Le scatole cinesi della crisi in Libano - Opinio Juris

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Le scatole cinesi della crisi in Libano
Quella libanese non è una crisi, bensì un complesso sistema di crisi spesso
complementari, intersecate l’una con l’altra in una spirale degenerativa
che si dirige sempre più pericolosamente verso il suo capolinea.

                              A cura di
                            Roberto Renino

Dopo poco più di sei mesi, in Libano tornano a levarsi le fiamme.
“Layla saqawat al-masaarif”, la Notte della Caduta delle Banche, così
sono state ribattezzate sui social network le ore tra il 27 e il 28 aprile
2020, che ha visto uomini incappucciati colpire diverse banche con
ordigni incendiari. L’episodio non è rimasto isolato, e così come le
rivolte scoppiate ad ottobre, ha interessato diverse città libanesi. Non
solo a Beirut, ma anche a Tripoli, Sidone, Tiro e in altre località corposi
gruppi di cittadini sono scesi in strada violando le norme della
quarantena imposte per ridurre i contagi da Covid-19. In molti casi e
specialmente a Tripoli, sono avvenuti tafferugli e scontri con esercito
e polizia che hanno causato feriti e vittime.

Thawra
Il Libano sta affrontando la sua peggiore crisi dallo scoppio della
guerra civile nel 1975. Tuttavia, quella libanese non è una crisi
circoscritta ad un un’unica problematica, bensì è un complesso sistema
di più crisi in cui spesso ognuna si innesta sulla precedente,
aggravandola ulteriormente. L’ultima, relativa alla gestione sanitaria
della pandemia di Covid-19, si inserisce in un contesto di profonda
depressione economica e politica che il Libano sta attraversando ormai
da                                                                anni.
ISSN 2531-6931

Il punto di non ritorno è stato segnato dall’esplosione di quella che è
stata chiamata thawra, in arabo “rivoluzione”, iniziata il 17 ottobre
2019.
Una protesta rimasta quasi sempre pacifica, con delle richieste
pressoché invariate: dimissioni del governo, riforme istituzionali ed
economiche per porre fine al regime di corruzione e di crisi ormai
cronico del sistema Libano. Nel giorno di maggior affluenza, le
persone riversatesi nelle strade dal nord al sud del paese hanno
raggiunto il milione, su una popolazione che ne conta circa sei. 1
La frustrazione popolare si è scagliata contro il sistema e i suoi
rappresentanti, coinvolgendo la società in modo trasversale, creativo
ed efficace. Il governo è caduto dopo poco più di una settimana: il
primo ministro Saad Hariri ha rassegnato le dimissioni, sugellando la
fine di un governo formatosi dopo circa nove mesi di contrattazioni
tra le fazioni.2
La proclamazione di un nuovo governo guidato da Hassan Diab non
ha comunque sedato le proteste, diminuite di intensità ma non
completamente sedate.3
Sebbene in modo più violento rispetto ad ottobre, i manifestanti scesi
in piazza hanno mantenuto la coerenza nel loro approccio: la violenza
è stata canalizzata e diretta contro il sistema e in particolar modo
contro le banche, apertamente considerate nemiche del popolo,
soprattutto durante la recente deprezzamento della lira libanese a
fronte                             del                            dollaro.
Nonostante gli scontri, si ripropone la particolare relazione tra esercito
e manifestanti: le forze di sicurezza sono generalmente rispettate dalla
popolazione e viste come unico effettivo simbolo di unità (trans-
confessionale) del paese; numerosi sono stati gli atti di deferenza e
rispetto della folla nei confronti dell’esercito e viceversa. Molto
ambigua e delicata la posizione dei militari, che spesso non
intervengono contro la folla, come successo a Sidone, durante un
lancio di molotov contro una banca.4

1 https://nena-news.it/libano-quattro-giorni-di-proteste-riforme-o-dimissioni/
2     https://www.theguardian.com/world/2019/oct/29/lebanons-pm-saad-hariri-resigns-amid-
angry-protests
3 https://edition.cnn.com/2020/01/21/world/lebanon-prime-minister-govt-intl/index.html
4 https://twitter.com/BeirutReport/status/1255580817343954945

