LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA A.A. 2013 2014 POESIE E RACCONTI
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LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA A.A. 2013‐2014 POESIE E RACCONTI
Agli studenti Calma, per favore! Lo so che il fascicolo è corposo e che le sedici ore previste per il laboratorio, di cui dodici in aula e quattro occupate dallo svolgimento a casa di un compito dato, non consentiranno di prestare adeguata attenzione se non ad alcuni, pochi, dei testi qui raccolti. E dunque sgombriamo subito il campo da un possibile equivoco: delle poesie e dei racconti che vi proponiamo non vi sarà richiesta parafrasi o riassunto, né ci aspettiamo che impariate a conoscere vita morte e miracoli dei molti scrittori ai quali si è guardato. Ci basterà che osserviate le indicazioni fornite dal conduttore durante il primo incontro, e che leggiate i materiali anche di corsa, di sfuggita, per soffermarvi su quelli soltanto che più sono stati capaci di colpirvi, di toccarvi, di accendere il vostro interesse, di suscitare un’emozione, una riflessione, una domanda. Su quelli soltanto (per ogni partecipante o gruppo di partecipanti: non meno di tre e non più di cinque poesie, tratte da due sezioni diverse, non meno di due e non più di quattro racconti) verterà il laboratorio negli incontri successivi: dove a voi spetterà di argomentare le vostre scelte, al conduttore di individuare e privilegiare le opere più apprezzate, e a tutti di condividere un’esperienza attiva di lettura, analisi, interpretazione del testo. Un’esperienza mirata, in senso stretto, a favorire la comprensione dei dati costitutivi della comunicazione letteraria, dei meccanismi che la governano e che le permettono di sopravvivere all’usura del tempo, dei termini in cui si può e si deve configurare il rapporto fra autore e lettore. E un’esperienza intesa, in senso lato, a garantire la strumentazione di base per leggere bene, secondo cuore e secondo coscienza, in silenzio e a voce alta, e per rendersi conto dell’opportunità, o addirittura della necessità, di educare sé stessi per primi, e in futuro i bambini, a familiarizzare, a fare amicizia, con le rime e con le storie. Non sono sicura, anzi dubito molto, di avervi convinto. Ma confido, e anzi credo fermamente, che la partecipazione al laboratorio, il coinvolgimento concreto nelle sue attività, si presterà a dissipare i dubbi e le riserve che oggi, a freddo, probabilmente coltivate. E il mio invito, a laboratorio ultimato, è di conservare questo fascicolo, di tornare di quando in quando a sfogliarlo, di utilizzarlo, direi, come un servizio di primo intervento: per saggiare la varietà e la ricchezza della letteratura del Novecento, per avere accesso a opere e autori che non sempre trovano spazio nelle antologie scolastiche, per reperire materiali di qualità adatti anche, in alcuni casi, a un pubblico infantile. Perché è stato questo lo spirito con cui l’abbiamo concepito: abbondare nell’offerta, e diversificarne i contenuti, affinché ognuno potesse scegliere secondo il gusto e le esigenze, personali o professionali, del momento, affinché ognuno potesse cercare e trovare, nelle sue pagine, una ragione e uno stimolo per leggere oltre, per leggere altro, per leggere ancora. I testi sono stati ordinati, secondo la data della prima pubblicazione accertata, sotto il nome dei relativi autori; e gli autori, a loro volta, sono stati disposti secondo la generazione di appartenenza, dai nati nella seconda metà dell’Ottocento a quelli che hanno oggi, o avrebbero se fossero vissuti, l’età dei vostri nonni o genitori. L’accorgimento adottato, nella parte dedicata alla poesia, di distinguere gli autori fra “I padri fondatori”, “I classici” e “Altri classici”, ha una funzione puramente orientativa, di contrasto rispetto allo spaesamento che la quantità e l’eterogeneità dei materiali presentati potrebbe provocare. Ma attenzione a non dare per scontato ciò che scontato non è, a non cadere nell’inganno di pensare che un autore, narratore o poeta, coltivi sempre lo stesso orticello, e che la sua vena non si modifichi, di tanto o di poco, con lo scorrere del tempo o l’avvicendarsi delle occasioni. I racconti di Italo Calvino per esempio, come del resto i suoi romanzi, si declinano in molte differenti direzioni, memorialistica, fantastica, realistica; e quelli di Primo Levi, la cui fama si associa nel sapere comune al bellissimo e tragico Se questo è un uomo, sono esemplari nel ricreare, spesso e volentieri, atmosfere incantate e rarefatte, tra fiaba e fantascienza. Per non dire dei poeti, sperimentatori instancabili, tutti o quasi tutti, di forme e
generi diversi. Alfonso Gatto, per esempio, esordisce con una raccolta di poesie per bambini, che aggiorna e rivisita nei suoi anni più maturi dopo essersi fatto conoscere prima come poeta lirico e poi come cantore appassionato, epicamente intonato, della lotta contro il nazifascismo. E perfino Roberto Piumini, firma celeberrima della moderna letteratura per l’infanzia, ha sconfinato non di rado in territori riservati, scandirebbe una didascalia televisiva, “a un pubblico di soli adulti”: per limitarmi alla produzione in versi, e per citare non più di due titoli, ricordo L’amore in forma chiusa del 1997 e L’amore morale. Sonetti erotici del 2001. Insomma state in guardia, e non cedete alla tentazione di abboccare a etichette di comodo, a definizioni che pretendano di inchiodare l’immagine di un autore, e la prospettiva del suo immaginario, a uno soltanto dei molti aspetti di cui si compongono. Sarebbe un errore di cui potreste pentirvi: leggere per credere. L’assenza di un apparato di note, introduttive o esplicative, è puramente intenzionale, finalizzata a che la voce del testo vi arrivi forte, vi arrivi pulita, senza filtri e mediazioni preliminari. Il contributo dei conduttori, unitamente a quello delle lezioni del modulo istituzionale o della bibliografia collegata, sopperiranno comunque ai bisogni avvertiti. Grazie per la pazienza con cui mi avete seguito. Buona lettura e buon laboratorio! Giovanna Benvenuti
