La traduzione d'autore. Prospettive e scelte.

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La traduzione d’autore. Prospettive e scelte.
     Nel saggio del 1985 il pensiero poststrutturalista di Jacques
Derrida 1, seguendo e trasformando le idee di Benjamin, affranca il
buon traduttore da usuali criteri di obbligo e umiltà nei confronti
dell’originale. Fa invecchiare le categorie di senso comunicativo,
autore e finitezza semantica: la traduzione, da questo punto di
vista, rimarca in ogni istante l’affinità tra le lingue, palesa il
contratto linguistico che nella sopravvivenza impura del testo
riprodotto promette la riconciliazione e il miglioramento.
D’altronde, anche per Wittgenstein la traduzione è una possibilità
imminente, “ un’arte esatta ” 2, inclusa nella sua teoria di giochi
linguistici a titolo di esempio che gli permette di spiegare come
“ parlare un linguaggio fa parte di un ‘attività o di una forma di vita
”. Per Benvenuto Terracini 3 le vaste problematiche della
traduzione non possono essere circoscritte al vecchio dilemma
della traducibilità o meno delle lingue e alla volontà di asseverare
a priori quando tradurre diventa possibile. Il suo approccio
interculturale affronta il peso giornaliero dell’ossequiente lavoro
del traduttore: come trasportare una forma mentis, una forma
culturale espressa in una lingua in un altro terreno con le minime
perdite? Diversi saggi di Jurij Lotman 4 avvertono dell’individualità
del testo letterario, di cui “ non vi può essere alcun sostituto
adeguato sul piano di espressione senza che si verifichi un
mutamento sul piano di contenuto ”. Nell’edizione italiana delle
poesie di Vladimir Nabokov la nota iniziale insiste sulla
preoccupazione dell’autore di rimanere nelle poesie possibilmente
intatto:
“ Ha desiderato che apparissero col testo a fronte e ha personalmente accudito
alla più scrupolosa letterarietà della versione, contasse pure il sacrificio delle
rime e perfino di qualche tentativo di equivalenze ritmiche “. 5

Per la traduzione in inglese di Evghenij Oneghin di Puskin
Nabokov si inoltra in otto anni di approfondimenti, ricerche e
riscritture di cui delicata natura confessa in un’intervista data alla
stazione radio Voce dell’America nel 1958.

1
  Jacques Derrida, Des Tous de Babel / Psyché. Inventions de l’autre, Paris: Galiléè,
1987 ( trad. it. in Siri Nergaard, Teorie contemporanee della traduzione, Milano:
Bompiani, 1995 ).
2
  Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Torino: Einaudi,1967.
3
  Benvenuto Terracini, Conflitti di lingue e di cultura, Venezia: Neri Pozza Editore, 1957.
4
  Juri Lotman, Izbrannye stat’i / Scritti scelti, Tallinn: 1992.
5
  Vladimir Nabokov, Poesie, Milano: Saggiatore, 1962.

                                                                                              1
Nel 1964 esce una traduzione commentata che smisuratamente
eccede il volume dell’originale e le aspettative di coloro che si
sono abituati a scorrere velocemente le pagine.
Per la verità bisogna ammettere che la traduzione è un termine
che si presta assai meglio di tanti altri alle diverse interpretazioni
concettuali e caratterizzazioni estetiche: appare più facile
accordarsi su che cosa sia una bella poesia o un buon romanzo
piuttosto che presentare un parere durevole in materia di
traduzione. Può darsi che almeno come premessa                generale,
anche i sostenitori di una funzione perfezionativa della traduzione
deciderebbero di accettare la visione presentata qui sotto,
secondo la quale il traduttore è in prima istanza colui che vive
nella situazione di incolmabile squilibrio e compromesso. Dal
momento in cui si rende conto che il testo da tradurre non può
essere restituito al lettore nella sua originaria integrità e capienza
e non può nemmeno essere abbellito, altrimenti il traduttore dovrà
uscire dall'ombra e dichiararsi un autore, guidato nel suo sincero,
ma plagiario impeto dalla reale necessità di far apprezzare il testo
altrui, sembra che il suo ruolo si spogli di ogni connotato di forza e
libertà decisionale. Si scorge in questo senso un sottile legame tra
il traduttore e il pianista. Entrambi possono raggiungere la perizia
tecnica e unicità espressiva, entrambi aiutano la loro creatività di
esprimersi e potenziare l'universale spirito creativo su cui deve
sorreggersi il mondo, ma captano solo ciò che è stato già scritto: il
loro operato è possibile solo in quanto sono disponibili altri testi
per la cui trasposizione ragguardevole occorre osservare molte
regole.
E' vero che la traduzione è una competenza ingenita di ogni nostra
comunicazione: per comprendere qualcuno si parte dalla
traduzione, non perfetta, del suo idioletto e ci si trova a dover
colmare gli equivoci con i suggerimenti provenienti dal contesto e
con le proprie risorse cognitive. E' vero che l'episodio della torre di
Babele, più che di riferirsi alla condizione imposta agli uomini di
non poter più essere compresi pienamente, narra della necessità
di comunicare: se in principio sapessi quello che hai da dirmi,
perché dovrei conversare? Sarà altrettanto vero, però, che la
traduzione di testi letterari, assolta a livello di prestazione
professionale, per quanto antiche possano essere le sue radici e
flessibili le sue accezioni, è un impegno di comprensione che
garantisce meno e più delle volte fallisce. Nessun traduttore saprà
dire in fase di partenza se riuscirà a mantenere la sua promessa di
tradurre come si deve, e nessuno, se non per le condizioni
imposte, comincia con l'autore che gli è completamente estraneo
e nel cui testo non spera di trovare una valida ragione di
esistenza. Certo, anche il musicista e il regista scelgono il
materiale, hanno gli autori e i temi che preferiscono e spesso sono
messi in discussione o, al contrario, lodati per la capacità di
trasmettere ciò che inizialmente non appartiene a loro. Ecco il
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punto: la fase della restituzione che corona, secondo George
Steiner 6, gli sforzi del traduttore inteso in senso molto lato,
assume le forme differenti nel caso di un interprete di brani
musicali e un traduttore letterario. Nel momento dell’esecuzione il
pianista non fa niente di più che restituire una versione impregnata
del suo io, una versione che segna con precisione tutte le legature
e pause, tutti i “crescendo” e “diminuendo” previsti nel brano, ma
manca di un confronto diretto con l’autore. In quanto è la più
astratta delle arti, la musica permette di restituire con legittimità
più di quello che può essere stato concesso: una versione, per
molti versi, approfondita ma di cui nessuno sospetterà l’infedeltà
semantica, giacché in musica non si ragiona in termini di semi. Il
testo letterario, invece, necessita di un trasferimento semantico,
mai facile, di cui il traduttore risulta il primo intenditore e
responsabile. Al pari di un restauratore di opere artistiche, potrà
seguire i vari percorsi metodologici che, a seconda della sua
formazione, specificità degli obiettivi e consistenza dell’opera,
avvaloreranno o meno l’impronta dell’autore. La traduzione
letteraria, perciò, non può permettersi di azzardare nessuna
versione: idealmente la sua funzione non è innovativa né
tantomeno assimilativa, ma restitutoria. Questa restituzione poi è
resa molto complessa per il semplice fatto che le competenze
culturali del traduttore non solo possono non bastare per la
traduzione quantomeno fedele ma di tendenza anche il traduttore
con un bagaglio di competenze ampie alle spalle riesce con
difficoltà, almeno più che in virtù della felice proclamazione dei
suoi principi operativi, a sottostare alla pura grammatica delle
equivalenze di cui parla Benvenuto Terracini. Alla scrivania,
circondato dai dizionari, il traduttore lavora con discordanze,
ambiguità e concessioni sproporzionate. Cerca
i punti di incontro fra due sistemi linguistici appoggiandosi sulla
garanzia di quadri mentali comuni. Ciò effettivamente può
assicurare e persino premiare la fatica della traduzione: non
esclude, però, anche i casi di traduzioni considerate belle e
autorevoli in cui i traduttori non principianti hanno finito per
avvantaggiare il sistema linguistico di arrivo a scapito del mondo
culturale, temporalmente e soggettivamente ancorato al testo di
partenza.

