Le ragioni del blocco dei licenziamenti economici tra eccezionalità e proroghe - SDL HUB W.P. n.5-2021
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SDL HUB W.P. n.5-2021 Le ragioni del blocco dei licenziamenti economici tra eccezionalità e proroghe Pia De Petris, Federico II 1
Le ragioni del blocco dei licenziamenti economici tra eccezionalità e proroghe 1. Emergenza epidemiologica e divieto di licenziamenti economici: le ragioni (sociali) del “blocco”. - 2.1 Evoluzione del divieto di licenziamenti nel frenetico susseguirsi della legislazione d’emergenza: campo d’applicazione e regime sanzionatorio alla luce della sua ratio. 2.2 (Segue) Le proroghe del divieto e la sua (mancata) “flessibilizzazione”. - 3. La giustificazione del blocco alla luce del bilanciamento dei valori costituzionali. 4. Sull’ “opportunità” della misura e possibili soluzioni per fronteggiare la stagione post- pandemica. 1. Emergenza epidemiologica e divieto di licenziamenti economici: le ragioni (sociali) del “blocco” Una delle più discusse misure introdotte dal legislatore all’indomani dell’ufficializzazione (oramai non più così recente) dello stato di emergenza causato dalla diffusione del virus SARS-CoV-2, è senza dubbio il cd. “blocco dei licenziamenti”, che, com’è noto, fa divieto a tutti i datori di lavoro, a prescindere da ogni requisito dimensionale, di procedere a licenziamenti, collettivi o individuali, per giustificato motivo oggettivo 1 . Tale drastica e traumatica limitazione del potere di recesso datoriale viene disposta, nella prima fase dell’emergenza sanitaria, dall’art. 46 del c.d. Decreto Cura Italia (d.l. n. 18 del 17 marzo 2020) e a causa del perdurare della pandemia (e dello stato di emergenza ad essa connesso), viene prorogata per ben cinque volte (art. 80 d.l. 19 maggio 2020, n. 34; art. 14 d.l. 14 agosto 2020, n. 104; art. 12, commi 9 e 10 del d.l. n. 137/2020; e da ultimo art. 7 del c.d. D.L. Sostegni approvato dal Consiglio dei ministri il 19 marzo 2021), rendendo il divieto vigente, nella sua generalità, fino al 30 giugno 2021. Stando alle bozze del recentissimo “D.L. Sostegni” a partite da tale data verrà abbandonata la via del divieto generale e indiscriminato e si procederà con uno schema a doppio binario: da un lato le imprese che possono accedere agli ammortizzatori sociali ordinari, per cui da giugno dovrebbe cadere il blocco dei licenziamenti; e dall’altro le imprese non destinatarie degli ammortizzatori ordinari, in primis quelle del settore terziario, per cui il divieto di licenziamenti resta fermo fino l’autunno 2021, con beneficio degli ammortizzatori emergenziali. Per scelta metodologica, prima di analizzare l’altalenante e tutt’altro che organica legislazione di emergenza sul ‘blocco’ dei licenziamenti, si provvederà anzitutto ad approfondire i motivi di tale divieto. Chiaramente, per il giurista analizzare i motivi significa necessariamente indagare la ratio della misura in esame e giocoforza riflettere su due piani: la sua “ragionevolezza” (intesa come adeguatezza e proporzionalità della misura rispetto alla ratio) e la sua “opportunità” (intesa come corrispondenza dei risultati ottenuti alla ratio perseguita). Dunque, l’interprete non può prescindere dalla specialità storica che caratterizza una misura così drastica da non avere precedenti, quanto a portata e ampiezza, nella storia repubblicana. Neppure risalendo all’immediato secondo dopoguerra2. Infatti, se è vero che nell’esperienza 1 La misura in oggetto ha destato fin dalla sua introduzione diverse perplessità, acuite ulteriormente dalle svariate proroghe messe in campo. Per una ricostruzione delle linee essenziali del dibattito si rinvia a G. PROIA (a cura di), Divieto di licenziamenti e libertà d’impresa nell'emergenza Covid, Collana delle pubblicazioni di "FA.RI. sul lavoro", Giappichelli, 2020. 2 Per un approfondimento in chiave storico-sistematica cfr. A. GARILLI, Il “blocco” dei licenziamenti: profili storici e sistematici, in MGL, 3, 2020, 585 ss., che sottolinea analogie e differenze tra il blocco post- bellico e quello pandemico. 2
postbellica il D.lgs. n. 523/1945 disponeva, a pena di nullità3 , un temporaneo divieto di licenziamento per le (sole) imprese industriali dell’Alta Italia, “soggette al contratto collettivo 13 giugno 1941”, lo è altresì che si trattava di un ‘blocco’ caratterizzato da un campo d’azione geografico e merceologico decisamente più limitato rispetto a quello attuale. Inoltre, nel blocco dei licenziamenti postbellico spiccava una maggiore valorizzazione della contrattazione collettiva e una vistosa deroga applicativa che coinvolgeva tutti coloro che non avessero accettato, senza giustificato motivo, un’occupazione offerta da altra impresa, o comunque fossero provvisti di altre risorse personali e familiari 4 . Pertanto, sebbene l’emergenza pandemica sembri accostabile a quella post-bellica quanto agli effetti nel tessuto sociale e produttivo, il divieto di licenziamenti sperimentato tra il 1945 e il 1947 non pare paragonabile a quello attuale per raggio d’azione, portata ed eccezioni, potendosi, invece, senza dubbio riscontrare, come si vedrà, una continuità nel connubio tra divieto di licenziamenti e misure pubbliche sostegno al reddito. Dunque, il divieto di licenziamenti economici della stagione pandemica si presenta come un unicum nel nostro ordinamento in quanto misura straordinariamente drastica, posta in essere per far fronte ad una situazione caratterizzata da eccezionale drammaticità che non a caso, a differenza dello stato di guerra, non viene neppure contemplata nella Carta costituzionale: una violenta e imprevedibile (o comunque imprevista) pandemia che ha innestato una crisi sanitaria, sociale ed economica mondiale. È purtroppo cosa nota che l’avvento della pandemia ha paralizzato l’intera società, costretta a “sospendere” molte libertà fondamentali e a vivere inedite esperienze di isolamento e immobilismo, imposte da quella che sembrava (almeno fino all’avvento del vaccino) l’unica misura idonea a fermare la corsa del virus, il lockdown. La necessità di spezzare la catena del contagio ha imposto la dolorosa interruzione (o, nel migliore dei casi, la riduzione) di gran parte delle attività produttive non essenziali, per far fronte alla necessità di tutelare la salute e sicurezza (pubblica) della persona. Al cospetto della crisi pandemica, ben presto tramutata in crisi economica e sociale, lo Stato (sociale) di diritto si è dovuto, inevitabilmente, preoccupare di tamponare, evidentemente ricorrendo a misure eccezionali, le ricadute della stessa sul tessuto socio-economico del Paese, che - con le imprese costrette a chiudere e i lavoratori costretti a “restare a casa” (magari, ove possibile in smart working 5 ) registrava vertiginosi cali di consumi e produzione, compromettendo inevitabilmente anche il PIL e l’economia nazionale. In questo scenario drammatico, caratterizzato da inedite restrizioni alle libertà e ai diritti fondamentali dei cittadini, il divieto, imperativo e generalizzato6, di licenziamenti economici 3 La giurisprudenza di legittimità ebbe modo di sottolineare la nullità dei licenziamenti posti in violazione del divieto, sottolineando il carattere eccezionale e imperativo di una normativa destinata a garantire «l’ordine pubblico» in un momento di «profondo sconvolgimento della vita nazionale». Cfr. Cass., Sez. II, 5 agosto 1949, n. 2235. 4 S. BOLOGNA, La liberalizzazione del licenziamento economico: politica costituzionale, legge, giurisprudenza, in DML, 2021, 1, in corso di pubblicazione. 5 Il massiccio ricorso allo “smart working” (rectius “lavoro agile emergenziale” o remote work) ha rappresentato un ulteriore e importante tassello della legislazione emergenziale. In effetti, l’istituto del lavoro agile, da strumento di work-life-balance e di competitività aziendale, si è tramutato in strumento di conservazione del posto di lavoro e di prevenzione del contagio durante la pandemia. Cfr., per un approfondimento, P. ALBI, Il lavoro agile fra emergenza e transizione, MGL, 2020, pp. 771 ss.; M. BROLLO, Smart o emergency work? Il lavoro agile al tempo della pandemia, LG, 2020, pp. 553 ss. 6 Ne sottolinea gli inediti caratteri di generalità E. BALLETTI, Divieto di licenziamenti e libertà d’impresa nell’emergenza ‘Covid 19’ alla luce dei principi costituzionali, in DML, 2020, 3, pp. 521 ss., che in 3
diviene espressione massima del tentativo del legislatore di scongiurare l’esplosione di questioni di emergenza sociale che già sembravano profilarsi all'orizzonte7. Per rifuggire dallo spettro di licenziamenti in massa, che avrebbero minacciato la sicurezza sociale, il legislatore dispone il blocco dei licenziamenti economici come misura (inevitabilmente eccezionale e temporanea) di conservazione dei livelli occupazionali, al fine di evitare che la crisi innescata dalla pandemia, si traduca in una immediata, repentina, emorragia di posti di lavoro. Per tali ragioni, il blocco dei licenziamenti rappresenta anzitutto uno strumento di tutela temporanea (e non potrebbe essere altrimenti) della stabilità dei rapporti e dell’occupazione (e non solo del reddito, parimenti raggiungibile con altre misure assistenziali). Ma esso si pone anche come una straordinaria misura di tutela della stabilità del sistema economico nel suo complesso, assumendo le vesti di ‹‹una misura di politica del mercato del lavoro e di politica economica collegata ad esigenze di ordine pubblico››8. In tale ordine di idee, si tratta certamente di una misura posta a sostegno dei lavoratori e delle lavoratrici, che di certo non potevano essere lasciati alla ricerca di una nuova occupazione in un mercato e in una società paralizzata dalle misure restrittive di contenimento del contagio; ma non solo. Dinnanzi allo shock pandemico, il temporaneo ‘blocco’ dei licenziamenti è posto anche a beneficio delle imprese stesse, consentendo a quest’ultime di conservare (con gran parte dei costi a carico dello Stato) il capitale umano in vista della futura fase di ripresa, scongiurando così la dispersione forzata delle professionalità; laddove, invece, le sole “leggi” del mercato avrebbero imposto una radicale riduzione delle risorse umane per rispondere alle perdite di produzione (e produttività) causate dalla pandemia. Il divieto temporaneo di licenziamenti assumerebbe così una fondamentale funzione economica anticiclica9. Per tali ragioni, nella fase iniziale dell’emergenza pandemica (e dunque nel Decreto Cura Italia), la ratio principale del divieto di licenziamenti economici, com’è stato puntualmente osservato, va ravvisata nella necessità di ‹‹contenere gli effetti negativi dell'emergenza sul sistema economico nel suo complesso››, e, dunque, sulle imprese, su lavoratrici e lavoratori e sulle loro famiglie10; e, in ossequio ai valori costituzionali di solidarietà sociale, ‹‹non lasciare che il danno pandemico si scarichi sistematicamente ed automaticamente sui lavoratori››11. È chiaro allora che la misura oggetto d’esame sia stata congeniata, almeno nella sua fase iniziale come eccezionale misura di salvaguardia della tenuta del sistema sociale - e del "contratto sociale" stesso- fortemente minacciata dall’emergenza causata da COVID-19. In quest’ottica, il blocco dei licenziamenti si porrebbe come diretta attuazione dei doveri inderogabili (che incombono anche sull’impresa) di solidarietà sociale 12 in un momento storico, non c’è bisogno di ricordarlo, caratterizzato da una contrazione - se non, in alcuni settori, da una paralisi - del mercato del lavoro e dell’economia, già profondamente indeboliti dalla crisi del 2012. La “cittadinanza” di misura di solidarietà sociale, è d’altronde confermata dal fatto che la sospensione temporanea del potere di recesso per ragioni economiche è stata particolare sottolinea le svariate problematiche scaturite dal silenzio legislativo in merito alla sorte dei rapporti di lavoro nel periodo della vigenza del blocco dei licenziamenti. 7 Cfr. CNEL, XXII Rapporto mercato del lavoro e contrattazione collettiva, 12.01.2021, pp. 40 ss. 8 Così, T. Mantova, sentenza del 11 novembre 2020, n. 112. 9 Cfr. MICHEL MARTONE, A proposito del blocco dei licenziamenti, libertà di impresa e bolla occupazionale, in G. PROIA (a cura di), op. cit., pp. 83 ss. 10 F. SCARPELLI, Blocco dei licenziamenti e solidarietà sociale, in RIDL, 2020, I, p. 314. 11 Così T. Roma, ordinanza del 26 febbraio 2021. 12 Sul punto, ampiamente, v. ancora F. SCARPELLI, Blocco dei licenziamenti e solidarietà sociale, cit., pp. 313 ss. 4