                                                                                     2
Confessionalismo
Il Libano è una repubblica parlamentare basata sul confessionalismo,
garantisce cioè una rappresentanza politica alle confessioni religiose
ufficialmente riconosciute. L’accordo di Ta’if, che sancisce la fine di la
lunga guerra civile durata circa quindici anni, stabilisce una
tripartizione nella guida del paese, fissando i ruoli chiave alle tre
confessioni maggioritarie, così che il presidente della repubblica possa
sempre essere cristiano maronita, il primo ministro musulmano
sunnita e il presidente del parlamento musulmano sciita. 5
Per quanto questo patto abbia permesso la transizione verso la pace
all’interno del paese, sul lungo termine ha fatto sì che le dinamiche di
appartenenza di tipo comunitario e confessionale si applicassero alla
gestione della politica, determinando un sistema di corruzione e
clientelismo radicato e diffuso in ogni ambito della società.
Tale condizione deriva da pratiche radicatesi nel tempo basate su leggi
tipiche di una società feudale, sulle quali le diverse comunità libanesi si
sono                                                             costruite.
L’equazione comunità sociale – identità religiosa – identità politica, fa
sì che ognuna delle fazioni si raduni attorno ad un leader che si fa
campione delle istanze e degli interessi di quel segmento di
popolazione. I leader, detti za’im in arabo, sono dunque i punti di
riferimento di un sistema clientelare sul quale si basa una rete di
welfare, protezione e sostegno politico.6
Secondo il Corruption Perception Index, l’indice che definisce la
percezione di corruzione all’interno di un paese, il Libano si colloca tra
i cinquanta paesi più corrotti tra il 2011 e il 2019. 7
Il sistema confessionale è tra le motivazioni principali alle spalle di
questo risultato, concretizzato da varie consuetudini informali, prime
tutte la muhasasa e la wasta. La prima è un dispositivo che permette ai
leader politici di nominare individui leali attraverso le quote riservate
ad ogni confessione per la gestione di comparti istituzionali. Ciò
permette ai partiti politici di controllare più o meno direttamente
settori nevralgici dello stato e di mantenere o aumentare il proprio

5 Traboulsi, F. 2007, “A History of Modern Lebanon”, Pluto Press, London
6                          https://eastwest.eu/it/i-partiti-libanesi-tra-logiche-feudali-e-ricambio-
generazionale/?fbclid=IwAR3a0htc5fVd7rex2FboiACJwF0LwGipCUWIv4KeXE97Cwmi8ctFz
zRLRSY
7 https://www.transparency.org/country/LBN
ISSN 2531-6931

ruolo      nel    gioco     di      equilibri     politico-confessionali. 8
La seconda, la cosiddetta “raccomandazione”, è l’espressione pratica
dei legami clientelari: la wasta è difatti ciò che permette l’ottenimento
dei traguardi più disparati che riguardino sia il settore pubblico che
quello privato. Permette dunque di circuire gli iter burocratici e
agevolare il sistema basato sulla fiducia e lo scambio di favori tra i
leader e i membri delle varie comunità.9 Nel loro insieme, le pratiche
basate sull’appartenenza familiare-clientelare, hanno istituito delle vere
e proprie dinastie politiche, che si susseguono alla guida delle comunità
e del paese di padre in figlio, in alcuni casi risalenti a prima della guerra
civile.
Oltre alla tempestiva attuazione delle misure restrittive, un’altra nota
positiva è stata la rapida risposta dei diversi partiti politici che hanno
attuato diverse strategie utili sia a contrastare la diffusione del virus che
a tamponarne gli effetti. L’azione è avvenuta a vari livelli, da raccolte
fondi all’effettiva messa a disposizione di locali, personale e mezzi per
contribuire alla gestione della pandemia.10
Per quanto possa essere considerata una nobile iniziativa, essa
rispecchia l’incapacità di uno stato che ha privatizzato e decentrato
quasi tutto ciò che fosse di propria competenza, rimanendo così –
intenzionalmente – schiavo di un settore privato e delle reti di welfare
stabiliti dai suddetti legami familiari e clientelari. Allo stesso tempo
però, la collaborazione trasversale delle fazioni confessionali
smaschera (e questo non è l’unico caso) la strumentalizzazione della
religione e della lente “confessionale” per leggere le dinamiche
politiche libanesi in particolare e del Medio Oriente in generale.11

Crisi economica
Il 9 marzo 2020 il Libano, per la prima volta nella sua storia, ha
dichiarato il default. La causa è la scadenza del pagamento di 1,2
8 Calculli M. (2018), “Come uno Stato - Hizbullah e la mimesi strategica”, Vita e Pensiero, Milano
9 Joseph S. 2011, “Political Familism in Lebanon”, The ANNALS of the American Academy of Political
and Social Science, 636(1), 150–163.
10         https://www.aljazeera.com/ajimpact/lebanon-launches-coronavirus-aid-measures-cash-
payments-200408150728617.html
11 Karam J. G. (2017), “Beyond Sectarianism: Understanding Lebanese Politics through a Cross-