6
 George Steiner, Dopo Babele: aspetti del linguaggio e della traduzione, Milano:
Garzanti, 1994.

Il traduttore cerca di tradurre mediante una serie di trasformazioni:
qualcuno semplifica mettendo le due lingue su piani diversi,
qualcuno sacrifica il divertimento del lettore. Octavio Paz 7 accosta

                                                                                   3
la traduzione e la creazione fino al punto di farle diventare
operazioni gemelle che fondano le letterature e tradizioni culturali.
Quindi, secondo sua impostazione target-oriented, è il merito, non
la bestemmia della traduzione, poter contaminare un altro ambito
linguistico e ragionare in termini del meglio per il sistema di arrivo.
La prospettiva di molti scrittori-traduttori che non dimenticano di
manifestare appieno la propria dote creativa quando traducono si
sposa con quella di Paz: si tratta di “ interdipendenza tra
creazione e imitazione, tra traduzione e opera originale ”, nella
traduzione niente può essere precluso.
Tuttavia, pur riconoscendo che la tentazione di soggettivare per
uno scrittore che traduce il testo dell’altro è forte e per certi versi,
indelebile, questo lavoro si concentra su una prospettiva molto
diversa, il cui fautore esperto, in quanto lo scrittore che, per
contro, desidera salvaguardare le intenzioni d’autore, accetta, per
il pregio della traduzione fedele, la reiterazione di ogni approccio
al testo.
Il seguente capitolo è interamente dedicato alla posizione di
Nabokov, che nel quadro di riflessione teorica chiarifica il suo
credo una sola volta nel breve saggio L’arte di traduzione 8, ma
su cui avvertimenti pratici è facile costruire un discorso ben
documentato. Nel corso della sua vita, prima da émigre, poi da
cittadino americano che seppellisce nel cuore la vecchia Russia,
Nabokov scrive in lingue diverse, traduce se stesso, traduce altri,
si rappacifica con l’idea che molti russi d’altrove non lo leggono e
fa del suo unico figlio l’insuperabile e unicamente legittimo
traduttore. Nel Tradurre Evghenij Oneghin scrive:

What is translation? On a platter
A poet’s pale and glating head,
A parrot’s screech, a monkey’s chatter
And profanation of the dead. 9

7
  Octavio Paz, La poetica della traduzione in Siri Nergaard, Teorie contemporanee della
traduzione, Milano: Bompiani, 1995.
8
  Vladimir Nabokov, Lezioni di letteratura russa, Milano: Garzanti: 1987.
9
 Cos’è una traduzione? Su un piatto
la testa pallida e oltraggiata di un poeta.
stridio di pappagallo, strepito di scimmia,
e profanazione del morto.

Tradurre, però, è necessario, almeno per assicurare che le
cattive traduzioni tacciano. Nabokov prosegue:

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The parasites you were so hard on
Are pardoned if I have your pardon,
O, Pushkin, for my stratagem:
I travelled down your secret stem,
And reached the root, and fed upon it;
Then, in a language newly learned,
I grew another stalk and turned
Your stanza patterned on a sonnet,
 Into my honest roadside prose --
All thorn, but cousin to your rose. 10

                 NABOKOV: IL CAMMINO DEL TRADUTTORE.

