Maturità, sui banchi per l'ultimo quizzone: dal 2019 si cambia - Donnissima
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Maturità, sui banchi per l’ultimo quizzone: dal 2019 si cambia La nuova prova darà più peso al curriculum scolastico, quasi metà voto dipenderà dal rendimento in classe. Ma non mancano le critiche degli studenti È l’ultimo anno del famigerato «quizzone», la terza e temuta prova scritta della maturità. Dal 2019 si cambia: finiscono gli esami «vecchia maniera», e se non ci saranno sorprese dell’ultimo minuto, le prove saranno tre in tutto (due scritti, italiano e prova d’indirizzo, più l’orale). Il quiz, come spiega il sito Skuola.net, è nato con lo scopo di verificare il grado di conoscenze acquisite dagli studenti nelle varie materie svolte durante l’ultimo anno delle superiori. Ha carattere multidisciplinare ed è elaborato dalla commissione d’esame, che anche quest’anno ha scelto la tipologia di prova e gli argomenti in base allo specifico percorso di studi e secondo le informazioni contenute nel
Documento di Classe, compilato dal Consiglio di classe entro il 15 maggio. I professori interni e i commissari esterni decidono quali materie inserire, la modalità di svolgimento e la durata della prova. Il voto massimo è di 15 punti, con la sufficienza fissata a 10. In questi anni gli studenti hanno spesso cercato stratagemmi per evitare l’effetto sorpresa sui contenuti del quiz (in teoria non dovrebbero conoscere, fino al giorno d’esame, le materie contenute nello scritto) e per cercare di «azzeccare» più risposte possibile. Non è un caso che, nel 2017, la terza prova è stata la più copiata dei tre scritti, secondo un sondaggio di Skuola.net. Circa il 32% degli studenti intervistati (su un campione di 1.000 maturandi) dodici mesi fa aveva ammesso «la sbirciatina». In seconda prova il dato si era fermato al 30%, nella prova d’italiano al 22%. LA NUOVA PROVA La nuova maturità darà più peso al curriculum scolastico (quasi metà voto dipenderà dal rendimento in classe), prevederà una relazione sull’alternanza scuola-lavoro all’orale e prove Invalsi in quinta. Sulla struttura del nuovo esame, i pareri sono discordi: il 53% degli intervistati è contento che ancora per quest’anno ci siano 3 prove scritte, mentre il 47% avrebbe preferito solo due scritti. Ma la forma che dovrebbe assumere la seconda prova dal 2019 in poi non convince. Le indiscrezioni vorrebbero per lo scritto d’indirizzo delle tracce multidisciplinari. I maturandi bocciano questa ipotesi: l’80% è ben lieto che per l’ultima volta (anche se è tutto da vedere) ci si concentri su una sola materia. Idee abbastanza chiare pure sul colloquio orale. In base alla nuova maturità potrebbe sparire uno dei pilastri dell’esame di Stato: la tesina. A rimpiazzarla un report sul periodo di alternanza scuola lavoro svolto dagli studenti nell’ultimo triennio delle superiori. Ma il 67% dei ragazzi si tiene
stretto l’elaborato su un argomento a piacere. Per l’11%, invece, ci dovrebbero essere entrambe le cose (tesina e relazione sull’alternanza). Solo uno su cinque circa, il 22%, avrebbe atteso volentieri dodici mesi per cimentarsi con le domande sul proprio tirocinio. L’esperienza di alternanza scuola lavoro che diventerà un parametro di valutazione per l’ammissione all’esame non trova d’accordo il 53% degli studenti, ma il 47% non ci vede nulla di scandaloso. Così come sull’entità del credito scolastico: al 52% sta bene che ammonti al massimo a 25 punti, ma il 48% non avrebbe disdegnato salire fino a 40. Decisamente più netti i giudizi su un’altra novità della nuova maturità: i test Invalsi, anch’essi requisito d’ammissione ma svolti prima dell’esame di giugno. Nonostante ciò, il 73% dei maturandi non pensa sia una buona idea attaccarli al treno della maturità figlia della «Buona Scuola». Tratto da: LaStampa.it
Nespoli a Tortona: “Ragazzi, inseguite il vostro sogno. Io volevo fare l’astronauta, eccomi qui” Ha raccontato le mille emozioni nello spazio: “Lassù, si va oltre l’infinito” I loro occhi hanno visto qualcosa di straordinario, il loro sorriso sa di infinito: la giornata a Tortona con Paolo Nespoli e Randolph Bresnik è stata un grande regalo per la popolazione. I due astronauti, di ritorno dalla missione «Expedition 53» a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, hanno concluso in città il loro soggiorno italiano. Il comandante statunitense Bresnik si è congedato dopo l’incontro mattutino con i bambini e i ragazzi dei centri estivi, mentre Nespoli è rimasto sul territorio fino a tardi: prima la visita al centro Paolo VI di Casalnoceto, poi la passeggiata nei luoghi di Pellizza da Volpedo fino all’osservatorio astronomico di Casasco. Infine la chiacchierata aperta al pubblico in una sala convegni della Fondazione Cr Tortona stracolma, abbandonata per qualche minuto da «Astro Paolo» uscito a salutare le duecento persone che, per motivi di spazio, non sono potute entrare: « Vivo a Houston da 22 anni – ha affermato Nespoli –, ma oggi mi sento a casa: sono brianzolo e amo questi colori, questi sapori, la mia gente».
