NOMEJO DE ALLA LIBERALIZZAZIONE DEL TRASPORTO PUBBLICO DI ROMA - Mejo de NO
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PREMESSA Il trasporto pubblico locale è il servizio pubblico più importante di una città, poiché è il servizio che garantisce l’accessibilità ai servizi stessi. Costituisce, quindi, l’ossatura portante di una città poiché lo scopo di un agglomerato urbano è proprio quello di offrire dei servizi in maniera efficace. Purtroppo, nell’indagine che interessa gli innegabili malfunzionamenti della rete di trasporto pubblico romana, alcune forze politiche per ragioni puramente ideologiche hanno deciso che i malfunzionamenti siano universalmente imputabili esclusivamente al gestore della rete e non alla struttura della rete stessa. L’idea che l’inefficienza dello stato possa essere curata dall’efficienza delle imprese private è stata la fortuna del centrodestra a guida Berlusconi, che ha incarnato l’impreditoria di successo e che ha visto a sinistra un’incapacità di opporsi a questo modello, che rinuncia completamente all’intervento attivo dello Stato attraverso le aziende pubbliche, relegandolo al solo compito di regolamentazione, controllo e garanzia del mercato. Infatti, traviati dalla loro ideologia hanno deciso che in ogni caso, come se tutte le città fossero uguali, come se tutte le reti di trasporto fossero identiche, in un regime di concorrenza il sistema di trasporto pubblico locale sicuramente migliorerebbe. Affermazioni del tutto superficiali, visto anche quanto considerato dall’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (non esattamente l’internazionale socialista) che ha invitato alla “cautela nell’indicare soluzioni di carattere generale per il settore”.1 Noi, fuori da ideologie, vi dimostreremo l’unicità del caso di Roma, ricordandovi che proprio a questo scopo la normativa europea prevede la possibilità di non mettere a gara il Trasporto Pubblico Locale2 in città che dimostrino l’inefficacia di quel modello di affidamento. Infatti, noi intendiamo difendere l’affidamento in house, cioè l’affidamento del servizio ad una società pubblica di proprietà del Comune, poiché solo così quest’ultimo potrà avere il pieno controllo del sistema del trasporto pubblico, al fine di raggiungere l’ottimo infrastrutturale. Solo in questo modo potremo affrontare quella che forse è la più acuta crisi del sistema della mobilità che Roma abbia mai sofferto. 1 http://www.agcm.it/indagini-conoscitive- db/open/C12564CE0049D161/9C8F5A0A3C9FA425C1257FD20039FD93.html 2 https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A32007R1370 1
MA CHI TI OBBLIGA A METTERE A GARA? La prima obiezione a chi si oppone alla liberalizzazione del servizio pubblico, oggi, è che “Mettere a gara è obbligatorio per legge…”. Di questa obbligatorietà non c’è traccia nel regolamento (CE) N. 1370/2007, che norma nell’Unione Europea le gestione dei servizi pubblici di trasporto, poiché l’affidamento diretto ad una società pubblica è sempre concesso, previa una valutazione soggettiva dell’ente aggiudicante. Tuttavia l’articolo 23-bis della legge finanziaria del 2009, del Governo Berlusconi, tentò di obbligare nei fatti tutte le amministrazioni locali a mettere a gara i servizi pubblici. Anche in questo caso i governi italiani, al motto di “Ce lo chiede l’Europa”, pretendevano di nascondere i propri intenti ideologici dietro Regolamenti Europei che non vincolavano in realtà nessuna amministrazione locale a mettere a gara i propri servizi. Questo articolo, che ad alcuni può sembrare un tema di nicchia, in realtà è stato sulla bocca di 60 milioni di italiani per qualche mese. Fu infatti promosso un referendum nazionale per abrogare questa norma, si trattava del cosiddetto “referendum sull’Acqua”. Nel giugno del 2011, 25 milioni di italiani votarono sì per abrogare l’articolo 23-bis, superando nettamente il quorum richiesto. Gli italiani allora dissero chiaramente di non voler liberalizzare i servizi pubblici essenziali, dal trasporto pubblico ai servizi idrici, e lo dissero solo 7 anni fa. Non 70. Per inciso, a Roma votarono per l’abrogazione di quella norma, che è la stessa che fattualmente il referendum consultivo romano vorrebbe mettere in pratica, 1 milione e 200mila persone.3 Forse, meno ricordiamo, che i partiti di centrosinistra si dichiararono in un primo momento possibilisti sulla liberalizzazione, ma non era un errore o l’ennesima incertezza, era una posizione politica che veniva da scelte strategiche della sinistra europea. Una posizione meditata e coltivata per decenni, che in molti conoscono come terza via, o più localmente “Modello Roma”. Non è un caso che la disastrosa privatizzazione di Telecom passi sotto i governi di centrosinistra di quegli anni. Posizioni politiche, di destra e sinistra, che nonostante 25 milioni di voti contrari nel 2011, si trascinano fino ad oggi. Infatti, nel 2017, con il decreto n.50 del 24 aprile, il ministro Delrio ha stabilito che i servizi di trasporto debbano essere messi a gara dalle amministrazioni locali pena il taglio del 15% del fondo trasporti, che costituisce un’importante fonte di finanziamento del servizi pubblico, creando di fatto un cappio che vincola le scelte di gestione delle amministrazioni locali. È interessante notare che dopo il referendum abrogativo del 2011, anche lo stesso governo Berlusconi cercò di aggirare il vincolo popolare, sancito dall’articolo 75 della Costituzione, tagliando i trasferimenti alle Regioni ed inserendo sempre come “urgenti disposizioni finanziare” l’obbligo di messa a gara di tutti i servizi, esclusi quelli idrici, attraverso l’ articolo 4 del decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011. Tentativo sonoramente bocciato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 199 del 2012, che non solo abroga l’articolo, ma chiarisce come non si possano obbligare le amministrazioni locali né direttamente, né tantomeno indirettamente, a modelli di gestione privata imposti dall’alto. Non è forse un caso che buona parte di quei 25 milioni di italiani che votarono per il mantenimento del sistema pubblico, abbiano deciso di non votare per le forze politiche di centrodestra e centrosinistra che hanno portato avanti questo modello, contro il volere popolare e che da anni cercano di perpetrarlo senza successo. Questo perché? Perché nessuno ti obbliga a mettere a gara i servizi pubblici locali. 3 In proporzione, il PD alle elezioni del 4 marzo 2018 ha preso 200.000 voti. 2
