la
sua concezione di democrazia radicalista e illuministica, a
vincere la battaglia politica del ‘900. Il liberalismo è fuffa
oggi giorno: il Deep State clintoniano è forse laico e
liberale come lo furono Cavour, Giolitti, Croce, Guizot,
Bismarck? “Libera chiesa in libero stato”, “KulturKampf”?
Giammai! La cristianità civile va annientata, seppur in modo
soft, come affermano i progressisti di ogni colore e
latitudine.

Dalla laicità del Cavour si è arrivati, nel civile Occidente,
alla più virulenta cristofobia, come sostiene Benedetto XVI.
La quintessenza della secolarizzazione europeistica e
occidentale, agli occhi del Conservatorismo del patriarcato
moscovita, sarebbe estremismo anticristiano, più o meno
morbido. Sbagliato? Giusto? Chi vede e osserva può giudicare
da se, l’Europa “cristiana” è oggi il continente dell’ateismo
nichilista più avanzato. Il Nostro ritiene sia una chimera la
Progressismo cattolico vs ortodosso
nostra ipotesi teorica che il secolo vedrà una lotta di
frazione   — sia tra élite sia a livello popolare —        tra
nazionalconservatori e progressisti illuministi. In verità, il
contesto di Benedetto XVI pontefice rappresentò il punto di
massima concordia, nella storia dell’umanità, tra la prima
Roma e la Terza Roma. Il testo ratzingeriano del 2009, Europa
patria spirituale: idea russa per l’Europa, fu il manifesto
teologico politico di questa linea strategica comune tra Roma
e Mosca. Ne riprendiamo un importante passo:

“Questa cultura illuminista sostanzialmente è definita dai
diritti di libertà; essa parte dalla libertà come un valore
fondamentale che misura tutto….Il concetto di discriminazione
viene sempre più allargato, e così il divieto di
discriminazione può trasformarsi sempre più in una limitazione
della libertà religiosa….Una confusa ideologia libertà (neo-
illuministica e progressista, ndc) conduce a un dogmatismo che
si sta rivelando sempre più ostile verso la libertà”.

Con il silenziamento forzato di Benedetto XVI, senza cadere
nel complottismo ma senza nemmeno escluderlo semplicemente
perché ignoriamo cosa abbia potuto determinare un evento così
grande come le epocali dimissioni del 2013, il Deep State del
radicalismo neoilluministico ha oggettivamente portato a casa
la più grande vittoria che potesse ottenere. Ad essa avrebbe
dovuto seguire l’annientamento di civiltà del putinismo
nazionalconservatore e Ortodosso, il ridimensionamento della
Russia a minuscola potenza regionale, l’ucrainizzazione, la
banderizzazione sul territorio occidentale della Federazione e
l’offensiva del neo-colonialismo cinese dalla Siberia in
avanti.

Ciò non solo non è avvenuto, ma sconfiggendo il Terrorismo
globale anticristiano tatticamente sostenuto da Occidente, la
Russia è rientrata con Stati Uniti e Cina nel novero delle
potenze globali. VVP, saggiamente sostenuto dal patriarcato di
Mosca, affiancato dai teorici più Conservatori interni allo
stesso, ha aperto una nuova epoca storica e di civiltà, il
Progressismo cattolico vs ortodosso
multipolarismo, mandando all’aria i sogni utopistici della
sinistra radicale clintoniana e del partito progressista di
Roma cattolica.

Da patriota non occidentalista, multipolarista, quale MP è, o
almeno così lo ricordavamo, dovrebbe esserne rallegrato.
Benedetto XVI e il patriarca Kirill, con il presidente Putin
all’opera, si ricordi lo storico discorso di Monaco del 2007
di quest’ultimo, hanno aperto la nuova era Multipolare, non
occidentale. La stessa America è oggi post-globale e lo stesso
Vaticano a guida gesuita è post-romano. La prima Roma è andata
e la Terza Roma sta reggendo l’equilibrio internazionale
sempre più multipolare. La fraternità spirituale e
multipolarista di cui la Terza Roma è espressione storica ha
il centro metafisico nel concetto di “umanesimo divino
cristiano” (Solzenicyn), il “fratelli tutti” di Sua santità
Francesco è invece espressione storica di un umanesimo
umanitaristico che dà grande rilievo sociale a ciò che
Benedetto XVI già bollò come “neo-paganesimo” mondano
relativistico e naturalistico. Con questo non ci azzardiamo,
naturalmente, a affermare che il santo padre Francesco sia un
pagano o un relativista progressista tout court. Il testo
integrale della nuova enciclica, di eccezionale valore
storico, di Sua santità Francesco merita certamente una
lettura più disincantata, e meno partigiana, di quella de “il
manifesto” ma non è chiaramente questa la sede. Va comunque
ribadito in conclusione che l’umanesimo storicista cristiano
slavofilo-europeo di un Solzenicyn o quello conservatore (neo-
europeo) di un Benedetto XVI, strategicamente vicino al
patriarcato di Mosca, si pongono certamente in una differente
prospettiva e strategia di civilizzazione, più radicalmente
multipolarista, rispetto al neo-universalismo globalista e
populistico di Sua santità Francesco.