L’astronauta Paolo Nespoli a Tortona Un metro e 88 di statura, 60 anni e una travolgente voglia di raccontarsi, l’ingegnere aerospaziale Nespoli detiene il record più alto in Europa di permanenza nello spazio (313 giorni). «Randy, pilota collaudatore dei marines, ha passato una vita a saltare su quanti più velivoli potesse – ha raccontato -, io ho iniziato la mia carriera invece con l’intento opposto: sono un paracadutista, salivo sugli aerei per buttarmi di sotto. Il destino ci ha poi portati entrambi nello spazio». «Da ragazzino dicevo a tutti che sarei diventato un astronauta e, a 26 anni, ho lasciato la carriera militare per inseguire il mio sogno». Paolo Nespoli è un fiume in piena: sembra di essere su quella stazione spaziale, sospesa a 240 miglia (400 chilometri) dalla Terra, dove tutti lavorano per un obiettivo comune, al servizio della scienza. «Quando viaggi a una velocità di 28.000 chilometri all’ora (8 chilometri al secondo) che ti porta a fare un giro intorno alla Terra in un’ora e mezza, devi fare i conti con l’assenza di gravità e con una serie di
complicazioni: è in quel momento che vai oltre all’idea di isolamento. E’ in quel momento che riesci a toccare l’universo». La chiacchierata con Nespoli, a coronamento di un evento organizzato nel giro di pochissimo tempo dall’amministrazione comunale, è stata un affascinante viaggio tra le innumerevoli mansioni dell’astronauta, che passa dall’essere medico al coltivare l’insalata. Irripetibili momenti, come la vista dell’aurora boreale dalla «cupola» della stazione spaziale o l’esilarante «Friday haloha» dove ci si toglie tutti la divisa e, in camicia hawaiana, si fa festa per una sera la settimana, «surfando» nello spazio. Tratto da: LaStampa.it Ilaria e Luciana Alpi: la
memoria di una mamma Ti ammazzano una figlia. 20 marzo 1994. 24 anni fa. Una figlia piena di coraggio e di talento. Una figlia che onora con il suo nome un mestiere che di Ilaria Alpi ha tanto tanto bisogno: il giornalismo di inchiesta. Ti ammazzano una figlia. E sei tu, che ammazzano. È la tua carne che sanguina sul sedile di quella macchina crivellata di colpi, all incrocio tra via Alto Giuba e Corso Somalia, quartiere Shibis, Ambasciata d’Italia a pochi metri. A Mogadiscio. E ora, e da anni, tutti a dire quanto era brava, quella tua figlia. Ma che la sua inchiesta sul traffico di armi e di rifiuti tossici che aveva raggiunto anche nomi italiani, ecco, quella inchiesta lì, non vale. Non è per quella inchiesta che tua figlia è stata ammazzata. Cinque giorni fa, la Procura di Roma ha chiesto ancora l ’archiviazione delle indagini. E ieri Luciana Alpi è morta. Aveva 85 anni e tutte le sue battaglie per la verità sono morte con lei. Perché, scusate, io non riesco a sopportare la retorica. Non riesco a ascoltare gli appelli a «cercare ancora la verità». A «continuare la battaglia di Luciana Alpi». A me sembrano, magari sbaglio, un modo per dimenticarsi di questa storia. Troppo brutta. Troppo inquietante. Troppo esplosiva. Persino 24 anni dopo. Giorgio, il padre di Ilaria Alpi, é morto nel 2010. Luciana, la mamma di Ilaria, é morta nel 2018. Ilaria Alpi muore ogni giorno. Da 24 anni.