INDICE POESIE I PADRI FONDATORI Giovanni Pascoli 9 Dall’argine Il tuono La mia sera Gabriele D’Annunzio 11 La pioggia nel pineto I CLASSICI Guido Gozzano 14 La differenza Invernale Salvezza Umberto Saba 16 Città vecchia [Guarda là quella vezzosa] Donna Aldo Palazzeschi 18 Chi sono? Rio Bo Giuseppe Ungaretti 19 Veglia Sono una creatura San Martino del Carso Natale Soldati Mattina Eugenio Montale 22 I limoni [Meriggiare pallido e assorto] [Non recidere, forbice, quel volto] [Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale] Salvatore Quasimodo 25 Ed è subito sera Alle fronde dei salici Quasi un epigramma Sandro Penna 26 Nuotatore [Io vivere vorrei addormentato] [Il mare è tutto azzurro] [Era fermo per me. Ma senza stile] Leonardo Sinisgalli 27 San Babila [I fanciulli battono le monete rosse]
Alfonso Gatto 28 Consiglio spassionato Il 4 è rosso Per i martiri di Piazzale Loreto Attilio Bertolucci 30 La rosa bianca Pagina di diario Giorgio Caproni 31 Il mare brucia le maschere Sassate Le parole Antonia Pozzi 32 Sera d’aprile Rifugio Vittorio Sereni 33 [Non sa più nulla, è alto sulle ali] [Ahimè come ritorna] Dall’Olanda Mario Luzi 35 Notizie a Giuseppina dopo tanti anni La notte lava la mente Valerio Magrelli 36 [Essere matita è segreta ambizione] [Spesso c’è bonaccia sulla pagina] ALTRI CLASSICI Fosco Maraini 37 Il giorno a urlapicchio Ballo Toti Scialoja 38 [Una zanzara di Zanzibàr] [L’ippopota disse «Mo] [La zanzara, per decenza] [Un esercito di pulci] [Oh, formica!] [La rosa non è rossa] Gianni Rodari 39 I mari della luna Alla formica Nico Orengo 40 Un uccellino Roberto Piumini 41 Lo scrittore scrive scrive Fu il gioco del solletico. All’inizio
INDICE RACCONTI Federigo Tozzi Senza titolo 46 Dino Buzzati Il colombre 47 Cesare Pavese La fine d’agosto 52 Elsa Morante Il mondo Marte è cascato 54 Primo Levi Titanio 56 La grande mutazione 58 Beppe Fenoglio La sposa bambina 62 Italo Calvino Luna e Gnac 66 Il giardino incantato 71 L’avventura di due sposi 75 Luigi Malerba La erre 78 Storia del mondo dalle origini ai giorni nostri 79 Il vermetto nero nero 80 Il gioco dello scippo 81 Stefano Benni Shimizé 85 I quattro veli di Kulala 86 Giuseppe Pontremoli Autopresentazione 89 Marco Lodoli Ghigo Alberighi 90 Aldo Nove Marta Russo 93
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI POESIE 8
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI I PADRI FONDATORI GIOVANNI PASCOLI (1855‐1912) Edizione di riferimento G.Pascoli, Poesie, vol. I, Oscar Mondadori 1997 Dall’argine (Originariamente in Myricae, Giusti 1891, sezione In campagna) Posa il meriggio su la prateria. Non ala orma ombra nell’azzurro e verde, un fumo al sole biancica: via via fila e si perde. Ho nell’orecchio un turbinio di squilli, forse campani di lontana mandra: e, tra l’azzurro penduli, gli strilli della calandra. Il tuono (Originariamente in Myricae, Giusti 1891, sezione Tristezze) E nella notte nera come il nulla, a un tratto, col fragor d’arduo dirupo che frana, il tuono rimbombò di schianto: rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo, e tacque, e poi rimareggiò rinfranto, e poi vanì. Soave allora un canto s’udì di madre, e il moto d’una culla. La mia sera (Originariamente in Canti di Castelvecchio, Zanichelli, 1903) Il giorno fu pieno di lampi; ma ora verranno le stelle, le tacite stelle. Nei campi c'è un breve gre gre di ranelle. Le tremule foglie dei pioppi trascorre una gioia leggiera. Nel giorno, che lampi! che scoppi! Che pace, la sera! Si devono aprire le stelle nel cielo sì tenero e vivo. Là, presso le allegre ranelle, singhiozza monotono un rivo. Di tutto quel cupo tumulto, di tutta quell'aspra bufera, non resta che un dolce singulto nell'umida sera. E', quella infinita tempesta, finita in un rivo canoro. Dei fulmini fragili restano cirri di porpora e d'oro. 9
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI O stanco dolore, riposa! La nube nel giorno più nera fu quella che vedo più rosa nell'ultima sera. Che voli di rondini intorno! Che gridi nell'aria serena! La fame del povero giorno prolunga la garrula cena. La parte, sì piccola, i nidi nel giorno non l'ebbero intera. Nè io ... che voli, che gridi, mia limpida sera! Don ... Don ... E mi dicono, Dormi! mi cantano, Dormi! Sussurrano, Dormi! bisbigliano, Dormi! là, voci di tenebra azzurra ... Mi sembrano canti di culla, che fanno ch'io torni com'era ... sentivo mia madre ... poi nulla ... sul far della sera. 10
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI GABRIELE D’ANNUNZIO (1863‐1938) Edizione di riferimento G. D’Annunzio, Versi d’amore e di gloria, Mondadori 1982 La pioggia nel pineto (Originariamente in Alcyone, Libro terzo delle Laudi, pubblicato in unico volume con il Libro secondo, Elettra, per Treves 1903 ma in data editoriale 1904) Taci. Su le soglie del bosco non odo parole che dici umane; ma odo parole più nuove che parlano gocciole e foglie lontane. Ascolta. Piove dalle nuvole sparse. Piove su le tamerici salmastre ed arse, piove su i pini scagliosi ed irti, piove su i mirti divini, su le ginestre fulgenti di fiori accolti, su i ginepri folti di coccole aulenti, piove su i nostri vólti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, su i freschi pensieri che l’anima schiude novella, su la favola bella che ieri t’illuse, che oggi m’illude, o Ermione. Odi? La pioggia cade su la solitaria verdura con un crepitìo che dura e varia nell’aria secondo le fronde più rade, men rade. Ascolta. Risponde 11
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI al pianto il canto delle cicale che il pianto australe non impaura, né il ciel cinerino. E il pino ha un suono, e il mirto altro suono, e il ginepro altro ancóra, stromenti diversi sotto innumerevoli dita. E immersi noi siam nello spirto silvestre, d’arborea vita viventi; e il tuo volto ebro è molle di pioggia come una foglia, e le tue chiome auliscono come le chiare ginestre, o creatura terrestre che hai nome Ermione. Ascolta, ascolta. L’accordo delle aeree cicale a poco a poco più sordo si fa sotto il pianto che cresce; ma un canto vi si mesce più roco che di laggiù sale, dall’umida ombra remota. Più sordo e più fioco s’allenta, si spegne. Sola una nota ancor trema, si spegne, risorge, trema, si spegne. Non s’ode voce del mare. Or s’ode su tutta la fronda crosciare l’argentea pioggia che monda, il croscio che varia 12
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI secondo la fronda più folta, men folta. Ascolta. La figlia dell’aria è muta; ma la figlia del limo lontana, la rana, canta nell’ombra più fonda, chi sa dove, chi sa dove! E piove su le tue ciglia, Ermione. Piove su le tue ciglia nere sì che par tu pianga ma di piacere; non bianca ma quasi fatta virente, par da scorza tu esca. E tutta la vita è in noi fresca aulente, il cuor nel petto è come pèsca intatta, tra le pàlpebre gli occhi son come polle tra l’erbe, i denti negli alvèoli son come mandorle acerbe. E andiam di fratta in fratta, or congiunti or disciolti (e il verde vigor rude ci allaccia i mallèoli c’intrica i ginocchi) chi sa dove, chi sa dove! E piove su i nostri vólti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, su i freschi pensieri che l’anima schiude novella, su la favola bella che ieri m’illuse, che oggi t’illude, o Ermione. 13
