Le proposte del non profit sociosanitario per una riforma della Legge Regionale 23/2015 - Arlea
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Le proposte del non profit sociosanitario per una riforma della Legge Regionale 23/2015 COSA VORREMMO CI FOSSE NELLA NUOVA L.R. 23/15 Documento a cura di Alleanza Cooperative Italiane Welfare Lombardia e ANFFAS Lombardia L’obiettivo della Legge 23/2015 era quello di aggiornare una normativa fondata su un modello ospedaliero da superare, obiettivo riassunto nello slogan “dalla cura al prendersi cura” che evidenziava, in modo efficace, la necessità di risolvere la frammentazione degli interventi, promuovere la presa in carico delle persone con fragilità e definire una chiara azione di regia unitaria per rispondere in modo integrato ai bisogni complessivi delle persone, rendendo necessario anche recuperare il ruolo dei Comuni, tenuti fino a quel momento ai margini delle programmazione e degli interventi. Parole come “la presa in carico globale e continuativa”, “integrazione delle politiche”, “passaggio da un sistema prevalentemente basato sull'offerta pre-definita ad un sistema più flessibile e vicino ai bisogni del cittadino” avevano suscitato molte aspettative così come l’istituzione di “un unico Assessorato al Welfare”; aspettative purtroppo in gran parte disattese. Le criticità Una riforma drag and drop La riforma determinata dalla L.R. 23, ha di fatto operato la cancellazione della rete delle unità d’offerta socio sanitaria dal corpo della L.R.3/08, per riscriverle nel corpo della L. R. 33/09. Si è trattato di un vero e proprio trapianto, una sorta di “drag and drop”, senza tenere conto che le due leggi che fino al 2015 informavano l’organizzazione territoriale dei servizi erano ispirate da paradigmi non solo differenti, ma antitetici. L’uno, quello della Legge 33/2009, fondato su tecniche predittive in grado di fornire i dati necessari per la programmazione delle prestazioni sanitarie-mediche. Un metodica di analisi che ha portato il sistema a strutturarsi intorno ad ospedali o più grandi o più specializzati, massimizzando l’efficienza e l’efficacia in una visione chiaramente produttiva. In questa prospettiva è emersa immediatamente la criticità della presa in carico dei cronici. L’altro, quello della Legge 3/2008, basato sulla centralità dell’approccio integrato ai bisogni e sul ruolo strategico delle rete, con l'obiettivo di evitare la frammentazione delle risposte, costruendo il sistema delle unità d’offerta (sociali e sociosanitarie) funzionali al perseguimento delle “…condizioni di benessere e inclusione sociale della persona, della famiglia e della comunità e di prevenire, rimuovere o ridurre situazioni di disagio dovute a condizioni economiche, psico-fisiche o sociali…” (art. 1 comma 1 L.r. 3/2008). Un approccio non basato sulla predizione dei bisogno, ma sull'attenzione alla sua evoluzione: dal momento che non sono disponibili efficaci algoritmi predittivi del bisogno sociale. Ma soprattutto la L.3/08 era ispirata dalla risposta ai bisogni sociali ed esistenziali di persone che, come tutti, hanno anche problematiche sanitarie, ma che, soprattutto, rischiano di vedere profondamente alterato il diritto alla vita sociale. Con la Legge 33, così come modificata poi dalla Legge 23/2015, invece, e lo stiamo osservando sempre più di frequente, le questioni esistenziali delle persone fragili vengono affrontate secondo lo schema terapeutico diagnosi- trattamento-prognosi. Risulta evidente che quel modello, molto efficace nel trattamento della patologia acuta e post acuta, e forse nella riabilitazione, diventa del tutto priva di utilità per rispondere alle
questioni esistenziali che affliggono le persone fragili e, più o meno indirettamente, anche le reti famigliari. Chiunque abbia a che fare - per professione o per prossimità - con le grandi fragilità di cui si occupa la rete socio sanitaria, sa che non è la prescrizione terapeutica a dare risposte e risolvere problemi. La presa in carico e la progettazione di un percorso che prevede come obiettivi i diritti fondamentali della persone - agli affetti, alle relazioni, all'inclusione - devono tornare ad essere la finalità principale che orienta le prassi delle UdO socio sanitarie. La complicata semplicità della gestione del cronico Gli ospedali, molto efficienti ed efficaci nel trattamento