NOTE

[1]    Sua santità Francesco è figlio ideologicamente della
peronista e terzomondista Teologia del popolo argentina, non
Progressismo cattolico vs ortodosso
della Teologia della Liberazione come sostiene MP. Non sta a
noi, ne tantomeno in questo contesto, stabilire se la sua
azione di Pontefice ricalchi la visione della Teologia del
Popolo

IL DESTINO DELLA RUSSIA E LA
CHIESA CATTOLICA di Moreno
Pasquinelli

«Quanto tempo, arciprete, dovranno ancora durare questa
sofferenze? Risposi: Fino alla morte. E lei con un sospiro
replicò: così sia; proseguiamo il nostro cammino».
Avvacum, Autobiografia
Giorni addietro SOLLEVAZIONE ha pubblicato, a firma F.f,
 SCISMA NEL CATTOLICESIMO UNIVERSALE?
L’autore, posto che sarebbe in atto una “guerra civile
ideologica a bassa intensità nel mondo cattolico
contemporaneo”, per la precisione tra l’ala progressista
bergogliana e quella conservatrice e rigorista (Vigano et
similia), sostiene di non schierarsi né con la prima né con la
seconda. Alla fine del suo scritto confessa tuttavia di
simpatizzare per i rigoristi e per auspicare (sulla base di
tradizionali “valori cristiani non negoziabili”) una “santa
alleanza” tra conservatori cattolici e Chiesa ortodossa russa,
posto che egli crede “nel ruolo e nella missione della Russia
cristiano-ortodossa nel nuovo ordine internazionale” — in
altre parole il mito di “Mosca Terza Roma”, la Russia come
un’universale centro redenzione dell’umanità.

Tenterò di mostrare quanto fallace sia il mito di “Mosca Terza
Roma” e come sia vano sperare in un’alleanza tra conservatori
cattolici e russi ortodossi sulla base dei cosiddetti “valori
non negoziabili”. Per farlo il lettore dovrà avere la pazienza
di seguirmi in un breve viaggio a ritroso nella storia della
Russia.

La sindrome costantiniana

Sotto il nome di “sindrome costantiniana” s’intende, in ambito
cristiano, il perverso rapporto tra il potere secolare e
quello spirituale. Un male antico, che risale appunto
all’ascesa di Costantino il Grande al seggio di imperatore
romano (324). Costantino non si limitò ad appoggiare la
Chiesa, ne fece un braccio, sia spirituale che secolare, del
potere imperiale. Così i verdetti, non solo dei Sinodi (primo
fra tutti quello di Nicea, 325), ma dei singoli vescovi,
ebbero, una volta ratificati dall’imperatore, forza di legge.
 Con la fusione, nell’Impero Romano d’Oriente, di Chiesa e
impero in un unico corpo politico teocratico avvenne una
svolta epocale che ebbe conseguenze di lungo periodo. I capi
della Chiesa che fino ad allora esercitavano un’autorità solo
morale o teologica, accettarono di diventare funzionari
imperiali con facoltà coercitive inoppugnabili. Pur di
ottenere la protezione imperiale e di conservare gli enormi
privilegi che detta protezione assicurava, molti patriarchi e
vescovi si comportarono da veri e propri tiranni, persecutori
implacabili degli “eretici” cristiani, spesso più degli stessi
imperatori più osservanti. Mentre lo Stato romano assunse il
compito di proteggere l’ortodossia della gerarchia cattolica,
questa accettò di ubbidire ad esso, anzi sacralizzandolo.

F.f. sembra avere nostalgia del sistema teocratico. Dopo aver
condannato “l’élitismo gesuitico del Concilio Vaticano II” —
Concilio che tra le diverse decisioni cercò appunto di
liberare definitivamente la Chiesa dalla sindrome
costantiniana — giunge infatti ad elogiare la teologia di
Eusebio di Cesarea che qualifica come un “modello di cultura
teologica organicistica e comunitaria”. L’apologia è
rivelatrice. Biografo e strenuo difensore di Costantino, fu
proprio Eusebio a gettare le basi della sindrome costantiniana
in quanto teorizzò il carattere supremo e sacro del potere
imperiale, così giustificando la sottomissione della Chiesa
al potere secolare. Sembra sfuggire a F.f. come Eusebio
ponesse un’analogia tra il piano teologico e quello politico:
dalla sua concezione teologica subordinazionista e semi-ariana
per cui il Figlio è inferiore al Padre, Eusebio ricavava
l’idea che il Padre fosse l’imperatore e figlio la Chiesa.

Se la Chiesa cattolica, dopo secoli di tormenti e dolorose
sconfitte, ha finito per accettare la distinzione e la
separazione del potere spirituale da quello secolare, il
cristianesimo bizantino e quello russo in particolare, al
contrario, non hanno sciolto il dilemma restando anzi
prigionieri della esusebiana sindrome costantiniana.

Di quale “Chiesa ortodossa” parla poi F.f.? Egli lascia
intendere che si riferisce a quella ufficiale, di cui il
Patriarcato di Mosca di Kirill è ultima propaggine. Ed è a
questa che F.f. sembra assegnare la missione salvifica di
erigere la “Terza Roma”. Ma il Patriarcato moscovita davvero
ritiene di possedere questa missione? Mostreremo che la
risposta è no.

Il mito della “Terza Roma”

Questo mito sorse dopo la liberazione dal domino dei tartari
(1480). Alla base non solo l’idea della traslatio imperii, ma
quella per cui dopo la caduta di Roma e di Costantinopoli
sarebbe spettato ai russi il ruolo di custodi di una
ortodossia incontaminata, chiamati ad assolvere una messianica
ed escatologica missione mondiale.

