LAVORO E SUFFRAGIO FEMMINILE - LA CITTADINANZA SOCIALE DELLE DONNE FRA OTTO E NOVECENTO
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Paradossi e ambiguità della “politique des femmes”: il complesso delle politiche sul diritto di voto, di quelle produttive e riproduttive, del lavoro e della natalità, ma anche delle leggi e misure amministrative di g o v e r n o d e l l a s e s s u a l i t à ( i n c l u s a l a prostituzione).
Il contesto francese Il repubblicanesimo francese della Terza Repubblica (1870-‐1940) – con un occhio particolare alla parte conclusiva dell’Ottocento – si caratterizzerà per la sua vena diffusa e variamente articolata di riformismo sociale. 3
C’è un tema che più di altri dà conto dei contorni talvolta ambigui che il richiamo alla riforma sociale assume in Francia nel periodo considerato La disciplina del lavoro femminile extradomestico come terreno di verifica dell’effettiva portata della relazione fra governo della società e protezione sociale delle donne paternalismo maternalismo 4
Lavoro e maternità 1890 à Conferenza internazionale del lavoro a Berlino 1 8 9 2 à I l d i b a t t i t o p a r l a m e n t a r e i n F r a n c i a sull’approvazione – mai avvenuta – del progetto di legge in materia di lavoro industriale dei bambini, delle ragazze minorenni e delle donne adulte. Qualche anno dopo, si leggerà: “[…] se le donne lavorando in eccesso facessero male solo a se stesse, si potrebbe dedurne che il legislatore non dovrebbe intervenire; ma non è questo il caso. La donna danneggia il Niglio che potrebbe generare. Senza regolazione del lavoro femminile, la società sarà presto minacciata da una bastardizzazione della razza”. (Paul Pic, giurista lionese e repubblicano progressista, in Traité élémentaire de législation industrielle. Les lois ouvrières, 1903) 5
In linea con il ragionamento precedente, una fonte di qualche anno prima: “Non è solo nell’interesse fisico della razza umana che ci sforziamo di strappare il bambino, l’adolescente, la donna a un lavoro eccessivo; è anche perché la donna sia restituita al suo focolare, il bambino alla madre presso la quale soltanto egli può trovare lezioni d’amore e di rispetto che formano il cittadino. Abbiamo voluto far cessare la demoralizzazione a cui l’allentarsi dei vincoli familiari spinge lo spirito umano”. (P. Deschanel, Les conditions du travail et le collectivisme, «Revue politique et parlementaire…», 1896, t. 10, p. 7)1 1 Ex-‐segretario di Jules Simon e futuro fugacissimo presidente della Repubblica, Deschanel riprende qui le parole pronunciate proprio dal senatore a vita Simon alla Conferenza internazionale del Lavoro di Berlino (1890).
Connessione tra il lavoro produttivo e quello riproduttivo femminile da cui l’appoggio alle politiche di protezione della maternità à FAMILISMO E PATERNALISMO “Dietro le leggi a protezione del lavoro delle donne, c’è la volontà familista di proteggere le madri, o le madri in potenza, e di combattere la denatalità. Il lavoro notturno delle donne è vietato dalla legge del 1892 e una proposta di riposo obbligatorio di quattro settimane dopo il parto è discussa in quell’occasione – ma non adottata. Un congedo di maternità di otto settimane modestamente remunerato è votato nel 1913. La storia dei diritti [sociali] delle donne in Repubblica è prima di tutto una storia di diritti delle madri”. (E. Fureix, Le siècle des possibiles 1814-‐1914, Paris, Puf, 2014, p. 203) )7
Con il ‘paternalismo di Stato’ si produrranno due ambiguità generali nel contesto repubblicano-‐ liberale dell’epoca: 1) rispetto alla dinamica uguaglianza-‐differenze; 2) rispetto all’autonomia individuale. .