accompagnata da un rifinanziamento straordinario degli ammortizzatori sociali13. Non può, infatti, sfuggire il profondo legame 14 tra il sacrificio della sospensione dei licenziamenti economici e la disciplina speciale degli ammortizzatori sociali, resi, durante la fase iniziale (e più acuta) dell’emergenza, “universali” e sostanzialmente obbligatori15. Si è detto, dunque, che nella fase più acuta e inaspettata della crisi, il congelamento dei licenziamenti economici si pone come misura attuativa della solidarietà sociale e come misura di ordine pubblico, necessaria per mantenere la pace sociale e scongiurare l’esplosione di licenziamenti in massa16. Alla luce di questa ricostruzione “eziologica” non sembrano porsi particolari scogli relativi alla giustificazione di tale misura sulla base delle straordinarie necessità di urgenza sociale che caratterizzavano la ‘prima’, più acuta e inaspettata, fase dell’emergenza sanitaria. Viceversa, la ragionevolezza e opportunità della misura sono poste a dura prova nelle successive fasi di continua proroga del divieto di licenziamenti economici, accompagnate da pericolose e per fortuna superate fasi di disallineamento con le misure di ammortizzatori sociali, nonché da fasi (seppur brevi) di ripristino di alcune attività grazie al miglioramento della situazione epidemiologica e, dunque, all’avvento di misure più permissive. In effetti, come si vedrà, nel susseguirsi della legislazione d’emergenza, la proroga del divieto di licenziamenti ha determinato una situazione di stallo organizzativo-produttivo, cristallizzando una situazione organizzativa e occupazionale precedente allo stato della crisi pandemica; situazione che rischia di essere profondamente inadeguata nel momento in cui, cessata l’emergenza sanitaria, partirà la fase di ripresa, in cui le imprese, per ricollocarsi sul mercato, sono chiamate a riconquistare quella competitività persa in questo anno di attività ridotta17. Ciò, specie se si tiene conto dell’estrema variabilità delle condizioni organizzativo-produttive, prodotte dalle, ulteriormente accelerate, innovazioni della rivoluzione digitale. In altre parole, 13 Per effetto della legislazione emergenziale, infatti, i datori di lavoro che nell’anno 2020 sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19, possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso all’assegno ordinario con causale “COVID19”, per una durata di 9 settimane per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020, poi ulteriormente prorogate. Per un approfondimento si rinvia a R. DEL PUNTA, Note sugli ammortizzatori sociali al tempo del Covid-19, in RIDL, 2020, I, pp. 251 ss. 14 A conferma di tale legame si veda la previsione dell’art. 80 del Decreto Rilancio comma 1 lett. b, secondo cui il datore di lavoro che abbia comunque licenziato per g.m.o. «può, in deroga alle previsioni di cui all’articolo 18, comma 10, della legge 20 maggio 1970, n. 300, revocare in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli articoli da 19 a 22, a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro». 15 Sul punto M. BIASI, Liberty e Freedom nel blocco dei licenziamenti collettivi, LDE, 3, 2020. 16 Basta ripercorrere quanto accaduto negli Stati Uniti, in cui si si è deciso di evitare interventi preventivi importanti per proteggere i livelli occupazionali e al netto dell’ultimo anno registrano una perdita di circa 10 milioni di posti di lavoro. Per un’analisi della risposta statunitense alla crisi occupazionale v. M. DALLA SEGA, Il sostegno alle imprese e ai lavoratori durante l’emergenza Covid-19 Le scelte dei governi in Europa e negli Usa, ADAPT University Press, Working Paper n. 15, 2020, che sottolinea, in particolare, la scelta di intervenire, anche con misure pubbliche importanti (e inedite per un ordinamento a scarsa legislazione sociale come gli USA) a sostegno del reddito soltanto ex post, e dunque a favore di chi il lavoro lo ha perso, piuttosto che ex ante, a favore della conservazione dei posti di lavoro. 17 Si vedano sul punto le osservazioni di G. PROIA, Divieto di licenziamento e principi costituzionali, in MGL, 2020, 3, p. 694, che sottolinea che la misura in esame abbia finito con l’imporre un ‹‹imponibile di mano d’opera››, obbligando irragionevolmente il datore di lavoro ‹‹a mantenere una dimensione organizzativa non corrispondente a quella libera valutazione e conseguente autodeterminazione›› che l’ordinamento riconosce come corollario della libertà d’impresa. 5
la continua proroga per più di un anno del divieto in esame ha prodotto l’effetto di collocare il potere di organizzazione economica, connesso alla gestione del personale, in una sorta di “bolla sospensiva”, che quando scoppierà per effetto della caduta del divieto, rischia di trovare le imprese impreparate per la fase della ripresa. Tutto ciò in netta contraddizione con la riformata previsione dell’art. 2086, comma 2 c.c., che richiede alle imprese di attuare “senza nessun indugio” tutte le determinazioni necessarie per allontanare le crisi e per preservare la continuità aziendale18. Dunque, proprio la prolungata proroga potrebbe minare alla ragionevolezza (oltre che sull’opportunità) del divieto. Ma tale indagine non può che passare per una preventiva analisi della legislazione d’emergenza. 2. Evoluzione del divieto di licenziamenti nel frenetico susseguirsi della legislazione d’emergenza: campo d’applicazione e regime sanzionatorio alla luce della sua ratio Come anticipato, per far fronte alla pandemia e alla conseguente interruzione e/o flessione del ciclo produttivo, il blocco dei licenziamenti è stato disposto, dall’art. 46 del c.d. “Cura Italia” (D.L. 18/2020, poi convertito in L. n. 27/2020), con l’iniziale durata di soli sessanta giorni, decorrenti a partire dalla data di entrata in vigore del primo Decreto emergenziale. L’art. 46 sospende tutte le procedure di licenziamenti collettivi pendenti avviate a partire dal 23 febbraio 202019 e introduce per tutti i datori di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, un divieto assoluto di licenziamenti, collettivi e individuali, per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 L. n. 604/1966. La formulazione legislativa inizialmente prevista nel Decreto Cura Italia è, dunque, estremamente ampia, con un campo di applicazione che non fa distinzione di dimensioni o settori e che non contempla eccezioni espresse, neppure