“La Chiesa dell’antica Roma cadde per la sua eresia; le porte
della seconda Roma, Costantinopoli, furono abbattute dalle
asce dei turchi infedeli; ma la Chiesa di Mosca, la nuova
Roma, risplende più del sole in tutto l’universo. Tu sei il
sovrano ecumenico, tu devi reggere le redini del governo nel
timore di Dio; abbi timore di colui che te le ha affidate. Due
Rome sono cadute, ma la terza rimane salda in piedi; una
quarta non vi sarà. Il tuo Regno Cristiano non sarà mai dato
ad alcun altro sovrano”.

Con questa parole, nel 1532, il monaco Filoteo, si rivolse a
Basilio III, granduca di Mosca. Nel 1547 Ivan IV venne
proclamato Zar. Ma proprio in quei tempi e attorno al dilemma
del rapporto tra potere spirituale e temporale, sorsero le due
tendenze storiche di dilanieranno l’ortodossia russa. Quella
di tradizione bizantina per cui lo Zar sarebbe l’equivalente
del Basileus per cui l’imperatore era l’incarnazione di Gesù
Cristo, ed in quanto tale sovrano supremo di un unico corpo,
secolare e spirituale; e quella opposta per cui era invece la
comunità dei credenti che, essendo sotto la protezione dei
Santi, dello Spirito Santo e di Maria, aveva la supremazia
nelle questioni di fede e non tollerava sopra di sé alcun
potere secolare.

La prima frattura avvenne quindi nel XVI secolo e fu quella
tra i cosiddetti “Non Possidenti”, ed i “Possidenti”. Per i
primi era incompatibile con i principi cristiani, sia la
pratica della servitù della gleba sia possedere proprietà. Per
essi inoltre, molto similmente a San Francesco, la povertà
 era coessenziale ad una sincera vita religiosa cristiana.
Infine i “non possidenti” propugnavano la libertà religiosa,
la primazia delle comunità di base dei credenti quindi il
rifiuto di ogni interferenza del potere secolare. Auspicavano
infine l’unione ecumenica con tutti gli ortodossi. La vittoria
dei “Possidenti” sfociò nella persecuzione implacabile come
eretici dei “Non Possidenti” (tra essi il monaco e teologo S.
Massimo il Greco il quale, vissuto a Firenze, fu un ardente
sostenitore di Girolamo Savonarola). Da questo momento avremo
non solo la subordinazione della Chiesa allo Zar (l’autocrazia
zarista era infatti da venerare come sacra), ma un perpetuo
periodo di decadenza della Chiesa ortodossa, decadenza
spirituale e morale che spiega il vero e proprio scisma del
1653.

In quell’anno il Patriarca Nikon, convinto assertore del
regime teocratico con a capo lo Zar, emanò unilateralmente un
decreto col quale ordinava ai russi di seguire il rituale
greco tutte le volte che questo differiva dal loro. Contro
questa decisione si opposero quelli che si chiamarono “Antichi
Credenti”, o “Antichi Ritualisti”. La rottura, lo scisma
(Raskol), formalmente, avvenne per capziose questi liturgiche
– ad esempio il Credo, la maniera di fare il segno della croce
o il numero di alleluia cantati durante le funzioni religiose.
In verità la sua irriducibilità veniva dall’intrecciare
fattori sociali e teologici. Dal punto di vista sociale gli
“Antichi Credenti” erano portatori di una visione
collettivista dei rapporti agrari, ovvero di una concezione
comunistico-cristiana della società, mentre i nikoniani erano
difensori del sistema fondato sulla servaggio dei contadini e
del predominio dell’aristocrazia terriera. A questa idea
sociale collettivista gli “Antichi Credenti” facevano
corrispondere, sul piano ecclesiologico la tesi che nessun
potere secolare poteva porsi sopra la comunità autorganizzata
dei credenti; quindi, su quello teologico, l’idea che
l’incarnazione significhi la divinizzazione non solo dell’uomo
ma dell’umanità. E qui sta la peculiarità della cristologia e
della fede originarie dell’ortodossia russa, tanto diverse sia
dal pensiero classico greco e scolastico, sia del coevo
razionalismo occidentale.

La lotta, asprissima, si concluse con la sconfitta degli
“Antichi Credenti”. Non solo Avvacum che li capeggiava venne
arso vivo, ma molti dei suoi seguaci, convinti che il mondo
fosse oramai in mano all’Anticristo, preferirono morire
bruciando con le loro case alle quali essi stessi, anziché
conformarsi alla decisioni dell’alto clero e dello Zar,
appiccarono il fuoco. Nel XVIII secolo gli “Antichi Credenti”
dettero addirittura vita a movimenti di lotta armata e molti
di loro parteciparono alla devastante rivolta di Pugacev.

Dopo di allora avremo in Russia due chiese ortodosse, quella
ufficiale, sempre sottomessa agli Zar e sprofondata nella
corruzione, e quella reietta e perseguitata degli “Antichi
Credenti”. Per questi ultimi la Chiesa russa ufficiale (quella
ai giorni nostri capeggiata dal Patriarca Kirill) sarebbe
caduta nell’eresia e gli Zar saranno tutti considerati
apostati in quanto traditori della missione sacra di fare di
Mosca la “Terza Roma”. Il mito della “Terza Roma” non
appartiene infatti alla Chiesa russa ufficiale ma a quella
dissidente, quella che dai “Non Possidenti” sfocia negli
“Antichi Credenti”.