del fenomeno acuto, dove sono necessari competenze e specializzazioni altissime, non lo sono altrettanto nella presa in carico del cronico. Per il cronico più che la predittività e una super-specializzazione, è necessaria la proattività, come ben evidenziano gli orientamenti della Regione al riguardo. Proattività significa stabilire relazioni “umane” con le persone. Non bastano le “connessioni”, non basta essere in contatto e scadenzare delle attività secondo un programma. E’ necessario invece offrire momenti di ascolto e coinvolgimento. Dedicare del tempo alle relazioni, per far capire che non basta la pillola, ma serve collaborazione per mettere in atto comportamenti coerenti con stili vita sani. Bisogna spendere tempo e investire nelle componenti informativa, educativa e umana. Questa capacità, tipica del modello sociale - che ha generato il socio sanitario e non viceversa - si fonda su una visione non predittiva e non prescrittiva, ma progettuale. Anche rispetto a questo Regione Lombardia ha intuito che il modello ospedaliero, basato su prescrizione, poteva presentare dei problemi, tant’è che nella presa in carico del cronico lo strumento progettuale ha assunto centralità. Dalla prescrizione alla progettazione: un diverso paradigma della cura Passare dal modello operativo della prescrizione - dove a seguito di una diagnosi si mette in atto il trattamento terapeutico - a quello della progettazione, dove la diagnosi è una componente, ma devono essere valutati altri bisogni, legati alla storia individuale e sociale, agli aspetti ambientali, culturali e anche “caratteriali”, come ci insegna l’OMS con il modello biopsicosociale, non è solo l’acquisizione per il medico di un nuovo schema da seguire è un cambio di paradigma. Il problema del progetto è che, al contrario della prescrizione, data la complessità dei bisogni che deve valutare, non è un processo rapido; non basta un software per redigere il progetto. Per progettare ci vogliono competenza, esperienza e vocazione anche nell’andare a cercare i problemi e non semplicemente nell’attendere che questi si presentino in ambulatorio. I tempi del progetto, non sono determinati a priori come per quanto riguarda il trattamento sanitario o riabilitativo, ma dal persistere del bisogno. Se una persona quando ha terminato il ciclo riabilitativo non riesce a camminare, smette di essere un paziente, tutti i trattamenti cessano, e diventa una persona con disabilità e il suo bisogno dura quanto la sua vita. Il trattamento medico ha un termine, il progetto dura fino a quando il problema persiste; se persiste per tutta la vita, dura una vita. Il socio sanitario è nato dal sociale Regione Lombardia nella presentazione delle norme sulla cronicità ha più volte ammesso di aver guardato con interesse al modello socio sanitario, proprio per la sua capacità progettuale, di coinvolgimento e per il suo essere proattivo, capace di muoversi verso il bisogno e non attendendo che questo si presenti. Il fatto è che il socio-sanitario è un modello molto sociale, nato da una cultura socio-psico-pedagogica in un ambiente culturale solidale e mutualistica. La dimostrazione di questo DNA sociale è di aver attirato gestori in prevalenza dal non profit. L'economicità di questo modello non sta nell’efficienza di strumenti diagnostico-terapeutici, ma in un approccio culturale diverso, dove la remunerazione della prestazione è 2
funzionale a rispondere al bisogno, e non viceversa, come talvolta succede nel mondo sanitario (il progetto “Mattoni SSN” del 2003 è un esplicito tentativo di limitare questa tendenza). La L.R. 23, o meglio i suoi effetti operativi, ha collocato il socio sanitario su un continuum, dimenticandone la sua storia, le radici culturali, e il sapere tecnico-scientifico accumulato. E soprattutto ha lasciato per strada il sociale, che è il modo che abbiamo sempre usato per parlare di territorio. Per noi il territorio è rete, rete sociale, e i fenomeni del territorio non sono puntiformi, come i pazienti che si presentano al pronto soccorso, bensì fenomeni che si sviluppano nella rete e modificano la rete sociale. Un persona con dipendenza o con disabilità - solo per fare degli esempi - non sono un problema individuale, che deve essere trattato con diagnosi-prescrizione, ma sono un problema più ampio, di famiglie e comunità. Il trattamento è solo un minima fase