Sono le forze politiche che si sono avvicendate al governo in questi anni che hanno preteso ideologicamente di stabilire a priori quale fosse il modello migliore di gestione dei servizi pubblici, non tenendo conto né della complessità territoriale sulla quale insistono i servizi, né delle particolarità di scelte che sono in capo alle amministrazioni locali, né del voto sovrano del popolo italiano del 2011. LE CAUSE DELLA CRISI ROMANA Proprio perché è la regolamentazione europea ad invitare a studiare la particolarità dei singoli casi, essendo il tessuto su cui i servizi insistono a determinare il modello di gestione, per poter analizzare il problema del caso romano è essenziale una disamina della sua struttura trasportistica. Roma è la città italiana con il più alto numero di passeggeri annui per un totale di 1.182,58 milioni di passeggeri. Per fare un paragone, Milano conta appena 593,75 milioni di passeggeri, tanto che al 2015 solo sommando Milano, Torino, Genova, Napoli e Bologna si ottiene il numero di passeggeri di Roma4. 1400 1200 1000 800 600 400 200 0 Passeggeri annui in milioni Roma Milano Torino Genova Napoli Bologna Tuttavia, a questo enorme bacino d’utenza, non corrisponde un’estensione infrastrutturale altrettanto grande. Anzi, rispetto ad esempio a Milano, Roma dispone di appena 58,8km di metropolitane contro i 101km di Milano, inoltre Roma presenta una rete tranviaria di appena 31km, contro una rete tranviaria di Milano di 170km.5 6 4 https://www.comune.roma.it/resources/cms/documents/La_mobilita_a_Roma.pdf 5 http://www.atm.it/it/AtmNews/Comunicati/Documents/atm%20per%20milano.pdf 6 http://www.atac.roma.it/files/doc.asp?r=5348 3
Questa differenza sostanziale si traduce in un profondo sbilanciamento della rete romana nella ripartizione dei posti-km. 7 Infatti a Roma la maggioranza del servizio è operata tramite bus con ben 11.704 milioni di posti-km, a cui seguono 7.002 milioni di posti-km erogati tramite metropolitane ed appena 866 migliaia di posti-km erogati con tram. A Milano la situazione si inverte: le metropolitane erogano ben 14.607 milioni di posti-km, seguiti dai 2.750 e 4.398 milioni di posti-km, rispettivamente di tram e bus.8 Posti-km in milioni nel 2015 16000 14000 12000 10000 Bus 8000 Metro 6000 Tram 4000 2000 0 Milano Roma Come potete vedere dal grafico, a Roma la somma dei posti-km di metropolitane e tram non arriva a raggiungere quella dei bus, l’esatto contrario di Milano dove la somma dei posti-km di bus e tram non raggiunge neanche la metà del valore delle metropolitane. Questo si ripercuote in maniera evidente sull’economia di esercizio poiché sopra le 4 milioni di vett-km si innescano nel servizio bus delle diseconomie di scala crescenti, si pensi che a Roma il servizio bus raggiunge i 90 milioni di vett- km. Al contrario le diseconomie di scala dei servizi su ferro si raggiungono oltre i 40 milioni di treni- km9, ma il trasporto pubblico locale di Roma eroga solamente 7.787.917 treni-km10. Questo è il nodo gordiano del trasporto pubblico di Roma. Solo ed esclusivamente sanando questa discrepanza è possibile risolvere l’inefficienza del trasporto collettivo di Roma, la quale è risolvibile solamente attraverso una grande stagione di investimenti nell’ampliamento della rete del trasporto di massa su ferro. La questione dei meccanismi economici che sottendono i sistemi di trasporto, però, è un tema dibattuto da sempre, che ancora non ha trovato una reale soluzione. 7 I posti-km sono il numero di posti offerti dal mezzo per il numero totale dei km percorsi dal mezzo stesso. 8 https://www.istat.it/it/archivio/202275 9 http://www.agcm.it/indagini-conoscitive- db/open/C12564CE0049D161/9C8F5A0A3C9FA425C1257FD20039FD93.html 10 http://www.atac.roma.it/files/doc.asp?r=5348 4
Possiamo tuttavia identificare due principi fondamentali: 1) La gestione infrastrutturale tende sostanzialmente al monopolio naturale. Questo perché esistono delle economie di scala che riducono i costi di manutenzione (e più in generale i costi infrastrutturali) all’aumentare delle dimensioni del gestore. 2) La gestione del servizio tende invece alla diseconomia di scala, ovverosia superata una certa soglia di produzione i costi aumentano. Nella struttura gestionale, quindi, occorre sempre mantenere chiare queste caratteristiche divergenti. In questo senso, l’infrastruttura romana acuisce queste divergenze a causa dell’enorme offerta di trasporto su di una rete basata su sistemi di trasporto con una pessima redditività, cioè gli autobus urbani. È chiaro che questo assetto infrastrutturale richiede ingenti trasferimenti pubblici per mantenere un costo del biglietto socialmente accettabile. Tuttavia, nel tentativo di contenere la cronica inefficienza economica del servizio è stata introdotta la disciplina del Costo Standard11. Questa disciplina “mima” le condizioni concorrenziali12, pur mantenendo un certo grado di discrezionalità, andando a definire un costo ritenuto ragionevole per l’erogazione del servizio. Analizzare gli effetti di questa disciplina può essere un buon metro di valutazione dei costi di una liberalizzazione. In particolare, nel contratto di servizio di ATAC, la disciplina è stata recepita già nel 2015. Vista la proroga del contratto al 2021, potremmo quindi a breve individuare la tendenza reale di questo intervento. È interessante notare che l’introduzione di questa disciplina a Roma abbia aumentato il finanziamento previsto dal Contratto di Servizio, a dimostrazione di come il servizio fosse sottopagato anche utilizzando criteri di mercato. Tuttavia, mentre a Roma i costi standard sono stimati in 5,20€ per vett-km, la Regione Lombardia ha stimato per Milano ben 5,56€ per vett- km13, ed addirittura 33,36€ per treno-km sulle metropolitane