Le ultime ore di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e perché erano in Somalia Tratto da: LaStampa.it
La scrittrice Aislinn: “La mia dichiarazione d’amore a vampiri e metallari” La regina italiana dell’urban fantasy ci racconta «Né a Dio né al Diavolo», il suo ultimo romanzo edito da Gainsworth Publishing Spada scintillante, impermeabile che tocca il pavimento, corsetto netto da principessa guerriera. A prima vista, Sara Benatti – in arte Aislinn, «un nome irlandese che significa “sogno, visione”, scelto come pseudonimo diversi anni fa» – sembra uscita direttamente da uno dei suoi romanzi urban fantasy, genere di cui è considerata la regina italiana. Tra i suoi libri, una saga sugli angeli (Angelize e Angelize II. Lucifer) e Né a Dio né al Diavolo, pubblicato di recente da Gainsworth Publishing, in cui racconta di una lotta epica tra vampiri e metallari. Perché proprio l’urban fantasy?
«È un genere estremamente versatile, che unisce elementi fantastici a un’ambientazione contemporanea e realistica, non necessariamente «urbana». Questo mi permette di parlare di problemi reali (disoccupazione, lutti, dipendenze e così via), ma anche di sfruttare la forza del simbolo, del perturbante, che può – anzi, per quanto mi riguarda deve – assumere una forma nuova e sfumature adatte a raccontare ciò che ci circonda, di epoca in epoca». Come mai la scelta dei vampiri? «Tra tutte le figure del fantastico, sono sempre stati quelli che più mi hanno colpito, fin dalla mia prima lettura di Dracula, quando avevo circa 13 anni. Da allora ho iniziato a leggere molto su di loro, in particolare in merito al folklore che li riguarda, ai casi di vampirismo presunto documentati dalla storia, e alla fine ho voluto darne una mia interpretazione, in chiave moderna e il più possibile “realistica”». In che modo? «Per quanto di origine soprannaturale, i miei vampiri ricordano bene chi erano in vita e ciò che mi interessa di loro è la lotta che devono combattere quotidianamente per controllare la parte più feroce di sé e rimanere aggrappati allʼumanità che possedevano un tempo. Chiunque può diventare, essere un vampiro: il fascino che esercitano non è tanto quello romantico, ma quello delle infinite possibilità, del potere di vita e di morte sugli altri». I metallari, invece, sono una «dichiarazione d’amore nei confronti del metal». In che senso? «Be, il metal è unʼaltra delle mie passioni fin da quando ero ragazzina, e ancora oggi, quando scrivo, quando lavoro, in ogni momento della mia giornata, insomma, a casa mia cʼè una colonna sonora prevalentemente metal o rock. Mi aiuta ad estraniarmi dal mondo esterno, a concentrarmi e creare
lʼatmosfera giusta». Ha avuto un ruolo anche a livello personale? Per me la scoperta del metal è stata una tappa fondamentale, che ha contribuito, in unʼetà difficile come lʼadolescenza, a farmi capire che era giusto essere me stessa, fregandomene delle mode, dei vestiti «giusti» o di quello che pensavano i compagni di scuola, rifuggendo lʼomologazione. Chi crede che il tutto si riduca a «sesso, droga e satanismo», secondo me, sbaglia davvero di grosso. La musica, nello specifico, è un elemento fondamentale del testo, al punto che in appendice ha consigliato una «colonna sonora» ad hoc. Sì, si va da Iron Maiden a Kansas, da My Dying Bride a Simon & Garfunkel, da Pantera a Steppenwolf e molto altro. Più di ogni altra, però, la band che per me rappresenta alla perfezione lʼatmosfera della storia è quella dei Moonspell. Nel mio ideale «cast» del romanzo, cʼè senza dubbio Fernando Ribeiro: cantante e poeta che, nella mia fantasia, è sempre stato il volto e la voce ideali per il personaggio di Lucas. Il libro è il primo volume di una trilogia. In realtà, Né a Dio né al Diavolo è una storia autoconclusiva, ed è nato come romanzo singolo. Tuttavia, lʼambientazione, la cittadina piemontese immaginaria di Biveno (che è in parte ispirata a Biella, mia città natale), ritornerà anche nei nuovi libri. Il protagonista del prossimo sarà una delle comparse di questo, e a sua volta uno dei protagonisti di Né a Dio né al Diavolo avrà un piccolo cameo nel libro successivo. Nel terzo, infine, ritorneranno i protagonisti di entrambi i libri e la storia chiuderà una fase della loro vita. Quanto tempo le ha rubato scrivere e pensare tutto quanto?
