MORTO STALIN SE NE FA UN ALTRO - di Armando Iannucci Gran Bretagna-Francia, 2017, 106" - Il cinema in cascina

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MORTO STALIN SE NE FA UN ALTRO - di Armando Iannucci Gran Bretagna-Francia, 2017, 106" - Il cinema in cascina
MORTO     STALIN
di Armando Iannucci
                    SE NE FA UN ALTRO
Gran Bretagna-Francia, 2017, 106"
MORTO STALIN SE NE FA UN ALTRO - di Armando Iannucci Gran Bretagna-Francia, 2017, 106" - Il cinema in cascina
INTRO

Nella notte del 2 marzo 1953, c'è un uomo che sta morendo. Ma non si tratta di un uomo
qualunque: è un tiranno, un sadico, un dittatore. È Joseph Stalin, il Segretario Generale
dell'Unione Sovietica (che forse in questo momento si sta pentendo di aver fatto rinchiudere
nei gulag tutti i medici più capaci...). Non ne avrà ancora per molto, sta per tirare le cuoia... e
se ti giochi bene le tue carte, il suo successore potresti essere tu!
Il film è una commedia nera, una satira sul potere e il totalitarismo con un cast internazionale:
Steve Buscemi è il pragmatico Khrushchev; Michael Palin il fedelissimo Molotov; Jeffrey
Tambor interpreta il confusionario vice di Stalin, Malenkov; Jason Isaacs l’implacabile
generale Zhukov; Simon Russell Beale è il mefistofelico capo dei servizi segreti Beria; Olga
Kurylenko è la pianista dissidente Maria Yudina.
MORTO STALIN SE NE FA UN ALTRO - di Armando Iannucci Gran Bretagna-Francia, 2017, 106" - Il cinema in cascina
NOTE DI REGIA
TENSIONE E RISATE (prima di Trump...)

«Stalin faceva queste cose. Costringeva i suoi funzionari a fare nottata: mangiavano a
mezzanotte, si ubriacavano e alle due del mattino proponeva loro di guardare un western.
Ed ecco il punto: si trattava sempre dello stesso film! Era come un gioco di forza per Stalin.
Gli piaceva applicare il suo potere in questo modo (…)
Volevo che il pubblico si sentisse nel pieno della tensione. Non volevo disturbare troppo
gli spettatori, ma volevo provocare comunque una sensazione di disagio. Stavo cercando
di ricreare le sensazioni di quell'epoca: un periodo in cui dovevi stare attento a qualunque
cosa facessi o dicessi, e a cosa sarebbe potuto accadere da un momento all'altro. Questi
personaggi sono mostruosi. Ma è importante ricordare che sono umani. Non si tratta di cattivi
descritti in maniera esagerata. Concentrarmi sul lato umano mi avrebbe permesso di vedere
la genesi delle loro azioni. Ecco dunque un gruppo di persone che fanno compromessi per
rimanere vivi alla fine della giornata. Compiono azioni mostruose, ma sono convinti di aver
fatto la cosa giusta (…)
Penso che la commedia sia stata la scelta giusta. Perché è in primis piena di tensione: si
basa su aspettative, su un crescendo, su battute che devono fare ridere. A volte ho girato i
momenti più comici di questo film come se fossero puro dramma fino a quando non arrivava
la battuta a effetto alla fine del dialogo. Altre volte, invece, le scene drammatiche le ho girate
come se fossero commedia. Mescolare entrambi i toni è stata la soluzione perfetta. (…)
Mi sono detto: "perché fare finzione quando la realtà può essere tanto assurda quanto
terrificante e drammatica?". E attuale, anche. Negli ultimi dieci o quindici anni c'è stata una
scalata del populismo con personaggi come Berlusconi, Putin, la Le Pen e Farage. Quando
li senti parlare è sempre la stessa musica, come se dicessero: "non chiedetemi i dettagli di
come fare una cosa, io vi dico comunque che andrà bene. Sarà tutto facile e bellissimo se
MORTO STALIN SE NE FA UN ALTRO - di Armando Iannucci Gran Bretagna-Francia, 2017, 106" - Il cinema in cascina
darete il potere a me".
Abbiamo girato questo film mesi prima che Trump vincesse le presidenziali, ma oggi molti
pensano che il film sia un attacco a Trump. Non è così. Mi interessava di più il concetto di
democrazia: pensiamo che sia perfetta e permanente. Non lo è. Mio padre è stato partigiano
e poi è emigrato nel Regno Unito, ma non ha mai preso il passaporto britannico. Una volta
gli dissi: "Perché non lo richiedi? Così potrai anche votare". Lui ha risposto: "L'ultima volta
che ho votato, Mussolini è salito al potere". Come se volesse dirmi: "la democrazia è una
cosa bellissima, ma bisogna preservarla costantemente. Bisogna tenere gli occhi aperti". Mi
affascinava mostrare Stalin come il leader di una setta. Lo è anche Donald Trump. Uno che
dice: "ignora la verità, ignora le prove, ma credi in me. Non pensare al riscaldamento globale.
Ascolta solo le mie parole". Il leader di una setta... la storia si ripete».
						                                        Armando Iannucci, regista (intervistato da Film.it)
MORTO STALIN SE NE FA UN ALTRO - di Armando Iannucci Gran Bretagna-Francia, 2017, 106" - Il cinema in cascina
RECENSIONI
«La dittatura più spietata raccontata come una commedia nerissima, all’insegna dell'adagio: “una
risata vi seppellirà” (…) Un ritmo frenetico da coreografia farsesca, almeno nella prima parte, seguito
da un più riflessivo momento di disperazione nazionale, con il corpo di Stalin esposto alla reverenza
di una quantità torrenziale di cittadini, non si sa per omaggiarlo o per assicurarsi di persona della
sua morte (…) Morto Stalin se ne fa un altro: per una volta il titolo italiano è all’altezza e in linea col
tono satirico di un film, adattamento di una graphic novel francese, affidato alle mani sapienti, e
caustiche al punto giusto, di Armando Iannucci. Scozzese di origini italiane - padre napoletano e
madre di Glasgow - si è fatto un nome seminando fiele e ironia nei corridoi del potere, con le serie
Veep e prima The Thick of it.
Il clima di quei giorni è reso con dialoghi taglienti ed efficaci, talvolta di grana grossa e farseschi,
in maniera da rendere bene, per paradossale che possa sembrare, quell’atmosfera di raggelato
terrore collettivo, quella patina costante di dissimulazione. Una cancrena etica facilmente messa in
parallelo con la malattia fisica del suo untore, dopo la quale morte rimane, non il peso dell’anima,
ma “una puzza da pisciatoio di Baku”.
Senza il leader il comitato centrale è ossessionato dal quorum, anche per decidere di chiamare un
dottore. Iannucci si diverte a indagare il rapporto impossibile fra dittatura e scienza, irrazionalità e
raziocinio, mettendo al centro della sua storia un cadavere, ma soprattutto un'icona, una figura di
cui si accenna una predisposizione per la musica classica, unico barlume di umanità che accomuna
questi grotteschi sbandieratori del motto “non puoi mai fidarti di un uomo debole”. Parole che
vanno bene anche oggi, pur con una corruzione del potere declinata in maniera più omeopatica».
                                                                         (Mauro Donzelli, Comingsoon)

