LA GESTIONE DEL RISCHIO FISCALE - Unione Industriale Torino

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La gestione del rischio fiscale —

              LA GESTIONE DEL RISCHIO FISCALE

         Andrea Di Gialluca (*) - Maria Adele Morelli (**)

Sommario: 1. Premessa. - 2. Le “spinte” alla cooperative compliance. - 2.1. Il
   regime dell’adempimento collaborativo: profili operativi. - 2.2. Rischio
   fiscale e sistemi di tax governance. - 2.3. Il regime dell’adempimento
   collaborativo: i modelli di gestione del rischio fiscale. - 3. L’interpello
   sui nuovi investimenti: profili generali. - 3.1. L’interpello sui nuovi
   investimenti: profili operativi. - 3.2. I rapporti tra l’interpello sui nuovi
   investimenti e la cooperative compliance. - 4. Conclusioni.

1. Premessa.

In linea generale, il “rischio fiscale” può essere definito come il rischio
derivante dalla mancanza di conformità delle operazioni di gestione
aziendale rispetto alla normativa tributaria.
Il rischio fiscale varia in funzione di numerosi elementi.
A titolo esemplificativo, si consideri l’incertezza relativa alla nor-
mativa tributaria. È stato, infatti, correttamente osservato (1) che
l’incertezza sulle tematiche fiscali è un aspetto fortemente sentito dai
contribuenti ed in particolare dalle aziende di maggiori dimensioni,
operanti in un contesto internazionale, le quali, tra l’altro, risultano
essere oggetto di controlli penetranti da parte delle Autorità Fiscali.

        (*) Dottore Commercialista e Cultore della materia in Diritto tributario d’impresa
e in Diritto Processuale Tributario presso Università LUISS Guido Carli di Roma.
        (**) Avvocato presso Ser Global soc. coop. arl S.T.P. e Ricercatrice Fonda-
zione Nazionale dei Commercialisti (FNC).
        (1) C. ROMANO, L. CHIODAROLI, Regime di adempimento collaborativo:
la risposta all’incertezza nei rapporti tra Fisco e contribuente, in Corr. Trib. 20,
2015, p. 1540 e ss.

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L’incertezza, che spesso si traduce in accertamenti nei confronti dei
contribuenti, dev’essere valutata adeguatamente considerando anche
l’ingente peso delle sanzioni amministrative, l’esiguità delle condizio-
ni obiettive di punibilità dei reati tributari e i possibili riflessi negativi
sulla reputazione. Queste considerazioni, senza dubbio, valgono
anche per le piccole e medie imprese le quali si trovano ad avere a
che fare con una normativa tributaria particolarmente complessa, sia
dal punto di vista della disciplina sostanziale che dal punto di vista
degli adempimenti (2).
Un presidio dedicato al rischio fiscale a livello aziendale rappresenta,
dunque, ormai un imprescindibile elemento per una corretta gestione
amministrativa. Un’oculata gestione di detto rischio comporta, da un
lato, un’attenta pianificazione degli oneri tributari e, dall’altro, una
razionale e chiara mappatura dei rischi fiscali derivanti dai processi
aziendali (3). La gestione del rischio fiscale, peraltro, deve necessa-
riamente essere integrata con gli altri sistemi di controllo aziendale.
Quanto precede ha, nel tempo, trovato conferma nel vigente impianto
normativo.
Il passaggio fondamentale si è avuto con l’approvazione della legge
11 marzo 2014, n. 23, recante delega al Governo per un sistema fi-
scale più equo, trasparente ed orientato alla crescita. A seguito della
suddetta legge delega, è stato emanato il d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128,
recante disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra Fisco e

        (2) In merito alla numerosità degli adempimenti gravanti sulle imprese
italiane sia consentito rinviare a: F. MARCHETTI, F. RASI, L. MONTI, A. DI
GIALLUCA, I “Lacci e Lacciuoli” gravanti sulle imprese: il Fisco, Alter Ego,
Viterbo, 2016. Si vedano anche: FONDAZIONE NAZIONALE DEI COMMER-
CIALISTI, Il costo degli adempimenti fiscali e i costi dello spesometro 2017, 28
marzo 2018.
        (3) L. MENICACCI, L. NERI, Tax risk reporting: uno strumento a supporto
del management, in Amministrazione e Finanza, 2, 2017, p. 43 e ss.

