Le ragioni del blocco dei licenziamenti economici tra eccezionalità e proroghe - SDL HUB W.P. n.5-2021

Pagina creata da Francesco Miceli
 
CONTINUA A LEGGERE
SDL HUB W.P. n.5-2021

Le ragioni del blocco dei licenziamenti economici tra eccezionalità e proroghe

                                                            Pia De Petris, Federico II

                                                                                    1
Le ragioni del blocco dei licenziamenti economici tra eccezionalità e proroghe

1. Emergenza epidemiologica e divieto di licenziamenti economici: le ragioni (sociali) del “blocco”. - 2.1
Evoluzione del divieto di licenziamenti nel frenetico susseguirsi della legislazione d’emergenza: campo
d’applicazione e regime sanzionatorio alla luce della sua ratio. 2.2 (Segue) Le proroghe del divieto e la sua
(mancata) “flessibilizzazione”. - 3. La giustificazione del blocco alla luce del bilanciamento dei valori
costituzionali. 4. Sull’ “opportunità” della misura e possibili soluzioni per fronteggiare la stagione post-
pandemica.

1. Emergenza epidemiologica e divieto di licenziamenti economici: le ragioni (sociali)
del “blocco”
Una delle più discusse misure introdotte dal legislatore all’indomani dell’ufficializzazione
(oramai non più così recente) dello stato di emergenza causato dalla diffusione del virus
SARS-CoV-2, è senza dubbio il cd. “blocco dei licenziamenti”, che, com’è noto, fa divieto a
tutti i datori di lavoro, a prescindere da ogni requisito dimensionale, di procedere a
licenziamenti, collettivi o individuali, per giustificato motivo oggettivo 1 . Tale drastica e
traumatica limitazione del potere di recesso datoriale viene disposta, nella prima fase
dell’emergenza sanitaria, dall’art. 46 del c.d. Decreto Cura Italia (d.l. n. 18 del 17 marzo 2020)
e a causa del perdurare della pandemia (e dello stato di emergenza ad essa connesso), viene
prorogata per ben cinque volte (art. 80 d.l. 19 maggio 2020, n. 34; art. 14 d.l. 14 agosto 2020,
n. 104; art. 12, commi 9 e 10 del d.l. n. 137/2020; e da ultimo art. 7 del c.d. D.L. Sostegni
approvato dal Consiglio dei ministri il 19 marzo 2021), rendendo il divieto vigente, nella sua
generalità, fino al 30 giugno 2021. Stando alle bozze del recentissimo “D.L. Sostegni” a partite
da tale data verrà abbandonata la via del divieto generale e indiscriminato e si procederà con
uno schema a doppio binario: da un lato le imprese che possono accedere agli ammortizzatori
sociali ordinari, per cui da giugno dovrebbe cadere il blocco dei licenziamenti; e dall’altro le
imprese non destinatarie degli ammortizzatori ordinari, in primis quelle del settore terziario,
per cui il divieto di licenziamenti resta fermo fino l’autunno 2021, con beneficio degli
ammortizzatori emergenziali.
Per scelta metodologica, prima di analizzare l’altalenante e tutt’altro che organica legislazione
di emergenza sul ‘blocco’ dei licenziamenti, si provvederà anzitutto ad approfondire i motivi
di tale divieto. Chiaramente, per il giurista analizzare i motivi significa necessariamente
indagare la ratio della misura in esame e giocoforza riflettere su due piani: la sua
“ragionevolezza” (intesa come adeguatezza e proporzionalità della misura rispetto alla ratio) e
la sua “opportunità” (intesa come corrispondenza dei risultati ottenuti alla ratio perseguita).
Dunque, l’interprete non può prescindere dalla specialità storica che caratterizza una misura
così drastica da non avere precedenti, quanto a portata e ampiezza, nella storia repubblicana.
Neppure risalendo all’immediato secondo dopoguerra2. Infatti, se è vero che nell’esperienza

1
  La misura in oggetto ha destato fin dalla sua introduzione diverse perplessità, acuite ulteriormente dalle
svariate proroghe messe in campo. Per una ricostruzione delle linee essenziali del dibattito si rinvia a G.
PROIA (a cura di), Divieto di licenziamenti e libertà d’impresa nell'emergenza Covid, Collana delle
pubblicazioni di "FA.RI. sul lavoro", Giappichelli, 2020.
2
  Per un approfondimento in chiave storico-sistematica cfr. A. GARILLI, Il “blocco” dei licenziamenti:
profili storici e sistematici, in MGL, 3, 2020, 585 ss., che sottolinea analogie e differenze tra il blocco post-
bellico e quello pandemico.

                                                                                                              2
postbellica il D.lgs. n. 523/1945 disponeva, a pena di nullità3 , un temporaneo divieto di
licenziamento per le (sole) imprese industriali dell’Alta Italia, “soggette al contratto collettivo
13 giugno 1941”, lo è altresì che si trattava di un ‘blocco’ caratterizzato da un campo d’azione
geografico e merceologico decisamente più limitato rispetto a quello attuale. Inoltre, nel
blocco dei licenziamenti postbellico spiccava una maggiore valorizzazione della
contrattazione collettiva e una vistosa deroga applicativa che coinvolgeva tutti coloro che non
avessero accettato, senza giustificato motivo, un’occupazione offerta da altra impresa, o
comunque fossero provvisti di altre risorse personali e familiari 4 . Pertanto, sebbene
l’emergenza pandemica sembri accostabile a quella post-bellica quanto agli effetti nel tessuto
sociale e produttivo, il divieto di licenziamenti sperimentato tra il 1945 e il 1947 non pare
paragonabile a quello attuale per raggio d’azione, portata ed eccezioni, potendosi, invece,
senza dubbio riscontrare, come si vedrà, una continuità nel connubio tra divieto di
licenziamenti e misure pubbliche sostegno al reddito.
Dunque, il divieto di licenziamenti economici della stagione pandemica si presenta come un
unicum nel nostro ordinamento in quanto misura straordinariamente drastica, posta in essere
per far fronte ad una situazione caratterizzata da eccezionale drammaticità che non a caso, a
differenza dello stato di guerra, non viene neppure contemplata nella Carta costituzionale:
una violenta e imprevedibile (o comunque imprevista) pandemia che ha innestato una crisi
sanitaria, sociale ed economica mondiale. È purtroppo cosa nota che l’avvento della pandemia
ha paralizzato l’intera società, costretta a “sospendere” molte libertà fondamentali e a vivere
inedite esperienze di isolamento e immobilismo, imposte da quella che sembrava (almeno
fino all’avvento del vaccino) l’unica misura idonea a fermare la corsa del virus, il lockdown. La
necessità di spezzare la catena del contagio ha imposto la dolorosa interruzione (o, nel
migliore dei casi, la riduzione) di gran parte delle attività produttive non essenziali, per far
fronte alla necessità di tutelare la salute e sicurezza (pubblica) della persona. Al cospetto della
crisi pandemica, ben presto tramutata in crisi economica e sociale, lo Stato (sociale) di diritto
si è dovuto, inevitabilmente, preoccupare di tamponare, evidentemente ricorrendo a misure
eccezionali, le ricadute della stessa sul tessuto socio-economico del Paese, che - con le imprese
costrette a chiudere e i lavoratori costretti a “restare a casa” (magari, ove possibile in smart
working 5 ) registrava vertiginosi cali di consumi e produzione, compromettendo
inevitabilmente anche il PIL e l’economia nazionale.
In questo scenario drammatico, caratterizzato da inedite restrizioni alle libertà e ai diritti
fondamentali dei cittadini, il divieto, imperativo e generalizzato6, di licenziamenti economici