La secessione degli “Antichi Credenti” accelerò due fenomeni
complementari destinati a durare nei secoli successivi: la
crescente putrefazione della Chiesa ufficiale e, incoraggiata
dagli Zar, la sua progressiva occidentalizzazione. Entrambi i
fenomeni toccarono l’apice con l’ascesa definitiva al trono di
Pietro il Grande (1721). L’imperatore non solo impose il
processo di occidentalizzazione (le scuole teologiche
seguiranno pedissequamente gli schemi occidentali ed i libri
di testo erano in latino, come in latino venivano impartite le
lezioni), ma accentuò il controllo secolare sulla vita della
Chiesa. Col Regolamento Ecclesiastico (1721) l’invadenza del
potere zarista si spinse fino all’abolizione del Patriarcato e
la sua sostituzione con un Consiglio Permanente composto da
persone scelte dallo Zar medesimo e a lui obbedienti.
Sconvolgendo il diritto canonico ortodosso, che implicava
l’elezione dei vescovi da parte della comunità, questi vennero
d’ora in avanti scelti dal potere secolare. La Chiesa perdette
per sempre il diritto di esprimersi liberamente su qualsiasi
questione religiosa o morale. Questa svolta fu sancita,
simbolicamente, dall’abolizione di una vecchia consuetudine
russa, quella per cui nel giorno della processione della
domenica delle Palme, il Patriarca, che impersonava Cristo,
attraversava le vie della capitale cavalcando un asino che lo
Zar umilmente conduceva per la cavezza.

Si consideri, per comprendere fino a che punto di abiezione
giunse la Chiesa ortodossa russa, che con la Rivoluzione 1905
l’Impero riconobbe libertà di culto e il diritto delle chiese
all’autogoverno, ma questo diritto non venne concesso alla
 Chiesa russa, la quale obbedì ancora una volta. Ci vorrà la
Rivoluzione di febbraio del 1917 e la contestuale caduta del
sistema zarista per porre definitivamente fine a due secoli
di umiliante sottomissione. Quell’anno, due secoli, si svolse
infatti il Concilio Ecclesiastico Panrusso che ripristinò
l’autogoverno.

Da Lenin a Putin

La vittoria della Rivoluzione Bolscevica spinse il Patriarcato
ortodosso su una posizione di aperta ostilità verso il regime
rivoluzionario. I comunisti, equiparati a criminali usurpatori
che dovevano essere presto rovesciati, vennero ben presto
scomunicati dal Patriarca Ticone (19 gennaio 1918). I
bolscevichi risposero usando il bastone e la carota, ma le
persecuzioni divennero la consuetudine, con due ondate che
furono durissime nel periodo del terrore staliniano (1928-29 e
1937-39). Davanti al fatto che la decapitazione della Chiesa
non spazzò via, anzi, la religiosità popolare (che risorse in
modo impressionante durante la seconda guerra), e nella
necessità di respingere il proditorio attacco nazista, Stalin
fu costretto a retrocedere e nel 1943 autorizzò l’elezione del
Patriarca facendo numerose concessioni alla Chiesa, a
condizione che essa accettasse un ruolo subordinato al potere
politico. Ai vertici della Chiesa prevalse quindi la posizione
di considerare quella staliniana una forma legittima di
governo. Pur di essere autorizzata a praticare dottrina e
culto la Chiesa ufficiale accettò la sottomissione al
controllo politico delle autorità — che si riservavano
infatti, sulla scia della tradizione zarista, di accettare o
respingere le nomine interne alla Chiesa.

Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica (1990-91) la Chiesa
ortodossa, che si considera l’anima spirituale identitaria del
popolo russo, riconquistò apertamente un ruolo centrale nella
vita politica del Paese — tanto più a fronte dello sfascio
politico, sociale e spirituale del periodo eltsiniano. Con
l’ascesa al potere di Putin questo ruolo del Patriarcato venne
consolidato e istituzionalizzato. Sorge a questo punto una
domanda cruciale. Qual è oggi in Russia, posta la diarchia tra
potere secolare e quello spirituale, il vero sovrano? Se ben
si osserva la realtà russa la risposta è inequivocabile: il
potere secolare. E’ il Cremlino il decisore d’ultima istanza,
il Patriarcato essendo un comprimario, un alleato a cui è
affidata la funzione di legittimare e assecondare le decisioni
del centro politico supremo. In buona sostanza Kirill (che ai
tempi dell’URSS era un collega di Putin poiché è stato
probabilmente un informatore del Kgb) colloca il Patriarcato
sul solco storico sempre seguito dalla Chiesa ortodossa
ufficiale, quello di accettare un ruolo istituzionalmente
subordinato al cospetto del potere secolare — un mese prima
delle elezioni del 2011, Kirill arrivò a definire il governo
di Putin «un miracolo di Dio». In questo senso, e solo in
questo senso, Mosca sembra essere la “Terza Roma”, ma solo in
quanto, mutatis mutandis, imita formalmente la catena di
comando dell’impero bizantino ove il potere assoluto spettava
all’imperatore. E così ci spieghiamo le recentissime profonde
modifiche alla Costituzione della Russia, tra cui, oltre ai
crescenti poteri politici assegnati all’imperatore, è stata
sancita la “fede in Dio” come elemento ideologico e
identitario dello Stato. Una generica “fede in Dio” si badi,
non il Cristo redentore. Doveroso segnalare come questa
esortazione ecumenica, rivolta anzitutto ai musulmani, faccia
il paio con quella contenuta nella Dichiarazione di Abu Dhabi
sulla fratellanza umana sottoscritta nel febbraio 2019 da Papa
Bergoglio e il Grande imam di al-Azhar. Dichiarazione
considerata “eretica” dalla destra cattolica per la quale la
fede cattolica sarebbe la sola porta d’accesso alla salvezza
eterna, destra che ama citare, come dogma incontrovertibile:
“Io sono la via, la verità, la vita. Nessuno viene al Padre se
non per mezzo di me”, [Atti 4, 11-12].