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contribuente. Tale decreto, unitamente alla normativa e ai provvedi-
menti attuativi, regola il “regime dell’adempimento collaborativo”
(c.d. cooperative compliance). La legge in esame, dunque, ha tentato
di migliorare la certezza del sistema tributario italiano, anche in virtù
di un nuovo rapporto tra Fisco ed impresa-contribuente, improntato
ad una collaborazione, attiva e trasparente, tra le parti (4).
Tuttavia, al fine di poter instaurare con l’Amministrazione Finanziaria
detto rapporto di cooperazione, è necessario che l’impresa predisponga
di un sistema di controllo interno per la gestione del rischio fiscale.
Dunque, la legge delega fiscale ha posto l’attenzione, per la prima
volta e in maniera inequivocabile, sulla rilevanza strategica del rischio
fiscale e sulla necessità di prevederne il monitoraggio nell’ambito delle
imprese, attraverso idonei sistemi di risk management.
Va aggiunto che il “regime dell’adempimento collaborativo” disci-
plinato dal d.lgs. n. 128 del 2015 non è l’unico istituto introdotto
dal Legislatore finalizzato a promuovere la cooperazione tra Fisco e
contribuenti e la certezza del diritto. Coevo è, tra gli altri, l’“interpello
sui nuovi investimenti”, introdotto dall’art. 2 del d.lgs. 14 settembre
2015, n. 147.

        (4) Cfr. sul punto la Relazione illustrativa laddove è stato precisato che un
primo punto importante di intervento è quello di dare maggior certezza al sistema
tributario. E, infatti, “Mutamenti frequenti e incisivi nel sistema tributario non
solo generano costi aggiuntivi di adempimento (connessi con l’apprendimento
delle nuove norme, l’instaurazione delle nuove procedure, gli inevitabili dubbi
interpretativi iniziali, l’insorgere di qualche contenzioso, ecc.) ma modificano
anche le convenienze relative su cui erano basate le decisioni prese in passato, e
soprattutto generano incertezza. Troppo spesso, nel recente passato, si sono avuti
cambiamenti piuttosto radicali su aspetti strutturali del nostro sistema fiscale,
con effetti negativi sulla credibilità e sulla stabilità di medio-lungo periodo della
politica tributaria”.

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Con il presente lavoro si intendono ripercorrere, nei tratti fondamen-
tali, i due principali meccanismi di collaborazione tra Fisco e con-
tribuenti quali il “regime dell’adempimento collaborativo” di cui al
d.lgs. n. 128 del 2015 e l’“interpello sui nuovi investimenti”, di cui
all’art. 2 del d.lgs. n. 147 del 2015. Si tratta, peraltro, di istituti che
sono collegati (o, quantomeno, “collegabili”). È, infatti, consentito a
coloro che aderiscono all’interpello sui nuovi investimenti di accedere,
pur non avendone i requisiti dimensionali, al regime di cooperative
compliance.
Parte del lavoro sarà dedicata all’analisi dei sistemi di gestione del
rischio fiscale.

2. Le “spinte” alla cooperative compliance.

Con l’art. 6, legge n. 23 del 2014 il Legislatore ha voluto prevedere
un dialogo anticipato tra contribuente e Agenzia delle Entrate al
fine di pervenire ad una congiunta valutazione dei potenziali rischi
fiscali, in tal modo aumentando il livello di certezza del diritto
tributario.
Il Legislatore ha così voluto introdurre forme di comunicazione e
di cooperazione rafforzata, anche in termini preventivi rispetto alle
scadenze fiscali, tra le imprese e l’Amministrazione Finanziaria e la
previsione obbligatoria di sistemi aziendali strutturati di gestione e
di controllo del rischio fiscale, con una chiara attribuzione di respon-
sabilità nel quadro del complessivo sistema dei controlli interni. Il
descritto contesto normativo è finalizzato alla costruzione di un mi-
gliore rapporto Fisco-contribuenti, basato su dialogo, fiducia reciproca,
collaborazione, piuttosto che sul confronto conflittuale.
Invero, il regime di cooperative compliance è stato preceduto sia da
precedenti esperienze a livello internazionale che da un “Progetto
Pilota” realizzato in Italia nel 2013.