di quel problema, e la cura (in inglese “to care”) non prevede la presa in carico della sola persona, ma può prevedere il coinvolgimento di un nucleo famigliare, delle reti sociali informali e formali. COVID-19 e la crisi del modello ospedale-centrico La sanità lombarda è una “Ferrari”, riconosciuta come eccellenza mondiale. Eppure di fronte alla pandemia ha mostrato limiti inattesi e li ha mostrati proprio nei distretti di maggiore eccellenza: Milano, Bergamo, Brescia. Il motivo è semplicemente di natura organizzativa, l’assenza di una cultura della presa in carico territoriale, il fallimento dei modelli predittivi, la convinzione che il libero mercato della prestazione fosse in grado di rispondere rapidamente al bisogno, la difficoltà degli ospedali ad andare verso il territorio, il vuoto nella funzione di coordinamento dello stesso, un tempo in capo alle ASL, derivante dalla ridistribuzione delle competenze tra le ASST e le ATS sono tra i motivi della difficoltà nella gestione della pandemia. Difficoltà che ha cominciato a trovare delle soluzioni nel momento in cui si è iniziato a ascoltare e coinvolgere gli enti gestori, in particolare del terzo settore, nella definizione delle scelte operative. La mancata visione di sistema La pandemia, ha fatto solo da ingrandimento ad una criticità già nota agli osservatori (cfr. “Il welfare delle riforme? Le politiche lombarde tra norme ed attuazione”, a cura di Cristiano Gori, 2018), quella dell’aver dimenticato tutto il lavoro di costruzione della rete dell’offerta che la L.R. 3/08 aveva acutamente e in modo lungimirante avviato. Non c’è un solo punto nella L.R. 23 dove si parli di azioni volte alla rete. Lo stesso sistema dei servizi lombardo, non è visto come un “sistema di servizi”, ma come un “[...]l’insieme di funzioni, risorse, servizi, attività, professionisti e prestazioni che garantiscono l’offerta sanitaria e sociosanitaria della Regione[...]”. Questa mancanza di visione di sistema è stata una delle maggiori difficoltà sofferta non solo dalle unità d’offerta, ma dallo stesso territorio portatore di bisogno. Le unità d’offerta si sono travate completamente sole e isolate a dover fronteggiare la crisi, private di indicazioni e supporti e persino dei dispositivi di protezione che venivano sequestrati e dirottati verso gli ospedali. Solo nel momento in cui Regione ha deciso di riattivare le interlocuzioni con le rappresentanze degli enti le tensioni si sono allentate. Ma gli effetti della mancata visione di sistema non si fermerà ai problemi scatenati dalla pandemia, ma sottoporrà tutto il mondo socio sanitario e anche quello sociale, al depauperamento di risorse umane già carenti, come medici e infermieri, ma anche ASA/OSS ed educatori professionali. Le Proposte Per le organizzazioni che hanno predisposto questo documento e che insieme gestiscono la quasi totalità dei servizi socio sanitari e sociali per le persone con disabilità, con problemi di dipendenze e salute 3
mentale, per minori e famiglie, molti Consultori, nonchè servizi domiciliari e residenziali per anziani, la nuova norma dovrà prevedere alcuni caposaldi: 1) Assumere la visione della tutela della salute in chiave OMS (“il raggiungimento, da parte di tutte le popolazioni, del più alto livello possibile di salute, definita come uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente assenza di malattie o infermità”) definendo un sistema di prevenzione, diagnosi, cura e intervento basato, oltre che su evidenze scientifiche, sull’assunzione dei fattori determinanti sociali della salute (i determinanti sociali di salute più importanti sono scuola, lavoro, reddito e condizioni abitative) quali elementi portanti delle scelte, degli investimenti e delle azioni che correlino tra loro i temi della salute umana, dell’ambiente e dello sviluppo. Ciò significa ampliare, arricchire e rendere effettiva la definizione di “sistema sociosanitario lombardo – SSL” riportata nell’art. 1 comma 1 L.r.23/2015”. Ampliare, arricchire e concretizzare tale definizione significa: creare un sistema capace di monitorare ed intervenire per ridurre le disuguaglianze di salute: “Le disuguaglianze di salute, se non giustificate da un punto di visto biologico, possono essere definite differenze evitabili e ingiuste nello stato di salute e riconducibili ai determinanti sociali di salute. Ci sono due