«Dio è morto, vivaddio. La versione italiana si presta al gioco satiresco con un buon titolo
dall’evidente richiamo papalino che ci lancia subito nella commedia, con dispetto intelligente
verso il più ateo dei regimi, ironizzando, come il film stesso, sul potere e sulla questione della
rimpiazzabilità (ci ricorda l’anziana madre del Marchese del Grillo: «quel Napoleone che guida i
Francesi, come dici tu, finirà presto o tardi col culo per terra, e ricordati tu invece che morto un
Papa, se ne fa sempre un altro»). Ma Stalin non era papa, re o Napoleone. Stalin era Dio in terra.
Nel cuore del dogmatismo comunista, in testa al Partito, oggetto di devozione (non di certo nella sola
Russia: gloria imperitura gli tributavano i giornali di partito italiani), padre di cielo, terra e lavoratori,
era una divinità per il suo tempo e forse solo di suo figlio non fu troppo padre (…) Armando Iannucci,
scozzese che ha studiato letteratura a Oxford, riduce a unità d’azione la più ampia sceneggiatura
originaria e ne fa un atto unico satiresco, visivamente aderente al fumetto anche nella brutalità
senza sconti nell’esercizio del potere (esecuzioni sommarie, spari sulla folla) e nello sconfinamento
di stanza, in cella, in camera ardente, fino alla strada, il tutto in versione serratamente comica (…) Il
risultato è una black comedy che si potrebbe definire grottesca, se già il disclaimer del graphic novel
non ci informasse che la fantasia degli autori poco ha potuto in confronto alla follia degli eventi
come realmente si svolsero. Come realmente si svolsero, tuttavia, in quell’ordinaria follia che è il
rituale del potere in ogni parte del mondo, non ce lo racconta di certo questo film, che è piuttosto,
in forme e contenuti, una rielaborazione del risaputo (…) Josif Stalin moriva nel 1953 - l’anno in cui
nasceva la Corea del Nord e in cui, probabilmente, vive tuttora - e se qualcuno ha da ridire sull’ironia
a suo discapito, vuol dire che la satira colpisce nel segno; ma, al rovescio, se funziona ironizzare
sull’Unione Sovietica oggi, vuol dire che ce n’è bisogno, che niente esorcizza meglio l’averci creduto
o l’averla temuta come farcisi una risata a posteriori (…)».
                                                                                (Alessia Astorri, Spietati.it)