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Con riguardo ai profili internazionali (5), l’OCSE, già nel 2008 (6)
aveva svolto un’analisi sul ruolo degli intermediari nell’ambito della
pianificazione fiscale aggressiva; in tale Studio si proponeva l’in-
staurazione di un nuovo rapporto di collaborazione (c.d. enhanced
relationship) tra grandi contribuenti, consulenti fiscali ed Ammini-
strazioni Finanziarie, basato essenzialmente sulla fiducia reciproca.
Successivamente, nel 2013 (7) il Forum OCSE sull’Amministrazione
Fiscale ha pubblicato uno Studio sulla concreta implementazione del
nuovo modello di cooperazione tra Fisco e contribuente. È emerso
che tutti i 24 Stati Membri dell’OCSE oggetto di analisi avevano
sviluppato e/o implementato un modello di cooperative compliance.
Nel nuovo Studio, il concetto di “enhanced relationship” è stato ri-
nominato “cooperative compliance”, in quanto tale termine descrive
in maniera più accurata l’obiettivo (compliance) ed il mezzo attra-
verso cui raggiungerlo (cooperation). Peraltro, proprio la necessità
dell’adozione di un efficace sistema di controllo interno del rischio
fiscale da parte del contribuente rappresenta l’elemento evolutivo

       (5) Si vedano sul punto: V. TAMBURRO, Nuove prospettive nel rapporto
tra Fisco e contribuente: a proposito di una recente collettanea in tema di c.d. “tax
assurance”, in DPT, 3, 2016, p. 938 e ss.; B. FERRONI, Cooperative compliance,
governance aziendale e tutoraggio, in Il Fisco, 20, 2014, p. 1950 e ss.
       (6) OCSE, Study into the Role of Tax Intermediaries, 2008.
       Come precedenti esperienze, vanno ricordate anche quelle relative al Forum
on Tax Administration istituito nel luglio 2002 dal Comitato Affari Fiscali dell’OC-
SE. In particolare, già dal 2004 con il Documento “Managing and Improving Tax
Compliance” l’OCSE enfatizzava l’importanza di applicare i moderni principi del
risk management nel gestire la compliance fiscale. A tale documento, si affiancò,
nel 2010, anche la nota informativa “Understanding and Influencing Taxpayer
Compliance Behaviour”.
       (7) OCSE, The importance of the Tax Control Framework, in Co-operative
Compliance: A Framework: From Enhanced Relationship to Co-operative Com-
pliance, Parigi, 2013.

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e qualificante della cooperative compliance rispetto alle enhanced
relationship, anche se entrambi gli approcci sono basati sugli stessi
principi e finalità (8).
In questo contesto, il “Progetto Pilota” italiano (9) era mirato a pro-
muovere e sviluppare un’interlocuzione preventiva ed una collabora-
zione rafforzata fra contribuenti ed Agenzia delle Entrate (10).
Sin da subito, in effetti, il “Progetto Pilota” aveva suscitato un certo
interesse in quanto, in coerenza con la prassi degli altri Paesi che
avevano già adottato simili programmi, si attendeva dalla sua adesio-

