Per un pezzo di pane - MarsicaLive

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Pietro Guida

Per un pezzo di pane
Storie straordinarie di gente normale
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L’innocente

    Sui campi di grano dorati il sole batteva forte, annunciando che
l'estate era ormai avanzata. Lungo le vie di campagna si vedevano
uomini e donne di fatica rientrare dal lavoro, mentre le mietitreb-
bie imballavano senza sosta cubetti splendenti. Erano tempi di
duro lavoro e nelle realtà contadine regnava la monotonia. A
interrompere una routine sempre benaccetta dalla gente c'erano per
lo più brutti fatti. È il 1954. L'Italia in quel periodo conosce nuove
realtà. Arriva la televisione e le abitudini della gente iniziano a
cambiare. Non però le cattive abitudini, come quelle di accusare
pur senza escludere ogni ragionevole dubbio di innocenza. È da
poco esploso il caso Montesi. Il cadavere di Wilma Montesi, una
bellissima ragazza di Roma, viene ritrovato sulla spiaggia di
Torvajanica. Il corpo non presenta apparentemente segni di vio-
lenza anche se è scalzo e senza un reggicalze. Le cause della
morte, secondo l'autopsia, sarebbero da attribuire a un malore,
forse un pediluvio, forse altro. Molti gli interrogativi, ma poi un
giornale pubblica una ipotesi sull'accaduto. La ragazza sarebbe
stata abbandonata in mezzo alla spiaggia da qualcuno dopo aver
partecipato a una sorta di festino nella villa di un marchese, alla
presenza anche del figlio di un importante politico del tempo.
Diverse persone finiscono alla sbarra, anche se di certezze non ce
ne sono poi tante. Alla fine tutti vengono assolti. Questo era quello
che accadeva nelle città, tra giochi di intrighi e giustizia smarrita.
Nei paesi era tutta un'altra storia, anche se i princìpi su cui si
fondava la società, in fondo, erano gli stessi.
    Allora c'era un giovane lavoratore, serio e assennato, con gran-
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de senso di civiltà, profonda onestà, alti valori e buona educazio-
ne, che qualche anno prima aveva intrapreso gli studi per diventare
medico ma poi, per motivi di scarse economie familiari, aveva
dovuto lasciare l'università per tornarsene al paese a lavorare. Si
era ripromesso, però, appena possibile, di tornare a studiare e
portare a termine il suo sogno: quello di diventare chirurgo. In
paese non è che stesse proprio a suo agio, perché il suo sogno era
un altro. Aveva avuto però, come tutti i giovani, un amore con una
ragazza del posto. La storia durò poco, almeno fino a quando lei
vide svanire il sogno di Antonio, quello di diventare un medico, e
con lui anche i suoi di sogni, quelli che già la vedevano moglie di
un ricco chirurgo. La storia d'amore, infatti, si rivelò presto fasul-
la, più d'interesse che di sentimento, almeno da parte della ragaz-
za. Antonio comunque, non se la prese più di tanto, soprattutto
quando capì a che cosa sarebbe andato incontro senza rendersene
conto. Diceva sempre, infatti, «la mia fortuna è stata la mia sfortu-
na: il caso ha voluto che non realizzassi il mio sogno e così che
non rimanessi vittima di un inganno». Continuò, però, a lavorare i
campi felice e sereno di quello che la vita gli offriva.
   Una volta, proprio durante il periodo della mietitura, Antonio, il
medico mancato, si trovò a passare per una viuzza sterrata che lo
avrebbe riportato a casa. Quel caldo pomeriggio d'estate, però,
accadde un fatto incredibile. Antonio quel giorno aveva pensato di
tornarsene a casa un po' prima per sbrigare alcune faccende e
commissioni che era stato costretto a rinviare a causa dell'intenso
lavoro di quei giorni. Avrebbe approfittato anche per studiare. La
sera, infatti, solitamente, finito il lavoro, si metteva sui libri per
portare avanti gli studi e tornare, un giorno all'università per
diventare un bravo chirurgo. Decise allora di tagliare nei campi
per fare prima. Mentre attraversava un campo di grano già lavora-
to notò davanti ai suoi piedi qualcosa di strano, che rompeva il
solito colore giallo-marrone dei gambi di grano recisi e della terra.