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI I CLASSICI Guido Gozzano (1883‐1916) Edizione di riferimento G. Gozzano, Le poesie, a cura di E. Sanguineti, Einaudi 1990. La differenza (originariamente in La via del rifugio, Streglio 1907) Penso e ripenso: ‐ Che mai pensa l’oca gracidante alla riva del canale? Pare felice! Al vespero invernale protende il collo, giubilando roca. Salta starnazza si rituffa gioca: né certo sogna d’essere mortale né certo sogna il prossimo Natale né l’armi corruscanti della cuoca. ‐ O pàpera, mia candida sorella, tu insegni che la Morte non esiste: solo si muore da che s’è pensato. Ma tu non pensi. La tua sorte è bella! Ché l’esser cucinato non è triste, triste è il pensare d’esser cucinato. Invernale (originariamente in I colloqui, Treves 1911, nella prima sezione, intitolata Il giovenile errore) «... cri... i... i... i... i... icch»… l’incrinatura il ghiaccio rabescò, stridula e viva. «A riva!» Ognuno guadagnò la riva disertando la crosta malsicura. «A riva! A riva!...» Un soffio di paura disperse la brigata fuggitiva. «Resta!» Ella chiuse il mio braccio conserto, le sue dita intrecciò, vivi legami, alle mie dita. «Resta, se tu m’ami!» E sullo specchio subdolo e deserto soli restammo, in largo volo aperto, ebbri d’immensità, sordi ai richiami. Fatto lieve cosí come uno spetro, senza passato piú, senza ricordo, m’abbandonai con lei, nel folle accordo, 14
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI di larghe rote disegnando il vetro. Dall’orlo il ghiaccio fece cricch, piú tetro... dall’orlo il ghiaccio fece cricch, piú sordo... Rabbrividii cosí, come chi ascolti lo stridulo sogghigno della Morte, e mi chinai, con le pupille assorte, e trasparire vidi i nostri volti già risupini lividi sepolti... Dall’orlo il ghiaccio fece cricch, piú forte... Oh! Come, come, a quelle dita avvinto, rimpiansi il mondo e la mia dolce vita! O voce imperïosa dell’istinto! O voluttà di vivere infinita! Le dita liberai da quelle dita, e guadagnai la ripa, ansante, vinto... Ella sola restò, sorda al suo nome, rotando a lungo nel suo regno solo. Le piacque, alfine, ritoccare il suolo; e ridendo approdò, sfatta le chiome, e bella ardita palpitante come la procellaria che raccoglie il volo. Non curante l’affanno e le riprese dello stuolo gaietto femminile, mi cercò, mi raggiunse tra le file degli amici con ridere cortese: «Signor mio caro, grazie!» E mi protese la mano breve, sibilando: − Vile! − Salvezza (originariamente in I colloqui, Treves 1911, sezione Alle soglie) Vivere cinque ore? Vivere cinque età?... Benedetto il sopore che mi addormenterà… Ho goduto il risveglio dell’anima leggera: meglio dormire, meglio prima della mia sera. Poi che non ha ritorno il riso mattutino. La bellezza del giorno è tutta nel mattino. 15
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI UMBERTO SABA (1883‐1957) Edizione di riferimento U. Saba, Il Canzoniere, Einaudi 1961. Città vecchia [1910‐1912] (Originariamente in Coi miei occhi, Edizioni della «Voce» 1912; nel Canzoniere nella sezione Trieste e una donna) Spesso, per ritornare alla mia casa Prendo un’oscura via di città vecchia. Giallo in qualche pozzanghera si specchia Qualche fanale, e affollata è la strada. Qui tra la gente che viene che va Dall’osteria alla casa o al lupanare, dove son merci ed uomini il detrito di un gran porto di mare, io ritrovo, passando, l’infinito nell’umiltà. Qui prostituta e marinaio, il vecchio che bestemmia, la femmina che bega, il dragone che siede alla bottega del friggitore, la tumultuante giovane impazzita d’amore, sono tutte creature della vita e del dolore; s’agita in esse, come in me, il Signore. Qui degli umili sento in compagnia il mio pensiero farsi più puro dove più turpe è la via. [Guarda là quella vezzosa] (originariamente in L’amorosa spina, Libreria Antica e Moderna, 1921; nel Canzoniere nella sezione omonima) Guarda là quella vezzosa, guarda là quella smorfiosa. Si restringe nelle spalle, tiene il viso nello scialle. O qual mai castigo ha avuto? Nulla. Un bacio ha ricevuto. 16
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI Donna (originariamente in Parole, Carabba 1934; nel Canzoniere nella sezione omonima) Quand’eri giovinetta pungevi come una mora di macchia. Anche il piede t’era un’arma, o selvaggia. Eri difficile da prendere. Ancora giovane, ancora sei bella. I segni degli anni, quelli del dolore, legano l’anime nostre, una ne fanno. E dietro i capelli nerissimi che avvolgo alle mie dita, più non temo il piccolo bianco puntuto orecchio demoniaco. 17
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI ALDO PALAZZESCHI (1885‐1974) Edizione di riferimento A.Palazzeschi, Tutte le poesie, Mondadori 2002 Chi sono? (Originariamente come poesia d’apertura, a sé stante, in Poemi, pubblicato a spese dell’autore nel 1909) Sono forse un poeta? No, certo. Non scrive che una parola, ben strana, la penna dell’anima mia: «follìa». Son dunque un pittore? Neanche. Non ha che un colore la tavolozza dell’anima mia: «malinconìa». Un musico, allora? Nemmeno. Non c’è che una nota nella tastiera dell’anima mia: «nostalgìa». Son dunque … che cosa? Io metto una lente davanti al mio cuore per farlo vedere alla gente. Chi sono? Il saltimbanco dell’anima mia. Rio Bo (originariamente in Poemi 1909, sezione Piccoli paesi e paesi in grande) Tre casettine dai tetti aguzzi, un verde praticello, un esiguo ruscello: Rio Bo, un vigile cipresso. Microscopico paese, è vero, paese da nulla, ma però... c'è sempre di sopra una stella, una grande, magnifica stella, che a un dipresso... occhieggia con la punta del cipresso di Rio Bo. Una stella innamorata? Chi sa se nemmeno ce l'ha una grande città. 18