Se non bastasse questo per comprendere quanto l’attuale tandem
Cremlino-Patriarcato di Mosca siano lontani dal considerarsi
la “Terza Roma”, di quanto siano distanti dal pretendere di
accollarsi la suprema funzione salvifica dell’umanità — quanto
cioè siano estranei alla visione escatologica della prima
ortodossia russa — ci giunge in soccorso un’affermazione di
alto valore simbolico pronunciata nel marzo scorso dal
deputato di Russia Unita (il partito putiniano) Aleksandr
Il’tjakov: “Il nostro obiettivo non è costruire il paradiso in
terra, ma prepararsi per la prossima vita”. Ognuno comprende
che non c’è alcuna concessione al messianismo tipico
dell’autentica ortodossia cristiana (l’attesa dell’avvento del
definitivo Regno di Dio in Terra), e come invece si assegni
alla Chiesa, in linea con quanto accaduto dal XVII secolo in
poi, una modesta funzione ideologica di legittimazione
conservativa dell’ordine sociale dato.

La battaglia del secolo

F.f. immagina e auspica che la Russia cristiano-ortodossa
possa giocare un ruolo ed una missione centrali nel nuovo
ordine internazionale. Tutto indica che questa è una chimera.
Ed lo è per due ragioni complementari. La prima è che
l’attuale Patriarcato, sul solco della infausta tradizione
della Chiesa ufficiale, non si assegna alcuna funzione mistica
e redentrice; la seconda è che il Patriarcato non può svolgere
alcun ruolo autonomo sulla scena mondiale, in quanto accetta
che ciò sia esclusiva prerogativa del Cremlino, al quale deve
ubbidire. In parole povere il Patriarca fa quel che Putin
ordina di fare. E, si badi, ciò vale anche sul piano
ecumenico, sul piano delle relazioni religiose con la Chiesa
cattolica. E’ il potere secolare (dato che gli affari
religiosi hanno dimensione politica e geopolitica) che decide
a che punto può spingersi il Patriarca.

Ma F.f. potrebbe obiettare che sia Putin che Kirill sono in
perfetta sintonia, sul piano di quelli che definisce “valori
non negoziabili” (in sostanza “Dio, patria e famiglia”), non
solo col fronte cattolico conservatore, ma anche coi settori
oltranzisti dell’evangelismo protestante a stelle e strisce e
financo con certo ebraismo sionista oggi egemone in Israele.
L’errore di F.f. è evidente. Egli immagina che la battaglia
principale del del XXI secolo sia quella manichea che si
svolge sul piano dei “valori” religiosi ed ideologici, ovvero
tra “progressisti-globalisti” e “tradizionalisti-sovranisti”.
Questa immaginazione è fasulla. Sono ben altre le decisive
linee di faglia dello scontro geopolitico. F.f. scambia il
proprio universo simbolico e immaginario con quello storico-
reale. La verità è che, abbattuto il “socialismo reale”, siamo
per la prima volta nella storia in un universo completamente
colonizzato dal capitalismo. Non che i fattori ideologici non
abbiamo importanza, ma essi, in ambiente capitalistico, sono
fattori strumentali agli interessi economici e strategici
degli player globali, siano essi Stati che i giganteschi
conglomerati multinazionali. Peggio: i valori morali e
l’ideologia sono spesso il Velo di Maja dietro al quale questi
attori ammantano e camuffano i loro meschini interessi di
parte.

Come il concreto vince sempre sull’astratto, la moderna
visione realista del Politico, in ultima istanza, è destinata
a prevalere su quella normativa — di cui quella religiosa non
è che la sua versione ancillare. Putin, con Machiavelli sa che
“gli stati non si tengono co’ paternostri in mano”. Kirill, da
parte sua, non pare proprio il tipo che voglia fare la parte
del Savonarola.

Sul piano ecumenico-religioso, Putin, che è più allievo di
Machiavelli che dei mistici ortodossi, certo auspica un
avvicinamento con la Chiesa cattolica, ma si guarderà bene
dall’incoraggiare Kirill a fomentare la velleitaria sedizione
della destra cattolico-conservatrice per defenestrare
Bergoglio. Che poi questo avvicinamento abbia fatto passi
avanti — F.f. sottolinea il ruolo di Ratzinger ma per la
verità fu proprio il Vaticano II a rilanciare l’ecumenismo
cristiano ed a porre fine a quello che gli ortodossi hanno
chiamato “imperialismo spirituale cattolico” — è vero, ma la
riunificazione dei battezzati in Cristo in una Chiesa unita
resta, a nostro parere, se non impossibile, altamente
improbabile. Troppo profonde le cicatrici storiche, troppo
grandi le differenze liturgiche, ecclesiologiche e canoniche
— queste ultime non afferiscono solo al ruolo guida del
vescovo di Roma sul piano spirituale ma alle sue prerogative
giurisdizionali per cui non la comunità dei credenti sceglie
il vescovo bensì il Papa medesimo ed a qualsiasi latitudine).