tradizionali, quando a Roma si contano appena 26,50€ per treno-km. Questo nonostante Milano abbia un’infrastruttura più economicamente sostenibile. Se a Roma si calcolasse il finanziamento pubblico secondo quanto determinato dalla Lombardia, il contratto di servizio verserebbe ad ATAC ben 80 milioni di euro in più rispetto ad oggi. È altrettanto interessante notare che all’introduzione del costo standard nel 2015, ATAC presentava proprio 80 milioni di euro di passività di esercizio, cioè se i costi standard fossero stati calcolati come a Milano, visto anche che sono relativamente discrezionali, il bilancio di ATAC sarebbe stato in pareggio.14 Un vero e proprio sottofinanziamento che si mostra prepotentemente nelle vicende del Metrebus. Oggi ATAC assume in sé non solo il rischio aziendale proprio della rete romana, quindi anche di Roma TPL, cioè la società privata che svolge già oggi in regime liberalizzato il 20% del servizio, ma anche il rischio aziendale legato alla bigliettazione di tutto il circuito Metrebus, essendone la cassa comune ed essendo il Metrebus costruito su un sistema a percentuali fisse che possono non 11 http://www.parlamento.it/parlam/leggi/09042l.htm 12 http://www.agcm.it/indagini- conoscitivedb/open/C12564CE0049D161/9C8F5A0A3C9FA425C1257FD20039FD93.html 13 http://www.regione.lombardia.it/wps/wcm/connect/6b6092a1-069d-4f17-922b- 424109714ccc/DGR+7644_28122017_costi+standard+e+fabbisogni+di+mobilità.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=6b609 2a1-069d-4f17-922b-424109714ccc 14 http://www.atac.roma.it/files/doc.asp?r=5348 5
corrispondere alla mutevole e reale ripartizione degli utenti. Infatti, queste percentuali non sono mai state verificate. Inoltre, le altre aziende hanno anche dei sistemi interni di bigliettazione che garantiscono comunque entrate proprie e che vanno in concorrenza con il biglietto integrato. Accade quindi che non solo l’utente è portato ad acquistare i biglietti propri delle altre aziende poiché più economici, in danno al circuito, ma che ATAC è al contempo costretta a ripartire i propri guadagni alle aziende che competono nei suoi confronti. Ma la principale passività, nel 2016, non è nei biglietti venduti ma in un debito contratto da “ATAC” con il Comune di Roma negli anni 2005-2008, quando ancora non esisteva l’ATAC che oggi conosciamo, ma era distinta in ATAC (pianificazione), Trambus e Metro. I maggiori squilibri, anche nel 2008, derivavano dalla necessità di finanziare un’infrastruttura intrinsecamente diseconomica, come quella attuale. In particolare, il gestore della rete autobus, mostrava le maggiori esposizioni all’interno dell’assetto infrastrutturale. Nel 2005, le risorse del Fondo Regionale Trasporti, istituito nel ’98, iniziano ad essere trasferite direttamente alle aziende erogatrici del servizio, che a differenza del Comune non hanno però la capacità di sostenere eventuali inadempienze della Regione. Per questo il Comune dispone una linea di credito che anticipa alle aziende le risorse non versate dalla Regione.15 Al 2009, risultavano infatti anticipati dal Comune di Roma ben 887.686.757€. Nello stesso anno, la Regione versa 329.354.420€, portando l’esposizione della nuova ATAC S.p.a. (sorta dalla fusione con Met.Ro e Trambus) a 558.332.337€. Nell’anno successivo la Regione verserà ulteriori 107.358.631€, portando il totale del debito di ATAC verso il Comune a 450.973.706€. Tuttavia, a partire dal 2011, e poi definitivamente nel 2012, la Regione Lazio, a causa del proprio dissesto, cessa di versare il fondo trasporti all’azienda. ATAC successivamente versa ancora alcune somme, ma si trova presto impossibilitata alla soddisfazione del debito nei confronti del Comune, debito che quindi viene iscritto tra i crediti inesigibili. Nel 2015 il Commissario Tronca, per far fronte all’instabilità finanziaria del Comune ed in ossequio al patto di stabilità sugli enti locali, si vede costretto a reinserire questo credito nei confronti di ATAC tra le partite esigibili, fino alla costituzione di un piano di rientro di ATAC verso il Comune con la delibera 53 del 12 ottobre 2016 della giunta Raggi.16 In pratica, quasi mezzo miliardo di euro dei costi del servizio vengono scaricati su ATAC. Cioè ATAC ha svolto il servizio per più di 400 milioni di fatto senza essere stata pagata e anzi indebitandosi nei confronti del Comune. 15 http://www.atac.roma.it/files/doc.asp?r=1085 16 http://www.comune.roma.it/DeliberazioniAttiWeb/showPdfDoc?fun=deliberazioniAtti&par1=R0NE&par2=MjI4Mg== 6
Come abbiamo finora evidenziato, quindi, non è l’inefficienza dell’azienda che principalmente crea il debito, bensì: 1. Il deficit infrastrutturale che comporta una gestione strutturalmente a debito del servizio; 2. Evidenti errori di definizione dei corrispettivi, a fronte delle diseconomie infrastrutturali; 3. Un sistema di bigliettazione penalizzante; 4. Mancati pagamenti ad ATAC per servizi svolti per 451 milioni. A questo, occorre aggiungere le somme relative al Lodo Roma TPL che rappresenta in maniera esemplare i rischi finanziari e di erogazione del servizio della liberalizzazione. I MITI LIBERALIZZAZIONE A ROMA Occorre anzitutto sfatare il mito della liberalizzazione, come panacea per il contenimento dei costi operativi a garanzia di un migliore servizio. La logica della riduzione dei costi operativi, a parità di infrastruttura, sia col pubblico che con il privato, ha di fatto comportato la riduzione del servizio universale, cioè una sostanziale riduzione del trasporto pubblico locale. Questo fenomeno è fondamentale, poiché insistendo a Roma particolari condizioni di diseconomia in erogazione, che determinano quindi un costo naturalmente maggiorato, la riduzione del servizio universale assume proporzioni considerevoli portando alla riduzione dei passeggeri totali. Non è un caso che anche a Milano, dove insiste il secondo più grande servizio di TPL, e dove si verificano delle parziali diseconomie di scala, questa logica abbia comportato tra il 2010 ed il 2015 una riforma del servizio che ha ridotto la superficie totale della rete, andando a concentrare il servizio sulle linee ad alta redditività e quindi riducendo il numero di passeggeri annui da 703 a 593 milioni.17 Passeggeri annui 1.600,00 1.400,00 1.200,00 1.000,00 800,00 600,00 400,00 200,00 0,00 2011 2012 2013 2014 2015 Milano Roma 17 https://www.istat.it/it/archivio/202275 7