    Mai più, si è detto, il nome di uno scrittore soffrirà per qualcosa
che non riguarda il suo mestiere: per l’insufficiente spazio riservato
sulle pagine dei suoi libri alla dottrina imperante, le discrepanze
con altri scrittori, la scarsa prevedibilità e poca benevolenza dei
suoi lettori, o la sua origine. Gli anni di ritardo e il secolare
disprezzo di questo proposito ora non sembrano sconcertare
nessuno: d’altronde, si impara sbagliando. La nuova
consapevolezza e il confronto aperto con l’Occidente hanno
permesso ai circoli intellettuali russi di riesaminare le pietre di
paragone e categorie di eccellenza. Il nome di Vladimir Nabokov

10
    I parassiti con cui tu sei severo
son perdonati se io ho il tuo perdono,
o Puskin, per il mio stratagemma:
ho viaggiato lungo il tuo stelo segreto,
ne raggiunsi la radice, e mi nutri di essa;
poi, in una lingua appena appresa,
crebbi un altro stelo e volsi
la tua strofe derivata da un sonetto
nell’onesta e pedestre prosa mia…
tutta spine, ma cugina alla tua rosa.
( trad. it. di Enzo Siciliano, in Vladimir Nabokov, Poesie, Milano: Saggiatore: 1962 ).

 ora brilla sull’orizzonte patrio con l’intensità e la naturalezza di un
inestinguibile astro e in compagnia dei nomi di Isaak Babel, Osip
Mandel’stam e Alexandr Solzenizyn incide sulle sorti di nuovi
scrittori. Gli intellettuali, in persona di lettori o letterati di ultima
ondata, ora richiedono allo scrittore l’umorismo di Babel,

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l’originalità e polivalenza della prosa di Mandel’stam, la rettitudine
    di Solzenizyn e la compiutezza della frase di Nabokov.
    In verità, non sono state spese molte parole sul conto del
    traduttore Nabokov. Persino la sua attività letteraria, ancora non
    molto tempo fa accessibile solo ai veri appassionati in Russia, che
    si procuravano, di riffa o di raffa, la copia oltrecortina, o agli
    studenti dei corsi in lingue, ma sempre nei limiti di poveri sommari
    di contenuto, in ambiti critici veniva spesso travolta dalla
    consuetudine facile di dare troppe cose per scontato o quasi. Per
    molti studiosi andava bene l’atteggiamento superficiale: come se
    qualsiasi altro scrittore, capitasse lui al posto di Nabokov, si
    metterebbe a scrivere senza difficoltà per il nuovo pubblico in
    inglese e a tradurre dal periodo di lunga e nostalgica affezione al
    russo se stesso. Il riconoscimento a Nabokov arriva tardi, il
    travisamento del destino di un giovane nobile, la fine della sua
    Russia a diciannove anni e il forzato trasferimento in Inghilterra
    appesantiscono e intanto migliorano i suoi versi giovanili e
    rendono il suo passatempo e studio a Cambridge privi di
    qualunque ancora consolatoria:
     “…… Avevo la sensazione che Cambridge e tutti i suoi risaputi particolari: i maestosi
    olmi, le finestre dipinte, il suo orologio da torre, i muri di tonalità grigio-rosa con assi di
    picche dell’edera -- non hanno alcun significato a se stante ma esistono solo per
    incorniciare e sorreggere la mia intollerabile nostalgia ” 1 ( trad. nostra ).

    A Berlino, la successiva tappa nella biografia di Nabokov, il
    giovane laureato di Cambridge presenta in edizioni gestite dagli
    amici russi le traduzioni di Colas Breugnon di Romain Rolland e
    Alice’s Adventures in Wonderland di Lewis Carroll. Niente in
    queste esperienze di traduttore gli suggerisce il dogma nel cui
    nome sarà implacabile molti anni dopo: nessuna licenza poetica.
    Ciò che per Goethe era la qualifica di una buona traduzione, lo
    spirito gratificante di eindeutschen (qui si può dire russifizieren),
    diventa con il tempo per Nabokov l’esempio di leziosaggine che
    non rispetta il testo sulla trasformazione del quale occorre
    lavorare con molta servilità e pazienza. Intanto le prime traduzioni
    letterarie di Nabokov sull’onda di adattamento e rielaborazione
    manierista del testo originale concedono ai personaggi senza
    premure i nomi e caratteri russi: Alice diventa

1
    Vladimir Nabokov, Collected Russian Language Works, San Pietroburgo: Simposium, 1999.

    Anja e Colas Breugnon --          Nikolaj Persik. Le difficoltà di
    trasportare una molteplicità di sensi che si nasconde sullo sfondo
    verbale solo in apparenza coevo, e soprattutto di risalire ai valori
    affettivi del testo e con gli strumenti resi disponibili in un’altra
    lingua non sbilanciare né contenuto originario né gradazioni