Se il Patriarcato moscovita può ben accettare, nel nome di
“Santa Madre Russia”, una relazione di ubbidienza politica e
geopolitica col Cremlino, non acconsentirà mai, pena un nuovo
scisma interno, ad una subalternità spirituale e
giurisdizionale con Roma. Tanto più improbabile sarebbe questa
ricongiunzione ecumenica ove il Vaticano cadesse nelle mani
dei papisti irriducibili della destra rigorista cattolica,
composta appunto da strenui difensori del primato universale
della Chiesa apostolica romana.
D’altra parte la Chiesa cattolica, per sua stessa natura, non
può accettare nel suo seno chiese autocefale nazionaliste —
né, come vedremo, può sostenere, se non in funzione tattica,
movimenti politici che facciano del nazionalismo secolarizzato
la loro cifra identitaria. Il pontificato di Bergoglio, di
contro a certa vulgata “sovranista” non fa eccezione e segue
un solco multisecolare.

Qual è dunque l’autentica natura, quindi il vero orizzonte,
del pontificato bergogliano?

F.f. ne ricusa il “modernismo” e il “globalismo progressista”.
Si spinge anzi a schiacciare Bergoglio sulle posizioni
dell’élite liberale, se non addirittura del “deep state”
nordamericano. Noi saremo più prudenti. Posto che la Chiesa
cattolica è per sua stessa essenza universalistica (l’ecumene
a cui mira è l’umanità intera), essendo quindi universale la
sua missione salvifica, risulta massimamente errato stabilire
un’equipollenza con il cosmopolitismo liberal-capitalista. La
convergenza è, come dire, tattica, transeunte. Con due
millenni alle spalle, Roma punta a sopravvivere sia al
tramonto    dell’ordine     capitalista    e   mercatistica
provvisoriamente dominante, sia alla primazia dell’Occidente.
Tramonto che non solo Bergoglio ma gia Ratzinger aveva, se non
profetizzato, messo nel conto. Roma, la partita, la gioca sui
tempi lunghi, mentre Sua Maestà Il Capitale, per sua natura,
non può che guardare agli utili del trimestre se non
addirittura al corso dei titoli di borsa in tempo reale. Vero
che le grandi potenze statuali sono tenute ad agire in base ad
una visione strategica, ma essendo appunto potenze diverse in
rotta di collisione, alla fine non possono che soggiacere al
caos e quindi all’eterogenei dei fini. La Chiesa no. Si può
aborrire fin che si vuole il gesuitismo, ma esso è riottoso ad
accettare qualsivoglia fine che non si quello proprio, quello
del più potente partito politico mondiale, posto che esso si
fa forte dell’assistenza della Provvidenza.

La Chiesa bergogliana anti-sovranista? Lo sarebbe anche una
Chiesa che cadesse in mano agli scismatici della destra
rigorista. Perché? Perché, lo abbiamo detto, cattolicesimo, lo
dice la parola, non può che essere universalistico. Così ci
spieghiamo la ragione per cui, al contrario delle Chiese
ortodosse, quella romana, alla forma stato-nazionale,
preferisce per vocazione la forma stato-imperiale,
plurinazionale. Non sta qui la differenza sostanziale tra
bergogliani e anti. Essi hanno il medesimo scopo ultimo,
cattolicizzare il mondo considerato come ecumene con Roma
caput mundi (di passata: la “Prima Roma” non è mai crollata
veramente, è sopravvissuta come centro del cattolicesimo
mondiale); divergono nel considerare quali siano le forze
secolari, sociali e spirituali su cui appoggiarsi per giungere
allo scopo. Mentre i bergogliani guardano ad un futuro post-
occidentale e policentrico e tentano quindi di separare la
Chiesa dall’Occidente che giudicano moribondo, la destra
cattolica è agli antipodi poiché si attesta su una posizione
di arroccamento e di strenua difesa della supremazia mondiale
dell’Occidente imperialistico. Non che i “valori” non abbiamo
importanza, ma uno scisma dalle conseguenze imprevedibili, se
avverrà, avverrà su questo terreno. Se abbiamo ragione è
evidente come i papisti del cattolicesimo conservatore,
oltreché islamofobi sono i più distanti da una alleanza con la
Russia ortodossa.

Da questo punto di vista, considerando come sarà il mondo fra
cinquanta o cento anni, con la gran parte della popolazione
mondiale ammucchiata nel Sud e nell’Est del pianeta, e con
l’Occidente euro-americano scristianizzato e che non sarà più
il baricentro mondiale, la visione bergogliana, ovvero quella
realista dei gesuiti, ci pare quella, se non destinata a
conservare l’egemonia, quella più realista. Qui sta la formale
convergenza, non teologica ma tutta politica, tra il
bergoglismo e il terzomondismo della Teologia della
Liberazione.