3
  La giurisprudenza di legittimità ebbe modo di sottolineare la nullità dei licenziamenti posti in violazione
del divieto, sottolineando il carattere eccezionale e imperativo di una normativa destinata a garantire
«l’ordine pubblico» in un momento di «profondo sconvolgimento della vita nazionale». Cfr. Cass., Sez. II,
5 agosto 1949, n. 2235.
4
   S. BOLOGNA, La liberalizzazione del licenziamento economico: politica costituzionale, legge,
giurisprudenza, in DML, 2021, 1, in corso di pubblicazione.
5
  Il massiccio ricorso allo “smart working” (rectius “lavoro agile emergenziale” o remote work) ha
rappresentato un ulteriore e importante tassello della legislazione emergenziale. In effetti, l’istituto del
lavoro agile, da strumento di work-life-balance e di competitività aziendale, si è tramutato in strumento di
conservazione del posto di lavoro e di prevenzione del contagio durante la pandemia. Cfr., per un
approfondimento, P. ALBI, Il lavoro agile fra emergenza e transizione, MGL, 2020, pp. 771 ss.; M.
BROLLO, Smart o emergency work? Il lavoro agile al tempo della pandemia, LG, 2020, pp. 553 ss.
6
  Ne sottolinea gli inediti caratteri di generalità E. BALLETTI, Divieto di licenziamenti e libertà d’impresa
nell’emergenza ‘Covid 19’ alla luce dei principi costituzionali, in DML, 2020, 3, pp. 521 ss., che in

                                                                                                          3
diviene espressione massima del tentativo del legislatore di scongiurare l’esplosione di
questioni di emergenza sociale che già sembravano profilarsi all'orizzonte7. Per rifuggire dallo
spettro di licenziamenti in massa, che avrebbero minacciato la sicurezza sociale, il legislatore
dispone il blocco dei licenziamenti economici come misura (inevitabilmente eccezionale e
temporanea) di conservazione dei livelli occupazionali, al fine di evitare che la crisi innescata
dalla pandemia, si traduca in una immediata, repentina, emorragia di posti di lavoro. Per tali
ragioni, il blocco dei licenziamenti rappresenta anzitutto uno strumento di tutela temporanea
(e non potrebbe essere altrimenti) della stabilità dei rapporti e dell’occupazione (e non solo
del reddito, parimenti raggiungibile con altre misure assistenziali). Ma esso si pone anche
come una straordinaria misura di tutela della stabilità del sistema economico nel suo
complesso, assumendo le vesti di ‹‹una misura di politica del mercato del lavoro e di politica economica
collegata ad esigenze di ordine pubblico››8.
In tale ordine di idee, si tratta certamente di una misura posta a sostegno dei lavoratori e delle
lavoratrici, che di certo non potevano essere lasciati alla ricerca di una nuova occupazione in
un mercato e in una società paralizzata dalle misure restrittive di contenimento del contagio;
ma non solo. Dinnanzi allo shock pandemico, il temporaneo ‘blocco’ dei licenziamenti è
posto anche a beneficio delle imprese stesse, consentendo a quest’ultime di conservare (con
gran parte dei costi a carico dello Stato) il capitale umano in vista della futura fase di ripresa,
scongiurando così la dispersione forzata delle professionalità; laddove, invece, le sole “leggi”
del mercato avrebbero imposto una radicale riduzione delle risorse umane per rispondere alle
perdite di produzione (e produttività) causate dalla pandemia. Il divieto temporaneo di
licenziamenti assumerebbe così una fondamentale funzione economica anticiclica9.
Per tali ragioni, nella fase iniziale dell’emergenza pandemica (e dunque nel Decreto Cura
Italia), la ratio principale del divieto di licenziamenti economici, com’è stato puntualmente
osservato, va ravvisata nella necessità di ‹‹contenere gli effetti negativi dell'emergenza sul sistema
economico nel suo complesso››, e, dunque, sulle imprese, su lavoratrici e lavoratori e sulle loro
famiglie10; e, in ossequio ai valori costituzionali di solidarietà sociale, ‹‹non lasciare che il danno
pandemico si scarichi sistematicamente ed automaticamente sui lavoratori››11.
È chiaro allora che la misura oggetto d’esame sia stata congeniata, almeno nella sua fase
iniziale come eccezionale misura di salvaguardia della tenuta del sistema sociale - e del
"contratto sociale" stesso- fortemente minacciata dall’emergenza causata da COVID-19. In
quest’ottica, il blocco dei licenziamenti si porrebbe come diretta attuazione dei doveri
inderogabili (che incombono anche sull’impresa) di solidarietà sociale 12 in un momento
storico, non c’è bisogno di ricordarlo, caratterizzato da una contrazione - se non, in alcuni
settori, da una paralisi - del mercato del lavoro e dell’economia, già profondamente indeboliti
dalla crisi del 2012. La “cittadinanza” di misura di solidarietà sociale, è d’altronde confermata
dal fatto che la sospensione temporanea del potere di recesso per ragioni economiche è stata

particolare sottolinea le svariate problematiche scaturite dal silenzio legislativo in merito alla sorte dei
rapporti di lavoro nel periodo della vigenza del blocco dei licenziamenti.
7
  Cfr. CNEL, XXII Rapporto mercato del lavoro e contrattazione collettiva, 12.01.2021, pp. 40 ss.
8
  Così, T. Mantova, sentenza del 11 novembre 2020, n. 112.
9
   Cfr. MICHEL MARTONE, A proposito del blocco dei licenziamenti, libertà di impresa e bolla
occupazionale, in G. PROIA (a cura di), op. cit., pp. 83 ss.
10
   F. SCARPELLI, Blocco dei licenziamenti e solidarietà sociale, in RIDL, 2020, I, p. 314.
11
   Così T. Roma, ordinanza del 26 febbraio 2021.
12
   Sul punto, ampiamente, v. ancora F. SCARPELLI, Blocco dei licenziamenti e solidarietà sociale, cit., pp.
313 ss.