1) L’ambiguità dell’uguaglianza (uguaglianza che dovrebbe integrare la differenza) Di vero e proprio enigma dell’uguaglianza ha parlato J.W. SCOTT (The Conundrum of Equality, Princeton, School of Social Science, Institute for Advanced Study Olden Lane, Paper n. 2, march 1999) “[…] la Terza Repubblica mantiene lo stato di esclusione civile e politica delle donne in seno a uno spazio tuttavia definito [universalistico, se non proprio] democratico”. (E. Fureix, Le siècle des possibiles 1814-‐1914 cit.)
Oltre al mancato accesso femminile all’uguaglianza, c’è anche il profilo ulteriore della differenza, nel senso di una tendenza nel repubblicanesimo del tempo a considerare la differenza, non come un elemento da rimuovere per esigenze di giustizia, ma come un aspetto permanente della vita sociale, con effetti tangibili di ridefinizione dell’individuo in quanto essere eminentemente sociale, portatore cioè di differenze concrete e di interessi piuttosto che di diritti e di astratte forme di uguaglianza. Al centro della scena politica non sarebbe l’individuo isolato e autosufficiente dell’universalismo illuminista e rivoluzionario, ma l’interdipendenza funzionale fra gli individui, da cui il bisogno di legami sociali, familismo e solidarismo.
E la differenza sessuale? Sistematicamente esclusa
2) L’ambiguità dell’autonomia individuale (autonomia del soggetto e protezione sociale) L’immagine della donna appare ritagliata sul modello del soggetto liberale astrattamente autonomo, e dunque al riparo da ogni ingerenza statuale nell’esercizio – eventualmente anche autolesionistico – della propria libertà personale; ma allo stesso tempo soggetto bisognoso di protezione perché concretamente sempre madre, in atto o in potenza, e quindi depositaria di una missione sociale che ne funzionalizza ogni momento dell’esistenza alla riproduzione sana e non «bastardizza[ta]» della specie.
Giustificazione della protezione delle donne Consapevolezza della contraddizione fra autonomia del soggetto liberale e limitazione del suo agire libero attraverso le misure di protezione sociale, nelle parole di un attore che, per quanto un po’ esterno all’ideologia liberale, esprime sul punto un sentire abbastanza trasversale all’epoca. Si tratta del socialista Jules Roche, Ministro del commercio (si torna al dibattito parlamentare del 1892). SINTESI DELLA SUA POSIZIONE: Ormai il lavoro industriale meccanizzato impone una legislazione sociale generale che riduca l’orario di lavoro (riforma che nel 1892 non passerà). Ma la differenza fra lavoratori e lavoratrici è evidente. Mentre per il lavoratore maschio ci si spinge a configurare una contraddizione filosofica in quanto, almeno sulla carta, si tratterebbe di soggetto autonomo al pari di ogni altro, a cui l’autonomia è negata di fatto ma non può mai esserlo di diritto, nel caso delle donne è in discussione la loro stessa ‘adultità’, «perché la donna, in questa materia, è sempre considerata come minorenne; è il principio di tutte le legislazioni» (J. Roche)
Hubertine Auclert (1848-‐1914)
L’uso dei termini femminista/femminismo Una traccia significativa dell’uso dell’aggettivo “féministe”, e non dell’analogo sostantivo, si rinverrebbe – dispregiativamente – già nel 1872 nell’opera di Alexandre Dumas figlio, e dieci anni dopo in una Lettera a firma di Hubertine Auclert (Auclert 1882). Ciò nonostante, al di là dei singoli usi più o meno sporadici dell’uno o dell’altro termine, resta confermato come entrambi faranno la loro comparsa reiterata sulla scena pubblica francese non prima degli anni Novanta del secolo, anche grazie al contributo di figure come quella di Eugénie Potonie-‐Pierre, nota per l’appello a costituire una “Fédération française des sociétés féministes”, reso ufficiale il 20 settembre 1891 e seguito poi dalla pubblicazione della Carta dell’associazione il 20 dicembre dello stesso anno (Potonie-‐Pierre 1891); o di Emile Faguet e di Maria Deraismes (1892). Volendo invece isolare, in quella stessa tornata temporale, uno specifico campo di sapere in cui le parole femminismo/femminista faranno registrare la loro accresciuta ricorrenza e una serie rilevante di slittamenti semantici, la palma spetterà certamente alla scienza medica (cfr. Edelman 2006), come confermano le osservazioni di Anne Dao che, riprendendo sul punto Geneviève Fraisse, retrodata al 1871 la comparsa del neologismo “femminismo”, sinonimo in campo medico di «[...] arresto dello sviluppo di un soggetto maschile». E aggiunge: «Applicato inversamente in politica il termine indica la virilizzazione della donna» (Dao 2001; Fraisse 1995, p. 198; Fauré 2006, p. 193).