Ma sempre a Milano nel 2016, e poi ancor di più nel 2017, grazie al raggiungimento della messa a regime della Metropolitana 5 (“Lilla”) si è assistito ad un potenziamento delle linee periferiche18, dovuto all’indotto generato dalla maggiore redditività di un servizio metropolitano che ha permesso la riduzione dei servizi di superficie del centro19. È legittimo pensare che anche all’apertura della Metropolitana 4 potrebbe seguire una rimodulazione di questo tipo dove il meccanismo virtuoso vede i bus come adduttori al sistema delle metropolitane, in maniera tale da aumentare i guadagni del servizio metropolitano bilanciando così le perdite strutturali del servizio bus. Non incidendo sull’infrastruttura, la liberalizzazione mantiene inalterata la produzione di debito, dovuta alla drastica inefficienza infrastrutturale del servizio, determinata principalmente, come si è evidenziato prima, dallo sbilanciamento della produzione dei posti-km sui bus. È chiaro quindi che le problematiche di redditività che oggi insistono sulla rete della città rimarrebbero del tutto inalterate. Inoltre la presenza di un privato, in un contesto tanto incerto, pone seri rischi sulla tenuta del servizio, essendo il privato impossibilitato a reperire linee di credito al di fuori del contratto di servizio per finanziare un sistema i cui costi risultano incredibilmente variabili. Questo non costituisce però un punto di debolezza del privato, ma per certi versi costituisce il possibile punto di rivalsa verso il Comune, poiché in un contesto del genere il soggetto vincitore della gara si troverebbe a poter chiedere continue rimodulazioni del contratto, minacciando la soppressione di parti del servizio o la mancata erogazione degli stipendi. Come vedremo più avanti questo è uno scenario tutt’altro che ipotetico. Per quanto riguarda i possibili effetti di una liberalizzazione, occorre tenere in considerazione anche la struttura dei lotti (ovvero l’affidamento a un solo gestore o a più gestori): • Nel caso di un lotto unico (unico gestore), verrebbe meno tutta la logica di concorrenza positiva tanto decantata, poiché di fatto essa si limiterebbe alla fase di gara, traducendosi esclusivamente in una corsa al ribasso del costo di erogazione che, a parità di infrastruttura, si può tradurre solamente in una riduzione della qualità del servizio e delle tutele dei lavoratori, a partire dalla manutenzione e dai salari. Questa ipotesi di lotto unico è messa in secondo piano anche dalla maggior parte promotori della liberalizzazione. • Nel caso di una “parcellizzazione dell’offerta”, cioè di lotti molteplici, si potrebbe garantire la presenza di una concorrenza comparativa. Tuttavia poiché il Comune è l’unico finanziatore, esso continuerebbe a risentire della diseconomia di scala, ma i piccoli lotti permetterebbero di evitare la sola presenza degli incumbent20 nelle gare, poiché le aziende private si troverebbero a gestire servizi più piccoli e meno diseconomici21, tuttavia si andrebbero a perdere definitivamente quelle economie di scopo che pure si generano nella sostanziale diseconomia di scala del servizio22, come ad esempio la riduzione dei costi di mantenimento della flotta. I piccoli gestori vedrebbero ridotto il costo gestionale ma vedrebbero aumentati i costi infrastrutturali, fino ad un 18 https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/tram-bus-riforma-1.3043805 19 http://www.radiocolonna.it/economia/2018/03/26/atm-sfiora-i-40-milioni-di-utile-e-fa-record-di-passeggeri/ 20 Le grandi aziende già operanti nel settore. 21 https://www.comune.roma.it/PCR/resources/cms/documents/Cap_II_Tpl.pdf 22 http://www.agcm.it/indagini-conoscitive- db/open/C12564CE0049D161/9C8F5A0A3C9FA425C1257FD20039FD93.html 8
aumento dei costi totali. Infatti il privato, nel caso di una liberalizzazione, non assume solamente i costi della gestione del servizio ma anche quelli della gestione dell’infrastruttura. Oltretutto, all’aumentare dei lotti su base geografica, cioè in base ai depositi come da taluni proposto, corrisponde una riduzione dei sussidi incrociati, cioè il bilanciamento indiretto dei costi tra linee più o meno dispendiose, con il rischio concreto di avere lotti tra loro disomogenei a scapito di alcune aree della città aggravando ulteriormente i costi del servizio. Dal punto di vista dell’amministratore, poi, all’aumentare dei lotti si amplifica la complessità amministrativa dell’ente che assume la funzione di controllo e programmazione, aumentandone i suoi costi ed inefficienze. Si prenda ad esempio la TFL di Londra, cioè l’azienda pubblica che esercita le funzioni di controllo e programmazione nonché messa a bando del sistema di bus liberalizzati della capitale inglese, che è un gigante di 28.000 dipendenti, costituitosi in diversi anni. E visti anche i risultati disastrosi della funzione di controllo del Comune su Roma TPL, appare altrettanto chiaro come la struttura del Comune sia tutt’altro che pronta all’eventualità della gara, come sostenuto da alcuni. Inoltre, l’inefficienza amministrativa diventerebbe ancora più strabordante se il rischio d’impresa, determinato in sé dalla bigliettazione, fosse scaricato proprio sull’organismo di controllo. Ci troveremmo ad avere di nuovo la vecchia ATAC, cioè un nuovo cestino della spazzatura per i debiti in seno all’amministrazione, come già accaduto in passato. È rilevante, quindi, ribadire che il vero nodo amministrativo non è nella gestione di ATAC in sé ma nella gestione del debito che l’infrastruttura produce con il servizio programmatovi. Debito che può essere scaricato o sul Comune o sull’azienda erogatrice. Scoprendo le carte, infatti, ci si rende conto che in realtà ATAC non figura come quel sistema di pressioni che piega la politica alla sua volontà, piuttosto si mostra come l’interesse aziendale di ATAC sia stato sempre