                                                                                                         4
accompagnata da un rifinanziamento straordinario degli ammortizzatori sociali13. Non può,
infatti, sfuggire il profondo legame 14 tra il sacrificio della sospensione dei licenziamenti
economici e la disciplina speciale degli ammortizzatori sociali, resi, durante la fase iniziale (e
più acuta) dell’emergenza, “universali” e sostanzialmente obbligatori15.
Si è detto, dunque, che nella fase più acuta e inaspettata della crisi, il congelamento dei
licenziamenti economici si pone come misura attuativa della solidarietà sociale e come misura
di ordine pubblico, necessaria per mantenere la pace sociale e scongiurare l’esplosione di
licenziamenti in massa16. Alla luce di questa ricostruzione “eziologica” non sembrano porsi
particolari scogli relativi alla giustificazione di tale misura sulla base delle straordinarie
necessità di urgenza sociale che caratterizzavano la ‘prima’, più acuta e inaspettata, fase
dell’emergenza sanitaria.
Viceversa, la ragionevolezza e opportunità della misura sono poste a dura prova nelle
successive fasi di continua proroga del divieto di licenziamenti economici, accompagnate da
pericolose e per fortuna superate fasi di disallineamento con le misure di ammortizzatori
sociali, nonché da fasi (seppur brevi) di ripristino di alcune attività grazie al miglioramento
della situazione epidemiologica e, dunque, all’avvento di misure più permissive. In effetti,
come si vedrà, nel susseguirsi della legislazione d’emergenza, la proroga del divieto di
licenziamenti ha determinato una situazione di stallo organizzativo-produttivo, cristallizzando
una situazione organizzativa e occupazionale precedente allo stato della crisi pandemica;
situazione che rischia di essere profondamente inadeguata nel momento in cui, cessata
l’emergenza sanitaria, partirà la fase di ripresa, in cui le imprese, per ricollocarsi sul mercato,
sono chiamate a riconquistare quella competitività persa in questo anno di attività ridotta17.
Ciò, specie se si tiene conto dell’estrema variabilità delle condizioni organizzativo-produttive,
prodotte dalle, ulteriormente accelerate, innovazioni della rivoluzione digitale. In altre parole,

13
   Per effetto della legislazione emergenziale, infatti, i datori di lavoro che nell’anno 2020 sospendono o
riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19, possono
presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso
all’assegno ordinario con causale “COVID19”, per una durata di 9 settimane per periodi decorrenti dal 23
febbraio 2020 al 31 agosto 2020, poi ulteriormente prorogate. Per un approfondimento si rinvia a R. DEL
PUNTA, Note sugli ammortizzatori sociali al tempo del Covid-19, in RIDL, 2020, I, pp. 251 ss.
14
   A conferma di tale legame si veda la previsione dell’art. 80 del Decreto Rilancio comma 1 lett. b, secondo
cui il datore di lavoro che abbia comunque licenziato per g.m.o. «può, in deroga alle previsioni di cui
all’articolo 18, comma 10, della legge 20 maggio 1970, n. 300, revocare in ogni tempo il recesso purché
contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli articoli da 19 a
22, a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende
ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro».
15
   Sul punto M. BIASI, Liberty e Freedom nel blocco dei licenziamenti collettivi, LDE, 3, 2020.
16
   Basta ripercorrere quanto accaduto negli Stati Uniti, in cui si si è deciso di evitare interventi preventivi
importanti per proteggere i livelli occupazionali e al netto dell’ultimo anno registrano una perdita di circa
10 milioni di posti di lavoro. Per un’analisi della risposta statunitense alla crisi occupazionale v. M. DALLA
SEGA, Il sostegno alle imprese e ai lavoratori durante l’emergenza Covid-19 Le scelte dei governi in
Europa e negli Usa, ADAPT University Press, Working Paper n. 15, 2020, che sottolinea, in particolare,
la scelta di intervenire, anche con misure pubbliche importanti (e inedite per un ordinamento a scarsa
legislazione sociale come gli USA) a sostegno del reddito soltanto ex post, e dunque a favore di chi il lavoro
lo ha perso, piuttosto che ex ante, a favore della conservazione dei posti di lavoro.
17
   Si vedano sul punto le osservazioni di G. PROIA, Divieto di licenziamento e principi costituzionali, in
MGL, 2020, 3, p. 694, che sottolinea che la misura in esame abbia finito con l’imporre un ‹‹imponibile di
mano d’opera››, obbligando irragionevolmente il datore di lavoro ‹‹a mantenere una dimensione
organizzativa non corrispondente a quella libera valutazione e conseguente autodeterminazione›› che
l’ordinamento riconosce come corollario della libertà d’impresa.

                                                                                                            5
la continua proroga per più di un anno del divieto in esame ha prodotto l’effetto di collocare
il potere di organizzazione economica, connesso alla gestione del personale, in una sorta di
“bolla sospensiva”, che quando scoppierà per effetto della caduta del divieto, rischia di trovare
le imprese impreparate per la fase della ripresa. Tutto ciò in netta contraddizione con la
riformata previsione dell’art. 2086, comma 2 c.c., che richiede alle imprese di attuare “senza
nessun indugio” tutte le determinazioni necessarie per allontanare le crisi e per preservare la
continuità aziendale18.
Dunque, proprio la prolungata proroga potrebbe minare alla ragionevolezza (oltre che
sull’opportunità) del divieto. Ma tale indagine non può che passare per una preventiva analisi
della legislazione d’emergenza.