Saranno queste le basi scientifico-‐morali per la corrispondente stigmatizzazione, della «con-‐fusion des sexes» quale spauracchio onnipresente tra i fautori dell’ineguaglianza uomo-‐donna nella società francese dell’epoca, come dimostrerà il successivo contributo del dott. Léon Henry Thoinot che, nella sua raccolta di lezioni «di interesse clinico, psicologico e medico-‐legale» tenute presso la Facoltà di Medicina di Parigi nel semestre invernale del 1896-‐1897, assimilerà femminismo e androginia, con la conseguente patologizzazione dell’una tanto quanto dell’altro (Thoinot 1898). Dalla stigmatizzazione alla risemantizzazione e appropriazione politica della ‘con-‐fusione dei sessi’ da parte del repubblicanesimo, il passo sarà breve. (Cfr. Paola Persano, Razionalità democratica e critica femminista nella Francia del XIX secolo: l’eredità di Condorcet, in “Cosmopolis”, 2/2019, https://www.cosmopolisonline.it/articolo.php?numero=XIII12016&id=5 )
Il femminismo repubblicano fra egualitarismo e differenzialismo (= riconoscimento della differenza sessuale): qualche paradosso Per alcune interpreti il differenzialismo femminista francese – riferito alla lotta per il suffragio – avrebbe agito in chiave prevalentemente, se non proprio esclusivamente, strategica. Era una strategia quella femminista, al tempo stesso difensiva e di contrattacco, per provare ad attutire l’impatto e minimizzare le conseguenze della campagna per il voto, avversata dal lato maschile per evidenti ragioni di conservazione dello status quo, ma demonizzata anche da molte donne, allarmate dalla prospettiva di dover barattare l’accesso allo spazio pubblico con la perdita di un potere sociale reale che, all’interno dell’unione sessuale legittima, si esplicava tradizionalmente nel lavoro di cura domestica e, soprattutto, materna à MATERNALISMO (CFR. FUCHS RACHEL GINNIS-‐THOMPSON VICTORIA ELISABETH, Women in Nineteenth-‐Century Europe, New-‐York, Palgrave, 2005)
Per altre, invece, ci sarebbe stata un’adesione autentica tanto al suffragismo che al differenzialismo, con un maternalismo davvero molto attenuato, e con esiti tuttavia a volte paradossali (per es. Hubertine Auclert) (J.W. SCOTT, Only Paradoxes to Offer: French Feminists and the Rights of Man, Cambridge-‐London, Harvard University Press, 1996) È lei, suffragista immediatista, che avrebbe messo il repubblicanesimo liberale francese dell’Ottocento di fronte alle sue ambiguità, in particolare denunciando il mancato pieno riconoscimento della differenza sessuale fra le altre differenze rilevanti (interventi in pubblico e sulla carta stampata, soprattutto dalle pagine del giornale «La Citoyenne» da lei fondato nel 1881).
