Per un pezzo di pane - MarsicaLive
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2 PER UN PEZZO DI PANE L’innocente Sui campi di grano dorati il sole batteva forte, annunciando che l'estate era ormai avanzata. Lungo le vie di campagna si vedevano uomini e donne di fatica rientrare dal lavoro, mentre le mietitreb- bie imballavano senza sosta cubetti splendenti. Erano tempi di duro lavoro e nelle realtà contadine regnava la monotonia. A interrompere una routine sempre benaccetta dalla gente c'erano per lo più brutti fatti. È il 1954. L'Italia in quel periodo conosce nuove realtà. Arriva la televisione e le abitudini della gente iniziano a cambiare. Non però le cattive abitudini, come quelle di accusare pur senza escludere ogni ragionevole dubbio di innocenza. È da poco esploso il caso Montesi. Il cadavere di Wilma Montesi, una bellissima ragazza di Roma, viene ritrovato sulla spiaggia di Torvajanica. Il corpo non presenta apparentemente segni di vio- lenza anche se è scalzo e senza un reggicalze. Le cause della morte, secondo l'autopsia, sarebbero da attribuire a un malore, forse un pediluvio, forse altro. Molti gli interrogativi, ma poi un giornale pubblica una ipotesi sull'accaduto. La ragazza sarebbe stata abbandonata in mezzo alla spiaggia da qualcuno dopo aver partecipato a una sorta di festino nella villa di un marchese, alla presenza anche del figlio di un importante politico del tempo. Diverse persone finiscono alla sbarra, anche se di certezze non ce ne sono poi tante. Alla fine tutti vengono assolti. Questo era quello che accadeva nelle città, tra giochi di intrighi e giustizia smarrita. Nei paesi era tutta un'altra storia, anche se i princìpi su cui si fondava la società, in fondo, erano gli stessi. Allora c'era un giovane lavoratore, serio e assennato, con gran-
L’INNOCENTE 3 de senso di civiltà, profonda onestà, alti valori e buona educazio- ne, che qualche anno prima aveva intrapreso gli studi per diventare medico ma poi, per motivi di scarse economie familiari, aveva dovuto lasciare l'università per tornarsene al paese a lavorare. Si era ripromesso, però, appena possibile, di tornare a studiare e portare a termine il suo sogno: quello di diventare chirurgo. In paese non è che stesse proprio a suo agio, perché il suo sogno era un altro. Aveva avuto però, come tutti i giovani, un amore con una ragazza del posto. La storia durò poco, almeno fino a quando lei vide svanire il sogno di Antonio, quello di diventare un medico, e con lui anche i suoi di sogni, quelli che già la vedevano moglie di un ricco chirurgo. La storia d'amore, infatti, si rivelò presto fasul- la, più d'interesse che di sentimento, almeno da parte della ragaz- za. Antonio comunque, non se la prese più di tanto, soprattutto quando capì a che cosa sarebbe andato incontro senza rendersene conto. Diceva sempre, infatti, «la mia fortuna è stata la mia sfortu- na: il caso ha voluto che non realizzassi il mio sogno e così che non rimanessi vittima di un inganno». Continuò, però, a lavorare i campi felice e sereno di quello che la vita gli offriva. Una volta, proprio durante il periodo della mietitura, Antonio, il medico mancato, si trovò a passare per una viuzza sterrata che lo avrebbe riportato a casa. Quel caldo pomeriggio d'estate, però, accadde un fatto incredibile. Antonio quel giorno aveva pensato di tornarsene a casa un po' prima per sbrigare alcune faccende e commissioni che era stato costretto a rinviare a causa dell'intenso lavoro di quei giorni. Avrebbe approfittato anche per studiare. La sera, infatti, solitamente, finito il lavoro, si metteva sui libri per portare avanti gli studi e tornare, un giorno all'università per diventare un bravo chirurgo. Decise allora di tagliare nei campi per fare prima. Mentre attraversava un campo di grano già lavora- to notò davanti ai suoi piedi qualcosa di strano, che rompeva il solito colore giallo-marrone dei gambi di grano recisi e della terra. Qualcosa di colore biancastro misto a rosso sbucava dalla terra. Si avvicinò per guardare meglio mettendosi in ginocchio davanti a questa strana presenza a terra. Erano tre dita umane recise e ancora attaccate l'una all'altra grazie a un trancio di carne della mano.