2. Evoluzione del divieto di licenziamenti nel frenetico susseguirsi della legislazione
d’emergenza: campo d’applicazione e regime sanzionatorio alla luce della sua ratio
Come anticipato, per far fronte alla pandemia e alla conseguente interruzione e/o flessione
del ciclo produttivo, il blocco dei licenziamenti è stato disposto, dall’art. 46 del c.d. “Cura
Italia” (D.L. 18/2020, poi convertito in L. n. 27/2020), con l’iniziale durata di soli sessanta
giorni, decorrenti a partire dalla data di entrata in vigore del primo Decreto emergenziale.
L’art. 46 sospende tutte le procedure di licenziamenti collettivi pendenti avviate a partire dal
23 febbraio 202019 e introduce per tutti i datori di lavoro, indipendentemente dal numero dei
dipendenti, un divieto assoluto di licenziamenti, collettivi e individuali, per giustificato motivo
oggettivo ai sensi dell’art. 3 L. n. 604/1966. La formulazione legislativa inizialmente prevista
nel Decreto Cura Italia è, dunque, estremamente ampia, con un campo di applicazione che
non fa distinzione di dimensioni o settori e che non contempla eccezioni espresse, neppure
in caso di cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione
della società; eccezione quest’ultima poi opportunamente introdotta nei successivi interventi
di proroga che comunque hanno via via parzialmente attenuato il divieto in esame.
L’ampia formulazione dell’art. 46 ha posto sin da subito delicati scogli interpretativi, in primis
con riferimento al campo di applicazione. Chiaramente sono esclusi dal divieto i licenziamenti
per ragioni soggettive ascrivibili alla colpa del prestatore di lavoro (per giusta causa o
giustificato motivo soggettivo). Altrettanto evidentemente, il divieto si applica al lavoro a
tempo indeterminato, sia subordinato che etero-organizzato (in ossequio alla soluzione
ermeneutica offerta dalla Cassazione n. 1663/202020), con esclusione delle ipotesi di recesso
ad nutum. Tuttavia, il rinvio espresso dell’art. 46 alla nozione di giustificato motivo oggettivo
di cui all’art. 3 L. n. 604/1966 (notoria norma con formulazione ‘aperta’ 21 ), pone alcune
perplessità. Il punto più problematico è stabilire se il legislatore dell’emergenza abbia voluto

18
   Vedi E. BALLETTI, op. cit., p. 532.
19
   ‹‹Fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell'appalto, sia riassunto
a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di
clausola del contratto d'appalto›› (art. 46 Decreto ‘Cura Italia’).
20
   Per un approfondimento sia consentito il rinvio a P. DE PETRIS, Le tortuose prospettive di tutela del lavoro
on-demand, in MGL, 4, 2020, pp. 829 ss.
21
   La letteratura scientifica sul punto è sconfinata. Ex multis v. C. CESTER, Giustificato motivo oggettivo di
licenziamento e difficoltà economiche: a proposito di una recente presa di posizione della Corte di
Cassazione, RIDL, 2017, 165, che ravvisa nell’art. 3 L. 604/66 «norma a precetto generico»; A. PERULLI,
Il controllo giudiziario dei poteri dell’imprenditore tra evoluzione legislativa e diritto vivente, RIDL, 2015,
112 ss., che invece vi ravvisa una «norma elastica». Per un approfondimento cfr. S. BOLOGNA, La
liberalizzazione del licenziamento economico: politica costituzionale, legge, giurisprudenza, in DML, 1,
2021 (In corso di pubblicazione).

                                                                                                               6
riferirsi ai soli licenziamenti economici “in senso stretto” (quelli per ragioni inerenti all’attività
produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa), oppure se, per
effetto del richiamo alla nozione di g.m.o. 22 , siano compresi nel divieto anche quei
licenziamenti connessi a fatti, ovviamente non colposi, che non riguardano l’impresa colpita
dagli effetti della pandemia, bensì la persona del lavoratore (quali la sopravvenuta inidoneità
psicofisica del lavoratore alla prestazione o alle mansioni, la perdita dei requisiti professionali,
il superamento del periodo di comporto in caso di malattia o infortunio23). A dir il vero,
l’inclusione di tutte le ipotesi di impossibilità oggettiva per fatti non colposi del lavoratore
rischierebbe di porsi in linea di collisione con la sottolineata ratio della misura24, alterando quel
delicatissimo equilibrio costituzionale su cui il blocco si regge (ma sul punto si ritornerà
diffusamente nel prossimo paragrafo). In attesa di una precisazione legislativa, che pur
intervenendo a più riprese sul tema nulla specifica, la giurisprudenza di merito chiarisce che
il richiamo legislativo all’art. 3 L. 604/66 è tale da includere nel blocco tutti i licenziamenti
per ragioni oggettive, anche non strettamente economiche. È quanto deciso dal Tribunale di
Ravenna con sentenza del 7 gennaio 2021, in cui si dichiara la nullità del licenziamento
disposto, nelle more di vigenza del blocco, per sopravvenuta inidoneità fisica alla mansione25.
Secondo il Tribunale, la ratio del divieto di licenziamenti mira non solo a vietare quei
licenziamenti causati da eventi che sono diretta e immediata conseguenza della pandemia
bensì tutte le altre ragioni di licenziamento, non meramente soggettive. Inoltre, com’è noto,
secondo consolidata giurisprudenza, il licenziamento per g.m.o. richiede al datore di lavoro
l’assolvimento dell’onere del repêchage 26, onere senz’altro complesso da adempiere nell’attuale
fase di crisi. Pertanto, il blocco, secondo il Tribunale di Ravenna, mira anche a ‹‹rimandare alla
fase successiva all’emergenza ogni valutazione aziendale, anche con riguardo al ripescaggio del lavoratore››,
atteso che solo all’esito del superamento della crisi potrà esservi ‹‹una attuale e concreta scelta in
punto a organizzazione o riorganizzazione aziendale›› (e dunque anche in merito al repêchage).
Com’è evidente la ratio del divieto viene invocata dall’interprete come criterio di delimitazione
del campo d’applicazione dello stesso, con la conseguenza che l’ampia individuazione della
ratio del divieto (intesa come misura di sostegno alla stabilità sociale, all’occupazione e al

22
   Non v’è dubbio, secondo consolidato orientamento dottrinale e giurisprudenziale, la nozione di g.m.o. è
categoria ampia che accoglie le diverse ipotesi oggettive di licenziamento, ponendosi come fattispecie
‹‹frammentaria e che comprende tutto ciò che non è disciplinare›› (Cass. 21 maggio 2019, n. 13649; Cass.
22 gennaio 2019, n. 6678; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29250; Cass. 4 ottobre 2016, n. 19774). Inoltre,
l’orientamento oggi dominante ricomprende nelle ragioni che giustificano un recesso per g.m.o. anche
quelle ragioni organizzative volte al conseguimento di un maggior profitto, non essendo invece necessaria
la sussistenza di situazioni di crisi aziendale o riduzioni di fatturato. Per un approccio critico a questo
orientamento cfr. S. GIUBBONI, Anni difficili. I licenziamenti in Italia in tempi di crisi, Torino, 2020, pp.
125 ss.
23
   Per quanto riguarda i licenziamenti per superamento del periodo di comporto ex art. 2110 c.c., il blocco
dei licenziamenti pare inapplicabile, considerando che la giurisprudenza configura tale fattispecie come
autonoma rispetto all’art. 3 L. n. 604/1966: cfr. Cass. 3 aprile 2019, n. 9306.
24
   Cfr. A. GARILLI, op. cit., p. 604.
25
   In merito a tale specifica fattispecie dell’inidoneità sopravvenuta era intervenuta anche nota (del 24 giugno
2020, n. 298) dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, secondo cui, stante il carattere generale del blocco,
‹‹devono ritenersi ricomprese tutte le ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ai sensi
dell’art. 3 della L. n. 604/1966››. Pertanto, secondo l’indicazione dell’Ispettorato, l’ipotesi di sopravvenuta
inidoneità, dato che la legittimità della procedura di licenziamento non può prescindere dalla verifica in
ordine alla impossibilità di una ricollocazione in mansioni compatibili, è senz’altro ricompresa nel blocco.
26
   Cfr. Cass. Civ., sez. lav., sent. n. 27243 del 26 ottobre 2018; Cass. Civ., sez. lav., sent. n. 13649 del 21
maggio 2019.