in caso di cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società; eccezione quest’ultima poi opportunamente introdotta nei successivi interventi di proroga che comunque hanno via via parzialmente attenuato il divieto in esame. L’ampia formulazione dell’art. 46 ha posto sin da subito delicati scogli interpretativi, in primis con riferimento al campo di applicazione. Chiaramente sono esclusi dal divieto i licenziamenti per ragioni soggettive ascrivibili alla colpa del prestatore di lavoro (per giusta causa o giustificato motivo soggettivo). Altrettanto evidentemente, il divieto si applica al lavoro a tempo indeterminato, sia subordinato che etero-organizzato (in ossequio alla soluzione ermeneutica offerta dalla Cassazione n. 1663/202020), con esclusione delle ipotesi di recesso ad nutum. Tuttavia, il rinvio espresso dell’art. 46 alla nozione di giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 3 L. n. 604/1966 (notoria norma con formulazione ‘aperta’ 21 ), pone alcune perplessità. Il punto più problematico è stabilire se il legislatore dell’emergenza abbia voluto 18 Vedi E. BALLETTI, op. cit., p. 532. 19 ‹‹Fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell'appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d'appalto›› (art. 46 Decreto ‘Cura Italia’). 20 Per un approfondimento sia consentito il rinvio a P. DE PETRIS, Le tortuose prospettive di tutela del lavoro on-demand, in MGL, 4, 2020, pp. 829 ss. 21 La letteratura scientifica sul punto è sconfinata. Ex multis v. C. CESTER, Giustificato motivo oggettivo di licenziamento e difficoltà economiche: a proposito di una recente presa di posizione della Corte di Cassazione, RIDL, 2017, 165, che ravvisa nell’art. 3 L. 604/66 «norma a precetto generico»; A. PERULLI, Il controllo giudiziario dei poteri dell’imprenditore tra evoluzione legislativa e diritto vivente, RIDL, 2015, 112 ss., che invece vi ravvisa una «norma elastica». Per un approfondimento cfr. S. BOLOGNA, La liberalizzazione del licenziamento economico: politica costituzionale, legge, giurisprudenza, in DML, 1, 2021 (In corso di pubblicazione). 6
riferirsi ai soli licenziamenti economici “in senso stretto” (quelli per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa), oppure se, per effetto del richiamo alla nozione di g.m.o. 22 , siano compresi nel divieto anche quei licenziamenti connessi a fatti, ovviamente non colposi, che non riguardano l’impresa colpita dagli effetti della pandemia, bensì la persona del lavoratore (quali la sopravvenuta inidoneità psicofisica del lavoratore alla prestazione o alle mansioni, la perdita dei requisiti professionali, il superamento del periodo di comporto in caso di malattia o infortunio23). A dir il vero, l’inclusione di tutte le ipotesi di impossibilità oggettiva per fatti non colposi del lavoratore rischierebbe di porsi in linea di collisione con la sottolineata ratio della misura24, alterando quel delicatissimo equilibrio costituzionale su cui il blocco si regge (ma sul punto si ritornerà diffusamente nel prossimo paragrafo). In attesa di una precisazione legislativa, che pur intervenendo a più riprese sul tema nulla specifica, la giurisprudenza di merito chiarisce che il richiamo legislativo all’art. 3 L. 604/66 è tale da includere nel blocco tutti i licenziamenti per ragioni oggettive, anche non strettamente economiche. È quanto deciso dal Tribunale di Ravenna con sentenza del 7 gennaio 2021, in cui si dichiara la nullità del licenziamento disposto, nelle more di vigenza del blocco, per sopravvenuta inidoneità fisica alla mansione25. Secondo il Tribunale, la ratio del divieto di licenziamenti mira non solo a vietare quei licenziamenti causati da eventi che sono diretta e immediata conseguenza della pandemia bensì tutte le altre ragioni di licenziamento, non meramente soggettive. Inoltre, com’è noto, secondo consolidata giurisprudenza, il licenziamento per g.m.o. richiede al datore di lavoro l’assolvimento dell’onere del repêchage 26, onere senz’altro complesso da adempiere nell’attuale fase di crisi. Pertanto, il blocco, secondo il Tribunale di Ravenna, mira anche a ‹‹rimandare alla fase successiva all’emergenza ogni valutazione aziendale, anche con riguardo al ripescaggio del lavoratore››, atteso che solo all’esito del superamento della crisi potrà esservi ‹‹una attuale e concreta scelta in punto a organizzazione o riorganizzazione aziendale›› (e dunque anche in merito al repêchage). Com’è evidente la ratio del divieto viene invocata dall’interprete come criterio di delimitazione del campo d’applicazione dello stesso, con la conseguenza che l’ampia individuazione della ratio del divieto (intesa come misura di sostegno alla stabilità sociale, all’occupazione e al 22 Non v’è dubbio, secondo consolidato orientamento dottrinale e giurisprudenziale, la nozione di g.m.o. è categoria ampia che accoglie le diverse ipotesi oggettive di licenziamento, ponendosi come fattispecie ‹‹frammentaria e che comprende tutto ciò che non è disciplinare›› (Cass. 21 maggio 2019, n. 13649; Cass. 22 gennaio 2019, n. 6678; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29250; Cass. 4 ottobre 2016, n. 19774). Inoltre, l’orientamento oggi dominante ricomprende nelle ragioni che giustificano un recesso per g.m.o. anche quelle ragioni organizzative volte al conseguimento di un maggior profitto, non essendo invece necessaria la sussistenza di situazioni di crisi aziendale o riduzioni di fatturato. Per un approccio critico a questo orientamento cfr. S. GIUBBONI, Anni difficili. I licenziamenti in Italia in tempi di crisi, Torino, 2020, pp. 125 ss. 23 Per quanto riguarda i licenziamenti per superamento del periodo di comporto ex art. 2110 c.c., il blocco dei licenziamenti pare inapplicabile, considerando che la giurisprudenza configura tale fattispecie come autonoma rispetto all’art. 3 L. n. 604/1966: cfr. Cass. 3 aprile 2019, n. 9306. 24 Cfr. A. GARILLI, op. cit., p. 604. 25 In merito a tale specifica fattispecie dell’inidoneità sopravvenuta era intervenuta anche nota (del 24 giugno 2020, n. 298) dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, secondo cui, stante il carattere generale del blocco, ‹‹devono ritenersi ricomprese tutte le ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della L. n. 604/1966››. Pertanto, secondo l’indicazione dell’Ispettorato, l’ipotesi di sopravvenuta inidoneità, dato che la legittimità della procedura di licenziamento non può prescindere dalla verifica in ordine alla impossibilità di una ricollocazione in mansioni compatibili, è senz’altro ricompresa nel blocco. 26 Cfr. Cass. Civ., sez. lav., sent. n. 27243 del 26 ottobre 2018; Cass. Civ., sez. lav., sent. n. 13649 del 21 maggio 2019. 7