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI GIUSEPPE UNGARETTI (1888‐1970) Edizione di riferimento G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Mondadori 1969. Veglia (Originariamente in Il porto sepolto, Stabilimento Tipografico Friulano, 1916) Un’intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato con la sua bocca digrignata volta al plenilunio con la congestione delle sue mani penetrata nel mio silenzio ho scritto lettere piene d’amore. Non sono mai stato tanto attaccato alla vita. Cima Quattro il 23 dicembre 1915 Sono una creatura (Originariamente in Il porto sepolto, Stabilimento Tipografico Friulano, 1916) Come questa pietra del San Michele così fredda così dura così prosciugata così refrattaria così totalmente disanimata Come questa pietra è il mio pianto che non si vede La morte si sconta vivendo. Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916 19
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI San Martino del Carso (originariamente in San Martino del Carso (originariamente in Il porto sepolto, Stabilimento Tipografico Friulano, Allegria di naufragi, Vallecchi 1919, sezione Il porto 1916.) sepolto) Di queste case Di queste case non c’è rimasto non è rimasto che qualche che qualche brandello di muro brandello di muro esposto all’aria Di tanti Di tanti che mi corrispondevano che mi corrispondevano non è rimasto non m’è rimasto neppure tanto neppure tanto nei cimiteri Ma nel cuore Ma nel mio cuore nessuna croce manca nessuna croce manca Innalzata di sentinella È il mio cuore e che? il paese più straziato Sono morti cuore malato Perché io guardi al mio cuore Valloncello dell’Albero Isolato il 27 agosto come a uno straziato paese 1916 qualche volta Valloncello dell’Albero Isolato il 27 agosto 1916 Natale (Originariamente in Allegria di naufragi, Vallecchi 1919, sezione Naufragi) Non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di strade Ho tanta stanchezza sulle spalle Lasciatemi così come una cosa posata in un angolo e dimenticata Qui non si sente 20
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI altro che il caldo buono Sto con le quattro capriole di fumo del focolare Napoli il 26 dicembre 1916 Soldati (originariamente in Allegria di naufragi, Vallecchi, 1919, sezione Girovago) Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie Bosco di Courton luglio 1918 Mattina (originariamente in Allegria di naufragi, Vallecchi 1919, sezione Naufragi) M’illumino d’immenso. 21
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI EUGENIO MONTALE (1896‐1981) Edizione di riferimento E. Montale, L’opera in versi, Einaudi 1980. I limoni (originariamente in Ossi di seppia, Gobetti 1925, sezione Movimenti) Ascoltami, i poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti. Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi fossi dove in pozzanghere mezzo seccate agguantano i ragazzi qualche sparuta anguilla: le viuzze che seguono i ciglioni, discendono tra i ciuffi delle canne e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni. Meglio se le gazzarre degli uccelli si spengono inghiottite dall’azzurro: più chiaro si ascolta il susurro dei rami amici nell’aria che quasi non si muove, e i sensi di quest’odore che non sa staccarsi da terra e piove in petto una dolcezza inquieta. Qui delle divertite passioni per miracolo tace la guerra, qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza ed è l’odore dei limoni. Vedi, in questi silenzi in cui le cose s’abbandonano e sembrano vicine a tradire il loro ultimo segreto, talora ci si aspetta di scoprire uno sbaglio di Natura, il punto morto del mondo, l’anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità. Lo sguardo fruga d’intorno, la mente indaga accorda disunisce nel profumo che dilaga quando il giorno più languisce. Sono i silenzi in cui si vede in ogni ombra umana che si allontana qualche disturbata Divinità. Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra 22
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase. La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta il tedio dell’inverno sulle case, la luce si fa avara ‐ amara l’anima. Quando un giorno da un malchiuso portone tra gli alberi di una corte ci si mostrano i gialli dei limoni; e il gelo dei cuore si sfa, e in petto ci scrosciano le loro canzoni le trombe d’oro della solarità. [Meriggiare pallido e assorto] (originariamente in Ossi di seppia, Gobetti 1925, sezione Ossi di seppia) Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d'orto, ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi. Nelle crepe dei suolo o su la veccia spiar le file di rosse formiche ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano a sommo di minuscole biche. Osservare tra frondi il palpitare lontano di scaglie di mare mentre si levano tremuli scricchi di cicale dai calvi picchi. E andando nel sole che abbaglia sentire con triste meraviglia com'è tutta la vita e il suo travaglio in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia. [Non recidere, forbice, quel volto] (originariamente in Le Occasioni, Einaudi 1939, sezione Mottetti) Non recidere, forbice, quel volto, solo nella memoria che si sfolla, non far del grande suo viso in ascolto la mia nebbia di sempre. 23
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI Un freddo cala... Duro il colpo svetta. E l'acacia ferita da sé scrolla il guscio di cicala nella prima belletta di Novembre. [Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale] (originariamente in Satura, Mondadori 1971, sezione Xenia II) Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. Il mio dura tuttora, né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede. Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue. 24
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI SALVATORE QUASIMODO (1901‐1968) Edizione di riferimento S.Quasimodo, Tutte le poesie, Mondadori 1966 Ed è subito sera (originariamente in Acque e terre (1920‐1929), Edizioni di Solaria 1930) Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera. Alle fronde dei salici (originariamente in Giorno dopo giorno, Mondadori 1947) E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore, fra i morti abbandonati nelle piazze sull’erba dura di ghiaccio, al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese, oscillavano lievi al triste vento. Quasi un epigramma (originariamente in La terra impareggiabile, Mondadori 1958) Il contorsionista nel bar, melanconico e zingaro, si alza di colpo da un angolo e invita a un rapido spettacolo. Si toglie la giacca e nel maglione rosso curva la schiena a rovescio e afferra come un cane un fazzoletto sporco con la bocca. Ripete per due volte il ponte scamiciato e poi s’inchina col suo piatto di plastica. Augura con gli occhi di furetto un bel colpo alla Sisal e scompare. La civiltà dell’atomo è al suo vertice. 25