Qualcosa di colore biancastro misto a rosso sbucava dalla terra. Si
avvicinò per guardare meglio mettendosi in ginocchio davanti a
questa strana presenza a terra. Erano tre dita umane recise e ancora
attaccate l'una all'altra grazie a un trancio di carne della mano.
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Rimase sconcertato. Quei disegni di medicina e di chirurgia rico-
struttiva che aveva sempre visto sui libri improvvisamente si erano
materializzati con quelle tre dita in mezzo a un campo di grano.
Non avrebbe mai creduto che una scena del genere avesse potuto
terrorizzarlo a tal punto. Che fare quindi? Pensò che sarebbe
dovuto stare molto attento. Restò alcuni secondi imbambolato a
pensare. "Ma di chi saranno? Dove si trova la persona ferità?
Come può essere una cosa del genere?" Pensò che sarebbe dovuto
andare via, fare finta di niente e dimenticare quella storia. Ma
come avrebbe potuto rimuovere dalla sua mente quella scena
agghiacciante?. Come vivere senza ricordare quelle tre dita tran-
ciate? Il suo grande senso di civiltà, la sua profonda onestà, gli alti
valori e la sua buona educazione non gli avrebbero mai permesso
di andare via facendo finta di nulla. Il giovane non sapeva che
legge e giustizia sono due cose diverse. Decise, a quel punto, di
non toccare le dita e di andare dai carabinieri per denunciare il
fatto. Qualcuno sarebbe andato subito a prelevarle e le forze
del'ordine avrebbero fatto presto chiarezza su quella vicenda.
D'altronde, in quel paesello di campagna, in giro c'era qualcuno
senza tre dita. Corse alla caserma del paese e raccontò tutto al
maresciallo mentre l'appuntato batteva a macchina tutta la storia.
Insieme salirono sulla campagnola e andarono a vedere di cosa si
trattasse. Antonio li portò vicino al campo di grano e li fece scen-
dere. Arrivarono fino al punto preciso dove erano le tre dita, ma lo
stupore fu grande: erano sparite. Non c'era la minima traccia di
quelle dita insanguinate, neanche un po' di sangue sul terreno. Il
giovane aspirante chirurgo si guardò attorno pensando magari di
aver sbagliato posto, ma non era così. Qualcuno le aveva portate
vie quelle dita. Chi? Perché?
   «Sei sicuro Antonio di aver visto bene?»,chiese il maresciallo,
«forse con questo sole battente sei stato ingannato da un'allucina-
zione, un calo di pressione».
   «Sono sicuro, sicurissimo che erano qui pochi minuti fa», rispo-
se il ragazzotto sconcertato, «le ho viste con i miei occhi».
   Non potendo fare altro, i tre se ne andarono. I carabinieri con-
vinti che si fosse trattato di un disguido, e Antonio con mille
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pensieri nella testa che non faceva altro che elaborare le più dispa-
rate ipotesi sull'accaduto. Passarono alcuni giorni e tutti dimenti-
carono quello strano fatto avvenuto in un campo di grano. Tutti
tranne Antonio, che non faceva altro che pensare a quel pomerig-
gio assolato. Ma a riaprire la vicenda, che ormai sembrava chiusa
dietro blindate porte di indifferenza e disinteresse, a riesumare un
fatto già seppellito sotto tumuli di faciloneria e leggerezza, ci
pensò un fatto che avvenne quando nessuno se lo aspettava.
   C'era allora in paese un uomo di nome Ferdinando. Aveva sem-
pre vissuto da solo perché non aveva mai voluto secondo lui,
potuto secondo gli altri, mettere su famiglia.
   «Me ne scampi il cielo», ripeteva sempre, «preferisco morire
solo e sereno piuttosto che logorato negli anni dalle grida di una
donna e dal lavoro necessario per mettere su fastidiosi marmocchi
che non saranno mai sufficientemente riconoscenti».