Concludiamo infine tornando sul mito di “Mosca Terza Roma”.
C’è stato in effetti un momento nel quale questo mito si è
incarnato nella storia, ed è stato nel secolo scorso con la
rivoluzione bolscevica e la sua potente spinta espansiva su
scala mondiale. Come scrisse Nicola Berdajev:

«Il comunismo russo è esso stesso una fede, una religione.
Nel suo carattere esclusivo si esprime il temperamento
religioso dei russi, la loro psicologia di scismatici e
settari. (…) Esso più tradizionalista di quel che si è soliti
pensare, è una trasformazione ed una deformazione della
vecchia idea messianica russa».
[Nicola Berdtjev, Il senso e le premesse del comunismo russo,
Roma 1944]

SCISMA   NEL  CATTOLICESINO
UNIVERSALE? di F.f.
Riceviamo e pubblichiamo

Ci eravamo già occupati, più di un anno fa, della guerra
civile ideologica a bassa intensità che caratterizza il mondo
cattolico contemporaneo (QUI; QUI). Avevamo cercato di non
schierarci né con il fronte conservatore cattolico né con
quello progressista, oggi di certo egemone grazie al Pontefice
Francesco. E’ uscito in questi giorni un importante documento
del più rappresentativo corifeo di quello che chiamavano il
Partito Nero di Bergoglio; si tratta di un importante scritto
del gesuita Antonio Spadaro per la “Civiltà Cattolica” sulla
spinta propulsiva dell’attuale pontificato, la quale (Cfr.
Accenti, 09, 2019) dette spazio anche all’ermeneutica
dell’identità cristiana russa, rimanendo in sostanza nel
clichè neo-bizantinista e non soffermandosi sulla sostanza
escatologica di Mosca “Terza Roma” quale “Quarta Gerusalemme”
o Nuova Israele. Spadaro non ritorna qui sul concetto di
Rivoluzione profetica e antiapocalittica quale misura del
Pontificato di Francesco, non caratterizza più il Governo di
Francesco come governo del cambiamento storico mondiale, ma si
limita, abbassando assai il tiro, a rimarcare l’ispirazione
bergogliana dal “prete riformato Pietro Savre (1506-1546),
teologo francese vicino a Ignazio di Loyola (fondatore della
Compagnia di Gesù, 1491-1556) e da qui sviluppa la sua nuova
tesi. Il Savre fu il primo gesuita nella storia ad esser
ordinato sacerdote e il recupero di Spadaro è a nostro avviso
finalizzato alla spinta nel senso del massimo realismo
storicista da parte della chiesa “progressista” odierna, oltre
ogni ideologia e teologia, che non sia la teologia politica
gesuitica.

La contraddizione è politica

Non a caso, nel nostro scritto avevamo già sottolineato
l’intimo politicismo clericalistico e machiavellista
dell’attuale     pontificato,     oltre    ogni   retorica
pseudoterzomondista o pseudoumanitaria. Ora tutto ciò viene
finalmente allo scoperto senza eccessivi giri di parole. In
questo contesto, inoltre, Spadaro fa valere l’importante
concetto di discernimento spirituale, dispozione interiore
ignaziana, quale base dell’azione decisionale di Governo del
Pontefice, quale intimo ascolto consolante, a fronte della
desolazione planetaria. Alla “rivoluzionaria” parresia
pontificale di fronte ai potenti del mondo, si aggiunge il
discernimento come acuminato punteruolo adialettico di
possibile armonizzazione di conflitto e contraddizione. Vi è,
in nuce, la risoluzione storico-spirituale del discernimento
“riformato” gesuita come modello di condotta etica, e
politica, rispetto alla contrapposizione ideocratica e
teologico-politica che divampa nella Chiesa dal concilio
Vaticano II, quella appunto tra conservatori e progressisti.
Il fatto che Spadaro rimetta al centro del discorso la spinta
propulsiva dell’attuale pontificato significa chiaramente che
varie cose non sono andate, in questi sette anni, nel verso
auspicato.

Dalla Brexit al conservatorismo cristiano trumpiano al timone
nella nazione più importante d’Occidente, dalla avanzata della
Nuova Destra israeliana anti-occidentale e filorussa sino al
ridimensionamento di quelle frazioni islamiche rivoluzionarie,
derivanti dalle Rivoluzioni Colorate arabe, più fanatiche e
violente, genericamente vicine al “progressismo cattolico”, il
quadro globale è profondamente mutato dal 2013. Il pontificato
di Francesco è stato quasi un lasciapassare per sovranisti e
conservatori di ogni sorta, dal mondo arabo-mediterraneo a
quello occidentale. La politica sui migranti e sul cambiamento
climatico, è di pochi giorni fa il discorso inviato dal
Pontefice al Forum Ambrosetti, basato su ecologia,
fratellanza, discernimento, rimangono in un certo senso le
ultime carte che Francesco si può giocare su quel tavolo
storicistico-politico a cui l’elite gesuita tiene così tanto.
La sfida storica contro il conservatorismo e il sovranismo è
sostanzialmente perduta, a prescindere dal risultato
elettorale del novembre americano, anzi a maggior ragione
dovessero prevalere Biden e Kamala Emhofff Harris. Con Trump,
Bergoglio può continuare recitare la parte di presunto
“oppositore globale” e rimane un solido punto di riferimento
ideocratico dell’elitismo globalista; con i Liberal e la
Sinistra progressista globalista al timone in Occidente, la
sua voce sarebbe inevitabilmente ai margini e vieppù solo
tollerata.

A destra e sinistra di Cristo

L’elitismo gesuita, sin dal concilio Vaticano II, ebbe di mira
il costantinismo e la teologia eusebiana come modello di
cultura teologica organicista e comunitaria da estinguere e
superare. Il pragmatismo, grande e nobile punto di forza del
gesuitismo, è al riguardo d’obbligo nell’analisi ed in tal
senso dobbiamo tentare di apprendere qualcosa proprio dallo
studio della storia italiana; storia che fu dalla prima guerra
alla fine della guerra fredda l’ avanzato laboratorio politico
internazionale dell’epoca, con le varie frazioni cattoliche in
prima linea. Lo scontro tra queste due frazioni, modernisti e
conservatori nella chiesa, è infatti da allora a oggi
ininterrotto. La vittoria conciliare del “progressismo”, un
grande e significativo momento nella storia della chiesa, fu
al tempo stesso la vittoria globale della sinistra
democristiana filosocialista (Y. Congar) ma anche
dell’elitismo progressista cattolico, come sottolineò con
arguzia il teologo gesuita Danièlou, una rarissima voce fuori
dal coro della “sinistra gesuita”.