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stilistiche, vengono aggirate intuitivamente dal giovane traduttore.
Nabokov privilegia una maniera di tradurre libera e accrescitiva in
sostanza, funzionale alla creazione di un testo nuovo che potrà
apparire familiare al pubblico russo. Non si deve dimenticare che il
pubblico di Alice in Wonderland in larga misura non ha più di
dodici anni e quindi, non apprezzerebbe una traduzione pesante,
affardellata di arguzie inglesi. Anja di Nabokov corrisponde alla
sua lettrice, una piccola bambina russa che per forza maggiore si
è trovata con i genitori a Berlino e ha vaghi ricordi, non molto
dissimili da quelli di Nabokov, sull’infanzia spensieratamente
trascorsa in qualche podere a ottanta chilometri da Pietroburgo.
Nondimeno, con queste traduzioni, tra l’altro, molto colorite e
ricche di umorismo, si esaurisce il periodo di Nabokov che si
preoccupa di facilitare il lavoro del lettore. Quando, già in America,
nel 1965 comincia a tradurre in russo             Lolita e trova che il
linguaggio a doppio fondo, i richiami e fraintendimenti poetici, tutta
la sentimentalità della storia di una piccola libertina americana che
ha portato ai piedi del suo autore la fama e agiatezza, sono
difficilmente inseribiii in un contesto linguistico russo, non pensa di
trascrivere un romanzo ex novo. Lavora lentamente e finisce la
traduzione in due anni, insicuro di aver saputo esprimere con la
dovuta ricchezza di stile e contenuto le sottigliezze del suo
romanzo americano. I commenti dettagliati sui quali una volta ha
edificato un mondo soggettivo di Puskin e un mondo culturale
della Russia del primo Ottocento qui non farebbero un buon
servizio: in un romanzo come Lolita, Nabokov ha dovuto far
appello solo alla forza e tempestività delle parole trasmesse che
senza far assumere alla sua eroina i tratti ibridi o slavi si
rivelassero capaci di rapire l’interesse del lettore.
Conviene a questo punto distinguere due generi di difficoltà che
Nabokov incontrava nel suo lavoro : la difficoltà di interpretare un
testo altrui e la lotta con un altro contesto linguistico che deve fare
buon viso al suo testo. Essendo il traduttore di se stesso, sapeva
con chiarezza che cosa desiderava trasmettere in un’altra lingua.
La sua difficoltà era più di ordine formale che semantico. La
traduzione solleva innanzitutto il problema della forma. A prima
vista al traduttore appare che le lingue non sono ugualmente
malleabili e pronte a trasmettere con precisione farmaceutica ciò
che intende l’autore: i loro mezzi stilistici permettono senza dubbi
di esprimere qualsiasi cosa, ma problematico è tracciare le linee di
corrispondenze pian piano si scopre che “ un’arte esatta ” va oltre
le equivalenze del contenuto e la grammaticalità della frase. La
traduzione esige dal traduttore ora la sensibilità stilistica, ora
l’attitudine di contraffare il tono e le vesti dell’autore, ora il fiuto di
cogliere le potenzialità del testo su cui magari lo stesso autore non
avrebbe voluto scommettere. La dialettica del traduttore rispetta
l’autorità del testo ma questo non gli interdice di materializzare,
dal suo angolo ombroso, ciò che nel testo può essere nemmeno
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accennato. Nel costruire la forma, un ambiente tutto nuovo e
necessariamente accogliente per lo spirito della lingua che si
vuole cogliere e tradurre, bisogna procedere con estrema
delicatezza anche quando non si tratta di due sistemi linguistici
differenti per assoluto: sul piano genealogico, tipologico o
culturale. Le Sacre Scritture sono state tradotte in 1109 lingue e la
maggior parte di questo lavoro è recente e riguarda i popoli che
non hanno un’idea monoteistica dell’universo. Sia Eugene Nida 2
che Benvenuto Terracini affrontano la tematica della traduzione
del testo sacro ponendo accento sulla facoltà della forma di
comunicare. Per tradurre il senso rivelatore per eccellenza ai
popoli che, in assenza del quadro religioso condiviso, potrebbero
assimilare tutta la storia di Vergine Maria o Gesù Cristo alla
drammatica vicenda familiare, occorre badare soprattutto alla
forma. Il senso metaforico, facilmente comprensibile e altamente
emotivo per un cristiano, della frase “ Io sono il pane della vita ”,
per un altro lettore ( o ascoltatore ) diventa un oscuro oltraggio. “
Io sono come il pane della vita ” forse, pur nella semplicità della
modifica, gli dirà molto di più, ammesso che il pane nel suo
contesto non solo fa parte delle abitudini nutritive ma storicamente
occupa il posto rilevante. D’altronde, per non andare lontano,
anche Luca che concepisce il suo Vangelo per un pubblico greco-
romano, scrive “ il regno di Dio “, mentre Matteo, un giudeo che
pensa al pubblico giudaico mette convenientemente “ il regno di
cieli ”.
Ritornando alla difficoltà di Nabokov di tradurre se stesso, perché
vi è un vincolo della forma esatta, indissolubile dal significato e
perciò pericolosa, bisogna dire che Nabokov considerava la
questione della forma particolarmente dolente quando si trattava
delle sue traduzioni. Umberto Eco 3 chiede se non sarebbe meglio
per chiunque decida di presentare la sua teoria della traduzione
prima fare esperienza in traduzione,
2
 Eugene Nida, Toward A Science of Translation, Leiden: Brill, 1964.
4
 Umberto Eco, Semiotica della fedeltà in Siri Nergaard, Teorie contemporanee della traduzione,
Milano: Bompiani, 1993.

lavorando fianco al fianco con l’autore che potrà prevenire gli
abusi e spiegare il non detto, o da un‘altra parte, dalla parte del
custode del senso in prima istanza che sarà pure negoziato,
amplificato e frainteso, come autore poter vedere come si
trasforma e si allontana il suo testo. Nabokov fa esattamente
queste due esperienze. Anzi, ciò che lo spinge a tradurre se
stesso è proprio il cattivo lavoro di altri: vuole salvare il suo testo
da incomprensioni altrui. Se non riuscirà a tradurre come poteva
sperare, allora ammetterà il suo errore, la sua individuale sconfitta.
Nell’introduzione all’edizione russa di Altre rive Nabokov, dopo

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aver parlato delle difficoltà di abbandonare “ la viva creatura
domestica ” quale il russo per la lingua inglese, ammette il
fallimento: l’operazione al rovescio, dall’inglese al russo di un
romanzo autobiografico è risultata impossibile. Rifiuta la
traduzione letterale perché si tingerebbe di toni caricaturali, non
può, però, tornare neanche alla versione: il romanzo è maturo,
molto caro a Nabokov che bada ai dettagli e alla forma e per
impossibilità di riconciliarli sulle pagine della traduzione, brutta e
fedele o bella e infedele che sia, trova più opportuno scrivere un
altro libro autobiografico. La confessione sulla vita diventa la
confessione di unicità espressiva: ogni lingua impone una maniera
di esprimersi che a sua volta condiziona il contenuto. Da questo
non segue la banale conclusione che tutte le lingue sono
intraducibili e se anche un autore non riesce a tradurre la sua
opera, cosa dire delle traduzioni, in un certo senso, improvvisate?
Ma a chi appartiene il testo che si vuole tradurre? Sarà vero che
solo il suo autore può dichiarare           la sua autorevolezza e
delegittimare il lavoro del traduttore? Ci si posiziona sui punti
cruciali del problema che per Nabokov ha le risposte risolute ogni
volta che si inizi a tradurre. Le scelte sono polari: o il traduttore ha
il solo ipotetico merito di conservare, come un anziano in un
ripostiglio della casa, un minimo di qualcosa che una volta era
bello o vivo e ora non si sa se può tornare ancora utile, o la
traduzione ribattezza il testo e ne assicura, se viene fatta con la
dovuta perizia e compenetrazione, il miglioramento.
Il traduttore comincia con la lettura preliminare del testo, molto
spesso senza matita né dizionario, come qualsiasi altro lettore che
si affeziona poco alla volta al testo fino a dimenticarsi del tempo e
dei suoi impegni. L’opera d’arte, che per Nabokov è una
possente illusione ottica, necessita di piccoli avanzamenti, riletture
e dosaggi: il piacere artistico consiste nel saper “ cogliere e
accarezzare i particolari ” 4 che        stanno alla base di un buon
libro. Il traduttore che fa parlare i dettagli è un maestro: ha
colto