                                                                                                             7
mercato del lavoro nel suo complesso) producono un’estensione, forse eccessiva, del campo
d’applicazione del divieto. Uguale sorte è toccata al problema interpretativo relativo
all’applicabilità del divieto anche ai licenziamenti del personale dirigente, a cui pacificamente
si applica la normativa sui licenziamenti collettivi (dopo la novella dell’art. 16 L. 161/2014 a
seguito della condanna della Corte di Giustizia C-596/2012) ma non quella sui licenziamenti
individuali per g.m.o. Il Tribunale di Roma con ordinanza 26 febbraio 2021 ritiene che il
blocco dei licenziamenti economici si applichi anche ai dirigenti, qualificando il licenziamento
del dirigente (licenziato nel luglio 2020 per soppressione della sua posizione a causa di una
riorganizzazione aziendale) come nullo perché posto in violazione della legislazione
emergenziale, ordinando conseguentemente la sua reintegra nel posto di lavoro. Il giudice,
richiamando la ratio del divieto27, ritiene che la mancata estensione del divieto ai dirigenti
sarebbe censurabile di irragionevolezza sia per violazione art. 3 Cost. (dato che la ratio
protettiva del divieto accomuna tutti i lavoratori a prescindere dallo status d’appartenenza) sia
perché questi ultimi sono protetti in caso di licenziamento collettivo. Secondo il Tribunale, il
richiamo all’art. 3 L. 604/66 non delimiterebbe il campo soggettivo di applicazione ma si
limita a far riferimento alla “giustificatezza oggettiva” o meglio non meramente soggettiva del
licenziamento. Rebus sic stantibus, anche per tale fattispecie applicativa sembra vacillare
l’equilibrio costituzionale che, come si vedrà, si regge, nel contemperamento di interessi,
anche nella compensazione del sacrificio con le misure di sostegno alle imprese, l’eccezionale
rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in primis, da cui, tuttavia, sono esclusi i dirigenti.
Quanto, invece, alle conseguenze della violazione del divieto sembra pacifico, anche nelle
richiamate applicazioni giurisprudenziali che la violazione del divieto di licenziamenti ex art.
46 del Cura Italia, trattandosi di disposizione imperativa, rappresenti una sicura ipotesi di
“nullità virtuale”28 ex art. 1418, co. 1, c.c che dà luogo al diritto alla tutela reale piena ex art.
18, 1 comma l. 300/1970 o, per gli assunti dopo il 7 marzo 2015, ex art. 2 d.lgs. 23/201529.
Siamo pertanto dinnanzi ad una nuova (e temporanea) ipotesi di nullità del licenziamento per
ragioni “oggettive”.

2.2. (Segue) Le proroghe del divieto e la sua (mancata) “flessibilizzazione”
L’ampiezza del divieto di licenziamenti economici, individuali e collettivi, viene parzialmente
limitata nelle successive e plurime proroghe del blocco, oggi in vigore fino al 30 giugno 2021
per tutte le imprese e fino ad ottobre 2021 per le imprese senza ammortizzatori sociali
ordinari.
L’art. 14 D.L. 14 agosto 2020, n. 104, a dispetto della sua rubrica (e a differenza del precedente
D.L. 19 maggio 2020, n. 34) non si limita solo a prorogare il blocco, ma ne modifica in modo
sensibile i riferimenti temporali e soggettivi30. Si legge, infatti, ‹‹Ai datori di lavoro che abbiano
sospeso o ridotto l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19 e che
non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all'emergenza

27
   ‹‹La “ratio” del “blocco” appare essere evidentemente quella, in un certo senso di ordine pubblico, di
evitare in via provvisoria che le pressoché generalizzate conseguenze economiche della pandemia si
traducano nella soppressione immediata di posti di lavoro››. T. Roma, ordinanza 26 febbraio 2021.
28
   Cfr. P. IERVOLINO, Sospensione (rectius nullità) dei licenziamenti economici per il COVID – 19 e dubbi
di legittimità costituzionale, in giustiziacivile.com, 24 aprile 2020.
29
   Così anche T. Mantova, sent. 11 novembre 2020, n. 112.
30
   Ne sottolinea la condizionalità M. VERZARO, La condizionalità del divieto di licenziamento nel Decreto
“Agosto”, in LDE, 2020, 3. Alla luce del Decreto Agosto, la preventiva fruizione degli ammortizzatori
sociali rappresenta, limitatamente allo stato di emergenza da coronavirus, un elemento di legittimazione
all’esercizio del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

                                                                                                            8
epidemiologica da COVID-19›› 31 . Tale formulazione, frutto del carattere indubbiamente
compromissorio del Decreto (che interveniva in una fase di auspicabile ripresa, prima
insomma della “doccia gelata” della seconda ondata), ha da subito suscitato problematiche
interpretative, stante la generalità che la caratterizza e che presta il fianco a diverse letture.
Infatti, la integrale fruizione dei trattamenti d’integrazione salariale potrebbe essere
interpretata sia alla stregua di effettiva fruizione sia come mera potenziale ammissione agli
stessi 32 . Secondo alcune interpretazioni, a differenza del divieto iniziale, generalizzato e
incondizionato 33 ma con scadenza fissa, il Decreto Agosto avrebbe introdotto un divieto
condizionato (alla fruizione del beneficio delle integrazioni salariali o degli esoneri
contributivi) ma con scadenza mobile e relativa34; un ‹‹divieto flessibile››35 che si applica solo nei
confronti dei datori di lavoro che si avvalgono effettivamente delle integrazioni o dell’esonero;
ragion per cui il divieto potrebbe non trovare applicazione per quelle imprese che abbiano
cessato di fruire degli ammortizzatori (circostanza mutabile a seconda delle vicende di ogni
singola impresa) o non ne abbiano mai fatto richiesta. Senonché, tali interpretazioni sembrano
cadere nei successivi gli interventi di proroga che hanno omesso (volutamente ad avviso di
chi scrive) il riferimento ambiguo all’ “integrale fruizione degli ammortizzatori”. Pertanto, alla luce
anche della successiva legislazione, una lettura equilibrata dell’art. 14 del Decreto Agosto
impone di considerare blocco come divieto di licenziare finché gli ammortizzatori sono resi
disponibili dallo Stato36.
E’ certamente vero, tuttavia, che il Decreto Agosto37 (e successive proroghe) hanno smorzato
la rigidità del blocco introducendo espresse eccezioni, alcune delle quali fanno riferimento a
casi limite come : a) inapplicabilità del blocco ai licenziamenti causati dalla cessazione
definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza
continuazione, anche parziale, dell’attività, fuori dai casi di configurabilità di trasferimento
d’azienda o di un ramo di essa ex art. 2112 c.c.; b) licenziamenti motivati dal fallimento,
quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la