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI SANDRO PENNA (1906‐1977) Edizione di riferimento S. Penna, Poesie, Garzanti 19971 Nuotatore [1927‐1938] Dormiva…? Poi si tolse e si stirò. Guardò con occhi lenti l’acqua. Un guizzo il suo corpo. Così lasciò la terra. [Io vivere vorrei addormentato] [1927‐1938] Io vivere vorrei addormentato entro il dolce rumore della vita. [Il mare è tutto azzurro] [1927‐1938] Il mare è tutto azzurro. il mare è tutto calmo. nel cuore è quasi un urlo di gioia. E tutto è calmo [Era fermo per me. Ma senza stile] [1938‐1955] Era fermo per me. Ma senza stile forse baciai quelle sue labbra rosse. Improvviso e leggero egli si mosse come si muove il vento entro l’aprile. 1 Una prima raccolta delle Poesie di Penna ebbe edizione per Parenti nel 1939, una seconda accresciuta per Garzanti nel 1957, una terza, con il titolo Tutte le poesie, riassuntiva dei testi editi e inediti allora conosciuti, per Garzanti 1970. L’edizione Garzanti 1997 si ritiene comprensiva dell’intera produzione in versi dell’autore. 26
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI LEONARDO SINISGALLI (1908‐1981) Edizione di riferimento L. Sinisgalli, Ellisse. Poesie 1932‐1972, Mondadori 1974. San Babila (originariamente in L. Sinisgalli, Vidi le muse, Mondadori 1943) Trascina il vento della sera attaccate agli ombrelli a colore le piccole fioraie che strillano gaie nelle maglie. Come rondini alle grondaie resteranno sospese nell’aria le venditrici di dalie ora che il vento della sera gonfia gli ombrelli a mongolfiera. [I fanciulli battono le monete rosse] (originariamente in L. Sinisgalli, Vidi le muse, Mondadori 1943) I fanciulli battono le monete rosse contro il muro. (Cadono distanti per terra con dolce rumore.) Gridano a squarciagola in un fuoco di guerra. Si scambiano motti superbi e dolcissime ingiurie. La sera incendia le fronti, infuria i capelli. Sulle selci calda è come sangue. Il piazzale torna calmo. Una moneta battuta si posa Vicino all'altra alla misura di un palmo. Il fanciullo preme sulla terra la sua mano vittoriosa. 27
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI ALFONSO GATTO (1909‐1976) Edizione di riferimento A. Gatto, Tutte le poesie, Mondadori 2005. Consiglio spassionato (originariamente in Il sigaro di fuoco. Poesie per bambini, Bompiani 1945, volume poi ripubblicato, accresciuto e corredato da illustrazioni e da un disco con la voce recitante dell’autore, con il titolo Il vaporetto, La Nuova Accademia 1963. L’ultima edizione del Vaporetto, con CD audio, è Mondadori 2001) Non date retta al re, non date retta a me. Chi v'inganna si fa sempre più alto d'una spanna, mette sempre un berretto, incede eretto con tante medaglie sul petto. Non date retta al saggio al maestro del villaggio al maestro della città a chi vi dice che sa. Sbagliate soltanto da voi come i cavalli, come i buoi, come gli uccelli, i pesci, i serpenti che non hanno monumenti e non sanno mai la storia. Chi vive è senza gloria. Il 4 è rosso (originariamente in Poesie d’amore (1941‐1949), prima sezione di Poesie d’amore, Mondadori 1973) Dentro la bocca ha tutte le vocali il bambino che canta. La sua gioia come la giacca azzurra, come i pali netti del cielo, s’apre all’aria, è il fresco della faccia che porta. Il 4 è rosso come i numeri grandi delle navi. 28
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI Per i martiri di Piazzale Loreto (originariamente in Il capo sulla neve (1943‐1947), raccolta di liriche sulla Resistenza comparse in un quaderno venduto in allegato al quotidiano “Milano Sera”)2 Ed era l’alba, poi tutto fu fermo la città, il cielo, il fiato del giorno. rimasero i carnefici soltanto vivi davanti ai morti. Era silenzio l’urlo del mattino, silenzio il cielo ferito: un silenzio di case, di Milano. Restarono bruttati anche di sole, sporchi di luce e l’uno all’altro odiosi, gli assassini venduti alla paura. Era l’alba e dove fu lavoro, ove il piazzale era la gioia accesa della città migrante alle sue luci da sera a sera, ove lo stesso strido dei tram era saluto al giorno, al fresco viso dei vivi, vollero il massacro perché Milano avesse alla sua soglia confusi tutti in uno stesso cuore i suoi figli promessi e il vecchio cuore forte e ridesto, stretto come un pugno. Ebbi il mio cuore, ed anche il vostro cuore, il cuore di mia madre e dei miei figli di tutti i vivi uccisi in un istante, per quei morti mostrati lungo il giorno alla luce d’estate, a un temporale di nuvole roventi. Attesi il male come un fuoco fulmineo, come l’acqua scrosciante di vittoria, udii il tuono d’un popolo ridesto dalle tombe. Io vidi il nuovo giorno che a Loreto sopra la rossa barricata i morti saliranno per primi, ancora in tuta e col petto discinto, ancora vivi di sangue e di ragioni. Ed ogni giorno, ogni ora eterna brucia a questo fuoco, ogni alba ha il petto offeso da quel piombo degli innocenti fulminati al muro. 2 La poesia fa riferimento all’eccidio di Piazzale Loreto del 10 agosto 1944: quindici tra partigiani e antifascisti, prelevati dal carcere di San Vittore, furono fucilati per ordine dei tedeschi dai militi della legione “Ettore Muti”, che per rinforzare l’azione dimostrativa lasciarono esposti al pubblico i loro cadaveri. 29
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI ATTILIO BERTOLUCCI (1911‐2000) Edizione di riferimento A.Bertolucci, Le poesie, Garzanti 2009 La rosa bianca (Originariamente in Fuochi in novembre, Minardi, 1934) Coglierò per te L’ultima rosa del giardino, la rosa bianca che fiorisce nelle prime nebbie. Le avide api l’hanno visitata sino a ieri, ma è ancora così dolce che fa tremare. È un ritratto di te a trent’anni, un po’ smemorata, come tu sarai allora. Pagina di diario (Originariamente in Fuochi in novembre, Minardi, 1934) A Bologna, alla Fontanina, un cameriere furbo e liso senza parlare, con un sorriso, aprì per noi una porticina. La stanza vuota e assolata dava su un canale per cui silenziosa, uguale, una flotta d’anatre navigava. Un vino d’oro splendeva nei bicchieri Che ci inebbriò; l’amore, nei tuoi occhi neri, fuoco in una radura, s’incendiò. 30
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI GIORGIO CAPRONI (1912‐1990) Edizione di riferimento G. Caproni , L’opera in versi, Meridiani Mondadori 2009 Il mare brucia le maschere ( Originariamente in Cronistoria, Vallecchi 1943, sezione E lo spazio era un fuoco) Il mare brucia le maschere, le incendia il fuoco del sale. Uomini pieni di maschere avvampano sul litorale. Tu sola potrai resistere nel rogo del Carnevale. Tu sola che senza maschere nascondi l’arte di esistere. Sassate (Originariamente in Il muro della terra, Garzanti 1975, sezione Lilliput e Andantino) Ho provato a parlare. Forse, ignoro la lingua. Tutte frasi sbagliate. Le risposte: sassate. Le parole (Originariamente in Il franco cacciatore, Garzanti 1982 , sezione Occhiello) Le parole. Già. Dissolvono l’oggetto. Come la nebbia gli alberi, il fiume: il traghetto. 31