        (8) S.M. GALARDO, Cooperative compliance: relazioni Fisco-contribuente,
la nuova sfida, in Corr. Trib., 36, 2016, p. 2735 e ss.
        (9) In merito si vedano: A. NUZZOLO, P. VALENTE, Tax governance e coo-
perazione rafforzata con il Fisco, in Il Fisco, 19, 2014, p. 1853 e ss.; M. LENOTTI,
“Cooperative compliance” nella delega fiscale e nel progetto pilota dell’Agenzia
delle Entrate, in Corr. Trib., 21, 2014, p. 1627 e ss.; G. CANTON, M. MEULEPAS,
Cooperative compliance e tax control framework: strumenti di certezza fiscale
preventiva, in Amministrazione & Finanza, 3, 2014, p. 37 e ss.; F. LEONE, B.
BONO, Co-operative compliance: verso un nuovo rapporto Fisco-contribuente,
in Amministrazione & Finanza, 8, 2015, p. 23 e ss.; M. PENNESI, “Cooperative
tax compliance”: il Fisco cerca la collaborazione dei grandi contribuenti, in Corr.
Trib., 29, 2013, p. 2335 e ss.
        (10) Come precisato dal Comunicato stampa dell’Agenzia delle Entrate
del 25 giugno 2013, “Gli obiettivi del progetto sono quelli di individuare concreti
elementi utili alla successiva definizione delle caratteristiche che dovranno ispi-
rare questa nuova forma di interlocuzione. Approccio che consentirà, in sintesi,
una evoluzione dell’attuale attività di tutoraggio spostando in fase preventiva
l’intervento dell’amministrazione fiscale. Il nuovo rapporto dovrà caratterizzarsi,
da un lato, dall’impegno effettivo del contribuente ad assumere comportamenti
orientati all’adempimento spontaneo e a fornire volontariamente, o a richiesta,
informazioni complete e tempestive sulle operazioni che presentano maggiori rischi
fiscali e dall’altro, dal concreto impegno dell’Agenzia a rispondere alle esigenze
del contribuente e a consentire la risoluzione delle questioni fiscali di più ampio
rilievo in maniera tempestiva ed equilibrata”.

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ne una ricaduta significativa in termini di benefici (es. procedure di
interlocuzione con l’Amministrazione Finanziaria più snelle, efficaci,
certe e veloci, riduzione delle sanzioni, etc.). Al Progetto erano stati
invitati a partecipare tutti i “grandi contribuenti” (11) che avessero
adottato un modello di organizzazione e di gestione di cui al d.lgs.
n. 231/2001 oppure un sistema di gestione e controllo del rischio fi-
scale (cd. Tax Control Framework, TCF). La sperimentazione è stata
quindi propedeutica ad un’applicazione generalizzata, sempre su
base volontaria, del regime di Cooperative Compliance. L’intervento
muoveva proprio dalla considerazione che la presenza in azienda di
un adeguato TCF, supportato al contempo da un atteggiamento traspa-
rente e collaborativo nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria,
potesse costituire una importante premessa per l’introduzione di un
approccio al controllo fiscale ex ante, rispetto al tradizionale metodo
di intervento ex post, con positivi impatti sul livello di compliance
fiscale del contribuente e sulle sue esigenze di certezza e stabilità del
sistema fiscale in cui opera. Il Progetto prevedeva un impegno del
contribuente alla compliance ed alla disclosure delle transazioni con
maggiori “rischi fiscali”: a fronte di tale trasparenza, l’Agenzia delle
Entrate si sarebbe impegnata a rispondere alle esigenze del contri-
buente e a consentire la risoluzione delle questioni fiscali di più ampio
rilievo in maniera tempestiva ed equilibrata.

        (11) Ovverosia i contribuenti con volume di affari pari ad almeno 100 milioni
di euro e dotati di un modello di organizzazione e gestione conforme al dettato
dell’art. 6 d.lgs. n. 231 del 2001 (“Modello 231/2001”) o di un sistema di gestione
e controllo del rischio fiscale. Alla fine, sono state selezionate 14 Società, fra le 84
che avevano fatto richiesta di partecipare e che erano in possesso dei requisiti di-
mensionali e organizzativi previsti dal bando (cfr. MINISTERO DELL’ECONOMIA
E DELLE FINANZE, Relazione ai sensi dell’art. 7, comma 4, del D.lvo 7 agosto
2015, n. 128, 28 settembre 2017).