posto in secondo piano rispetto all’interesse politico di chiudere i bilanci del Comune scaricando su ATAC i debiti legati all’inefficienza strutturale del sistema di trasporto, mai risolta nel corso negli anni, e che oggi ci ha portato ad un passo dalla notte. Occorre segnalare, inoltre, che il primo quesito referendario pretende di liberalizzare anche le metropolitane. Questo punto è significativo, poiché nessuna città europea ha mai portato a buon fine la liberalizzazione del servizio metropolitano. Fa eccezione solo la piccola realtà di Copenhagen, che conta appena 150.000 passeggeri giornalieri ed è amministrata dalla nostrana ATM23. Per fornire un termine di paragone, Roma serve giornalmente con le metropolitane, pur con la sue rete mediocre, 5 volte tanto.24 Per altro, nella stragrande maggioranza dei casi, non abbiamo riscontrato in nessun atto amministrativo di una grande capitale europea neanche l’ipotesi di messa a gara delle metropolitane. Emblematico è il fatto che neanche a Londra, capitale mondiale delle liberalizzazioni, si è riusciti a mettere a gara un servizio come quello metropolitano, optando in un secondo momento per la strada del Partenariato Pubblico-Privato, comunque fallita clamorosamente25. Segno che il monopolio naturale cui tende le gestione infrastrutturale nel mercato del trasporto pubblico rimane una costante non trascurabile, anche nell’ambito di un tentativo di liberalizzazione. 23 http://www.atm.it/it/IlGruppo/ChiSiamo/Documents/ATM_bilancio_2013.pdf 24 http://agenzia.roma.it/home.cfm?nomepagina=settore&id_settore=8 25 http://fletcher.tufts.edu/~/media/Fletcher/Microsites/IBGC/pdf/Student%20Research/Final%20Halikeri.pdf 9
Risulta legittimo pensare, quindi, che la messa a gara anche del servizio metropolitano costituisca una seria ipoteca sull’ipotesi stessa di liberalizzazione del servizio. Inoltre, questa posizione è sintomatica di un atteggiamento ideologico da parte dei suoi promotori. Le metropolitane di Roma (metro C esclusa, fintanto che incompleta) sono infatti uno dei pochi servizi in attivo e costituiscono un guadagno per l’amministrazione. Non c’è ragione economica evidente, quindi, per metterle a gara. Come non sembra ragionevole opporsi al necessario completamento, potenziamento e prolungamento delle linee Metropolitane come pure sembrano fare diversi esponenti della politica cittadina. Infine, è bene riportare anche le prescrizioni dell’Agenzia per la Concorrenza nei casi in cui si immagini una gara a doppio oggetto, ovvero il caso dell’ingresso del privato nelle quote azionarie dell’ente pubblico. Si rammenta infatti che “se non c’è un trasferimento effettivo di una parte significativa del rischio industriale sul gestore”, rischio industriale intrinsecamente legato all’infrastruttura, “forse è meno oneroso per l’amministrazione bandire una procedura di gara, perché è l’amministrazione che sopporta una quota più elevata di rischio, ma in caso di interruzione del rapporto contrattuale l’amministrazione potrebbe trovarsi gravata da un debito eccessivo. Il tema è di interesse soprattutto nei casi in cui un socio operativo privato acquista quote azionarie nell’azienda che gestisce i servizi di TPL: è quanto accade nelle gare a doppio oggetto ed è quanto si è verificato ad esempio nel caso dell’azienda AMT di Genova nel 2011, quando l’operatore francese RATP aveva ereditato la quota azionaria posseduta da Transdev (circa il 40%). Dopo poco più di 3 mesi RATP decise di uscire dalla compagine azionaria, esercitando l’opzione che consentiva al Comune di riacquisire tale quota, con un esborso finanziario notevole per l’ente locale, a beneficio di un gestore attivo per pochissimi mesi.”26 Segno che anche l’ipotesi del subentro di un azionista in ATAC è tutt’altro che semplice. LA LIBERALIZZAZIONE A ROMA HA GIÀ FALLITO Le ragioni di natura teorica già esposte precedentemente, trovano proprio nella città di Roma la prova empirica del fallimento della liberalizzazione del servizio di trasporto in questo contesto. Roma ha liberalizzato una quota del servizio già nel 2000, arrivando nel 2010 a ben il 20%, cioè 28 milioni di vett-km gestite dal privato.27 Non solo, oggi l’amministrazione del Movimento 5 Stelle è intenzionata ad estendere la quota del privato a 45 milioni di vett-km, cioè una maggiorazione di più del 50% arrivando al 30% del servizio totale. Certo va ricordato che i nuovi bandi dell’attuale amministrazione sono già stati annullati più volte, nel caso più eclatante addirittura dopo la pubblicazione in Gazzetta Europea a causa di un banale errore di calcolo sul prezzo, comportando mastodontici ritardi sulle nuove gare con la necessaria proroga del contratto nei confronti dell'attuale gestore i cui rapporti con il Comune sono tutt’altro che semplici. 26 http://www.agcm.it/indagini-conoscitive- db/open/C12564CE0049D161/9C8F5A0A3C9FA425C1257FD20039FD93.html 27 http://www.romatpl.com/la-societa/ 10
Ma chi è l'attuale gestore privato del 20% delle linee di trasporto romane? E' il Consorzio Roma TPL Scarl28 che opera principalmente l’esercizio delle “Linee Periferiche” di Roma, secondo un Contratto di Servizio aggiudicato nel 2010 da Roma Capitale, dopo apposita gara europea gestita da ATAC, che al tempo manteneva ancora parziali competenze di programmazione del servizio, per conto del Comune. Il Contratto di Servizio riguarda l’esercizio per 8 anni delle suddette “Linee Periferiche” e scade quest’anno. Roma TPL è oggi il risultato dell’evoluzione di alcune ATI (Associazioni Temporanee di Imprese) che iniziano ad operare nel trasporto romano nell’anno 2000, con il servizio messo a gara per le linee J del Giubileo e che hanno esteso progressivamente le proprie attività. Il modello di liberalizzazione, che i promotori vorrebbero estendere alla totalità del trasporto pubblico, è quindi già applicato per 1/5, presto 1/3, del servizio complessivo romano. Questa applicazione ad oggi ha contribuito a portare non solo sull’orlo del fallimento ATAC ed il Comune, ma oggi fornisce un servizio inefficiente ai romani residenti delle periferie. Basti pensare che dal 2011 le