mercato del lavoro nel suo complesso) producono un’estensione, forse eccessiva, del campo d’applicazione del divieto. Uguale sorte è toccata al problema interpretativo relativo all’applicabilità del divieto anche ai licenziamenti del personale dirigente, a cui pacificamente si applica la normativa sui licenziamenti collettivi (dopo la novella dell’art. 16 L. 161/2014 a seguito della condanna della Corte di Giustizia C-596/2012) ma non quella sui licenziamenti individuali per g.m.o. Il Tribunale di Roma con ordinanza 26 febbraio 2021 ritiene che il blocco dei licenziamenti economici si applichi anche ai dirigenti, qualificando il licenziamento del dirigente (licenziato nel luglio 2020 per soppressione della sua posizione a causa di una riorganizzazione aziendale) come nullo perché posto in violazione della legislazione emergenziale, ordinando conseguentemente la sua reintegra nel posto di lavoro. Il giudice, richiamando la ratio del divieto27, ritiene che la mancata estensione del divieto ai dirigenti sarebbe censurabile di irragionevolezza sia per violazione art. 3 Cost. (dato che la ratio protettiva del divieto accomuna tutti i lavoratori a prescindere dallo status d’appartenenza) sia perché questi ultimi sono protetti in caso di licenziamento collettivo. Secondo il Tribunale, il richiamo all’art. 3 L. 604/66 non delimiterebbe il campo soggettivo di applicazione ma si limita a far riferimento alla “giustificatezza oggettiva” o meglio non meramente soggettiva del licenziamento. Rebus sic stantibus, anche per tale fattispecie applicativa sembra vacillare l’equilibrio costituzionale che, come si vedrà, si regge, nel contemperamento di interessi, anche nella compensazione del sacrificio con le misure di sostegno alle imprese, l’eccezionale rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in primis, da cui, tuttavia, sono esclusi i dirigenti. Quanto, invece, alle conseguenze della violazione del divieto sembra pacifico, anche nelle richiamate applicazioni giurisprudenziali che la violazione del divieto di licenziamenti ex art. 46 del Cura Italia, trattandosi di disposizione imperativa, rappresenti una sicura ipotesi di “nullità virtuale”28 ex art. 1418, co. 1, c.c che dà luogo al diritto alla tutela reale piena ex art. 18, 1 comma l. 300/1970 o, per gli assunti dopo il 7 marzo 2015, ex art. 2 d.lgs. 23/201529. Siamo pertanto dinnanzi ad una nuova (e temporanea) ipotesi di nullità del licenziamento per ragioni “oggettive”. 2.2. (Segue) Le proroghe del divieto e la sua (mancata) “flessibilizzazione” L’ampiezza del divieto di licenziamenti economici, individuali e collettivi, viene parzialmente limitata nelle successive e plurime proroghe del blocco, oggi in vigore fino al 30 giugno 2021 per tutte le imprese e fino ad ottobre 2021 per le imprese senza ammortizzatori sociali ordinari. L’art. 14 D.L. 14 agosto 2020, n. 104, a dispetto della sua rubrica (e a differenza del precedente D.L. 19 maggio 2020, n. 34) non si limita solo a prorogare il blocco, ma ne modifica in modo sensibile i riferimenti temporali e soggettivi30. Si legge, infatti, ‹‹Ai datori di lavoro che abbiano sospeso o ridotto l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19 e che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all'emergenza 27 ‹‹La “ratio” del “blocco” appare essere evidentemente quella, in un certo senso di ordine pubblico, di evitare in via provvisoria che le pressoché generalizzate conseguenze economiche della pandemia si traducano nella soppressione immediata di posti di lavoro››. T. Roma, ordinanza 26 febbraio 2021. 28 Cfr. P. IERVOLINO, Sospensione (rectius nullità) dei licenziamenti economici per il COVID – 19 e dubbi di legittimità costituzionale, in giustiziacivile.com, 24 aprile 2020. 29 Così anche T. Mantova, sent. 11 novembre 2020, n. 112. 30 Ne sottolinea la condizionalità M. VERZARO, La condizionalità del divieto di licenziamento nel Decreto “Agosto”, in LDE, 2020, 3. Alla luce del Decreto Agosto, la preventiva fruizione degli ammortizzatori sociali rappresenta, limitatamente allo stato di emergenza da coronavirus, un elemento di legittimazione all’esercizio del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. 8
epidemiologica da COVID-19›› 31 . Tale formulazione, frutto del carattere indubbiamente compromissorio del Decreto (che interveniva in una fase di auspicabile ripresa, prima insomma della “doccia gelata” della seconda ondata), ha da subito suscitato problematiche interpretative, stante la generalità che la caratterizza e che presta il fianco a diverse letture. Infatti, la integrale fruizione dei trattamenti d’integrazione salariale potrebbe essere interpretata sia alla stregua di effettiva fruizione sia come mera potenziale ammissione agli stessi 32 . Secondo alcune interpretazioni, a differenza del divieto iniziale, generalizzato e incondizionato 33 ma con scadenza fissa, il Decreto Agosto avrebbe introdotto un divieto condizionato (alla fruizione del beneficio delle integrazioni salariali o degli esoneri contributivi) ma con scadenza mobile e relativa34; un ‹‹divieto flessibile››35 che si applica solo nei confronti dei datori di lavoro che si avvalgono effettivamente delle integrazioni o dell’esonero; ragion per cui il divieto potrebbe non trovare applicazione per quelle imprese che abbiano cessato di fruire degli ammortizzatori (circostanza mutabile a seconda delle vicende di ogni singola impresa) o non ne abbiano mai fatto richiesta. Senonché, tali interpretazioni sembrano cadere nei successivi gli interventi di proroga che hanno omesso (volutamente ad avviso di chi scrive) il riferimento ambiguo all’ “integrale fruizione degli ammortizzatori”. Pertanto, alla luce anche della successiva legislazione, una lettura equilibrata dell’art. 14 del Decreto Agosto impone di considerare blocco come divieto di licenziare finché gli ammortizzatori sono resi disponibili dallo Stato36. E’ certamente vero, tuttavia, che il Decreto Agosto37 (e successive proroghe) hanno smorzato la rigidità del blocco introducendo espresse eccezioni, alcune delle quali fanno riferimento a casi limite come : a) inapplicabilità del blocco ai licenziamenti causati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, fuori dai casi di configurabilità di trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ex art. 2112 c.c.; b) licenziamenti motivati dal fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la 31 Art. 14 co. 4 prevede espressamente che i datori di lavoro che abbiano ugualmente proceduto nell’anno 2020 al recesso per g.m.o. possono ‹‹revocare in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli articoli da 19 a 22-quinquies del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri ne' sanzioni per il datore di lavoro››. 