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Ebbene, tanto le “spinte internazionali” dell’OCSE quanto il “Proget-
to Pilota” realizzato in Italia hanno anticipato la nuova cooperative
compliance, introdotta con l’art. 6, legge n. 23 del 2014 ed attuata
con il d.lgs. n. 128 del 2015.

2.1. Il regime dell’adempimento collaborativo: profili operativi.

L’art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 23 del 2014 (12) ha introdotto
una forma di adempimento collaborativo tra le imprese e l’Ammini-
strazione Finanziaria e la previsione di sistemi aziendali strutturati di
gestione e di controllo del rischio fiscale.

        (12) “Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui
all’articolo 1, norme che prevedano forme di comunicazione e di cooperazione
rafforzata, anche in termini preventivi rispetto alle scadenze fiscali, tra le imprese
e l’amministrazione finanziaria, nonché, per i soggetti di maggiori dimensioni, la
previsione di sistemi aziendali strutturati di gestione e di controllo del rischio fiscale,
con una chiara attribuzione di responsabilità nel quadro del complessivo sistema
dei controlli interni, prevedendo a tali fini l’organizzazione di adeguate strutture
dell’amministrazione finanziaria dedicate alle predette attività di comunicazione
e cooperazione, facendo ricorso alle strutture e alle professionalità già esistenti
nell’ambito delle amministrazioni pubbliche.
        2. Il Governo è altresì delegato a prevedere, nell’introduzione delle norme di
cui al comma 1, incentivi sotto forma di minori adempimenti per i contribuenti e di
riduzioni delle eventuali sanzioni, anche in relazione alla disciplina da introdurre
ai sensi dell’articolo 8 e ai criteri di limitazione e di esclusione della responsabilità
previsti dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, nonché forme specifiche di
interpello preventivo con procedura abbreviata”.
        I commi 3 e 4 disciplinano, invece, il c.d. “tutoraggio”.
        Come rilevato nel Dossier del Senato del 27 gennaio 2015, il tutoraggio può
essere definito come il complesso di attività che vengono svolte da parte dell’Agenzia
delle Entrate a favore dei contribuenti, in rapporto diretto con loro. Nell’ambito della
riforma del sistema del tutoraggio è prevista l’istituzione di forme premiali, consistenti
in una riduzione degli adempimenti, in favore dei contribuenti che vi aderiscano. Si

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Il regime comporta l’assunzione di impegni sia per l’Agenzia delle
Entrate sia per i contribuenti ammessi al regime e risponde ad esigenze
di certezza e di stabilità nell’applicazione della normativa tributaria
e di riduzione del contenzioso (13).

rammenta che un servizio di tutoraggio era previsto a favore delle nuove imprese che
avessero usufruito del regime fiscale agevolato per le nuove iniziative produttive, in-
trodotto dall’art. 13 della legge n. 388 del 2000 (c.d. forfettino) ed abrogato dalla citata
Legge di Stabilità 2015 (art. 1, comma 85 della legge n. 190 del 2014); l’assistenza
si svolgeva prevalentemente attraverso collegamenti telematici tra il contribuente e il
sistema informativo dell’Agenzia delle Entrate e, in tutti i casi in cui l’informazione
richiesta non potesse essere trattata in maniera automatica, mediante rapporti diretti
con l’ufficio o tramite posta elettronica. La procedura informatica a disposizione
dei contribuenti consentiva di comunicare i dati necessari per la elaborazione della
contabilità e per il conseguente obbligo di dichiarazione, permettendo agli uffici
territorialmente competenti di monitorare i dati trasmessi dai contribuenti.
         (13) L’art. 5, d.lgs. n. 128 del 2015, prevede i diversi doveri per l’Ammi-
nistrazione Finanziaria e il contribuente.
         Più precisamente il regime comporta per l’Agenzia delle Entrate i seguenti
impegni:
         a) valutazione trasparente, oggettiva e rispettosa dei principi di ragionevolezza
e di proporzionalità del sistema di controllo adottato, con eventuale proposta degli
interventi ritenuti necessari ai fini dell’ammissione e della permanenza nel regime;
         b) pubblicazione periodica sul proprio sito istituzionale dell’elenco aggiorna-
to delle operazioni, strutture e schemi ritenuti di pianificazione fiscale aggressiva;
         c) promozione di relazioni con i contribuenti improntate a principi di trasparen-
za, collaborazione e correttezza nell’intento di favorire un contesto fiscale di certezza;
         d) realizzazione di specifiche semplificazioni degli adempimenti tributari, in con-
seguenza degli elementi informativi forniti dal contribuente nell’ambito del regime;
         e) esame preventivo delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali si-
gnificativi e risposta alle richieste dei contribuenti nel più breve tempo possibile;
         f) debita considerazione degli esiti dell’esame e della valutazione effettuate
dagli organi di gestione, sulla base della relazione sul rischio di cui all’articolo
4, comma 2, delle risultanze delle attività dei soggetti incaricati, presso ciascun
contribuente, della revisione contabile, nonché di quella dei loro collegi sindacali