corse non effettuate in periferia sono aumentate del 750%29. Inoltre, anche sul fronte della gestione interna, i problemi non mancano. Solo nel 2015, a causa della sospensione del pagamento degli stipendi agli autisti, il servizio è stato sospeso per uno sciopero ad oltranza di oltre 10 giorni. La crisi si è ripresentata anche nel 2017, con un ulteriore sciopero ad oltranza e nell’esatto momento in cui questo documento viene pubblicato i dipendenti della consorziata in buona parte non ricevono lo stipendio da marzo. A questo si unisce un basso livello di manutenzione e uno scarso servizio per gli utenti che nella mancanza di informazione generale vengono indotti dalla propaganda a credere che i disservizi siano dovuti alla cattiva gestione pubblica ma si tratta in realtà di un servizio già gestito dal privato. Privato che essendo pagato con un contratto in gross cost, cioè un contratto a lordo che finanzia tutta la produzione del servizio, non si assume neanche il rischio commerciale. In questo caso, la mancata compartecipazione del privato ai ricavi tariffari, rende quest’ultimo sganciato dalla necessità di aumentare l’utenza con un servizio più appetibile, ed inoltre è stato osservato che gli operatori con contratto gross cost tendono quasi del tutto ad eliminare il controllo dell’evasione dei biglietti, causando perdite ingenti all’ente locale30. Perché tutto questo sta influendo anche sul fallimento di ATAC? Perché il Consorzio Roma TPL è l’erede della Tevere TPL, azienda che gestì il trasporto pubblico delle periferie tra il ‘95 e il ‘98 (e in proroga fino al 2000) intentando nel frattempo una causa nei confronti dell’ATAC dell’epoca per una revisione dei prezzi del proprio contratto di servizio (dovuta a una disputa sui km percorsi e l’adattamento degli stipendi) per circa 40 milioni di euro. La causa, vinta dalla Tevere TPL e risolta con un lodo arbitrale nel 2009, si è trascinata per otto anni ingenerando elevati interessi e arrivando a pignorare i conti dell’ATAC odierna nel marzo dell’anno scorso. La cosa più interessante è che 28 Roma TPL ha un capitale di 30 milioni di euro e annovera tre Soci paritetici: Umbria Mobilità (il gruppo regionale umbro di Trasporto Pubblico Locale); COTRI (Consorzio fra Società di Trasporto Pubblico Locale, storicamente consolidate nel Lazio) e VT MAROZZI (Società di Trasporto Pubblico del Gruppo Vinella, già associata con Ferrovie dello Stato). 29 http://www.agenzia.roma.it/documenti/monitoraggi/533.pdf 30 www.aziendapubblica.it/direct_free_download.php?id=284&idv= 11
questo debito nasce in capo ad ATAC quando svolgeva funzioni di stazione appaltante per conto del Comune, ma per l’immobilismo di Alemanno il Comune stesso non riesce a contestare il Lodo e il tentativo successivo della Giunta Marino di dirottare il debito nella gestione Commissariale viene stoppato dal Tribunale di Roma.31 Il debito continua a gravare su ATAC e nello scorso bilancio Comunale la Raggi accetta supinamente la decisione della Ragioneria di non riconoscere copertura finanziaria ad ATAC per i debiti derivanti dal Lodo.32 Insieme ad altre somme disconosciute dal Comune per l’adattamento dei salari si crea un buco di oltre 150 milioni di euro che costringe ATAC a portare i libri in tribunale a inizio 2018. La vicenda di Roma TPL si intreccia quindi con quella di ATAC e dimostra non solo che il Concordato Preventivo di ATAC era evitabile, ma soprattutto che l’esperienza della gestione privata a Roma ad oggi è fallimentare non solo in termini di servizi ma soprattutto in termini finanziari. ATAC subisce gli effetti di una liberalizzazione che ha portato il privato non solo ad aggredire le casse pubbliche ma ad avere uno strumento di ricatto nei confronti dell’Amministrazione Comunale. Durante gli scioperi del 2015 e 2017 (senza contare gli innumerevoli scioperi giornalieri) nelle dichiarazioni ufficiali gli amministratori della Roma TPL, già Tevere TPL, non ebbero nessuna remora a ricollegare la mancanza del pagamento degli stipendi agli autisti con la risoluzione della disputa giudiziaria ancora in piedi con il Comune. In poche parole spingevano affinché ATAC (o il Comune per lei) saldasse le somme del Lodo arbitrale dichiarandosi altrimenti impossibilitati ad erogare gli stipendi, pur ricevendo regolarmente quanto pattuito dal Contratto di Servizio del 2010, che non ha nulla a che vedere con il lodo in questione. Questo ha portato alla forzatura delle procedure e al riconoscimento di somme ulteriori a favore di Roma TPL per lo svolgimento del servizio attuale. Viene da chiedersi l’opportunità di aver riaffidato ad un’azienda fattualmente in causa con l’amministrazione il bando del 2010, con un ribasso di appena lo 0,03%. Tutto questo è già accaduto, non è un’ipotesi. È la cronaca di una liberalizzazione i cui risultati fallimentari hanno dimostrato che la risposta di mercato ad un sistema, come quello di Roma, di per sé economicamente compromesso, genera crisi finanziarie peggiori di quelle che si intendeva risolvere, comportando al contempo lo sfruttamento dei lavoratori, una riduzione della qualità del servizio offerto ed essenziali difficoltà del Comune di programmare e controllare il servizio il trasporto nell’ambito di procedimenti giudiziari con gli enti vincitori della gara. IL PRIVATO LIMITA IL POTENZIAMENTO Tornando al nocciolo del problema, solo il potenziamento infrastrutturale può permettere un miglioramento reale del servizio. La recente fase partecipativa del PUMS33 ha inoltre mostrato come la cittadinanza sia favorevole ad un complessivo ampliamento infrastrutturale del trasporto di massa.34 È necessario quindi che la politica abbia il pieno potere nella riforma strutturale del sistema di trasporto, ma sembra che a riguardo vi sia un po’ di ingenuità. Si sostiene che il privato abbia una minore forza contrattuale nei confronti del Comune di quanto oggi 31 http://agenzia.roma.it/documenti/bilanci/235.pdf 32 http://www.atac.roma.it/files/doc.asp?r=5348 33 Piano Urbano della Mobilità Sostenibile 34 http://www.romatoday.it/politica/progetti-vincenti-pums-metro.html 12