4 PER UN PEZZO DI PANE Rimase sconcertato. Quei disegni di medicina e di chirurgia rico- struttiva che aveva sempre visto sui libri improvvisamente si erano materializzati con quelle tre dita in mezzo a un campo di grano. Non avrebbe mai creduto che una scena del genere avesse potuto terrorizzarlo a tal punto. Che fare quindi? Pensò che sarebbe dovuto stare molto attento. Restò alcuni secondi imbambolato a pensare. "Ma di chi saranno? Dove si trova la persona ferità? Come può essere una cosa del genere?" Pensò che sarebbe dovuto andare via, fare finta di niente e dimenticare quella storia. Ma come avrebbe potuto rimuovere dalla sua mente quella scena agghiacciante?. Come vivere senza ricordare quelle tre dita tran- ciate? Il suo grande senso di civiltà, la sua profonda onestà, gli alti valori e la sua buona educazione non gli avrebbero mai permesso di andare via facendo finta di nulla. Il giovane non sapeva che legge e giustizia sono due cose diverse. Decise, a quel punto, di non toccare le dita e di andare dai carabinieri per denunciare il fatto. Qualcuno sarebbe andato subito a prelevarle e le forze del'ordine avrebbero fatto presto chiarezza su quella vicenda. D'altronde, in quel paesello di campagna, in giro c'era qualcuno senza tre dita. Corse alla caserma del paese e raccontò tutto al maresciallo mentre l'appuntato batteva a macchina tutta la storia. Insieme salirono sulla campagnola e andarono a vedere di cosa si trattasse. Antonio li portò vicino al campo di grano e li fece scen- dere. Arrivarono fino al punto preciso dove erano le tre dita, ma lo stupore fu grande: erano sparite. Non c'era la minima traccia di quelle dita insanguinate, neanche un po' di sangue sul terreno. Il giovane aspirante chirurgo si guardò attorno pensando magari di aver sbagliato posto, ma non era così. Qualcuno le aveva portate vie quelle dita. Chi? Perché? «Sei sicuro Antonio di aver visto bene?»,chiese il maresciallo, «forse con questo sole battente sei stato ingannato da un'allucina- zione, un calo di pressione». «Sono sicuro, sicurissimo che erano qui pochi minuti fa», rispo- se il ragazzotto sconcertato, «le ho viste con i miei occhi». Non potendo fare altro, i tre se ne andarono. I carabinieri con- vinti che si fosse trattato di un disguido, e Antonio con mille
L’INNOCENTE 5 pensieri nella testa che non faceva altro che elaborare le più dispa- rate ipotesi sull'accaduto. Passarono alcuni giorni e tutti dimenti- carono quello strano fatto avvenuto in un campo di grano. Tutti tranne Antonio, che non faceva altro che pensare a quel pomerig- gio assolato. Ma a riaprire la vicenda, che ormai sembrava chiusa dietro blindate porte di indifferenza e disinteresse, a riesumare un fatto già seppellito sotto tumuli di faciloneria e leggerezza, ci pensò un fatto che avvenne quando nessuno se lo aspettava. C'era allora in paese un uomo di nome Ferdinando. Aveva sem- pre vissuto da solo perché non aveva mai voluto secondo lui, potuto secondo gli altri, mettere su famiglia. «Me ne scampi il cielo», ripeteva sempre, «preferisco morire solo e sereno piuttosto che logorato negli anni dalle grida di una donna e dal lavoro necessario per mettere su fastidiosi marmocchi che non saranno mai sufficientemente riconoscenti». Si diceva, in paese, che in realtà Ferdinando non aveva mai tro- vato una donna che avesse minimamente solo pensato di fare coppia con un uomo burbero e intrattabile, ma soprattutto con un cuore duro come la pietra e un naso così lungo da poter fumare quel suo sigaro nauseabondo durante un temporale senza che si spegnesse. Ferdinando non aveva mai saputo costruire un legame di alcun genere con chicchessia, nessuno aveva mai potuto soppor- tarlo per il suo modo di fare qualunquista e incurante del mondo. Solo uno era stato in grado di penetrare quella