4
    Vladimir Nabokov, Lezioni di letteratura russa, Milano: Garzanti, 1987.

l’essenziale del suo lavoro difficile e con il temperamento mezzo
artistico e mezzo scientifico ha immortalato il libro. Né la lettura
emotiva né      la traduzione     letterale da sole     non bastano
alla traduzione fedele. La traduzione parola per parola sfocia nel
ridicolo e alimenta le edizioni di Falsi amici del traduttore. Nella
lettura emotiva il traduttore aggiunge troppo sangue suo a quello
dello scrittore, mentre nel testo deve scoprire innanzitutto la
diversità e la novità che pur lasciandolo stupito, non si impregnino
del suo spirito. La fedeltà della traduzione letteraria non implica di
certo la vecchia regola ecclesiastica del Medioevo: nel testo sacro

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mantenere intatto persino l’ordine della parole. La fedeltà al
pensiero, giustificata ancora nei testi di Cicerone, comporta
un’attenzione esaustiva anche a ogni singola parola che,
combinandosi con le altre, dà il senso irrepetibile all’espressione.
Ciascuna parola, secondo Nabokov, contribuisce nella misura
paritaria a fare del testo un capolavoro o un’opera mediocre.
Nessuna poi viene svincolata dalla temporalità. Lo spirito di
un’epoca le dona le sfumature alla cui comprensione un’altra
generazione di lettori può rimanere insensibile. Si complica, così,
ulteriormente il problema di continuità del testo, assicurata
attraverso le traduzioni che fungono da espansione gnoseologica
di una memoria scritta del popolo lanciando, con lungimiranza dei
traduttori, le scale di corda alle civiltà diverse. L’avvicinamento,
però, non è garantito. Molti autori, nei labirinti culturali e storici,
hanno perso il lustro artistico e non sanno se ancora arriverà la
loro rinascita. George Steiner scrive: “ Siamo verbalmente ciechi
alla poesia preraffaellita o decadente. Tale cecità deriva da un
sostanziale mutamento nei moduli della sensibilità ” 5 .
Nabokov, che si lamenta delle cattive traduzioni che defraudano e
rendono insensibile al testo poetico russo il pubblico anche
ricettivo e colto, sul suggerimento della moglie comincia a
rianimare Evghenij Oneghin di Puskin. Lavora sul testo che, come
si riteneva, era già stato compreso e lasciato nella polvere storica.
Ben conscio delle difficoltà della restituzione dell’originale,
Nabokov adotta in un primo momento la via puramente sezionale:
come se con il romanzo in versi di Puskin volesse fare una lezione
su come vivevano i russi nell’Ottocento. “ E’ impossibile
trasmettere la creazione del poeta ma impossibile è anche
rinunciare a tal sogno ”, diceva Brjussov. Sembra che Nabokov si
accontenta della restituzione della percezione storica del tempo.
Le note dettagliate aggiungono quell’informazione etnologica che

5
    George Steiner, Dopo Babele, Milano: Garzanti, 1994.

il modello versificatorio della traduzione non può trasmettere con
autenticità visuale. Il metodo descrittivo scelto da Nabokov in
sintesi con il giambo originario che ripristina ritmicamente un modo
scorrevole di esprimersi di cui era fiero il classico russo ( il
giambo era il suo piede metrico preferito ), non pensa di
ricodificare una realtà trapassata per le esigenze interpretative
dell’ambito ricevente. A differenza di molti traduttori che
considerano la traduzione ben riuscita solo se questa suona come
nativa nella lingua di arrivo, Nabokov si preoccupa meno che di
ogni altra cosa di americanizzare la traduzione e spiegare le
differenze e le similitudini in termini di relazioni: in Russia era
così, ma qui è diverso. Per definizione, la poesia è sempre stata
sentita come pietra d’inciampo per qualsiasi teoria di traduzione