ulteriori ragioni per promuoverne il contrasto alle disuguaglianze di salute: 1. priorità costituzionale (articolo 32); 2. grave freno all’economia nazionale”. Occorre porre alla base della revisione del SSL il tema dell’equità nell’accesso alle cure, anche attivando un capace sistema di conoscenza dei determinanti sociali della salute e dell’andamento della spesa sanitaria privata (nelle sue due componenti statisticamente rilevanti: spesa out of pocket e spesa intermediata) e definendo un sistema di rilevazione degli effetti delle politiche di sviluppo e di tutela della salute; creare quindi un sistema compiutamente integrato sia a livello macro (programma regionale di sviluppo – PNRR), a livello “intermedio” (definire la trama che correli i diversi livelli istituzionali per la definizione delle programmazioni territoriali, inclusa la capacità di rilevazione dei bisogni di salute, con particolare riferimento al ruolo dei Comuni e delle loro aggregazioni) che a livello micro (dotare di “potere” il progetto personale delle persone in condizione di fragilità, in ordine alla definizione dei sostegni necessari e all’allocazione delle risorse, introducendo il budget di progetto quale modalità ordinaria per l’allocazione delle risorse - pubbliche, private, comunitarie - e il contratto di progetto per la definizione e l’assunzione degli impegni); rafforzare la capacità dei sistemi territoriali (nelle sue componenti sanitarie, sociosanitarie e sociali) a promuovere e praticare approcci, metodi e strumenti che valorizzino la prossimità, ritenendo il luogo di vita della persona come elemento capace e/o adeguatamente sostenuto di mantenere inalterati i contesti relazionali e affettivi come elemento fondamentale su cui costruire il proprio progetto di vita; ripensare, riorganizzare e potenziare la rete dei distretti in modo che rispondano alla logica della prossimità e del riferimento territoriale come previsto nella Legge 502/92. Una maggiore valorizzazione dei distretti contribuirà a rendere più chiari i ruoli e i luoghi di “governo” della rete territoriale così come a definire le funzioni delle ATS che, oggi “governano” territori ampi e molto popolosi (in alcuni casi anche sovra-provinciali) con molta difficoltà ad esercitare una reale e puntuale analisi dei bisogni e una conseguente formulazione delle risposte tenendo conto delle peculiarità locali e della necessità di dotarsi di modelli flessibili; 4
ridefinire la governance a livello territoriale superando la gestione unicamente di Regione Lombardia, per una condivisione delle scelte in materia di tutela della salute con ruoli attivi e paritari estesi ai Comuni e agli attori del Territorio (Enti Gestori, Famiglie, Terzo settore) rivedere il sistema dei servizi alla persona (sociosanitari, sociali) inserendo forti elementi di semplificazione e flessibilità, quote di finanziamento premiale in relazione agli esiti da valutare in termini di avviamento reale di processi di inclusione sociale, incrementi dei livelli di qualità della vita, efficienza dell’impiego delle risorse, e revisione della funzione di vigilanza in termini di incremento della qualità; 2) Una riflessione ponderata sulla governance del sistema e sui ruoli attribuiti a ATS e ASST è fortemente necessaria. Il passaggio da 15 ASL a 8 ATS, la costituzione di 30 ASST e il conseguente riordino di ruoli e competenze ha impegnato molta parte di questo quinquennio e, ancora oggi, ci sono elementi di non sufficiente chiarezza nell’attribuzione di compiti e responsabilità. Il perimetro geografico e di popolazione assistita di ciascuna ATS non ha favorito la prossimità territoriale. “Costruire le connessioni inter organizzative per dare piena attuazione al governo del percorso di presa in carico della persona in tutta la rete dei servizi sanitari, socio sanitari e sociali (art. 6, comma 3, lettera b)” è una affermazione che è stata in gran parte disattesa, ma riteniamo sia l’elemento cardine sul quale dare piena attuazione alla riforma. Va a nostro avviso considerata la proposta di porre in capo ad un'unica Agenzia regionale la funzione relativa alla definizione della programmazione territoriale (oggi suddivisa e “interpretata” dalle 8 ATS) per garantire maggiore omogeneità e ridurre l’attuale frammentazione. Questo potrebbe risolvere i conflitti di competenza e di responsabilità attuali tra