corazza indistrutti- bile della sua insensibilità: Briciola, il suo cane. Solo lui aveva dato sempre senza chiedere mai, si era sacrificato in ogni occasio- ne per salvare o difendere il suo padrone. E questa fedele filantro- pia ipertrofica di Briciola, la stessa che hanno tutti i cani per i propri padroni, era riuscita a far cambiare idea sul mondo a Ferdi- nando, solo però riguardo ai cani. Delle persone non ne voleva sapere. Un giorno accadde a quell'uomo un fatto che rimase nella me- moria collettiva del paesetto. Abitava in una casa alla periferia, in fondo a una valle isolata, a circa dieci minuti di cammino dal paese. Mentre era intento a tagliare un ramo dopo essere salito su un ciliegio, perse l'equilibrio e finì a terrà, rompendosi un gamba.
6 PER UN PEZZO DI PANE Ferdinando, uomo di oltre 60 anni, non poteva più muoversi e seppure avesse gridato nessuno lo avrebbe sentito così isolato com'era dal resto del paese. Non poteva muoversi perché aveva riportato una brutta ferita, delle fratture e un colpo alla testa. Sarebbe anche potuto morire di sete visto che da quelle parti non passava mai nessuno. In quel posto ci si doveva andare apposta per incontrare Ferdinando. Ma era un'ipotesi molto improbabile. Nessuno, infatti, andava mai a trovarlo, anzi, tutti se ne guardava- no bene perché la sua scarsa accoglienza era famigerata. Con lui, come sempre, c'era solo Briciola, il suo fedele amico. Il cane, un bastardino di taglia media molto sveglio, resosi conto dell'impos- sibilità di muoversi del suo padrone, decise di chiedere aiuto. La sua corsa lo portò dal vecchio Gerardo, che abitava a circa due chilometri dalla valle di Ferdinando. Il vecchio si rese subito conto che qualcosa non andava. "Se Briciola è venuto fin qui da solo a quest'ora", pensò subito Gerardo, "qualcosa deve essere accaduto a quel caprone di Ferdi- nando". Così salì sul carretto e si precipitò a casa di quel brontolone in- grato. Lo trovò mal ridotto sotto quella pianta di ciliege. Ne ebbe per diversi mesi e alla fine si ristabilì anche se quel colpo non riuscì a cambiargli il carattere. Anzi, secondo alcuni, quella botta lo aveva reso ancora più testardo, maleducato e cinico di prima. Un giorno, mentre stava spalando dello stabbio vicino alla sua stalla, si presentò davanti a lui il maresciallo dei carabinieri. «Ferdinando», disse, «è accaduto qualcosa al tuo cane! Devi venire con me». Ma che cosa era successo? Quel bastardino stavolta l'aveva fatta grossa. Aveva il vizio di salvare la vita alla gente, come fece quella volta con il suo padrone, e di nuovo aveva tentato di fare altrettanto. Il cane si era presentato in mezzo al paese con un pezzo di carne putrefatta tra i denti. Quando venne chiamato il maresciallo, lui non riusciva a credere ai suoi occhi: aveva in bocca qualcosa di impressionante. Il gendarme si avvicinò per vedere di cosa si trattasse e gli fece mollare la presa. «Dove hai trovato quella mano putrefatta?», gli domandò il ca-
L’INNOCENTE 7 rabiniere aspettandosi quasi una risposta. Ovviamente il cane, e non poteva essere altrimenti, non proferì parola, né abbaiò. Aveva in bocca una mano umana alla quale mancavano tre dita. Erano le tre dita che aveva visto Antonio, e che erano sparite. Così si ritro- varono tutti in caserma. C'erano, oltre al maresciallo, Antonio, Ferdinando e il suo cane Briciola, tutti intorno a quel brutto pezzo di mano sequestrato avvolto da una busta di plastica e posto al centro di una vecchia scrivania. «Ve lo avevo detto, maresciallo, che quelle tre dita non me le ero sognate», disse Antonio di fronte al carabiniere fuori di sé per quella brutta faccenda. «Si ma ora dobbiamo capire a chi appartiene questa maledetta mano», rispose. «Ma io che c'entro», intervenne Ferdinando, «non ne voglio sa- pere nulla di questa