                                                                          10
formalizzata: o, in assenza di una rigorosità teorica della
disciplina, si ammetteva la possibilità di tradurre a mano libera e
considerare tale versione una traduzione poetica, o si escludeva
l’intersezione di campi. “ L’ideale della traduzione poetica.--
precisa Octavio Paz, riprendendo le parole di Valery -- consiste
nel produrre, con mezzi differenti, effetti analoghi ”. 6
Alla corretta interpretazione del contesto reale, recuperabile
mediante lunghe note prosaiche alle quali Nabokov non dà mai
uno statuto di noiose informazioni enciclopediche, si aggiunge la
necessità di restituire il preciso contesto poetico: gli effetti analoghi
valgono per la stessa commozione dell’animo, per la stessa
capacità di intuire, pur nei versi tradotti, la portata del genio di
Puskin. Produrre lo stesso sentimento nel lettore americano,
cresciuto sui libri degli scrittori di Lost Generation, non è facile. La
traduzione di Evghenij Oneghin è senz’altro un monumentale
lavoro storiografico sulla Russia di Puskin e in secondo luogo, una
puskinologia, ossia una traduzione mirata a restituire tutto ciò che
è necessario per comprendere e apprezzare lo stile di Puskin. La
traduzione, però, non può essere mai sufficientemente esaustiva:
assegna delle priorità e ricalca l’occhio selettivo del traduttore. Si
può esprimere lo stesso concetto con la frase di Gadamer: “ La
traduzione , come ogni interpretazione, è una chiarificazione
enfatizzante ” 7. Nabokov vede in Puskin un classico europeo,
fortemente influenzato dalla poesia francese del Settecento e
primo Ottocento. Nel saggio francese pubblicato in occasione del
centenario       della morte del famoso poeta 8,              ripudia la
maschera del commediante con la quale molti studiosi
abbrutiscono il vero volto di Puskin.
6
  Octavio Paz, La poetica della traduzione in Siri Nergaard, Teorie contemporanee della
traduzione, Milano: Bompiani, 1995.
7
  George Gadamer, Verità e metodo, Milano: Bompiani, 1983.
8
  Vladimir Nabokov, Puskin, o Verità e Verosimiglianza in Roman, rasskazy, esse /
Romanzo, racconti, saggi, San Pietroburgo: Entar, 1993.

La traduzione bella e fedele è l’unico percorso consentito, se il
traduttore prende sul serio il proprio compito. Il testo tradotto non
si risolve mai in una copia più o meno perfetta. Paradossalmente,
acquista la fedeltà a spese dell’oscuramento deliberato di certi lati
dell’originale: come una persona che vuole raccontare una storia
di cui casualmente ha visto tutto lo svolgimento immediato, dovrà
omettere qualcosa per rimanere un buon favellatore. Prima di
partire, il traduttore deve mettersi in testa i valori che potrà
comunicare e rassegnarsi con le perdite. La traduzione è un
lavoro compensativo, ingrato sia nei confronti del traduttore che
dell’autore stesso. “ Restituire il senso contestuale affino, così
come lo permettono di raggiungere le possibilità associative e
sintattiche di un’altra lingua ” 9 -- questo principio organizza il
lavoro di Nabokov in tappe temporali lunghe e scelte dissuete.

                                                                                          11
Otto capitoli del romanzo in versi di Puskin diventano quattro
volumi nella traduzione di Nabokov. A nessuna strofa manca il suo
commento sul contenuto e sulla forma. In parallelo al testo
Nabokov descrive sia l’etichetta e la tecnica del duello con pistole,
sia la storia delle traduzioni di Byron in francese a cui si
ispiravano, talvolta con straordinaria maestria, i poeti romantici
russi. Tradurre Evghenij Oneghin in rime inglesi è impossibile: ne
uscirebbe una parodia nello spirito della versione di Walter Arndt.
Alla vigilia dell’uscita del suo Oneghin Nabokov scrive una
recensione accusatoria sulla traduzione di Evghenij Oneghin di
Arndt 10. Viola con questo attacco le vecchie regole d’oro del
mondo letterario americano che si rivendica con le discussioni
animate sulla veridicità e convenienza della traduzione interlineare
di Oneghin. Nabokov critica con asprezza e fa della traduzione di
Arndt un’occasione per prendere in giro la scarsa preparazione e
superbia dei traduttori americani che lavorano con la lingua russa.
Elenca dodici varietà di errori che commette Arndt. La recensione,
scritta in toni piuttosto divertenti (più giusto sarebbe dire: con gioia
maligna ) invoglia molte risate e toglie ad Arndt non solo il
piedistallo del traduttore famoso ma anche la reputazione di uno
scrittore in gamba.
Questa è la tipologia degli errori di Arndt. Ovviamente questo
schema potrebbe essere applicato, per giusta causa, a qualsiasi
altro traduttore che crede pure nelle attenuanti.

9
  Vladimir Nabokov, Nabokov o Nabokove: Interviews / Nabokov a proposito di Nabokov:
interviste, Mosca: Nezavisimaja gazeta, 2002.
10
   Vladimir Nabokov, Pounding the Clavichord in Strong Opinions, N. Y. : McGraw- Hill,
1973.

1. Metamorfosi oggettuali.
Gli oggetti naturali cambiano la loro classe e specie biologica. Un
ciliegio selvatico nella versione di Arndt improvvisamente diventa
un ontano e una pulce comune assume l’aspetto di una blatta.

2. Metamorfosi nominali.
I nomi subiscono le modifiche irreversibili. La duchessa Alina si
trasforma in Nancy e Cazkij, il personaggio della commedia Il
guaio di avere l’ingegno di Griboedov diventa Caazkij ( una buffa
combinazione di due nomi: Cazkij e Caadaev, il vecchio amico di
Puskin, scherza Nabokov ).

3. Anacronismi.
Per Arndt gli occhiali già in uso all’epoca di Puskin si trasformano
nel vecchio monocolo .

                                                                                         12
4. Metro comico.
“ Egoism ” diventa scomponibile in quattro sillabe come se fosse “
egoisum ”.

5. Rime comiche.
Ci sono numerosi esempi che, cercando di apparire originali, in
verità testimoniano l’inabilità del traduttore: feeler-Lyudmila,
family-me, invaders- days does.

6. Idiomi contorti.
Spesso, compromettendo ogni buon senso, la traduzione
raggiunge inaspettati effetti comici come “ the mother streaming
with tears “/ “ la madre che gronda le lacrime ” e “ the tears from
Tania’s lashes gush ”/ “ le lacrime dalle ciglia di Tania sgorgano ”.

7. Eufemismi e volgarismi.
Nell’ultima elegia Lenskij chiama Olga “ dear heart, dear all ”.
Il noto inizio “ mio zio ha i principi più onesti “ diventa “ my uncle,
decorous old prune ” / “ mio zio, un dignitoso tipo barboso “.