Sectarian Lens”, Middle East Brief, No. 107, April 2017

                                                                                              4
miliardi di Eurobond, ma allo stesso tempo è solo l’ultima goccia nel
vaso. Il Libano è da anni nelle prime posizioni della classifica dei paesi
con il rapporto debito pubblico/PIL più alto, quinto paese al mondo
dal 2018.12 Oltre la corruzione dilagante e le politiche speculatorie, una
delle cause principali dell’instabilità economica è il legame stabilito tra
la valuta libanese e il dollaro statunitense, da più di vent’anni legati per
un complesso sistema elaborato dalla Banca Centrale Libanese per
sostenere il forte debito pubblico e mantenere l’enorme settore
dell’importazione, fondamentale per l’economia libanese, che non è in
grado di produrre ciò che consuma.13
I grandi piani di politici e banche, che spesso condividono interessi,
investimenti e speculazione (tanto che esiste il segreto bancario per i
politici), ricadono però pesantemente sulle spalle dei comuni cittadini
e sulle categorie più vulnerabili, che vedono il proprio potere
d’acquisto e la propria autonomia finanziaria assottigliarsi
inesorabilmente, oltre che a un rischio sempre più concreto di cadere
in uno stato di povertà.
La sopravvivenza di parte della popolazione dipende così dalla quantità
di dollari disponibili nel paese, che influenzano il valore stesso della
valuta locale. Ciò che ha spinto i manifestanti ad attaccare le banche
infatti, è stato l’ennesimo deprezzamento della lira che, a fronte di una
forte carenza di valuta statunitense, ha perso più del 50% del suo
valore, nel bel mezzo delle misure restrittive da Covid-19.14
Le politiche di stampo neoliberista adottate dopo la fine della guerra
civile, hanno puntato ad una privatizzazione selvaggio, includendo
anche il settore della sanità.15 L’ospedale in prima linea nella gestione
della pandemia è il Rafik Hariri University Hospital di Beirut, il più
grande ospedale pubblico libanese, l’unico ad accogliere anche chi è
sprovvisto di assicurazione sanitaria. Tuttavia, nel caso di ulteriore
diffusione del contagio, ci si troverebbe con una quantità di posti
insufficienti: 200 posti letto destinati ai contagiati, inclusi quelli per la
terapia intensiva. Inoltre, la mancanza di attrezzatura medica è legata

12 https://worldpopulationreview.com/countries/countries-by-national-debt/
13 https://internationalbanker.com/finance/what-is-behind-lebanons-deepening-financial-crisis/
14 https://www.middleeasteye.net/news/ill-set-myself-fire-lebanon-roils-currency-crisis-reaches-

all-time-low
15 Kronfol N. M. (2006), “Rebuilding of the Lebanese health system: health sector reforms”,

Eastern Mediterranean Health Journal, Vol. 12, Nos 3/4, 2006
ISSN 2531-6931

alla profonda crisi economica, poiché quasi il 100% dell’attrezzatura è
importato e non prodotto in Libano.16

Crisi umanitaria
Circa un terzo della popolazione del Libano è composto da rifugiati,
principalmente siriani in fuga dal conflitto in atto dal 2011 e palestinesi
presenti sul territorio libanese dal 1948, in fuga dai territori occupati
da Israele. Ad essi si aggiunge una piccola compagine di rifugiati
iracheni, reduci delle guerre del golfo e dall’invasione USA del 2003 in
Iraq.
Il Libano però non ha mai ratificato la Convenzione di Ginevra del
1951, né i successivi protocolli, che sanciscono il riconoscimento dello
status di rifugiato. Questa posizione permette al governo di svincolarsi
dai propri doveri nei confronti dei rifugiati e allo stesso tempo priva
formalmente dei diritti di cui dovrebbero godere gli individui in fuga
da un conflitto. 17
La gestione della crisi è pertanto quasi interamente affidata alle agenzie
delle Nazioni Unite che operano sotto la supervisione dei ministeri e
in collaborazione con numerose ONG locali e internazionali. Tuttavia,
a causa di un decentramento della gestione, degli interessi politici di
fazioni politiche legate a fattori esterni e alle frequenti speculazioni, la
gestione della crisi non riesce ad essere né efficiente né efficace. I piani
implementati restano esclusivamente umanitari, senza prevedere
dinamiche di integrazione o sviluppo.
Inoltre, le stringenti regolamentazioni rendono le comunità di rifugiati
delle categorie estremamente vulnerabili, spesso in uno stato di
illegalità forzata, causata dall’impossibilità di raggiungere i criteri
stabiliti dalla legge in materia di regolarizzazione. Infine, la
strumentalizzazione a fini politici della questione dei rifugiati sia
palestinesi che siriani, rende la crisi umanitaria un fruttuoso capitale da
investire in politiche e discorsi identitari, nel tentativo di galvanizzare
la frustrazione popolare contro un elemento esterno.18

16  https://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/coronavirus-lebanon-cases-deaths-
hospital-economy-beirut-rafik-hariri-a9459371.html
17 Janmyr, M. 2016, “Precarity in Exile: The Legal Status of Syrian Refugees in Lebanon”, Refugee

Survey Quarterly, Oxford University press, 2016, 35, 58–78
18 http://legalagenda.com/en/article.php?id=1770

                                                                                             6
Inoltre, nel contesto della pandemia di Covid-19, l’impossibilità di
mantenere un effettivo distanziamento sociale, di somministrare test
in maniera capillare e di fornire cure mediche tempestive ed efficaci,
non fanno che aumentare la condizione di vulnerabilità e
marginalizzazione di comunità già in difficoltà.19

Conclusione
La condizione particolare in cui si trova il Libano dunque, non è il
risultato di una crisi contingenziale; il punto raggiunto è il risultato di
una somma e di una sovrapposizione di numerose problematiche, la
cui soluzione è spesso stata evitata, ignorata o persino contrastata.
L’azione della classe dirigente è stata spesso diretta al raggiungimento
di compromessi che salvaguardassero lo status quo e gli interessi
dell’élite. Un castello di carte pericolosamente esposto al vento della
rivoluzione.

19   https://www.unhcr.org/lb/corona
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