la abbiano le gerarchie di ATAC, e che il Comune avrebbe molti più spazi di manovra nel contesto di una liberalizzazione rispetto a quelli che ha oggi con il completo possesso dell’azienda erogatrice del servizio. In realtà, anche i fatti avvenuti in altre realtà italiane dimostrano l’esatto contrario. Un esempio è il caso di ATAF e GEST a Firenze. La prima è l’azienda che eroga il servizio bus nel capoluogo toscano, facente parte del gruppo Busitalia, cioè le Ferrovie dello Stato. La seconda è l’ente gestore della tramvia, facente parte del gruppo RATP, cioè l’azienda pubblica dei trasporti del Comune di Parigi. All’apertura della tramvia, il Comune fiorentino aveva predisposto la riduzione del servizio bus in favore dell’esercizio tramviario, proprio perché la costruzione del tram ha come principale obbiettivo l’ammortamento dei costi tramite un’infrastruttura che va a sostituirsi alle linee portanti dei bus. Tuttavia, questo ammortamento non si è potuto verificare poiché non appena si è scelto di applicare il nuovo servizio, ATAF ha minacciato i licenziamenti a meno di un esborso per le casse comunali di 4 milioni di €. Risultato? Il comune ha erogato i 4 milioni di € per evitare i licenziamenti. Un esempio di scuola per dimostrare sia la tesi che il privato non ha meno potere contrattuale di una azienda pubblica, sia che la gestione privata può bloccare il Comune dal perseguire i suoi intenti di riforma infrastrutturale. Il vero pericolo che corriamo nella messa a gara, inoltre, è quello di una cristallizzazione dell'attuale struttura di rete, vera causa dell'inefficienza del servizio che male si va a coniugare con la necessaria flessibilità di un sistema che dovrà essere profondamente modificato. Il Comune dovrebbe investire per migliorare un’infrastruttura in cui, nel caso di un contratto net cost35, i rinnovati rendimenti economici verrebbero incamerati dal privato di fatto limitando il rientro dell’investimento nel breve termine e nel caso di un gross cost il privato potrebbe utilizzare la propria posizione per impedire al Comune la riduzione degli emolumenti da contratto, come già illustrato. Appare evidente come il ciclo di Noam Chomsky si rivelino quanto mai vere per il trasporto pubblico locale romano: si definanzia un’azienda o un servizio, quindi la qualità peggiora verticalmente, per cui si invoca una liberalizzazione, e la liberalizzazione non consente di migliorare l'infrastruttura, ovvero il vero bene pubblico, ma si riduce in un aumento dei costi, o per il Comune o per il cittadino, a tutto vantaggio del profitto del privato, fino a costringere l’amministrazione pubblica a considerare più economicamente vantaggioso riprendere possesso di un bene che già era suo. UN PIANO PER LA MOBILITÀ Non può mancare, in questa nostra trattazione, una breve digressione su quali dovranno essere gli indirizzi politici necessari ai potenziamenti infrastrutturali nell’ottica di un sistema efficiente, partendo anzitutto dal completamento della rete di trasporto prevista dal Piano Regolatore Generale che costituisce l’unico atto possibile per la reale correzione delle inefficienze del servizio pubblico. L’elemento di novità che occorre inserire nella discussione è il fattore della sostenibilità economico che concerne la costruzione delle grandi opere pubbliche. Occorre ribaltare il paradigma che vede 35 Costo al netto della bigliettazione. 13
nelle opere pubbliche un costo e non un guadagno. Infatti, si può desumere che è il “non” costruire opere pubbliche è una delle grandi cause intrinseche di produzione del debito del sistema di trasporto. I costi sostenuti senza migliorare la rete sono soldi sprecati in un servizio che potrebbe essere radicalmente più economico nel tempo. Metaforicamente, è come se in una casa si preferisse spendere di più per il riscaldamento piuttosto che comprare finestre con i doppi vetri. In particolare, nel caso romano abbiamo visto come la ripartizione dei posti-km (pag. 4) sia uno dei motivi principali di diseconomia del servizio. Oggi infatti le metropolitane ed i tram attraversano le aree a maggiore domanda in maniera tangenziale, costringendo ad una struttura di rete che vede i bus predominanti, secondo uno schema storicamente legato alla riforma autoferrotranviaria del 1930, resa famosa per i giudizi aspri di Mussolini riguardanti la rete su ferro, vista come una “stolta contaminazione”36. Il sistema di trasporto, invece, si può reggere economicamente solo se gli autobus assumono principalmente la funzione di adduzione al sistema su ferro. La scarsa redditività della gomma in questo contesto deve essere necessariamente controbilanciata dall’aumento dell’utenza su ferro. Un modello indispensabile in una città a scarsa densità come Roma. In particolare, a grandi linee, si annoverano tra le metropolitane degli interventi essenziali come: • Prolungamenti della Metro A37; • Introduzione del blocco mobile sulle Metro A e B con acquisto di nuovo materiale rotabile38; • Prolungamenti della Metro B39; • Completamento della Metro C40; • Costruzione della Metro D41; • Metropolitanizzazione della Roma-Lido (Metro E)42; • Metropolitanizzazione della Roma-Nord nella tratta urbana (Metro F)43; • Conversione in premetro della Roma-Giardinetti (Metro G)44. Per quanto concerne i tram annoveriamo: • Costruzione della Termini-Vaticano-Aurelio; • Costruzione della Verano-Tiburtina-Ponte Mammolo; • Costruzione della Tramvia della Musica; • Costruzione della Tramvia Marconi; • Diramazione del Tram 8 su via Virginia Agnelli;45 36 http://www.mussolinibenito.it/discorsodel31_12_1925.htm 37 http://www.romametropolitane.it/articolo.asp?CodMenu=4&CodArt=108 38 https://www.pumsroma.it/download/Documento-Opere-invarianti-per-il-PUMS.pdf 39 http://www.romametropolitane.it/articolo.asp?CodMenu=4&CodArt=110 40 http://www.romametropolitane.it/menu.asp?CodMenu=1 41 http://www.romametropolitane.it/articolo.asp?CodMenu=4&CodArt=33 42 http://www.metroxroma.it/2017/03/facciamo-la-metro-prescindere-dallo-stadio/ 43 http://www.metroxroma.it/2017/02/la-ferrovia-roma-nord-diventasse-la-linea-f/ 44 http://www.metroxroma.it/2017/03/un-futuro-la-roma-giardinetti/ 45 http://www.metroxroma.it/2015/04/la-mappa-a-medio-periodo-di-tram-e-metro-torna-la-linea-a-fino-a- torrevecchia-e-spuntano-tranvie-a-corviale-e-tor-vergata/ 14