storia». «Devi convincere il tuo cane a portarci sul luogo dove ha trova- to quella mano», rispose il carabiniere. «Avete fatto delle indagini in paese?», domandò Antonio, «do- mande in giro per sapere se qualcuno è rimasto ferito?». «Se una persona avesse perso la mano», disse il maresciallo, «si sarebbe saputo di certo. C'è qualcosa di più dietro a questo ritro- vamento». Alla fine uscirono dalla caserma senza aver cavato un ragno dal buco, e ognuno se ne tornò a casa con sentimenti e sensazioni diverse. Antonio pensò tutta la notte a quei fatti, avvenuti nel giro di pochi giorni. Non si sapeva spiegare l'accaduto e più aumenta- vano i colpi di scena, più la situazione si faceva ingarbugliata, anziché chiarirsi. Il giorno dopo, all'alba, fu Ferdinando a chiama- re il maresciallo. Il carabiniere fu sorpreso della disponibilità del vecchio che, solitamente, se ne fregava di tutti e di tutto. «Il cane mi ha portato in un posto ma io ho voluto chiamarvi per andarci insieme». Con il militare e il cane si recarono in un campo incolto, poco distante dal paese. «Ecco», disse Ferdinando, «il cane mi ha portato qui, questa mattina. Voleva entrare a tutti i costi in quel vecchio capanno, ma
8 PER UN PEZZO DI PANE io ho pensato che fosse il caso di chiamarvi». «Avete fatto bene», rispose il maresciallo, «ora lasciatelo però». Il cane entrò e dopo pochi istanti uscì con qualcos'altro in bocca e fuggì in una corsa pazza e spasmodica, zigzagando tra le fascine abbandonate, come se avesse afferrato un pezzo di carne maledet- ta. I due, a quel punto, entrarono. Lo spettacolo fu agghiacciante. C'era un corpo in stato di putrefazione in posizione supina su delle vecchie balle di fieno. A quel corpo mancavano tutte e due le mani. E quella mano ritrovata era proprio parte di quel corpo. Di chi altri sennò? Quel capanno si trovava poco distante dall'abita- zione di Antonio, dalla casa dove viveva con i suo anziani genito- ri. Così mandarono subito a chiamare il ragazzo che arrivò sul posto in un batter d'occhio. Il maresciallo non aveva associato quel corpo a nessun paesano. Quando Antonio arrivò chiese subito che cosa fosse accaduto. «Entra», disse il maresciallo con la voce bassa. Così fece e vide quel cadavere. In un attimo impallidì. Aveva riconosciuto di chi era. Non avrebbe mai potuto sbagliare, in nessun modo. Qualche lineamento ancora si vedeva bene, anche se il viso era ridotto male e il sangue e il marcio avevano creato una specie di macabro angolo del terrore. Era Marietta di Vallebbona, colei che era stata l'amorosa di Antonio, proprio quella che lo aveva lasciato perché non sarebbe più diventato un medico. Da qualche giorno, in effetti, non si faceva più vedere in giro. Ma spesso andava in città e ci rimaneva alcuni giorni. Per questo nessuno si era preoccupato della sua assenza. Tanto più che i genitori non li aveva e abitava da sola. Non si sa neanche di cosa vivesse visto che di quattrini ne aveva pochi. Spesso racimolava qua e là un po' di verdura e ortaggi, frutti e insalata che prelevava dai campi degli altri. Ma nessuno ci faceva caso. «Dovrà pur mangiare qualcosa quella povera ragazza», diceva- no in paese, e ormai tutti, spinti più da una tracotante pietà che da una sana solidarietà, si erano abituati a vederla rubare quel poco di cibo per la cena. Era una ragazza ambiziosa e opportunista, pro- prio per il fatto che poco gli aveva dato la vita riguardo al benesse- re economico. E si sa, tanto meno si ha, in alcuni casi, e tanto più