32 In favore della prima interpretazione si veda N. DEMARINIS, op. cit., p. 5 secondo cui ‹‹il divieto è da leggersi nel senso che esso diventa operativo soltanto nei confronti di quei datori che decidano di beneficiare effettivamente delle integrazioni o dell’esonero contributivo e dal momento in cui inizino a beneficiarne››. 33 Cfr. C. ZOLI, La tutela dell’occupazione nell’emergenza epidemiologica fra garantismo e condizionalità, in Labor, 2020, I, 441 ss. 34 Occorre sottolineare che il d.l. 104/20 indica, quale termine di scadenza per la fruizione delle integrazioni salariali la data del 31 dicembre 2020. Tuttavia, se la reformatio del blocco dei licenziamenti ha quale finalità il condizionare la limitazione del potere datoriale alla integrale fruizione dei benefici a cui il datore è ammesso, allora il termine del blocco è da intendersi come mobile e variabile e non necessariamente coincidente con il periodo massimo inizialmente previsto. Sul punto M. VERZARO, La condizionalità del divieto di licenziamento, cit., 4. 35 A. MARESCA, Gli accordi aziendali di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro nell’art. 14, co. 3, D.L. n. 104/2020: l’alternativa realistica al divieto di licenziamento per Covid, in LDE, 2020, 3. 36 F. SCARPELLI, Proroga del blocco dei licenziamenti. Per favore diamone interpretazioni ragionevoli, comma2.it, 20 agosto 2020, secondo cui ‹‹i recessi “restano preclusi”, anche se l’impresa non ritiene di poter accedere agli ammortizzatori sociali o all’esonero contributivo, e in tal caso lo restano sino a fine anno (termine ricavabile dalla stessa disciplina di tali strumenti)››. 37 Per un’accurata disamina delle deroghe al divieto cfr. E. BALLETTI, op. cit., pp. 530 ss. 9
cessazione. La previsione di tali eccezioni è senza dubbio da accogliere con favore, dato che allontana i (fondati) rischi di illegittimità costituzionale relativi ad un’imposizione, difficilmente compatibile con l’art. 41 Cost., di continuazione forzata dell'attività economica. La più vistosa eccezione però è la speciale fattispecie di risoluzione consensuale38 derivante da un ‹‹accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro››, che come accade per le risoluzioni consensuali stipulate dinnanzi all’Ispettorato territoriale del lavoro ex art. 7 L. n. 604/66 danno luogo, eccezionalmente, al diritto ad ottenere l’indennità Naspi. L’interruzione del rapporto di lavoro, quindi, interviene a seguito di una risoluzione consensuale, ossia tramite accordo collettivo aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (non anche con accordi territoriali o nazionali) di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro. Fuori da questi casi, per effetto delle successive proroghe la regola rimane divieto di effettuare licenziamenti di natura oggettiva, da parte di tutti i datori di lavoro a prescindere dal requisito dimensionale, indipendentemente dall’integrale fruizione degli ammortizzatori COVID-19. Il D.L. n. 137/2020, cd. Decreto Ristori (convertito, con modificazioni, in L. 18 dicembre 2020, n. 176) proroga il divieto di licenziamento, applicabile a prescindere dall’utilizzo della cassa integrazione o dell’esonero contributivo. Ugualmente la legge di bilancio 2021 proroga il divieto fino al marzo 2021, superando quel meccanismo “mobile” ipotizzabile ai sensi del Decreto Agosto. Insomma, il rigore del divieto di licenziamenti economici, nel susseguirsi delle sue svariate proroghe, è parzialmente attenuato dalla previsione di alcune deroghe espresse, ma non sembra perdere quel carattere di genericità che lo caratterizza sin dalla sua introduzione. È doveroso a questo punto chiedersi fino a che punto l’emergenza pandemica sia idonea a giustificare una misura così ampia e duratura e, dunque, se il divieto possa aver assunto, nella frenetica successione dei decreti emergenziali, i caratteri di una “misura strutturale”, che si porrebbe come sistematica violazione dell’art. 41 Cost. 3. I motivi del divieto alla luce del bilanciamento dei valori costituzionali Il divieto “temporaneamente prolungato” di licenziamenti economici richiede necessariamente una riflessione sull’equilibrio del bilanciamento valoriale che ne è alla base: tutela del (posto di) lavoro da un lato e della libertà economica dall’altro. Sul primo fronte troviamo coinvolti gli artt. 1, 3, 4, 35, Cost., che sanciscono la tutela del (diritto al) lavoro in tutte le sue forme e impongono al legislatore di perseguire, specie in momenti di crisi direi, politiche orientate alla massima garanzia di occupazione, nonché di assicurare ai lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di disoccupazione involontaria. Sul secondo, invece, v’è la tutela della libertà d’impresa ex art. 41 della Costituzione, che riconosce la libertà 38 Sul punto A. MARESCA, Gli accordi aziendali di incentivo, cit., 6 che sottolinea che siamo dinnanzi ad una fattispecie a formazione progressiva che ha inizio con l’accordo aziendale e si completa (solo) con l’adesione esplicita del singolo dipendente; adesione evidentemente necessaria per produrre l’effetto estintivo del rapporto di lavoro e per far sorgere in capo al lavoratore il conseguente diritto di accesso alla Naspi. Rebus sic stantibus, non è l’accordo gestionale (‹‹di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro››) a produrre l’effetto estintivo bensì l’incontro tra la volontà datoriale e quella del lavoratore, espressione dell’autonomia individuale e non collettiva. L’accordo sindacale produce semmai un effetto autorizzatorio non già della risoluzione del rapporto, che è inevitabilmente consensuale, ma dell’eccezionale erogazione della Naspi che nel caso di specie rappresenta il maggiore incentivo messo in campo per la cessazione del rapporto di lavoro. 10