ATS e ASST e al contempo colmare il vuoto di competenze territoriali che si è creato con la nascita delle due entità; inoltre farebbe sì che sui territori vi sia un unico interlocutore, costituito da un ente territoriale, anche quale spin off dell’ASST, articolato in Distretti che faccia sintesi tra poli ospedalieri, UdO socio sanitarie e sociali, MMG/PLS, territorio. I Distretti, la cui ampiezza non può essere definita esclusivamente secondo il parametro demografico data la grande eterogeneità del territorio lombardo (centri metropolitani e capoluoghi, aree rurali, aree interne) diventerebbero in questo modo il luogo nel quale introdurre - all’interno di linee programmatiche regionali generali – la necessaria flessibilità per rispondere ad esigenze diverse di territori diversi. Flessibilità che potrebbe (auspicabilmente) tradursi anche nella definizione e realizzazione di nuovi modelli gestionali e organizzativi che consentono un miglioramento della rete d’offerta, una sua razionalizzazione, una migliore risposta al cittadino e alla comunità. I Distretti, definiti secondo il criterio di aree territoriali omogenee, sono quindi il luogo nel quale si costruisce il rapporto tra Enti Locali/Ambiti del PdZ, Enti del Terzo Settore, associazioni di familiari e utenti in cui co-programmare e co-progettare una reale “integrazione” e realizzazione della “reti di servizi” che costituiscano un continuum tra la risposta sociale e quella socio-sanitaria, tra la risposta domiciliare, ambulatoriale, dei consultori e quella semiresidenziale e residenziale. Le Case della Comunità e la valorizzazione del MMG: i Distretti così pensati sono i luoghi nei quali collocare le Case della Comunità (previste sia dal PNRR che dalle DGR Regionali di riforma). Luoghi capaci di raccogliere la domanda dei cronici così come delle persone fragili, vulnerabili, nei loro bisogni di salute ma anche nei loro bisogni socio sanitari, socio assistenziali e sociali; capaci di condividere “il progetto di vita” con la persona e la sua famiglia assicurandone la realizzazione attraverso la co-presenza di professionalità diverse, quali i MMG, PLS, (organizzati in medicina di gruppo e/o in forma associata in modo da garantire una specialistica di base e una diagnostica di base), assistenti sanitarie, assistenti sociali, infermieri, educatori. 5
La consapevolezza che l’approccio al territorio passa dall’appropriatezza dell’intervento sanitario e sociale è una prassi non più rinviabile; il prendersi carico passa attraverso una filiera di prossimità che facilita le connessione e vede al suo interno tutte le possibili risposte (dal MMG/PLS all’ADI, dall’intervento sociale al ricovero temporaneo, dai bisogni primari alle indicazioni di prevenzione). Stiamo parlando di una vera e propria “rigenerazione socio sanitaria” che prevede anche la rigenerazione di luoghi pubblici o privati interpretati come avamposti per la presa in carico del bisogno, facilitando ad ogni attore della filiera territoriale il proprio compito. Un ruolo importante dovranno avere le mutue integrative sanitarie sia per la parte di prevenzione quanto per la parte prestazionale: un nuovo protagonismo della mutualità che potrà, in filiera, far crescere il “giusto consumo” sanitario legato ad una continua formazione e informazione sociale. Riguardo alla governance regionale, affinché i servizi e le reti sociosanitarie e sociali non siano considerati una semplice “appendice” della sanità e affinché si costruisca finalmente una stretta relazione con le politiche territoriali e sociali, riteniamo necessario che vi sia pari dignità tra sanità e sistema sociosanitario “riportando” quest’ultimo nelle competenze dell’Assessorato alla Politiche Sociali e della Famiglia, con adeguato e autonomo stanziamento di risorse economiche ed umane. Di conseguenza all’interno delle ASST il polo ospedaliero si occupa dell’ospedale, il polo territoriale non è subordinato a quello ospedaliero, ma assume pari importanza nell’occuparsi del territorio e nella relazione con i Distretti. Infine, ma non ultimo per importanza, a tutti i livelli (degli Assessorati, delle ASST, dei Distretti) devono essere previsti luoghi e momenti di confronto periodico con gli Enti Gestori dei servizi territoriali sociali e socio sanitari, con le organizzazioni del Terzo Settore, con le associazione dei familiari e degli utenti, con i Comuni. 