Père Lachaise
Uguaglianza dei diritti e differenza nei doveri Militante femminista, aveva fondato nel 1876 la Società intitolata a “Le droit des femmes”, e destinata a trasformarsi nel 1883 ne “Le suffrage des femmes”. L’‘illuminazione’ ad autodefinirsi fra le prime come ‘femminista’ le era arrivata da una lettera di Victor Hugo datata 1872, nella quale si denunciava che agli uomini fossero storicamente riconosciuti tutti i diritti e alle donne solo i doveri. 1880 Rivolta fiscale 1884 Mobilitazione contro il divorzio per come disciplinato e per il regime matrimoniale di separazione dei beni Nel 1908, infine, l’atto di bruciare simbolicamente un’urna alle elezioni comunali di Parigi e, due anni dopo, la candidatura alle elezioni politiche. Avrebbe scritto: «Non è possibile che tutti adempiano la stessa funzione: la diversité è al contrario indispensabile alla buona armonia della società [...]. Il dovere imposto a tutti è différent per ognuno. Il diritto inerente all’individuo è uguale per tutti». Soluzione = Uguaglianza dei diritti e differenza nei doveri
Alla base del suo ragionamento c’è la necessità di rovesciare quanto di meglio Auclert pensa di poter prendere dalla visione repubblicana della società (“Repubblica sociale”), senza forse cogliere fino in fondo che quella visione non si limitava a introdurre una vergognosa eccezione per la differenza sessuale, estromessa dallo spazio dell’uguaglianza formale, ma faceva molto di più, erigendo quella differenza a paradigma assoluto dell’alterità. Con le parole di Scott, nel repubblicanesimo liberale della Terza repubblica “la mascolinità [era] identificata con l’individualità, e la femminilità con l’alterità, in un’opposizione determinata, gerarchica, e immobile (il maschile d’altronde non era considerato come l’altro del femminile). L’individuo politico era dunque ritenuto allo stesso tempo universale e maschile; la donna non era un individuo, e ciò per due ragioni: essa era non identica all’essere umano, ed era quell’altro che confermava l’individualità dell’individuo (maschio)”, J.W. SCOTT, Only Paradoxes to Offer, p. 8.
E tuttavia la sua proposta resta centrale anche per gli ulteriori sviluppi del femminismo differenzalista (e non-‐maternalista) dell’epoca à MATERNITA’ SENZA MATERNALISMO Es. la femminista anarchica e neo-‐malthusiana Nelly Roussel, fondatrice del gruppo “La solidarité des femmes”. Dopo aver denunciato le «famiglie numerose» come una «calamità sociale», nel 1919 con lo scritto Posons nos conditions Roussel avrebbe condannato, da anti-‐ popolazionista coerente, la campagna di natalità a fini di ripopolamento postbellico («ripopolastreria» è il termine dispregiativo da lei coniato), perché di natalità e ripopolamento si parla «senza parlare di donne e di madri».
“[…] occorre proclamare che, se si vogliono figli, è a noi che ci si deve rivolgere; e che, ormai, non ne faremo […] che a certe condizioni! A condizione, in primo luogo, che ci venga data certezza di non contribuire più a ingrassare i campi di battaglia, a condizione che ci vengano date garanzie serie di pace – o meglio ancora, che ci si lasci assicurare noi stesse la Pace, attraverso la nostra partecipazione diretta alle questioni pubbliche. A condizione, in secondo luogo, che sia riconosciuto il nostro “diritto delle madri”, diritto naturale basato sui nostri doveri e sulle nostre pene e su cui troppo a lungo ha primeggiato il diritto artificiale e ingiustificabile del padre. A condizione inoltre che la maternità non sia più per noi causa di schiavitù, di umiliazione e di miseria ma diventi al contrario – per la sua assimilazione a una funzione sociale, la più onorata e meglio retribuita di tutte – fonte di benessere, di indipendenza e sicurezza. […] Sì, Signore! poniamo le nostre condizioni. E, se non vengono accettate… facciamo ciò che fanno tutti i lavoratori coscienti e degni, quando li si sfrutta, li si maltratta e li si sbeffeggia: facciamo sciopero. Lo sciopero dei ventri!”
Visione del film “Suffragette” di Sarah Gavron (2015)
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