31
   Art. 14 co. 4 prevede espressamente che i datori di lavoro che abbiano ugualmente proceduto nell’anno
2020 al recesso per g.m.o. possono ‹‹revocare in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia
richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli articoli da 19 a 22-quinquies del
decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, a partire
dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza
soluzione di continuità, senza oneri ne' sanzioni per il datore di lavoro››.
32
   In favore della prima interpretazione si veda N. DEMARINIS, op. cit., p. 5 secondo cui ‹‹il divieto è da
leggersi nel senso che esso diventa operativo soltanto nei confronti di quei datori che decidano di
beneficiare effettivamente delle integrazioni o dell’esonero contributivo e dal momento in cui inizino a
beneficiarne››.
33
   Cfr. C. ZOLI, La tutela dell’occupazione nell’emergenza epidemiologica fra garantismo e condizionalità,
in Labor, 2020, I, 441 ss.
34
   Occorre sottolineare che il d.l. 104/20 indica, quale termine di scadenza per la fruizione delle integrazioni
salariali la data del 31 dicembre 2020. Tuttavia, se la reformatio del blocco dei licenziamenti ha quale finalità
il condizionare la limitazione del potere datoriale alla integrale fruizione dei benefici a cui il datore è
ammesso, allora il termine del blocco è da intendersi come mobile e variabile e non necessariamente
coincidente con il periodo massimo inizialmente previsto. Sul punto M. VERZARO, La condizionalità del
divieto di licenziamento, cit., 4.
35
   A. MARESCA, Gli accordi aziendali di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro nell’art. 14, co.
3, D.L. n. 104/2020: l’alternativa realistica al divieto di licenziamento per Covid, in LDE, 2020, 3.
36
   F. SCARPELLI, Proroga del blocco dei licenziamenti. Per favore diamone interpretazioni ragionevoli,
comma2.it, 20 agosto 2020, secondo cui ‹‹i recessi “restano preclusi”, anche se l’impresa non ritiene di
poter accedere agli ammortizzatori sociali o all’esonero contributivo, e in tal caso lo restano sino a fine
anno (termine ricavabile dalla stessa disciplina di tali strumenti)››.
37
   Per un’accurata disamina delle deroghe al divieto cfr. E. BALLETTI, op. cit., pp. 530 ss.

                                                                                                              9
cessazione. La previsione di tali eccezioni è senza dubbio da accogliere con favore, dato che
allontana i (fondati) rischi di illegittimità costituzionale relativi ad un’imposizione,
difficilmente compatibile con l’art. 41 Cost., di continuazione forzata dell'attività economica.
La più vistosa eccezione però è la speciale fattispecie di risoluzione consensuale38 derivante
da un ‹‹accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più
rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro››, che come accade
per le risoluzioni consensuali stipulate dinnanzi all’Ispettorato territoriale del lavoro ex art. 7
L. n. 604/66 danno luogo, eccezionalmente, al diritto ad ottenere l’indennità Naspi.
L’interruzione del rapporto di lavoro, quindi, interviene a seguito di una risoluzione
consensuale, ossia tramite accordo collettivo aziendale con le organizzazioni sindacali
comparativamente più rappresentative a livello nazionale (non anche con accordi territoriali
o nazionali) di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro.
Fuori da questi casi, per effetto delle successive proroghe la regola rimane divieto di effettuare
licenziamenti di natura oggettiva, da parte di tutti i datori di lavoro a prescindere dal requisito
dimensionale, indipendentemente dall’integrale fruizione degli ammortizzatori COVID-19. Il
D.L. n. 137/2020, cd. Decreto Ristori (convertito, con modificazioni, in L. 18 dicembre 2020,
n. 176) proroga il divieto di licenziamento, applicabile a prescindere dall’utilizzo della cassa
integrazione o dell’esonero contributivo. Ugualmente la legge di bilancio 2021 proroga il
divieto fino al marzo 2021, superando quel meccanismo “mobile” ipotizzabile ai sensi del
Decreto Agosto.
Insomma, il rigore del divieto di licenziamenti economici, nel susseguirsi delle sue svariate
proroghe, è parzialmente attenuato dalla previsione di alcune deroghe espresse, ma non
sembra perdere quel carattere di genericità che lo caratterizza sin dalla sua introduzione. È
doveroso a questo punto chiedersi fino a che punto l’emergenza pandemica sia idonea a
giustificare una misura così ampia e duratura e, dunque, se il divieto possa aver assunto, nella
frenetica successione dei decreti emergenziali, i caratteri di una “misura strutturale”, che si
porrebbe come sistematica violazione dell’art. 41 Cost.

3. I motivi del divieto alla luce del bilanciamento dei valori costituzionali
Il divieto “temporaneamente prolungato” di licenziamenti economici richiede
necessariamente una riflessione sull’equilibrio del bilanciamento valoriale che ne è alla base:
tutela del (posto di) lavoro da un lato e della libertà economica dall’altro. Sul primo fronte
troviamo coinvolti gli artt. 1, 3, 4, 35, Cost., che sanciscono la tutela del (diritto al) lavoro in
tutte le sue forme e impongono al legislatore di perseguire, specie in momenti di crisi direi,
politiche orientate alla massima garanzia di occupazione, nonché di assicurare ai lavoratori
mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di disoccupazione involontaria. Sul secondo,
invece, v’è la tutela della libertà d’impresa ex art. 41 della Costituzione, che riconosce la libertà

38
   Sul punto A. MARESCA, Gli accordi aziendali di incentivo, cit., 6 che sottolinea che siamo dinnanzi ad
una fattispecie a formazione progressiva che ha inizio con l’accordo aziendale e si completa (solo) con
l’adesione esplicita del singolo dipendente; adesione evidentemente necessaria per produrre l’effetto
estintivo del rapporto di lavoro e per far sorgere in capo al lavoratore il conseguente diritto di accesso alla
Naspi. Rebus sic stantibus, non è l’accordo gestionale (‹‹di incentivo alla risoluzione del rapporto di
lavoro››) a produrre l’effetto estintivo bensì l’incontro tra la volontà datoriale e quella del lavoratore,
espressione dell’autonomia individuale e non collettiva. L’accordo sindacale produce semmai un effetto
autorizzatorio non già della risoluzione del rapporto, che è inevitabilmente consensuale, ma dell’eccezionale
erogazione della Naspi che nel caso di specie rappresenta il maggiore incentivo messo in campo per la
cessazione del rapporto di lavoro.