La chiesa dei poveri, la chiesa del popolo si identificava
infatti con la chiesa conservatrice del Pontificato di Pio XII
(1876-1958) e con il tradizionalismo antimodernista, che non
dovrebbe significare antimoderno, di Padre Pio (1887-1968); la
chiesa conciliare e progressista fu invece la chiesa dei soli
puri, degli eletti, degli “iniziati”, fu la chiesa dei
Teilhard de Chardin e dei Rahner, fu la chiesa dei sapienti e
degli “scienziati” con a cuore problematiche sociali
progressiste. Del resto, specificò Del Noce, il progressista
cattolico si trova teologicamente più a suo agio con un altro
progressista o rivoluzionario, anche se ateo, piuttosto che
con un altro cristiano, soprattutto se ortodosso slavo o
russo. Realisticamente, va infine detto che la “eversione”
elitista conciliare – sono parole di Mons. Lefebvre, fondatore
della Fraternità San Pio X e scismatico, secondo Papa Paolo VI
e Giovanni Paolo II, ma non secondo Benedetto XVI – ha finito
per rendere l’Italia un paese culturalmente e religiosamente
più vicino a quel secolarismo protestante ateo, materialistico
e nichilista che la fa da padrone in Nord Europa e in alcune
metropoli del Nord America.

La Sinistra democristiana dossettiana o neo-dossettiana,
alleata del radicalismo ideologico di massa, ha di fatto
trionfato nella storia italiana mediante Paolo VI, Bergoglio
ma anche Karol WoJtyla che fu certamente un carismatico
condottiero politico modernista e progressista russofobo, con
notevoli spunti sociali antimercatisti, di sinistra. Le
analisi di Baget Bozzo sulla storia del “partito cristiano
italiano”, che va ben oltre la storia della DC ma coinvolge lo
stesso fascismo e il movimento storico socialista, sono a
nostro avviso illuminanti. Il centrismo degasperiano e
andreottiano, strategicamente basati sul concetto “populista”,
si direbbe oggi, di “democrazia sovrana e protetta” (Cfr U.
Nieddu, De Gasperi e lo Stato forte, “Concretezza”, 1 luglio
1972) repressiva verso le Sinistre ma finalizzata
all’assorbimento dei neofascisti del Msi dentro il centrismo
decisionista e “sovranista”, veniva considerato dai
dossettiani prima, dai fanfaniani poi, una metamorfosi
postfascista forse più pericolosa del Movimento sociale anche
in virtù dell’ambigue posizioni di Alcide De Gasperi in
occasione della guerra civile spagnola e delle disposizioni
razziali antiebraiche del 1938, salutate come un dono della
provvidenza.

Tale interpretazione sarà fatta propria anche dal filosofo
marxista Ugo Spirito, quando negli anni ’70 si pose all’ordine
del giorno il procedimento di scioglimento del Msi. La
dicotomia cattolica novecentesca fu in effetti il frutto di
una politicizzazione del teologico operata in entrambi i
campi, non solo dai destri degasperiani e andreottiani, ben
rappresentati da correnti presidenzialiste, antiregionaliste e
ultraconservatrici come “Europa 70”, ma anche dai sinistri
dossettiani. Se vogliamo parlare di costantinismo, dunque,
entrambi gli schieramenti lo furono, costantiniani, e lo sono
tuttora.

E’ una dicotomia che rimanda evidentemente al posto che il
sacro occupi nella società civile, al fatto, come dichiarò
Ratzinger nel lontano 1971 contro il cosidetto centro-sinistra
(Cfr “Democrazia nella chiesa: possibilità, limiti, pericoli”)
che in democrazia individualistica o sociale non vi sarebbe
spazio per i cosiddetti “valori non negoziabili”, il mercato
trionferebbe comunque con la sua anarchia spietata, lo Stato
non sarebbe perciò il garante di valori morali e spirituali
superiori ma sarebbe un semplice meccanismo burocratico. E non
a caso, la linea di faglia è oggi, ben più di quanto si creda,
sul ruolo e la missione della Russia cristiano-ortodossa nel
nuovo ordine internazionale. “Vaticano e Russia nell’era
Ratzinger” di Nico Spuntoni, uscito proprio in questi tempi,
ha evidenziato il ruolo centrale, invero assai trascurato, che
l’asse Mosca-Benedetto XVI ha giocato e forse sta tuttora
giocando nel disegnare un nuovo ordine globale non
progressista e non rivoluzionario, ma escatologico cristiano.

La Terza Roma sarà quindi la Nuova Israele? Ciò che dovrebbe
chiamare, se così fosse, i cattolici conservatori a guardare
più verso Mosca, meno verso Occidente…..?

UNIVERSALISMO                     CATTOLICO E
OCCIDENTALISMO                    IMPERIALISTA
di F.f.

            Ilya Glazunov, La Russia eterna, 1988

                  [ domenica 9 giugno 2019 ]
Puoi anche leggere