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI ANTONIA POZZI (1912‐1938) Edizione di riferimento A. Pozzi, Parole, Garzanti 2004. Sera d’aprile (originariamente in Parole, Mondadori 1939) Batte la luna soavemente di là dai vetri sul mio vaso di primule: senza vederla la penso come una grande primula anch’essa stupita sola nel prato azzurro del cielo. Milano, 1° aprile 1931 Rifugio (originariamente in Parole, Mondadori 1939) Nebbie. E il tonfo dei sassi dentro i canali. Voci d’acqua giù dai nevai di notte. Tu stendi una coperta per me sul pagliericcio: con le tue mani dure me l’avvolgi alle spalle, lievemente, che non mi prenda il freddo. Io penso al grande mistero che vive in te, oltre il tuo piano gesto; al senso di questa nostra fratellanza umana senza parole, tra le immense rocce dei monti. E forse ci sono più stelle e segreti e insondabili vie tra noi, nel silenzio, che in tutto il cielo disteso al di là della nebbia. Breil, 9 agosto 1934. 32
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI VITTORIO SERENI (1913‐1983) Edizione di riferimento V. Sereni, Poesie, Einaudi 2002. [Non sa più nulla, è alto sulle ali] (originariamente in Diario d’Algeria, Vallecchi 1947, sezione Diario d’Algeria) Non sa più nulla, è alto sulle ali il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna. Per questo qualcuno stanotte mi toccava la spalla mormorando di pregar per l’Europa mentre la Nuova Armada si presentava alla costa di Francia. Ho risposto nel sonno: ‐ È il vento, il vento che fa musiche bizzarre. Ma se tu fossi davvero il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna prega tu se lo puoi, io sono morto alla guerra e alla pace. Questa è la musica ora: delle tende che sbattono sui pali. Non è musica d’angeli , è la mia Sola musica e mi basta. ‐ Campo Ospedale 127, giugno 1944 [Ahimè come ritorna] (originariamente in Diario d’Algeria, Vallecchi 1947, sezione Diario d’Algeria) Ahimè come ritorna sulla frondosa a mezzo luglio collina d’Algeria di te nell’alta erba riversa non ingenua la voce e nemmeno perversa che l’afa lamenta e la bocca feroce ma rauca un poco e tenera soltanto. Saint Cloud, luglio 1944 33
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI Dall’Olanda (originariamente in Gli strumenti umani, Einaudi 1965, sezione Apparizioni o incontri) Amsterdam A portarmi fu il caso tra le nove e le dieci d’una domenica mattina svoltando a un ponte, uno dei tanti, a destra lungo il semigelo d’un canale. E non questa è la casa, ma soltanto ‐mille volte già vista – sul cartello dimesso «Casa di Anna Frank». Disse più tardi il mio compagno: quella di Anna Frank non dev’ essere, non è, privilegiata memoria. Ce ne furono tanti che crollarono per sola fame senza il tempo di scriverlo. Lei, è vero, lo scrisse. Ma a ogni svolta a ogni ponte lungo ogni canale continuavo a cercarla senza trovarla più ritrovandola sempre. Per questo è una e insondabile Amsterdam nei suoi tre quattro variabili elementi che fonde in tante unità ricorrenti, nei suoi tre quattro fradici o acerbi colori che quanto è grande il suo spazio perpetua, anima che s’irraggia ferma e limpida in migliaia d’altri volti, germe dovunque e germoglio di Anna Frank. Per questo è sui suoi canali vertiginosa Amsterdam. 34
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI MARIO LUZI (1914‐2005) Edizione di riferimento M.Luzi, Poesie, Mondadori 1998 Notizie a Giuseppina dopo tanti anni (originariamente in Primizie del deserto, Schwarz 1952) Che speri, che ti riprometti, amica, se torni per così cupo viaggio fin qua dove nel sole le burrasche hanno una voce altissima abbrunata, di gelsomino odorano e di frane? Mi trovo qui a questa età che sai, né giovane né vecchio, attendo, guardo questa vicissitudine sospesa; non so più quel che volli o mi fu imposto, entri nei miei pensieri e n'esci illesa. Tutto l'altro che deve essere è ancora, il fiume scorre, la campagna varia, grandina, spiove, qualche cane latra esce la luna, niente si riscuote, niente dal lungo sonno avventuroso. La notte lava la mente (originariamente in Onore del vero, Pozza 1957) La notte lava la mente. Poco dopo si è qui come sai bene, file d’anime lungo la cornice, chi pronto al balzo, chi quasi in catene. Qualcuno sulla pagina del mare Traccia un segno di vita, figge un punto. Raramente qualche gabbiano appare. 35
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI VALERIO MAGRELLI (1957) Edizione di riferimento V.Magrelli, Poesie (1980‐1992) e Altre poesie, Einaudi 1996. [Essere matita è segreta ambizione] (originariamente in Ora serrata retinae, Feltrinelli 1980) Essere matita è segreta ambizione. Bruciare sulla carta lentamente e nella carta restare in altra nuova forma suscitato. Diventare così da carne segno, da strumento ossatura esile del pensiero. Ma questa dolce eclissi della materia non sempre è concessa. C’è chi tramonta solo col suo corpo: allora più doloroso ne è distacco. [Spesso c’è bonaccia sulla pagina] (originariamente in Ora serrata retinae, Feltrinelli 1980) Spesso c’è bonaccia sulla pagina. Inutile girarla per cercare l’angolo del vento. Si sta fermi, il pensiero oscilla, si riparano le cose che la navigazione ha guastato. 36
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI ALTRI CLASSICI FOSCO MARAINI (1912‐2004) Edizione di riferimento F. Maraini, Gnosi delle Fànfole, Baldini & Castoldi, 2007. Il giorno a urlapicchio (originariamente in Le Fànfole, De Donato, 1966) Ci son dei giorni smègi e lombidiosi col cielo dagro e un fònzero gongruto ci son meriggi gnàlidi e budriosi che plògidan sul mondo infrangelluto, ma oggi è un giorno a zìmpagi e zirlecchi un giorno tutto gnacchi e timparlini, le nuvole buzzìllano, i bernecchi ludèrchiano coi fèrnagi tra i pini; è un giorno per le vànvere, un festicchio un giorno carmidioso e prodigiero, è il giorno a cantilegi, ad urlapicchio in cui m’hai detto «t’amo per davvero». Ballo (originariamente in Le Fànfole, De Donato, 1966) Vortègida e festuglia o dulcibana e sdrìllera che sdràllero! Sul fizio la musica ci zùnfrega e ci sdrana con tròdige buriagico e rubizio. Lo sai che gli occhi gneschi e turchidiosi son come abissi vèlvoli e maligi? Lo sai che nei bluàgnoli miriosi tracàcero con lèfane deligi? Ah sdrìllera che sdràllero, mumurra parole lampigiane ed umbralìe, t’ascolto lucifuso nell’azzurra voragine d’un’alba di bugie. 37