DALLA GRAPHIC NOVEL AL FILM
Il film è ispirato alla graphic novel realizzata dallo scrittore di fumetti Fabien Nury e dal vignettista
Thierry Robin, La Morte di Stalin, edito in Italia da Mondadori. I due artisti francesi hanno voluto
raccontare gli eventi verificatisi durante e dopo la morte di Stalin, partendo dall'ictus che colpì il
dittatore il 28 febbraio 1953. La loro non è una cronaca storica, ma unisce eventi realmente accaduti
a invenzioni narrative, che mettono in luce gli intrighi e le ingiustizie celati sotto il regime staliniano.
La graphic novel è divisa in due volumi: il primo, "Agonia", presenta poche inquadrature ampie e
un'atmosfera di chiaroscuri, che rimanda all'espressionismo tedesco; il secondo, "I Funerali”, invece,
è ricco di campi lunghi e medi, con tonalità contrastanti tra il rosso e il bianco. La stessa figura di
Stalin subisce un mutamento nei due episodi, da corpo esanime e abominevole da nascondere a
vessillo da mostrare fieramente.
Leggendo La Morte di Stalin, a metà tra un giallo e un thriller, si respira lo humour più nero,
denso di caricature grottesche e dialoghi vivaci, in cui il despota russo è il protagonista assente.
Questa atmosfera ha talmente affascinato i produttori francesi Yann Zenou e Laurent Zeitoun,
da convincerli a comprare i diritti per farne un film. Alla guida di questa impresa hanno voluto un
regista avvezzo nel trattare la politica in modo satirico, l'italo-scozzese Armando Iannucci, autore di
satiric comedy televisive in stile cinéma-vérité sul tema della politica anglo-americana. La proposta
sembrava fare proprio al caso di Iannucci, che, dopo aver girato Veep, era alla ricerca di un progetto
che gli permettesse di raccontare la storia di una dittatura. Per trattare il totalitarismo brutale di
Stalin con la comicità dell'assurdo, rimanendo così fedele al comic, il regista ha deciso di sviluppare
la storia come se fosse una tragicommedia, sdrammatizzando con estrema naturalezza i momenti
più spietati. L'effetto che voleva ottenere era proprio quello di divertire e "snervare lo spettatore",
mediante scene paradossali tra serio e comico.
                                                                               (dal pressbook del film)

CINECROMIE: “UNA SFUMATURA COMUNISTA”
Così Michel Pastoureau, storico medievalista francese, definisce un colore altrimenti indefinibile
che ricorda di aver visto nel 1981, nella metropolitana di Berlino (Est), per le strade di Lipsia e
Jena, superata la cortina di ferro in occasione di una serie di convegni, e in seguito in Polonia.
Quello che ricorda, è una sfumatura «intermedia tra il marrone, il grigio e il viola (...) con una
leggera eco giallo-verdastra» che in Occidente, se anche fosse stato possibile (ri)produrla,
sarebbe stata invendibile. Di quella tinta non resta traccia, è sfuggita anche alla musealizzazione
del regime dopo la sua caduta, forse perché «inadatta a qualsiasi mitologia». (I colori dei
nostri ricordi - Diario cromatico lungo più di mezzo secolo, Ponte alle Grazie, Firenze 2011).
Le tavole del fumetto francese abbondano di marrone violaceo e di ambienti cianotici in cui spiccano
dettagli rossi, assetto cromatico riproposto similmente dalla fotografia slavata e lattiginosa del film,
che lascia risaltare emblemi istituzionali e abiti formali. L’immaginario sovietico resta così legato
a un’indefinitezza generale, a un tendenziale pallore; e, ovviamente, a un unico, grande colore
dominante che non c’è nemmeno bisogno di specificare.
                                                                                            (Spietati.it)
FILMOGRAFIA

Essere Armando Iannucci

Nel 2005 è andata in onda su BBC Four la prima stagione di The Thick of It, serie satirica
nata dalla fantasia di Armando Iannucci e incentrata sui retroscena caotici e imbarazzanti
del governo britannico. Da lì è nato il lungometraggio In the Loop, dove alcuni degli stessi
personaggi (in particolare il portavoce Malcolm Tucker, interpretato da Peter Capaldi)
devono fare i conti con il rapporto delicato tra il Regno Unito e gli USA, esportando lo
stile cinico e inquietante i Iannucci (già noto in patria per aver contribuito alla creazione
di Alan Partridge, celeberrima maschera comica di Steve Coogan) oltre il piccolo
schermo. Lo sceneggiatore e regista è poi tornato in televisione, questa volta sul suolo
americano, creando Veep per la HBO: sempre politica e incompetenza, ma nell'ufficio del
vicepresidente (Julia Louis-Dreyfus). Iannucci ne è stato lo showrunner per quattro stagioni,
decidendo poi di passare ad altro al termine del contratto. L'altro in questione è Morto
Stalin se ne fa un altro.
                                                                                  (Movieplayer.it)
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