L’INNOCENTE 9 si brama. Ma era anche una ragazza che, in fondo, non poteva fare del male a nessuno. E allora chi l'aveva conciata a quella maniera? Tutti i sospetti, a quel punto, caddero proprio su Antonio. Era stato il primo a trovare le tre dita in quel campo. «Un infruttuoso tentativo di far allontanare da sé i sospetti», sostenne il maresciallo. Il capanno dove era stato trovato il corpo era proprio vicino all'abitazione di Antonio e della sua famiglia. Non fu chiarito mai se fosse stato quello il luogo del delitto, ma questo ai carabinieri poco importò. E ancora: l'unico che poteva avercela con quella ragazza era proprio Antonio, che era stato abbandonato impieto- samente da lei dopo il fallimento della sua carriera universitaria. Fecero presto i carabinieri a tirare le somme. Durante il processo Antonio cercò di difendersi al meglio, anche con l'aiuto di un bravo avvocato, ma non ci fu nulla da fare. La corte stabilì che solo e soltanto lui avrebbe potuto avere un movente per uccidere quella ragazza: il risentimento. «Una lite scoppiata in un tentativo di riavvicinare la ragazza a sé», disse l'accusa durante il processo, «che di tornare con lui non ne voleva sapere, come è emerso da più testimonianze. Lui non ha retto all'ennesimo rifiuto e l'ha massacrata, punendola con l'ampu- tazione delle mani». E poi era stato proprio lui, per primo, ad autoaccusarsi con la storia delle tre dita in mezzo al campo di grano. L'altra mano non fu mai ritrovata, e neanche le tre dita che la prima volta Antonio vide in mezzo a quel malaugurante campo di grano. Le prove erano chiare e tutte contro Antonio e la legge doveva essere appli- cata a perfezione. Per il suo grande senso di civiltà, la sua profon- da onestà, gli alti valori e la sua buona educazione Antonio fu costretto a scontare trenta anni di carcere. Il giovane non sapeva che legge e giustizia sono due cose diverse. Quanto a Ferdinando, continuò a vivere la sua cinica esistenza quasi dimenticando tutto ciò che era accaduto. Una sera, mentre mangiava della carne, borbottò al suo cane: «se qualcun'altro si azzarda a rubarmi le ciliegie gli taglio anche i piedi la prossima volta». Poi diede un po' di quella strana carne al
10 PER UN PEZZO DI PANE suo cane che l'afferrò e fuggì in una corsa pazza e spasmodica, zigzagando tra le fascine abbandonate, come se avesse mangiato un pezzo di carne maledetta. "È proprio vero", pensava Antonio dal carcere, "summum jus, summa iniuria".
Indice Prefazione ..................................................................................... 7 Introduzione ............................................................................... 13 I pezzenti .................................................................................... 17 La cavalla ................................................................................... 21 Guerrino ..................................................................................... 31 Le fascine ................................................................................... 39 La Madonna di Canneto ............................................................. 41 Il colpevole ................................................................................. 47 Gli ambulanti .............................................................................. 53 L’innocente ................................................................................. 59 Il sogno ........................................................................................ 69 Il coraggio .................................................................................. 75 Il barbone ................................................................................... 87 La vecchia signora....................................................................... 99 Il mare ...................................................................................... 109 Il pane ....................................................................................... 113
Finito di stampare nel mese di luglio 2008
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