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI TOTI SCIALOJA (1914‐1998) Edizione di principale riferimento T.Scialoja, Versi del senso perso, Einaudi 2009; per La rosa non è rossa si veda invece T.Scialoja, Poesie (1979‐1998), Garzanti, 2002. Una zanzara di Zanzibàr (originariamente in Amato topino caro, Bompiani 1971) andava a zonzo, entrò in un bar, ‘Zuzzerellona!’ le disse un tal ‘mastica zenzero se hai mal di mar’”. ____ L’ippopota disse «Mo (originariamente in Amato topino caro, Bompiani 1971) nella mota ho il mio popò!» ____ La zanzara, per decenza, (originariamente in Una vespa! Che spavento, Einaudi 1975) ha una tunica d’organza, quando è sbronza vola senza a zig zag per la Brianza. ____ Un esercito di pulci (originariamente in La stanza la stizza l’astuzia, Cooperativa Scrittori 1976) sta passando in treno merci, quando grido: “ Arrivederci! “ fanno tutte gli occhi dolci. ____ Oh, formica! (originariamente in Ghiro ghiro tonto, Stampatori 1979) Quanto è antica e nemica la fatica nell’ortica. Ma tu vuoi che non si dica. ____ La rosa non è rossa (originariamente in Violini del diluvio, Mondadori, 1991) è appena rosa ‐ è senza tinta se a tratti è scossa dal sussulto della tua assenza che non chiede colore non misura distanza ‐ è soltanto dolore in qualche angolo della stanza. 38
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI GIANNI RODARI (1920‐1980) Edizione di riferimento G.Rodari, Filastrocche in cielo e in terra, Einaudi 1996 I mari della luna (originariamente in Filastrocche in cielo e in terra, Einaudi 1960) Nei mari della luna tuffi non se ne fanno; non c’è una goccia d’acqua, pesci non ce ne stanno. Che magnifico mare per chi non sa nuotare. Alla formica (originariamente in Filastrocche in cielo e in terra, Einaudi 1960) Chiedo scusa alla favola antica se non mi piace l’avara formica. Io sto dalla parte della cicala Che il più bel canto non vende: regala. 39
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI NICO ORENGO (1944‐2009) Edizione di riferimento N.Orengo, A‐Ulì‐Ulé. Filastrocche, Conte, Ninnenanne, Einaudi 1998 Un uccellino (originariamente in A‐Ulì‐Ulé, Einaudi, 1972) Nella grande città, c’è una strada; nella strada, c’è una casa, nella casa una scala, in cima alla scala, una stanza; in mezzo alla stanza, una tavola; sulla tavola, un tappeto; sul tappeto, una gabbia; nella gabbia, un nido; nel nido, un uovo; nell’uovo, un uccellino. L’uccellino uscì fuori dell’uovo e lo rovesciò; l’uovo rovesciò il nido; il nido rovesciò la gabbia; la gabbia rovesciò il tappeto; il tappeto rovesciò la tavola; la tavola rovesciò la stanza; la stanza rovesciò la scala; la scala rovesciò la casa; la casa rovesciò la strada; la strada rovesciò la grande città. Così un uccellino rovesciò un’intera città. 40
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI ROBERTO PIUMINI (1947) Lo scrittore scrive scrive (in C’era un bambino profumato di latte, Mondadori 1980, poi con CD audio Mondadori 2011) Lo scrittore scrive scrive scrive dieci cento ore ma chi scrive allo scrittore? Scrive versi scrive strofe ma dal tetto giù gli piove. Scrive in prosa scrive in rima ma nessuno gli cucina. Scrive frasi cento a cento ma di fuori gli entra il vento. Scrive a penna scrive a biro ma non ha nessuno in giro. Scrive lento scrive in fretta ma si è spenta la stufetta. Lo scrittore scrive scrive dieci cento mille ore ma chi scrive allo scrittore? Fu il gioco del solletico. All’inizio (in L’amore morale, Il Melangolo 2001) Fu il gioco del solletico, all’inizio: ridevi e mi sfuggivi come un gatto: era una danza fatta a precipizio, un ritmo regolare e contraffatto. 41
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI Poi, progressivamente, tu cedesti senza tentare più quelle tue fughe: più ferma, ti chinasti, ti chiudesti come usano ricci e tartarughe. Ma io cambiai solletico, pietoso, mutando tocco e variando zone, e tu ridevi in modo più goloso, ridevi nella gola un’emozione che poi divenne rantolo gioioso e durò molto, e fu lunga canzone. 42
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI 44
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI RACCONTI 45
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI FEDERIGO TOZZI (1883 – 1920) SENZA TITOLO [Il lettore e l’orso] In Bestie, Treves 1917 (qui Le Lettere 2011) Da ragazzo, mi compravo pochi libri. Mio padre voleva ch’io non leggessi; e, con la scusa che mi sarei sciupato gli occhi, non cavava mai un soldo in tasca. Quei cinque o sei che avevo, li tenevo insieme con la biancheria; e m’avveniva che, quando tiravo il cassetto per prendere una camicia o altro, ne aprivo uno e leggevo senza muoverlo dal suo posto. Ma, un capodanno, la mia donna si decise a comprarmi per regalo, avendo io insistito fin da un mese prima, quel libro del Verne che si chiama Nel paese delle pellicce. Io cominciai a leggerlo, ma non andavo mai in fondo; perché tornavo sempre alla pagine a dietro. Finalmente, dopo un tre mesi, giunsi all’ultima pagina come se quelle avventure fossero toccate a me. E più d’ogni altra cosa, forse, mi rimase a mente una figura dov’era un orso che voleva entrare dentro una capanna. Tutte le volte che ho visto orsi veri, ho sempre pensato a quello; e come, guardandolo, per un bel pezzo mi scuotevo e mi smuovevo tutto. 46
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI DINO BUZZATI (1906–1972) IL COLOMBRE (su rivista 1961) In Il Colombre, Mondadori, 1966 (qui Mondadori 1991) Quando Stefano Roí compí i dodici anni, chiese in regalo a suo padre, capitano di mare e padrone di un bel veliero, che lo portasse con sé a bordo. «Quando sarò grande» disse «voglio andar per mare come te. E comanderò delle navi ancora più belle e grandi della tua.» «Che Dio ti benedica, figliolo» rispose il padre. E siccome proprio quel giorno il suo bastimento doveva partire, portò il ragazzo con sé. Era una giornata splendida di sole; e il mare tranquillo. Stefano, che non era mai stato sulla nave, girava felice in coperta, ammirando le complicate manovre delle vele. E chiedeva di questo e di quello ai marinai che, sorridendo, gli davano tutte le spiegazioni. Come fu giunto a poppa, il ragazzo si fermò, incuriosito, a osservare una cosa che spuntava a intermittenza in superficie, a distanza di due‐trecento