3) Un modello efficace di presa in carico complessiva e una nuova visione della non autosufficienza. Il rischio concreto di una tendenza a leggere sotto un’ottica prevalentemente se non esclusivamente sanitaria i problemi, come conseguenza dell’accorpamento nell’unico assessorato al Welfare (che come già detto di fatto è stato un assessorato alla sanità), ha portato a scambiare le politiche rivolte agli anziani non autosufficienti con quelle per i malati cronici. Ciò è evidente soprattutto nella riforma sulla presa in carico della cronicità, che ha impegnato tante energie e risorse pubbliche per buona parte di questo quinquennio. Nonostante quest’area sia composta in larga parte da anziani o grandi anziani con ridotta o nulla autosufficienza, la normativa non dà priorità alle difficoltà delle famiglie nella gestione quotidiana della loro assistenza (o alla fragilità e alla vulnerabilità di quelli soli) ma si concentra sui consumi sanitari correlati alle malattie croniche più diffuse. Le relative DGR (6164/2017, n. 6551/2017, n. 7038/2017, n. 7655/2017, n.754/2018), pur riferendosi a principi evoluti (priorità della persona, superamento dell’attenzione alla sola offerta, continuità di cura, medicina proattiva e d’iniziativa), si sono limitate ad affrontare il tema della cura clinica delle malattie croniche più diffuse con strumenti tradizionali: farmaci, prestazioni diagnostiche, visite specialistiche, protocolli specificamente sanitari. Le risposte sociali e sociosanitarie sono decisamente in secondo piano, se non assenti. L’invecchiamento, dunque, fatica ad essere percepito come un processo continuo caratterizzato dall’intreccio e dall’interazione di numerose variabili esistenziali, sociali, economiche, funzionali e di salute. Nello specifico dell’assistenza sanitaria rivolta a persone con disabilità, occorre rendere concreta la previsione della DGR 4508/2021 relativa alla definizione, implementazione e messa a sistema dei percorsi di accessibilità (paragrafo 6 DGR 4508/21), definendo tali percorsi in una logica di co-progettazione con i 6
soggetti di terzo settore maggiormente coinvolti (associazioni di persone e familiari con disabilità in primis), e facendo rientrare tali percorsi nella pianificazione e programmazione sanitaria, inclusa la dotazione di risorse per sostenere i costi delle equipe sanitarie dedicate, integrate dagli apporti del volontariato specializzato e adeguatamente formato. 4) Osservatorio epidemiologico sociale e sociosanitario: parimenti a quanto già avviene con l’osservatorio epidemiologico nel sanitario è necessario costituire un osservatorio che riguardi i bisogni di natura sociale e socio sanitaria. Tale osservatorio per essere efficace e misurare fenomeni di bisogno sociale deve coinvolgere sia l’Assessorato delle Politiche Sociali, sia l’Assessorato al Welfare e potrebbe rappresentare l’auspicato punto di contatto tra i due assessorati.1 L'Osservatorio epidemiologico attiva collegamenti funzionali con gli osservatori epidemiologici istituiti dalle altre regioni, con l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari, con il laboratorio epidemiologico dell'Istituto Superiore di Sanità, con le università, gli enti di ricerca e con le strutture sanitarie pubbliche e private in grado di fornire supporto per il raggiungimento degli obiettivi di cui ai punti precedenti. La Regione infine provvede a predisporre rapporti periodici sul quadro epidemiologico regionale e territoriale, il cui confronto cronologico evidenzi i risultati in termini di riduzione della mortalità e di miglioramento della qualità della vita. 5) Sburocratizzazione dei controlli e sistema informatico: il controllo delle Unità d’Offerta socio sanitaria, e anche sociale, è afflitto ancora da modalità di tipo burocratico. Gli standard gestionali e strutturali non tengono conto di situazioni complesse e non contribuiscono fattivamente ad aumentare la qualità della vita delle persone, né a verificare l’effettiva qualità e appropriatezza delle prestazioni. Il sistema dei controlli è basato su check list che non sempre rispettano letteralmente le norme specifiche delle UdO, introducendo ulteriori, e talvolta contraddittori, indicatori. Sarebbe più opportuno che il sistema di controllo si basasse su un set di norme generale, e gli indicatori venissero generati dagli