   Si diceva, in paese, che in realtà Ferdinando non aveva mai tro-
vato una donna che avesse minimamente solo pensato di fare
coppia con un uomo burbero e intrattabile, ma soprattutto con un
cuore duro come la pietra e un naso così lungo da poter fumare
quel suo sigaro nauseabondo durante un temporale senza che si
spegnesse. Ferdinando non aveva mai saputo costruire un legame
di alcun genere con chicchessia, nessuno aveva mai potuto soppor-
tarlo per il suo modo di fare qualunquista e incurante del mondo.
Solo uno era stato in grado di penetrare quella corazza indistrutti-
bile della sua insensibilità: Briciola, il suo cane. Solo lui aveva
dato sempre senza chiedere mai, si era sacrificato in ogni occasio-
ne per salvare o difendere il suo padrone. E questa fedele filantro-
pia ipertrofica di Briciola, la stessa che hanno tutti i cani per i
propri padroni, era riuscita a far cambiare idea sul mondo a Ferdi-
nando, solo però riguardo ai cani. Delle persone non ne voleva
sapere.
   Un giorno accadde a quell'uomo un fatto che rimase nella me-
moria collettiva del paesetto. Abitava in una casa alla periferia, in
fondo a una valle isolata, a circa dieci minuti di cammino dal
paese. Mentre era intento a tagliare un ramo dopo essere salito su
un ciliegio, perse l'equilibrio e finì a terrà, rompendosi un gamba.
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Ferdinando, uomo di oltre 60 anni, non poteva più muoversi e
seppure avesse gridato nessuno lo avrebbe sentito così isolato
com'era dal resto del paese. Non poteva muoversi perché aveva
riportato una brutta ferita, delle fratture e un colpo alla testa.
Sarebbe anche potuto morire di sete visto che da quelle parti non
passava mai nessuno. In quel posto ci si doveva andare apposta
per incontrare Ferdinando. Ma era un'ipotesi molto improbabile.
Nessuno, infatti, andava mai a trovarlo, anzi, tutti se ne guardava-
no bene perché la sua scarsa accoglienza era famigerata. Con lui,
come sempre, c'era solo Briciola, il suo fedele amico. Il cane, un
bastardino di taglia media molto sveglio, resosi conto dell'impos-
sibilità di muoversi del suo padrone, decise di chiedere aiuto. La
sua corsa lo portò dal vecchio Gerardo, che abitava a circa due
chilometri dalla valle di Ferdinando. Il vecchio si rese subito conto
che qualcosa non andava.
   "Se Briciola è venuto fin qui da solo a quest'ora", pensò subito
Gerardo, "qualcosa deve essere accaduto a quel caprone di Ferdi-
nando".
   Così salì sul carretto e si precipitò a casa di quel brontolone in-
grato. Lo trovò mal ridotto sotto quella pianta di ciliege. Ne ebbe
per diversi mesi e alla fine si ristabilì anche se quel colpo non
riuscì a cambiargli il carattere. Anzi, secondo alcuni, quella botta
lo aveva reso ancora più testardo, maleducato e cinico di prima.
   Un giorno, mentre stava spalando dello stabbio vicino alla sua
stalla, si presentò davanti a lui il maresciallo dei carabinieri.
   «Ferdinando», disse, «è accaduto qualcosa al tuo cane! Devi
venire con me».
   Ma che cosa era successo? Quel bastardino stavolta l'aveva fatta
grossa. Aveva il vizio di salvare la vita alla gente, come fece
quella volta con il suo padrone, e di nuovo aveva tentato di fare
altrettanto. Il cane si era presentato in mezzo al paese con un
pezzo di carne putrefatta tra i denti. Quando venne chiamato il
maresciallo, lui non riusciva a credere ai suoi occhi: aveva in
bocca qualcosa di impressionante. Il gendarme si avvicinò per
vedere di cosa si trattasse e gli fece mollare la presa.