8. Gaffe contestuali, storiche e etnografiche.
La falsa precisione di Arndt “ Peasants nod at morning service “
richiama in mente la scena dei contadini che fanno una breve
dormita durante la messa del mattino. In realtà sarebbe piuttosto
difficile realizzarla, visto che durante la liturgia ortodossa i
parrocchiani stanno in piedi. In un altro passo Lenskij, alla vigilia
del duello con Oneghin, suona gli accordi al clavicordo. Non
strimpella tirando fuori qualche accordo casuale, come precipita di
precisare Arndt: “ the clavichord he would be pounding, with
random chord set it resounding ” Nabokov intitola la sua
recensione, appunto, Pounding the Clavichord: ciò che con
l’ingannevole      estro creativo tenta di intraprendere qui        il
traduttore.

9. Scarsa conoscenza della lingua russa.
Nabokov considera questo difetto la malattia professionale di molti
traduttori che si illudono di conoscere una lingua piuttosto difficile.
Per esempio, / ho’ru / è il piano superiore nella sala da ballo, in
nessun caso l’intraducibile “ the involved rotations of rounds ”.

10. Negligenza dell’espressione nella lingua inglese che viola
    il senso anche elementare.
Nel testo di Arndt, al duello, invece di socchiudere l’occhio prima
di sparare, Lenskij ammicca con l’occhio sinistro: “ his left eye
blinking “. Resta da chiedere cosa ne pensa Oneghin.

                                                                          13
11. Prolissità dell’espressione per ragioni ritmiche, sonore o
    per costruirsi una bella strofa rimata.
Quando Puskin descrive Tatiana che legge i libri di Oneghin e
scopre il mondo nuovo grazie a loro, Arndt, preoccupato di rimare
a tutti i costi “ before ”     con qualche parola docile scivola
nell’assurdo: “ an eager passage door to door to words she never
knew before ”.

12. Invenzioni personali del traduttore che in inglese di
    Nabokov si raggruppano sotto la parola “ from-oneselfity ”.
Le anziane signore in cuffie e rosini, dall’aspetto malvagio
tramutano in “ redecorated ladies with caps from France ( non è
detto ) and scowls from Hades “.

Il peggio che il traduttore può fare è ritenere il suo lavoro la
caritatevole fatica del missionario che spiega, in una lingua
delicata e facile, le scabrosità dell’originale. Nabokov non accetta
l’adattamento del testo, il suo progressivo stiramento e
svuotamento. Chiede: “ A che cosa deve essere adattata la
traduzione? Ai bisogni di un pubblico demenziale? Alle richieste di
un gusto letterario esigente? Al livello del proprio talento, ritenuto
tale ? “. In risposta alle critiche intransigenti degli scrittori
americani che considerano la sua traduzione di Evghenij Oneghin
una variante tra tante, superflua, nonché dubbiosa in materia
dell’informazione       e padronanza della lingua inglese, Nabokov
                     11
scrive il saggio , pervaso dalle solite note ironiche e
__________________________________________________________________________________________________
11
     Vladimir Nabokov, Reply to my Critics in Strong Opinions, N. Y. : McGraw Hill, 1973.

dall’indisponibilità di apportare le correzioni e revisioni perché
queste non sono sensate. Riparisce nel saggio una lezione della
lingua inglese anche a Edmund Wilson, in passato il suo caro
amico con il quale agli inizi della vita americana ha scambiato
molte lettere informali e dichiarazioni di stima profonda.

 “ A differenza dei miei romanzi la traduzione di Evghenij Oneghin ha un lato
etico, nonché umano e morale…Se mi dicono che sono un poeta scadente,
rispondo con il sorriso, ma se mi dicono che non mi intendo della storia della
letteratura, allora non faccio cerimonie “ .12 ( trad. nostra )

Il dovere di curare nella traduzione ogni dettaglio presuppone una
molteplicità di competenze e attitudini di cui pochissimi traduttori
letterari potranno esibire le prove. Nabokov chiede dalle sue
traduzioni una trasposizione simile, che, correggendo la tesi di
Valery, provochi effetti non letteralmente analoghi, bensì
compatibili, pur con qualche accentuazione delle risonanze, con
l’originale. Se questo non avviene, il testo tradotto non merita la

                                                                                                     14
prerogativa di chiamarsi la traduzione e il suo produttore pesta il
piede al vero autore .
“ Ciò che abbiamo sono le falsificazioni palesi e gli sforzi impotenti di una
fantasia irresponsabile a cui il carico degli errori fatti per ignoranza non
consente di decollare ”. 13 ( trad. nostra )

La traduzione, perciò, non è un gioco: non può essere associata
alla teoria formale di giochi, come fa Levy 14. La chiaroveggenza
delle mosse fondata sulla lunga pratica nei giocatori di scacchi
non ha niente in comune con la traduzione, anche essa prodotto
del lavoro empirico e disciplinato, ma non calcolabile con
esattezza. D’altronde, non è neanche una scommessa, come
afferma Eco15. La complessità dello stile e l’ambivalenza
dell’espressione     non    possono     giustificare   la   cattiva
interpretazione: meglio allora lasciare il testo riposare sulla
mensola bibliotecaria per millenni nella speranza che un giorno
qualcuno lo saprà leggere.
Nabokov mette il traduttore in condizioni di un silenzioso e
solitario hidalgo ( Don Chiscotte aveva la sicura compagnia
di

12
   Ibidem.
13
   Vladimir Nabokov, On Adaptation in Strong Opinions, N. Y. : Mc Graw Hill, 1973.
14
     Jiri Levy, Traduzione come processo decisionale in Siri Nergard, Teorie
contemporanee della traduzione , Milano: Bompiani, 1995
15
   Umberto Eco, Semiotica della fedeltà , ibidem.