enti gestori, validati dagli organi di controllo, similmente a come avviene nei sistemi di certificazione della qualità e a quanto sta avvenendo oggi per i POG (Piano Organizzativo Gestionale). Il controllo dovrebbe avere come scopo principale il miglioramento del sistema; le sanzioni dovrebbero essere sempre successive alla richiesta di adeguamento. Inoltre è opportuno ridefinire il sistema di scambio di informazioni tra enti gestori e Regione. Molte strutture (es. disabilità, dipendenze) non rientrano nel SISS, creando notevoli problemi di rendicontazione per alcuni flussi, altri strumenti sono obsoleti e non 1 L’Osservatorio dovrebbe avere i seguenti compiti: a) promuovere l'istituzione, ai vari livelli del servizio socio sanitario e sociale, di strumenti di osservazione epidemiologica secondo una metodologia di rilevazione programmata al fine di produrre statistiche omogenee; b) raccogliere dai vari livelli del servizio socio sanitario e sociale dati riguardanti: - le condizioni di bisogno socio sanitario e sociale; - lo stato di salute e la diffusione di malattie nella popolazione in carico ai servizi socio sanitari e sociali; c) elaborare i dati contenuti nei flussi informativi provenienti dai vari livelli del SSL, compresi quelli previsti dalla normativa nazionale e regionale, al fine di produrre statistiche utili alla valutazione del bisogni sociali e socio sanitari della popolazione; d) fornire tutte le informazioni di supporto necessarie alle diverse direzioni generali della Giunta regionale per l'attuazione delle attività di programmazione socio sanitaria e sociale, di valutazione dell'efficacia e dell'efficienza in materia, di controllo di qualità delle prestazioni sanitarie; e) acquisire informazioni di interesse epidemiologico sociale e socio sanitario da fonti internazionali, nazionali e regionali; f) programmare e attuare indagini volte ad approfondire la conoscenza dei fenomeni di interesse sociale e socio sanitario e migliorare gli interventi sanitari; g) assicurare il ritorno delle informazioni raccolte ed elaborate attraverso l’accessibilità on line e la pubblicazione sul sito web di rapporti, analisi, etc..; h) fornire tutte le informazioni e dati di supporto necessari alle diverse Direzioni Generali regionali e al Ministero della Salute per l'attuazione delle leggi regionali e nazionali. 7
trasparenti (SIDIweb). Il sistema di scambio delle informazioni deve essere di semplice uso, in grado di ridurre il rischio di errore, essere sicuro e di minor impatto possibile sulla gestione amministrativa. 6) Certezza delle risorse: affiché il sistema dei servizi possa garantire alti livelli qualitativi, continuità e flessibilità nella risposta al bisogno è necessario garantire certezza delle risorse. Il funzionamento delole strutture socio sanitarie è completamente diverso da quello delle prestazioni ospedaliere; se infatti non è possibile prevedere con esattezza il numero massimo di prestazioni sanitarie erogate dalle varie specialità ospedaliere, per quanto riguarda gran parte delle UdO socio sanitarie è più semplice conoscere in anticipo e con certezza il volume massimo di prestazioni erogabili annue. Riteniamo che il budget di un UdO debba sempre essere calcolato a preventivo sul volume massimo di prestazioni erogabili, ed erogato a consuntivo, che per sua natura potrà essere pari o inferiore al budget così definito. Inoltre è necessario che le risorse a disposizione siano sempre coerenti e sufficienti per il corretto funzionamento delle UdO, in modo da evitare remunerazioni ingiustificatamente basse che in questo momento stanno mettendo in discussione la continuità di alcune UdO. Infine è necessario definire con precisione la durata dei periodi di sperimentazione di nuove UdO e successivamente metterle a sistema, mentre oggi assistiamo all’utilizzo “a tempo indeterminato” del sistema delle sperimentazioni; le sperimentazioni sono senz’altro indispensabili per introdurre flessibilità e per consentire un costante rinnovamento delle rete delle UdO socio sanitarie sulla base dell’evoluzione del bisogno, ma, una volta veririficati e validati gli esisti, devono essere consolidate. Lunedì 28 giugno 2021 Alleanza Cooperative Italiane, Welfare Lombardia ANFFAS Lombardia La Presidente Il Presidente Valeria Negrini Emilio Rota 8
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