   «Dove hai trovato quella mano putrefatta?», gli domandò il ca-
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rabiniere aspettandosi quasi una risposta. Ovviamente il cane, e
non poteva essere altrimenti, non proferì parola, né abbaiò. Aveva
in bocca una mano umana alla quale mancavano tre dita. Erano le
tre dita che aveva visto Antonio, e che erano sparite. Così si ritro-
varono tutti in caserma. C'erano, oltre al maresciallo, Antonio,
Ferdinando e il suo cane Briciola, tutti intorno a quel brutto pezzo
di mano sequestrato avvolto da una busta di plastica e posto al
centro di una vecchia scrivania.
   «Ve lo avevo detto, maresciallo, che quelle tre dita non me le
ero sognate», disse Antonio di fronte al carabiniere fuori di sé per
quella brutta faccenda.
   «Si ma ora dobbiamo capire a chi appartiene questa maledetta
mano», rispose.
   «Ma io che c'entro», intervenne Ferdinando, «non ne voglio sa-
pere nulla di questa storia».
   «Devi convincere il tuo cane a portarci sul luogo dove ha trova-
to quella mano», rispose il carabiniere.
   «Avete fatto delle indagini in paese?», domandò Antonio, «do-
mande in giro per sapere se qualcuno è rimasto ferito?».
   «Se una persona avesse perso la mano», disse il maresciallo, «si
sarebbe saputo di certo. C'è qualcosa di più dietro a questo ritro-
vamento».
   Alla fine uscirono dalla caserma senza aver cavato un ragno dal
buco, e ognuno se ne tornò a casa con sentimenti e sensazioni
diverse. Antonio pensò tutta la notte a quei fatti, avvenuti nel giro
di pochi giorni. Non si sapeva spiegare l'accaduto e più aumenta-
vano i colpi di scena, più la situazione si faceva ingarbugliata,
anziché chiarirsi. Il giorno dopo, all'alba, fu Ferdinando a chiama-
re il maresciallo. Il carabiniere fu sorpreso della disponibilità del
vecchio che, solitamente, se ne fregava di tutti e di tutto.
   «Il cane mi ha portato in un posto ma io ho voluto chiamarvi
per andarci insieme».
   Con il militare e il cane si recarono in un campo incolto, poco
distante dal paese.
   «Ecco», disse Ferdinando, «il cane mi ha portato qui, questa
mattina. Voleva entrare a tutti i costi in quel vecchio capanno, ma
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io ho pensato che fosse il caso di chiamarvi».
   «Avete fatto bene», rispose il maresciallo, «ora lasciatelo però».
   Il cane entrò e dopo pochi istanti uscì con qualcos'altro in bocca
e fuggì in una corsa pazza e spasmodica, zigzagando tra le fascine
abbandonate, come se avesse afferrato un pezzo di carne maledet-
ta. I due, a quel punto, entrarono. Lo spettacolo fu agghiacciante.
C'era un corpo in stato di putrefazione in posizione supina su delle
vecchie balle di fieno. A quel corpo mancavano tutte e due le
mani. E quella mano ritrovata era proprio parte di quel corpo. Di
chi altri sennò? Quel capanno si trovava poco distante dall'abita-
zione di Antonio, dalla casa dove viveva con i suo anziani genito-
ri. Così mandarono subito a chiamare il ragazzo che arrivò sul
posto in un batter d'occhio. Il maresciallo non aveva associato quel
corpo a nessun paesano. Quando Antonio arrivò chiese subito che
cosa fosse accaduto.
   «Entra», disse il maresciallo con la voce bassa.
   Così fece e vide quel cadavere. In un attimo impallidì. Aveva
riconosciuto di chi era. Non avrebbe mai potuto sbagliare, in
nessun modo. Qualche lineamento ancora si vedeva bene, anche se
il viso era ridotto male e il sangue e il marcio avevano creato una
specie di macabro angolo del terrore. Era Marietta di Vallebbona,
colei che era stata l'amorosa di Antonio, proprio quella che lo
aveva lasciato perché non sarebbe più diventato un medico. Da
qualche giorno, in effetti, non si faceva più vedere in giro. Ma
spesso andava in città e ci rimaneva alcuni giorni. Per questo
nessuno si era preoccupato della sua assenza. Tanto più che i
genitori non li aveva e abitava da sola. Non si sa neanche di cosa
vivesse visto che di quattrini ne aveva pochi. Spesso racimolava
qua e là un po' di verdura e ortaggi, frutti e insalata che prelevava
dai campi degli altri. Ma nessuno ci faceva caso.