Sancho Panza e non era tanto silenzioso ) che si piega in quattro
per rendere le grazie agli altri. Le cattive traduzioni non solo
comunicano troppo, ma comunicano l’ego e gli interessi del
traduttore, il suoi limiti e le pretese all’assennatezza. Per fedeltà
contestuale il traduttore deve sacrificare anche quello che
inizialmente, affascinato dal pensiero di fare la miglior traduzione,
sognava di riprodurre. L’armonia prosodica, gli elementi sonori
e ritmici, l’organizzazione sintattica e lessicale non si ricreano con
una bacchetta magica, e molto probabilmente non si ricreano
affatto anche dopo le ore di tentativi continui. L’unica replica
giustificatoria che il traduttore potrà rilasciare davanti allo sguardo
severo di un buon lettore è quella di rammentargli che lui ha avuto
il coraggio e la discrezione di lavorare in nome dell’originale,
senza il desiderio di migliorarlo e pareggiarlo alla sua mente.
“ Come si sentirebbe -- chiede Nabokov a Robert Lowell, il poeta
americano e il traduttore frequente delle poesie di Mandel’stam --
se una delle Sue meravigliose poesie fosse riadattata da qualche
poeta straniero con l’aiuto di un espatriato americano che non
dispone di un buon vocabolario in nessuna lingua ? “ 16 Come si

                                                                                     15
sentirebbe Robert Lowell, che si è messo a tradurre Mandel’stam
in rime facili e espressioni letterali, se qualcuno facesse lo stesso?
Un effetto involontario di cambio del registro poetico sarebbe
garantito e nessuno, almeno nei paesi lontani, parlerebbe più di un
serio poeta Lowell. Nabokov fa l’esempio della traduzione di una
delle migliori poesie di Lowell in russo chiedendogli se la
responsabilità del traduttore è così torpida da svegliarsi solo nel
caso dell’immaginario rovesciamento dei ruoli quando un carnefice
diventa una vittima       dell’altro     traduttore che compie, ignaro
della bellezza del testo, il sacrilegio omogeneo. Qui un frammento
della poesia di Lowell viene tradotto in italiano con la spettata
comicità che raggiunge Nabokov in russo mediante una
trasposizione letteralmente fedele, ma contestualmente errata:
Splinters fall un sawdust
 From the aluminium-plant wall…
 Wormwood…three pars of glasses
 leathery love .
                           Le schegge cadono nella polvere segata
                            Dalla parete della pianta in alluminio
                            Artemisia absinthium… tre paia di occhiali
                            L’amore di cuoio.

________________________________________________
6
    Vladimir Nabokov, On Adaptation in Strong Opinions,N.Y.: McGraw- Hill, 1973.

Nel mondo contemporaneo, data l’intensità delle comunicazioni
e la crescente importanza delle più recenti teorie della
traduzione che hanno dimostrato, con approcci storico - culturali e
diverse annotazioni sulla specificità del linguaggio umano, la
fallacia della ricerca formalizzata, l’illusorietà dei traduttori
automatici e della lingua franca artificiale a sostegno delle ragioni
utilitarie, il traduttore professionista si trova in una posizione
privilegiata. Sul piano teorico ha un ventaglio di alternative e modi
di argomentare il proprio metodo di lavoro. Vincolato dal tempo, si
può concedere una traduzione meno bella e fedele di come la
intendeva Nabokov. Tuttavia, il punto centrale della fatica di
tradurre rimane non la scelta di paradigmi e la coerente messa in
atto dei loro principi, né la visione di Nabokov si limita alla
risoluzione, con rigore scolastico, della classica dicotomia a favore
della cieca sottomissione al terreno linguistico originario o della
libera concessione ai cambiamenti. Sul campo operativo il
traduttore raramente traccia le regole universali, escluse quello
dell’impegno di lavorare con intelligenza. Ogni testo letterario
richiede un esame diverso e viene trasfigurato ogni volta che non
solo il traduttore ma anche un lettore, che legge nella stessa
lingua in cui è stato scritto il testo si avvicina al suo mistero
polisemico.
                                                                                   16
La volontà di risalire al significato distante e la pazienza di
abbracciare tutti i livelli di contenuto, compresa la matrice storico-
culturale di che cosa poteva significare un tale testo per i parlanti
di una certa epoca e di un’altra cultura, assicurano il buon lavoro
del traduttore e svelano la complessità di esporre le accurate
equivalenze semantiche. Nabokov pensa alla traduzione in termini
di conservazione del testo-fonte. Pur non illudendosi sulla totalità
della restituzione, spera che il traduttore non entri in collisione con
lo spirito dell’autore. Ma questo non gli basta. L’interpretazione
ingegnosa dell’originale non esige la sottomissione forzata, bensì
l’affinità dei temperamenti artistici. Per Nabokov, il traduttore deve
ragionare, senza indulgenze, non sulle proprie competenze
linguistiche, ma sulla dote di saper cogliere l’universale nel testo,
che, a cospetto dell’affinità dello spirito, permette all’originale il
secondo respiro. Donde deriva la pura razionalità del lavoro del
traduttore che non disperde le forze e non eccede con la sua
presenza nel testo. La traduzione può scombussolare il lettore
ingenuo che vuole ricevere dal traduttore l’unilateralità
dell’interpretazione e la modernità del contenuto. Il traduttore, al
contrario, non può ripulire il testo: nella miglior ipotesi, riproduce
con uno strumento diverso, la sua complessiva armonia. Il
consiglio di Nabokov che nella traduzione vede la difficoltà
ermeneutica e la tentazione di precipitose soluzioni creative, è
assicurare la proporzionalità della forma al significato e cercare
l’essenziale soprattutto nella forma. L’incomprensione di propri
diritti e limiti minaccia di fare il lavoro per niente. Il raggio di
influenza di una cattiva traduzione è minimo e si esaurisce con il
primo intervento dei critici. Nella visione di Nabokov il traduttore
non traduce per il diletto suo, né si preoccupa se gli altri
apprezzeranno la sua fatica. Spinto dalle ragioni di grado
superiore, come un amico che consiglia una buona lettura, forma
le correnti culturali e letterarie, rimaneggia i legami intertestuali e
interculturali e leviga il gusto del lettore.

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                          Genia Bochicchio Tsvetkova

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