È un lavoro durato diversi anni, e che ancora continua, perché ci sono molte altre storie che sto pianificando, sia con personaggi già usati sia con personaggi nuovi, e molte cose che il lettore potrà scoprire. Tutti insieme, i romanzi comporranno l’arazzo di un intero universo, e molte cose per ora non ancora approfondite, come l’origine dei vampiri e i legami con elementi divini e magici, troveranno il loro posto. Un libro di «soli umani» lo scriverà mai? Lo sto già scrivendo, in realtà! Non mi pongo limiti: ogni storia ha un valore che non cʼentra nulla con il genere a cui appartiene, ma semplicemente con la bravura dellʼautore, e mi piacerebbe che, un giorno, fosse normale non avere pregiudizi nei confronti di alcun tipo di romanzo. È una storia che tratta temi che mi stanno molto a cuore, perciò ci tengo a scriverla e mi piace farlo, anche se non ci sono elementi fantastici. Quasi… Quasi? Ora che mi ci fa pensare un piccolo elemento fantastico, nel libro che sto scrivendo, c’è: è una storia che ho… sognato, una notte, completa dallʼinizio alla fine! Forse è un po’ magica, dunque, anche se a prima vista non sembra. Tratto da: LaStampa.it
Al Gaslini 50 mila euro per la cura ai bambini disabili Yarpa Investimenti ha deciso di sostenere i progetti quinquennali dell’ospedale genovese e dell’associazione torinese Area Onlus che permetteranno l’introduzione di nuove tecnologie innovative Al Gaslini ora si possono migliorare le cure ai bambini disabili con tecnologie innovative grazie all’investimento di 50 mila euro fatto da Yarpa, che ha deciso di sostenere il progetto quinquennale dell’ospedale genovese insieme all’associazione torinese, Area Onlus. Innovazioni tecnologiche che verranno introdotte e possono diventare strumenti molto potenti per migliorare la personalizzazione e la generalizzazione dei risultati degli interventi. La Società genovese di gestione del risparmio ha infatti promosso un fondo di investimento alternativo mobiliare chiuso, denominato Fondo Zeta, inserendo nel suo regolamento che per i primi 5 anni di attività lo 0,1 per mille del totale del fondo sarà devoluto all’Istituto Gaslini e alla
Onlus Area. Il consiglio di amministrazione ha inoltre deliberato l’impegno di Yarpa a devolvere un importo non inferiore a quanto versato finora dal fondo agli stessi enti. Ovvero, 5000 euro in 5 anni. Gli obiettivi del Gaslini e di Area Onlus L’ospedale pediatrico Giannina Gaslini, fondato a Genova nel 1931 dal Senatore Gerolamo Gaslini, si prende cura del bambino dal concepimento all’età adulta oltre ad essere un policlinico pediatrico tra i più grandi in Europa. Riceve più del 42% dei ricoveri annui da altre regioni, con circa un migliaio di pazienti provenienti da oltre 70 paesi del mondo. Area Onlus è invece nata a Torino nel 1982 per dedicarsi all’assistenza delle persone con disabilità e delle rispettive famiglie. Dalla sua nascita a oggi oltre 15.000 persone hanno usufruito dei servizi di Area. Ogni anno vengono seguite circa 350 famiglie. Tratto da: LaStampa.it
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