   «Dovrà pur mangiare qualcosa quella povera ragazza», diceva-
no in paese, e ormai tutti, spinti più da una tracotante pietà che da
una sana solidarietà, si erano abituati a vederla rubare quel poco di
cibo per la cena. Era una ragazza ambiziosa e opportunista, pro-
prio per il fatto che poco gli aveva dato la vita riguardo al benesse-
re economico. E si sa, tanto meno si ha, in alcuni casi, e tanto più
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si brama. Ma era anche una ragazza che, in fondo, non poteva fare
del male a nessuno. E allora chi l'aveva conciata a quella maniera?
Tutti i sospetti, a quel punto, caddero proprio su Antonio. Era stato
il primo a trovare le tre dita in quel campo.
    «Un infruttuoso tentativo di far allontanare da sé i sospetti»,
sostenne il maresciallo.
    Il capanno dove era stato trovato il corpo era proprio vicino
all'abitazione di Antonio e della sua famiglia. Non fu chiarito mai
se fosse stato quello il luogo del delitto, ma questo ai carabinieri
poco importò. E ancora: l'unico che poteva avercela con quella
ragazza era proprio Antonio, che era stato abbandonato impieto-
samente da lei dopo il fallimento della sua carriera universitaria.
Fecero presto i carabinieri a tirare le somme. Durante il processo
Antonio cercò di difendersi al meglio, anche con l'aiuto di un
bravo avvocato, ma non ci fu nulla da fare. La corte stabilì che
solo e soltanto lui avrebbe potuto avere un movente per uccidere
quella ragazza: il risentimento.
    «Una lite scoppiata in un tentativo di riavvicinare la ragazza a
sé», disse l'accusa durante il processo, «che di tornare con lui non
ne voleva sapere, come è emerso da più testimonianze. Lui non ha
retto all'ennesimo rifiuto e l'ha massacrata, punendola con l'ampu-
tazione delle mani».
    E poi era stato proprio lui, per primo, ad autoaccusarsi con la
storia delle tre dita in mezzo al campo di grano. L'altra mano non
fu mai ritrovata, e neanche le tre dita che la prima volta Antonio
vide in mezzo a quel malaugurante campo di grano. Le prove
erano chiare e tutte contro Antonio e la legge doveva essere appli-
cata a perfezione. Per il suo grande senso di civiltà, la sua profon-
da onestà, gli alti valori e la sua buona educazione Antonio fu
costretto a scontare trenta anni di carcere. Il giovane non sapeva
che legge e giustizia sono due cose diverse. Quanto a Ferdinando,
continuò a vivere la sua cinica esistenza quasi dimenticando tutto
ciò che era accaduto.
    Una sera, mentre mangiava della carne, borbottò al suo cane:
«se qualcun'altro si azzarda a rubarmi le ciliegie gli taglio anche i
piedi la prossima volta». Poi diede un po' di quella strana carne al
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suo cane che l'afferrò e fuggì in una corsa pazza e spasmodica,
zigzagando tra le fascine abbandonate, come se avesse mangiato
un pezzo di carne maledetta.

  "È proprio vero", pensava Antonio dal carcere, "summum jus,
summa iniuria".
Indice

Prefazione ..................................................................................... 7

Introduzione ............................................................................... 13
I pezzenti .................................................................................... 17
La cavalla ................................................................................... 21
Guerrino ..................................................................................... 31
Le fascine ................................................................................... 39
La Madonna di Canneto ............................................................. 41
Il colpevole ................................................................................. 47
Gli ambulanti .............................................................................. 53
L’innocente ................................................................................. 59
Il sogno ........................................................................................ 69
Il coraggio .................................................................................. 75
Il barbone ................................................................................... 87
La vecchia signora....................................................................... 99
Il mare ...................................................................................... 109
Il pane ....................................................................................... 113
Finito di stampare nel mese di luglio 2008
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