                                                                                                           10
di iniziativa economica già limitata alla nascita, non potendosi la stessa svolgere in contrasto
con ‹‹l’utilità sociale›› o in ‹‹danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana››.
Come sempre, il bilanciamento tra i due principi richiede il ricorso alla tecnica di
composizione delle antinomie39 tramite strumenti adeguati, proporzionati e ragionevoli che
impediscano una tirannia di alcuni valori costituzionali sugli altri40. Per cui, il principio di
ragionevolezza impone al legislatore di realizzare il bilanciamento tra valori e interessi di
rilievo costituzionale con misure che presentano i caratteri della ‹‹idoneità, congruità e
proporzionalità››41.
In questa sede, non è di certo in discussione che il blocco dei licenziamenti, paralizzando di
fatto il potere organizzativo, rappresenti una pesante limitazione della libertà economica che
si esplica nella libertà di scegliere non solo all’an e il quomodo ma anche il quantum dell’impresa.
Tuttavia, analizzata la ratio della misura in esame, non si può neppure dubitare circa la
meritevolezza di tale misura alla luce dei preminenti valori di utilità sociale42 , tutela della
sicurezza (alias salute), libertà e dignità umana, che nell’assolvimento ai doveri di solidarietà
sociale trovano un fondamentale mezzo di proiezione. Com’è stato osservato in letteratura, il
divieto di licenziamenti, nell’essere un argine a possibilissimi licenziamenti di massa in una
fase straordinaria di paralisi dell’economia e del mercato del lavoro, persegue un’evidente
funzione di utilità sociale. Pertanto, l’eccezionale drammaticità della crisi pandemica sembra
giustificare, in nome dell’ordine pubblico e della salute pubblica, della solidarietà e dell’utilità
sociale, una sospensione temporanea delle libertà fondamentali, tra cui anche le libertà
economiche 43 . Non a caso, l’art. 41 Cost., al comma 3, riserva alla legge la facoltà di
determinare «programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata
possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».
Inoltre, la temporanea, eccezionale e transitoria mortificazione della libertà economica deve esser
valutata anche tenendo conto dell’intera legislazione d’emergenza nel suo complesso, laddove
la limitazione del potere di recesso per cause economiche viene bilanciata da costose misure
di sostegno alle imprese non solo sottoforma di integrazioni salariali ed esoneri contributivi
ma anche contributi a fondo perduto, prestiti garantiti e benefici fiscali44.

39
   G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite. Leggi, diritti, giustizia, Torino, 1992, p. 170.
40
   La Corte costituzionale, infatti, ci ricorda che «tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si
trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile, pertanto, individuare uno di essi che abbia
la prevalenza assoluta sugli altri». S’impone pertanto una tutela sistemica e non frazionata in una serie di
norme non coordinate; ciò al fine di scongiurare una «l’illimitata espansione di uno dei diritti, che
diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e
protette». (C. Cost. sent. n. 264/2012).
41
   A. GARILLI, op. cit., p. 594.
42
   Sulla preminenza del valore dell’utilità sociale si rinvia a M.V. BALLESTRERO, I licenziamenti, Franco
Angeli, Milano, 1975, p. 373.
43
    Sul punto v. M. BIASI, op.cit.; F. SCARPELLI, op. cit., pp. 313 ss. Contra E. GRAGNOLI,
L’insopprimibile libertà di cessare l’impresa e l’illiceità del divieto di licenziamento, in MGL, 3, 2020, pp.
607 ss., secondo cui ‹‹quanto accaduto sul divieto di licenziamento compromette la natura democratica
dell’ordinamento e lascia trasparire manifestazioni autoritarie, senza alcuna plausibile giustificazione, né
nell’epidemia, né nella crisi economica››.
44
   Cfr. F. SCARPELLI, op. cit., p. 315, secondo cui la misura del blocco dei licenziamenti, attingendo al
valore e alla dimensione giuridica della solidarietà, impone al datore di lavoro una condotta orientata alla
responsabilità sociale che è, peraltro, bilanciata ‹‹da una pluralità di interventi a suo favore: dunque un
modulo di responsabilità sociale dell’impresa che si gioca tra vincoli, sostegno, condizionalità››. Contra G.
PROIA, op. cit., che viceversa sottolinea che le misure di sostegno alle imprese non presentano una capacità
compensativa rispetto al ‘blocco’, perché le imprese non sono state messe in condizioni di valutare e

                                                                                                            11
Tuttavia, per evitare un’eccessiva, sproporzionata e irragionevole compromissione della
libertà economica, il divieto di licenziamenti si legittima solo in quanto misura temporalmente
limitata all’eccezionalità della situazione di emergenza. Pertanto, ammesso che si tratti di una
misura costituzionalmente legittima, è senz’altro vero che la sua costituzionalità si fonda su
di un delicatissimo equilibrio, che passa inevitabilmente per l’intrinseca “temporaneità” del
blocco, di certo non prorogabile a dismisura sino a divenire misura “strutturale”.
Non a caso, i caratteri della «transitorietà» e «provvisorietà», quali elementi idonei su cui
fondare un disallineamento con norme costituzionali, sono state magistralmente sottolineati,
in campo giuslavoristico, dalla notissima sentenza n. 106/1962 della Corte Costituzionale che
ha “salvato” dalle censure di incostituzionalità la Legge Vigorelli, senz’altro non rispettosa del
dettato dell’art. 39 Cost., proprio in vista dell’eccezionalità che accompagnava l’intervento in
esame, censurando tuttavia, la proroga del meccanismo che avrebbe comportato un
sistematico aggiramento del precetto costituzionale. Non stupisce allora che i maggiori dubbi
di costituzionalità si concentrano proprio sulle continue proroghe del divieto45.
Sul punto occorre preliminarmente osservare che non risulta di per sé incostituzionale la
proroga con confini temporali mobili (senza cioè una data fissa e predeterminata). Come
confermato dalla giurisprudenza costituzionale, infatti, compressioni legali dell’autonomia
collettiva ‹‹sono giustificabili sono in situazioni eccezionali, a salvaguardia di superiori interessi
generali, e quindi con carattere di transitorietà, senza peraltro che la durata del provvedimento
debba essere necessariamente predeterminata con l’indicazione di una precisa scadenza››46. Né
risultano di per sé incostituzionali gli effetti retroattivi previsti dall’art. 46 del Decreto Cura
                                                     47
Italia                                                                                               .
Viceversa, le censure di incostituzionalità mosse alle continue proroghe del divieto, sebbene
non più incondizionato, meritano di approfondimento. Ciò tanto più se si considera un
“allarmante” precedente proveniente dall’ordinamento spagnolo, in cui il Real Decreto-Ley n. 9
del 27 marzo 2020 introduce, seppur con minor rigore, un simile meccanismo di blocco dei
licenziamenti. Il Tribunale di Barcellona, con la sentenza n. 283/2020, afferma che la continua
reiterazione del divieto di licenziamenti economici, oramai provvisti del carattere di stabilità,
integra una limitazione incondizionata e irragionevole del potere datoriale di riorganizzazione
aziendale, contraria al diritto spagnolo e a quello europeo che – rispettivamente all’art. 38
della Costituzione spagnola ed all’art. 16 della Carta europea dei diritti fondamentali –
riconoscono la libertà d’impresa48.
C’è dunque da chiedersi se siamo dinnanzi ad un eccesso di proroga costituzionalmente
illegittimo. La gravità dell’emergenza sanitaria impone atteggiamenti prudenti. I dubbi sulla