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L’obiettivo fondamentale è quello di costruire un migliore rapporto col
Fisco basato su dialogo, collaborazione e fiducia reciproca, piuttosto
che sul confronto conflittuale (14).
A seguito della suddetta legge delega, è stato emanato il d.lgs. 5
agosto 2015, n. 128, recante disposizioni sulla certezza del diritto
nei rapporti tra Fisco e contribuente; detto decreto, agli artt. 3-8, di-
sciplina appunto il regime di cooperative compliance. Ulteriormente,
il Decreto Ministeriale 15 giugno 2016 ha introdotto le disposizioni
attuative relative all’interpello previsto nell’ambito di tale regime,
mentre il successivo Decreto Ministeriale del 30 dicembre 2016

e dei pareri degli organismi di vigilanza.
        Il regime comporta per i contribuenti i seguenti impegni:
        a) istituzione e mantenimento del sistema di rilevazione, misurazione, ge-
stione e controllo del rischio fiscale, nonché attuazione delle modifiche del sistema
adottato eventualmente ritenute necessarie dalla Agenzia delle Entrate;
        b) comportamento collaborativo e trasparente, mediante comunicazione
tempestiva ed esauriente all’Agenzia delle Entrate dei rischi di natura fiscale e,
in particolare, delle operazioni che possono rientrare nella pianificazione fiscale
aggressiva;
        c) risposta alle richieste della Agenzia delle Entrate nel più breve tempo
possibile;
        d) promozione di una cultura aziendale improntata a principi di onestà,
correttezza e rispetto della normativa tributaria, assicurandone la completezza e
l’affidabilità, nonché la conoscibilità a tutti i livelli aziendali.
        (14) Tale ratio la si evince dallo stesso art. 3, d.lgs. n. 128 del 2015 che,
“al fine di promuovere l’adozione di forme di comunicazione e di cooperazione
rafforzate basate sul reciproco affidamento tra Amministrazione finanziaria e
contribuenti, nonché di favorire nel comune interesse la prevenzione e la risolu-
zione delle controversie in materia fiscale”, istituisce “il regime dell’adempimento
collaborativo fra l’Agenzia delle entrate e i contribuenti dotati di un sistema di
rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, inteso quale rischio
di operare in violazione di norme di natura tributaria ovvero in contrasto con i
principi o con le finalità dell’ordinamento tributario”.