di iniziativa economica già limitata alla nascita, non potendosi la stessa svolgere in contrasto con ‹‹l’utilità sociale›› o in ‹‹danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana››. Come sempre, il bilanciamento tra i due principi richiede il ricorso alla tecnica di composizione delle antinomie39 tramite strumenti adeguati, proporzionati e ragionevoli che impediscano una tirannia di alcuni valori costituzionali sugli altri40. Per cui, il principio di ragionevolezza impone al legislatore di realizzare il bilanciamento tra valori e interessi di rilievo costituzionale con misure che presentano i caratteri della ‹‹idoneità, congruità e proporzionalità››41. In questa sede, non è di certo in discussione che il blocco dei licenziamenti, paralizzando di fatto il potere organizzativo, rappresenti una pesante limitazione della libertà economica che si esplica nella libertà di scegliere non solo all’an e il quomodo ma anche il quantum dell’impresa. Tuttavia, analizzata la ratio della misura in esame, non si può neppure dubitare circa la meritevolezza di tale misura alla luce dei preminenti valori di utilità sociale42 , tutela della sicurezza (alias salute), libertà e dignità umana, che nell’assolvimento ai doveri di solidarietà sociale trovano un fondamentale mezzo di proiezione. Com’è stato osservato in letteratura, il divieto di licenziamenti, nell’essere un argine a possibilissimi licenziamenti di massa in una fase straordinaria di paralisi dell’economia e del mercato del lavoro, persegue un’evidente funzione di utilità sociale. Pertanto, l’eccezionale drammaticità della crisi pandemica sembra giustificare, in nome dell’ordine pubblico e della salute pubblica, della solidarietà e dell’utilità sociale, una sospensione temporanea delle libertà fondamentali, tra cui anche le libertà economiche 43 . Non a caso, l’art. 41 Cost., al comma 3, riserva alla legge la facoltà di determinare «programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali». Inoltre, la temporanea, eccezionale e transitoria mortificazione della libertà economica deve esser valutata anche tenendo conto dell’intera legislazione d’emergenza nel suo complesso, laddove la limitazione del potere di recesso per cause economiche viene bilanciata da costose misure di sostegno alle imprese non solo sottoforma di integrazioni salariali ed esoneri contributivi ma anche contributi a fondo perduto, prestiti garantiti e benefici fiscali44. 39 G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite. Leggi, diritti, giustizia, Torino, 1992, p. 170. 40 La Corte costituzionale, infatti, ci ricorda che «tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile, pertanto, individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri». S’impone pertanto una tutela sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate; ciò al fine di scongiurare una «l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette». (C. Cost. sent. n. 264/2012). 41 A. GARILLI, op. cit., p. 594. 42 Sulla preminenza del valore dell’utilità sociale si rinvia a M.V. BALLESTRERO, I licenziamenti, Franco Angeli, Milano, 1975, p. 373. 43 Sul punto v. M. BIASI, op.cit.; F. SCARPELLI, op. cit., pp. 313 ss. Contra E. GRAGNOLI, L’insopprimibile libertà di cessare l’impresa e l’illiceità del divieto di licenziamento, in MGL, 3, 2020, pp. 607 ss., secondo cui ‹‹quanto accaduto sul divieto di licenziamento compromette la natura democratica dell’ordinamento e lascia trasparire manifestazioni autoritarie, senza alcuna plausibile giustificazione, né nell’epidemia, né nella crisi economica››. 44 Cfr. F. SCARPELLI, op. cit., p. 315, secondo cui la misura del blocco dei licenziamenti, attingendo al valore e alla dimensione giuridica della solidarietà, impone al datore di lavoro una condotta orientata alla responsabilità sociale che è, peraltro, bilanciata ‹‹da una pluralità di interventi a suo favore: dunque un modulo di responsabilità sociale dell’impresa che si gioca tra vincoli, sostegno, condizionalità››. Contra G. PROIA, op. cit., che viceversa sottolinea che le misure di sostegno alle imprese non presentano una capacità compensativa rispetto al ‘blocco’, perché le imprese non sono state messe in condizioni di valutare e 11
Tuttavia, per evitare un’eccessiva, sproporzionata e irragionevole compromissione della libertà economica, il divieto di licenziamenti si legittima solo in quanto misura temporalmente limitata all’eccezionalità della situazione di emergenza. Pertanto, ammesso che si tratti di una misura costituzionalmente legittima, è senz’altro vero che la sua costituzionalità si fonda su di un delicatissimo equilibrio, che passa inevitabilmente per l’intrinseca “temporaneità” del blocco, di certo non prorogabile a dismisura sino a divenire misura “strutturale”. Non a caso, i caratteri della «transitorietà» e «provvisorietà», quali elementi idonei su cui fondare un disallineamento con norme costituzionali, sono state magistralmente sottolineati, in campo giuslavoristico, dalla notissima sentenza n. 106/1962 della Corte Costituzionale che ha “salvato” dalle censure di incostituzionalità la Legge Vigorelli, senz’altro non rispettosa del dettato dell’art. 39 Cost., proprio in vista dell’eccezionalità che accompagnava l’intervento in esame, censurando tuttavia, la proroga del meccanismo che avrebbe comportato un sistematico aggiramento del precetto costituzionale. Non stupisce allora che i maggiori dubbi di costituzionalità si concentrano proprio sulle continue proroghe del divieto45. Sul punto occorre preliminarmente osservare che non risulta di per sé incostituzionale la proroga con confini temporali mobili (senza cioè una data fissa e predeterminata). Come confermato dalla giurisprudenza costituzionale, infatti, compressioni legali dell’autonomia collettiva ‹‹sono giustificabili sono in situazioni eccezionali, a salvaguardia di superiori interessi generali, e quindi con carattere di transitorietà, senza peraltro che la durata del provvedimento debba essere necessariamente predeterminata con l’indicazione di