scegliere autonomamente se accedere o meno a quelle misure impegnandosi, come corrispettivo, a non
licenziare.
45
   Vedi sul punto P. PASSALACQUA, I limiti al licenziamento nel decreto Cura Italia dopo il decreto
rilancio, in LG, 2020, p. 590. La proroga della misura non è l’unica censura mossa alla legislazione
emergenziale, che ponendo un divieto generalizzato potrebbe essere irragionevole applicandosi anche a
settori produttivi non coinvolti oppure finanche “premiati” dalla crisi pandemica. Cfr. M. VERZARO, La
condizionalità del divieto, cit.
46
   Cfr. Corte Cost. 26 marzo 1991, n. 124.
47
   Sul punto, ampiamente, A. GARILLI, op. cit., pp. 596 ss., che giustamente sottolinea la portata assai
limitata dell’irretroattività nel caso di specie e sottolinea che la legislazione emergenziale in ogni caso è
compatibile con quell’orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui ‹‹il principio di
irretroattività si traduce dunque nel bilanciamento tra le finalità di volta in volta perseguite dal legislatore
e i beni giuridici che la retroattività mette a rischio››.
48
   A. TUNDO, Il divieto di licenziamento è contrario al diritto europeo: il caso del Tribunale di Barcellona,
Bollettino ADAPT, 1° febbraio 2021.

                                                                                                            12
ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza della misura non a caso si acuiscono in vista
delle fasi di ripresa (Decreto Rilancio, Decreto Agosto) ma perdono terreno dinnanzi alle fasi
alterne di lockdown delle “zone rosse” e alle conseguenti limitazioni inedite e straordinarie del
ciclo economico. Pertanto, il delicatissimo equilibrio costituzionale del blocco dei
licenziamenti non appare necessariamente compromesso dagli interventi di proroga, purché
quelle proroghe siano giustificate per far fronte ad uno stato di eccezione, tra l’altro sinora
inedito. In altre parole, il fragile equilibrio costituzionale della controversa misura in esame
pare fondarsi su due pilastri indefettibili: a) proporzionalità, resa possibile dalle misure di
sostegno alle imprese, in primis nell’assunzione da parte dello Stato della stragrande
maggioranza costi del mantenimento in vita dei posti di lavoro; b) temporaneità, tenendo
conto che essa è un concetto relativo che va strettamente rapportato al perdurare
dell’emergenza pandemica e delle pesanti restrizioni pubbliche al regolare funzionamento del
ciclo economico. Tuttavia, la temporaneità del blocco non può essere invocata per giustificare
il blocco finché sussiste una situazione di crisi o emergenza occupazionale, perché la
compressione della libertà economica non può rappresentare la risposta strutturale
dell’ordinamento per perseguire politiche di maggiore occupazione.

4. Sull’ “opportunità” della misura e possibili soluzioni per fronteggiare la stagione
post-pandemica
Al netto delle ragioni legate allo stato di eccezione che ha giustificato anche a livello
costituzionale (e si è detto in che termini ed entro quali limiti) la tragica misura del ‘blocco’
dei licenziamenti, è possibile riflettere sulla sua opportunità (cosa assai diversa dalla sua
legittimità).
In effetti, come si diceva in incipit l’individuazione delle ragioni del blocco è fondamentale ai
fini della valutazione dell’opportunità dello stesso, in quanto empirica corrispondenza dei
risultati alle finalità di una misura che è radicalmente lontana dalle tendenze mainstream della
flexicurity49, e che nel panorama europeo, eccetto alcuni casi simili ma non del tutto assimilabili
(compre Spagna e Grecia) non sembra avere paragoni50. Spostandoci sul piano dell’effettività,
dunque, occorre chiedersi se quest’anno senza licenziamenti per g.m.o. abbia sortito gli effetti
desiderati.
Non è possibile negare che la drastica misura del blocco abbia indubbiamente salvato molti
posti di lavoro51. Secondo una nota della Banca d’Italia, le misure adottate dallo Stato per
affrontare gli effetti della pandemia quali l’estensione della CIG, il sostegno alla liquidità delle
imprese e il blocco dei licenziamenti hanno impedito circa 600.000 licenziamenti nell'arco del

49
   Per un approfondimento in chiave sistematica degli effetti della flexicurity nel diritto del lavoro v. B.
CARUSO, R. DEL PUNTA, T. TREU, Per un diritto del lavoro sostenibile, CSDLE Massimo D’Antona,
2020, pp. 44 ss.
50
   Nell’ordinamento spagnolo, infatti, vengono predisposte misure straordinarie di sostegno alle imprese,
che però per poterne usufruire, si sono dovute impegnare a evitare licenziamenti. In Francia, si è optato per
un notevole supporto economico alle imprese. In Inghilterra, modello liberista per eccellenza, è stato
consentito al datore di lavoro di “sospendere” nell’arco della fase emergenziale il rapporto di lavoro con i
propri dipendenti, i cui stipendi sono stati pagati dallo Stato all’80%. Cfr. M. DALLA SEGA, Il sostegno
alle imprese, op. cit.
51
   Banca d’Italia, Alcune stime preliminari degli effetti delle misure di sostegno sul mercato del lavoro, 16
novembre     2020,     reperibile   all’indirizzo:   https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/note-covid-
19/2020/Nota-Covid-19.11.2020.pdf.

                                                                                                         13
Puoi anche leggere