• Tramviarizzazione del 30 Express; Sul fronte autobus, rimangono importanti le prescrizioni del PGTU46 sulla gerarchizzazione dei servizi, fermo restando che la conversione di questi servizi, per quanto possibile, in busvie ad alto livello di servizio. Purtroppo, al netto del fatto che le opere sopra citate sono già previste dalla programmazione urbanistica, le invarianti inserite nel Piano Urbano della Mobilità Sostenibile stanno mostrando invece la tendenza dell’attuale amministrazione a sostituire infrastrutture che permetterebbero un rapporto positivo tra ricavi da traffico e costi operativi, come le metropolitane che quindi genererebbero attivo, con infrastrutture funiviarie con un rapporto negativo, segno della scarsa comprensione nel panorama politico di quanto le infrastrutture siano differenti in termini redditività, e non solo di capacità di trasporto. In particolare, prendiamo ad esempio due interventi illustrati nel PUMS: la funivia Casalotti-Battistini ed il prolungamento Rebibbia-Casal Monastero della Metropolitana B. Come potete vedere, a parità di domanda totale per giorno feriale, la metropolitana ha un rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi del 114%, mentre la funivia appena del 49%.47 In pratica la funivia produce 5 milioni di € l’anno di passivo, contro l’attivo della metropolitana. Questo è sintomatico di come, a parità di caratteristiche trasportistiche, le infrastrutture modificano radicalmente i sistemi economici che sottendono il servizio di trasporto. 46 Piano Generale del Traffico Urbano 47 https://www.pumsroma.it/download/Documento-Opere-invarianti-per-il-PUMS.pdf 15
LA RIFORMA GESTIONALE DI ATAC Occorre ricordare, infine, che il referendum ha come tema la tipologia contrattuale e non l’azienda che gestirà il servizio. Non è insomma un referendum per giudicare se ATAC ci piaccia o meno, ma se vogliamo se la gestione del TPL sia municipalizzata o privata. Considerate le ragioni che ci hanno portato ad identificare come necessaria la gestione municipalizzata del TPL, occorre analizzare come riorganizzare l’attuale struttura aziendale. Un’ipotesi è quella di organizzare l’azienda municipalizzata come una holding, dividendo le funzioni della società nei vari ambiti gestionali. Prendiamo ad esempio la struttura di ATM, che mantiene sia i servizi di trasporto, tramite ATM Servizi, ma anche “progettazione, realizzazione, manutenzione e diagnostica integrata di impianti metroferrotranviari,”48 tramite la Rail Diagnostics, ed una distinzione sostanziale tra il servizio e le operazioni finanziarie49 tramite ATM Servizi Diversificati. È interessante notare come ATM possa assolvere internamente al proprio gruppo ogni singolo ambito relativo al TPL, finanche la gestione assicurativa. Non è un caso che nel 2017 ATM abbia generato 39,3 milioni di euro di utili.50 48 https://www.atm.it/it/IlGruppo/ComeLavoriamo/Documents/2017/RAIL%20BILANCIO%2031-12-2016S.pdf 49 https://www.atm.it/it/IlGruppo/ComeLavoriamo/Documents/2017/Bilancio%20DIVE%20al%2031.12.2016.pdf 50 http://www.radiocolonna.it/economia/2018/03/26/atm-sfiora-i-40-milioni-di-utile-e-fa-record-di-passeggeri/ 16
CONCLUSIONI Il contratto in house offrirebbe i tempi e le garanzie per sanare il gap infrastrutturale, e manterrebbe un certo grado di contenimento dei costi grazie alla disciplina del costo standard, ovviamente nell’ottica di un ampliamento infrastrutturale, visto che il contenimento dei costi in un assetto invariato confermerebbe, anche in questo caso, una riduzione del servizio universale. Una riduzione che, più che con l’aumento delle tariffe, si verificherebbe con un inevitabile taglio generalizzato del servizio, che risente oggi di una ripartizione dei posti-km in favore della gomma, piuttosto che del ferro, che lo rende economicamente insostenibile. Qualsiasi fazione politica che cerchi di promettere il mantenimento di un livello adeguato di servizio attraverso le sole riforme della gestione aziendale, magari anche “riducendo i costi”, senza incidere sull’infrastruttura o proponendo strumenti marginali come “reti di bus elettrici”, che hanno rapporti tra ricavi e costi operativi ben al disotto anche degli attuali normalissimi autobus, evidentemente non ha ancora chiari i motivi storici che portano alle crisi cicliche del TPL romano. Se non si ha chiaro quanto sia determinante la rete per la risoluzione del tema in questione, difficilmente si potrà aver chiaro quali siano le riforme della gestione aziendale necessarie. Il referendum ha permesso di ridiscutere alcuni degli assunti ingiustificati degli ultimi anni che hanno visto una predilezione per i settori marginali della mobilità, a scapito delle grandi necessità del trasporto di massa, rimettendo quanto meno in discussione il ruolo della politica nei confronti dei servizi pubblici di trasporto. Solo l’assunzione di responsabilità della politica può permetterci di uscire dal pantano, creato anche da un dibattito che negli ultimi anni si è annichilito proprio sulle riforme dei sistemi di affidamento e dei sistemi aziendali. L’effetto di questo modo di concepire la politica del trasporto pubblico locale ha fallito, perché nella maggioranza dei casi si è limitato ad arginare un fenomeno di squilibrio economico senza correggerlo alla radice, spesso nell’idea che la virtù del privato possa correggere le disfunzione di un sistema che solo il pubblico, al contrario, può sanare. Oggi chiediamo alla politica di abbandonare l’infruttuoso “laissez-faire”, che si piega ideologicamente al dogma della concorrenza, riaffermando invece la necessarietà dell’intervento pubblico attivo, soprattutto quando esso si colloca tra i servizi essenziali per la vita di tutti noi. Questo scritto è una proprietà intellettuale del Comitato Mejodeno, pertanto qualsiasi modifica e ripubblicazione del testo dovrà essere concordata. 17
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