una precisa scadenza››46. Né risultano di per sé incostituzionali gli effetti retroattivi previsti dall’art. 46 del Decreto Cura 47 Italia . Viceversa, le censure di incostituzionalità mosse alle continue proroghe del divieto, sebbene non più incondizionato, meritano di approfondimento. Ciò tanto più se si considera un “allarmante” precedente proveniente dall’ordinamento spagnolo, in cui il Real Decreto-Ley n. 9 del 27 marzo 2020 introduce, seppur con minor rigore, un simile meccanismo di blocco dei licenziamenti. Il Tribunale di Barcellona, con la sentenza n. 283/2020, afferma che la continua reiterazione del divieto di licenziamenti economici, oramai provvisti del carattere di stabilità, integra una limitazione incondizionata e irragionevole del potere datoriale di riorganizzazione aziendale, contraria al diritto spagnolo e a quello europeo che – rispettivamente all’art. 38 della Costituzione spagnola ed all’art. 16 della Carta europea dei diritti fondamentali – riconoscono la libertà d’impresa48. C’è dunque da chiedersi se siamo dinnanzi ad un eccesso di proroga costituzionalmente illegittimo. La gravità dell’emergenza sanitaria impone atteggiamenti prudenti. I dubbi sulla scegliere autonomamente se accedere o meno a quelle misure impegnandosi, come corrispettivo, a non licenziare. 45 Vedi sul punto P. PASSALACQUA, I limiti al licenziamento nel decreto Cura Italia dopo il decreto rilancio, in LG, 2020, p. 590. La proroga della misura non è l’unica censura mossa alla legislazione emergenziale, che ponendo un divieto generalizzato potrebbe essere irragionevole applicandosi anche a settori produttivi non coinvolti oppure finanche “premiati” dalla crisi pandemica. Cfr. M. VERZARO, La condizionalità del divieto, cit. 46 Cfr. Corte Cost. 26 marzo 1991, n. 124. 47 Sul punto, ampiamente, A. GARILLI, op. cit., pp. 596 ss., che giustamente sottolinea la portata assai limitata dell’irretroattività nel caso di specie e sottolinea che la legislazione emergenziale in ogni caso è compatibile con quell’orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui ‹‹il principio di irretroattività si traduce dunque nel bilanciamento tra le finalità di volta in volta perseguite dal legislatore e i beni giuridici che la retroattività mette a rischio››. 48 A. TUNDO, Il divieto di licenziamento è contrario al diritto europeo: il caso del Tribunale di Barcellona, Bollettino ADAPT, 1° febbraio 2021. 12
ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza della misura non a caso si acuiscono in vista delle fasi di ripresa (Decreto Rilancio, Decreto Agosto) ma perdono terreno dinnanzi alle fasi alterne di lockdown delle “zone rosse” e alle conseguenti limitazioni inedite e straordinarie del ciclo economico. Pertanto, il delicatissimo equilibrio costituzionale del blocco dei licenziamenti non appare necessariamente compromesso dagli interventi di proroga, purché quelle proroghe siano giustificate per far fronte ad uno stato di eccezione, tra l’altro sinora inedito. In altre parole, il fragile equilibrio costituzionale della controversa misura in esame pare fondarsi su due pilastri indefettibili: a) proporzionalità, resa possibile dalle misure di sostegno alle imprese, in primis nell’assunzione da parte dello Stato della stragrande maggioranza costi del mantenimento in vita dei posti di lavoro; b) temporaneità, tenendo conto che essa è un concetto relativo che va strettamente rapportato al perdurare dell’emergenza pandemica e delle pesanti restrizioni pubbliche al regolare funzionamento del ciclo economico. Tuttavia, la temporaneità del blocco non può essere invocata per giustificare il blocco finché sussiste una situazione di crisi o emergenza occupazionale, perché la compressione della libertà economica non può rappresentare la risposta strutturale dell’ordinamento per perseguire politiche di maggiore occupazione. 4. Sull’ “opportunità” della misura e possibili soluzioni per fronteggiare la stagione post-pandemica Al netto delle ragioni legate allo stato di eccezione che ha giustificato anche a livello costituzionale (e si è detto in che termini ed entro quali limiti) la tragica misura del ‘blocco’ dei licenziamenti, è possibile riflettere sulla sua opportunità (cosa assai diversa dalla sua legittimità). In effetti, come si diceva in incipit l’individuazione delle ragioni del blocco è fondamentale ai fini della valutazione dell’opportunità dello stesso, in quanto empirica corrispondenza dei risultati alle finalità di una misura che è radicalmente lontana dalle tendenze mainstream della flexicurity49, e che nel panorama europeo, eccetto alcuni casi simili ma non del tutto assimilabili (compre Spagna e Grecia) non sembra avere paragoni50. Spostandoci sul piano dell’effettività, dunque, occorre chiedersi se quest’anno senza licenziamenti per g.m.o. abbia sortito gli effetti desiderati. Non è possibile negare che la drastica misura del blocco abbia indubbiamente salvato molti posti di lavoro51. Secondo una nota della Banca d’Italia, le misure adottate dallo Stato per affrontare gli effetti della pandemia quali l’estensione della CIG, il sostegno alla liquidità delle imprese e il blocco dei licenziamenti hanno impedito circa 600.000 licenziamenti nell'arco del 49 Per un approfondimento in chiave sistematica degli effetti della flexicurity nel diritto del lavoro v. B. CARUSO, R. DEL PUNTA, T. TREU, Per un diritto del lavoro sostenibile, CSDLE Massimo D’Antona, 2020, pp. 44 ss. 50 Nell’ordinamento spagnolo, infatti, vengono predisposte misure straordinarie di sostegno alle imprese, che però per poterne usufruire, si sono dovute impegnare a evitare licenziamenti. In Francia, si è optato per un notevole supporto economico alle imprese. In Inghilterra, modello liberista per eccellenza, è stato consentito al datore di lavoro di “sospendere” nell’arco della fase emergenziale il rapporto di lavoro con i propri dipendenti, i cui stipendi sono stati pagati dallo Stato all’80%. Cfr. M. DALLA SEGA, Il sostegno alle imprese, op. cit. 51 Banca d’Italia, Alcune stime preliminari degli effetti delle misure di sostegno sul mercato del lavoro, 16 novembre 2020, reperibile all’indirizzo: https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/note-covid- 19/2020/Nota-Covid-19.11.2020.pdf. 13
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