metri, in corrispondenza della scia della nave. Benché il bastimento già volasse, portato da un magnifico vento al giardinetto, quella cosa manteneva sempre la distanza. E, sebbene egli non ne comprendesse la natura, aveva qualcosa di indefinibile, che lo attraeva intensamente. Il padre, non vedendo Stefano più in giro, dopo averlo chiamato a gran voce invano, scese dalla plancia e andò a cercarlo. «Stefano, che cosa fai lì impalato?» gli chiese scorgendolo infine a poppa, in piedi, che fissava le onde. «Papà, vieni qui a vedere.» Il padre venne e guardò anche lui, nella direzione indicata dal ragazzo, ma non riuscì a vedere niente. «C’è una cosa scura che spunta ogni tanto dalla scia» disse «e che ci viene dietro.» «Nonostante i miei quarant’anni» disse il padre «credo di avere ancora una vista buona. Ma non vedo assolutamente niente.» Poiché il figlio insisteva, andò a prendere il cannocchiale e scrutò la superficie del mare, in corrispondenza della scia. Stefano lo vide impallidire. «Cos’è? Perché fai quella faccia?» 47
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI «Oh, non ti avessi ascoltato» esclamò il capitano. « Io adesso temo per te. Quella cosa che tu vedi spuntare dalle acque e che ci segue, non è una cosa. Quello è un colombre. È il pesce che i marinai sopra tutti temono, in ogni mare del mondo. È uno squalo tremendo e misterioso, più astuto dell’uomo. Per motivi che forse nessuno saprà mai, sceglie la sua vittima, e quando l’ha scelta la insegue per anni e anni, per una intera vita, finché è riuscito a divorarla. E lo strano è questo: che nessuno riesce a scorgerlo se non la vittima stessa e le persone del suo stesso sangue.» «Non è una favola?» «No. Io non l’avevo mai visto. Ma dalle descrizioni che ho sentito fare tante volte, l’ho subito riconosciuto. Quel muso da bisonte, quella bocca che continuamente si apre e chiude, quei denti terribili. Stefano, non c’è dubbio, purtroppo, il colombre ha scelto te e finché tu andrai per mare non ti darà pace. Ascoltami: ora noi torniamo subito a terra, tu sbarcherai e non ti staccherai mai più dalla riva, per nessuna ragione al mondo. Me lo devi promettere. Il mestiere del mare non è per te, figliolo. Devi rassegnarti. Del resto, anche a terra potrai fare fortuna.» Ciò detto, fece immediatamente invertire la rotta, rientrò in porto e, col pretesto di un improvviso malessere, sbarcò il figliolo. Quindi ripartì senza di lui. Profondamente turbato, il ragazzo restò sulla riva finché l’ultimo picco dell’alberatura sprofondò dietro l’orizzonte. Di là dal molo che chiudeva il porto, il mare restò completamente deserto. Ma, aguzzando gli sguardi, Stefano riuscì a scorgere un puntino nero che affiorava a intermittenza dalle acque: il "suo" colombre, che incrociava lentamente su e giù, ostinato ad aspettarlo. Da allora il ragazzo con ogni espediente fu distolto dal desiderio del mare. Il padre lo mandò a studiare in una città dell’interno, lontana centinaia di chilometri. E per qualche tempo, distratto dal nuovo ambiente, Stefano non pensò più al mostro marino. Tuttavia, per le vacanze estive, tornò a casa e per prima cosa appena ebbe un minuto libero, si affrettò a raggiungere l’estremità del molo, per una specie di controllo, benché in fondo lo ritenesse superfluo. Dopo tanto tempo, il colombre, ammesso anche che tutta la storia narratagli dal padre fosse vera, aveva certo rinunciato all’assedio. Ma Stefano rimase là, attonito, col cuore che gli batteva. A distanza di due‐trecento metri dal molo, nell’aperto mare, il sinistro pesce andava su e giù, lentamente, ogni tanto sollevando il muso dall’acqua e volgendolo a terra, quasi con ansia guardasse se Stefano Roi finalmente veniva. Così, l’idea di quella creatura nemica che lo aspettava giorno e notte 48
LABORATORIO DI LETTERATURA ITALIANA PROF.SSA GIOVANNA BENVENUTI divenne per Stefano una segreta ossessione. E anche nella lontana città gli capitava di svegliarsi in piena notte con inquietudine. Egli era al sicuro, sì, centinaia di chilometri lo separavano dal colombre. Eppure egli sapeva che, di là dalle montagne, di là dai boschi, di là dalle pianure, lo squalo era ad aspettarlo. E, si fosse egli trasferito pure nel più remoto continente, ancora il colombre si sarebbe appostato nello specchio di mare più vicino, con l’inesorabile ostinazione che hanno gli strumenti del fato. Stefano, ch’era un ragazzo serio e volonteroso, continuò con profitto gli studi e, appena fu uomo, trovò un impiego dignitoso e rimunerativo in un emporio di quella città. Intanto il padre venne a morire per malattia, il suo magnifico veliero fu dalla vedova venduto e il figlio si trovò ad essere erede di una discreta fortuna. Il lavoro, le amicizie, gli svaghi, i primi amori: Stefano si era ormai fatto la sua vita, ciononostante il pensiero del colombre lo assillava come un funesto e insieme affascinante miraggio; e, passando i giorni, anziché svanire, sembrava farsi più insistente. Grandi sono le soddisfazioni di una vita laboriosa, agiata e tranquilla, ma ancora più grande è l’attrazione dell’abisso. Aveva appena ventidue anni Stefano, quando, salutati gli amici della città e licenziatosi dall’impiego, tornò alla città natale e comunicò alla mamma la ferma intenzione di seguire il mestiere paterno. La donna, a cui Stefano non aveva mai fatto parola del misterioso squalo, accolse con gioia la sua decisione. L’avere il figlio abbandonato il mare per la città le era sempre sembrato, in cuor suo, un tradimento alle tradizioni di famiglia. E Stefano cominciò a navigare, dando prova di qualità marinare, di resistenza alle fatiche, di animo intrepido. Navigava, navigava, e sulla scia del suo bastimento, di giorno e di notte, con la bonaccia e con la tempesta, arrancava il colombre. Egli sapeva che quella era la sua maledizione e la sua condanna, ma proprio per questo, forse, non trovava la forza di staccarsene. E nessuno a bordo scorgeva il mostro, tranne lui. «Non vedete niente da quella parte?» chiedeva di quando in quando ai compagni, indicando la scia. «No, noi non vediamo proprio niente. Perché?» «Non so. Mi pareva...» «Non avrai mica visto per caso un colombre» facevano quelli, ridendo e toccando ferro. «Perché ridete? Perché toccate ferro?» «Perché il colombre è una bestia che non perdona. E se si mettesse a seguire questa nave, vorrebbe dire che uno di noi è perduto.» Ma Stefano non mollava. La ininterrotta minaccia che lo incalzava pareva anzi 49
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