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La gestione del rischio fiscale —

ha fissato al 31 dicembre 2019 il termine finale della fase di prima
applicazione del nuovo istituto. Contestualmente, sono stati emanati
diversi Provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate (15) e documenti di
prassi (16) finalizzati a rendere pienamente operativa la cooperative
compliance.
Entrando nel merito della disciplina sostanziale (17), dal punto di

         (15) Trattasi, in particolare, dei Provvedimenti del 14 aprile 2016 e del
Provvedimento del 26 maggio 2017.
         (16) Circolare n. 38/E del 16 settembre 2016; vd. anche il comunicato stampa
del 16 settembre 2016.
         (17) Per un’approfondita disamina della disciplina relativa alla cooperative
compliance si rinvia a: ASSONIME, Circolare n. 14 del 22 aprile 2016; ID., Note
e studi n. 17/2016; B. FERRONI, Cooperative compliance, governance aziendale e
tutoraggio, op. cit.; ID., Cooperative compliance: finalmente ai blocchi di partenza
il regime di adempimento collaborativo, in Il Fisco, 21, 2016, p. 2015 e ss.; ID., Il
tax control framework nel regime di adempimento collaborativo, in Il Fisco, 38,
2016, p. 3621 e ss.; ID., Cooperative compliance: partecipazione dei gruppi e pro-
fili di corporate governance, in Il Fisco, 42, 2016, p. 4043 e ss.; ID., Cooperative
compliance: un regime sempre più attrattivo per le grandi imprese, in Il Fisco, 25,
2017, p. 2407 e ss.; ID., Imprese multinazionali e cooperative compliance, in Il
Fisco, 3, 2017, p. 207 e ss.; M. LEO, Cooperative compliance: una strada lunga
e impervia, in Il Fisco, 38, 2016, p. 3616 e ss.; V. AZZOLINI, G. GARGIULO, R.
LUPI, La “cooperative compliance”: una legge manifesto in mezzo al guado, in
Dialoghi tributari, 4, 2015, p. 401 e ss.; A. SANTORO, A. MANZITTI, Ricchezza
non registrata e pianificazioni fiscali aggressive: in che consiste la “cooperative
compliance” della delega fiscale?, in Dialoghi tributari, 2, 2014, p. 127 e ss.; F.
PISTOLESI, Le regole procedimentali nel provvedimento di attuazione dell’adem-
pimento collaborativo, in Corr. Trib., 30, 2017, p. 2412 e ss.; G. ALLEVATO, La
“cooperative compliance” italiana e il progressivo allineamento agli standard
internazionali, in Corr. Trib., 41, 2016, p. 3168 e s.; C. MELILLO, Regime di adem-
pimento collaborativo e monitoraggio del rischio fiscale: incentivi, semplificazioni e
oneri, in DPT, 6, 2015, p. 10963 e ss.; A. MERCATELLI, Estensione del regime di
“Cooperative compliance” e altre risposte dell’Amministrazione, in Pratica fiscale e
professionale, 46, 2016, p. 21 e ss.; ID., “Cooperative compliance” Fisco-imprese:

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vista dell’ambito soggettivo, in fase di prima attuazione, al regime
di cooperative compliance possono partecipare i contribuenti che
hanno ricavi o volume d’affari superiori ai 10 miliardi di euro. La
soglia per partecipare al programma scende ad 1 miliardo di euro per
quelle realtà che hanno scelto di partecipare al “Progetto Pilota” sin
dall’avvio. Non è prevista nessuna soglia dimensionale, invece, per
le imprese che intendono dare esecuzione alla risposta dell’Agenzia
delle Entrate, fornita a seguito di istanza di interpello sui nuovi inve-
stimenti (cfr. infra).
L’impresa che aderisce al nuovo regime di adempimento collaborativo
deve necessariamente disporre di un efficace sistema di controllo del
rischio fiscale, impostato su una chiara tax strategy. Di questo aspetto
si tratterà analiticamente nei successivi paragrafi.
Sotto il profilo dello svolgimento procedimentale, si prevede che i con-
tribuenti che intendano aderire al regime inoltrino una domanda in via
telematica utilizzando il modello reso disponibile sul sito istituzionale
della Agenzia delle Entrate. L’Ufficio competente per la valutazione
dei requisiti di ammissibilità per l’accesso al regime è chiamato ad ef-
fettuare i propri controlli secondo criteri di comprensione del business,
imparzialità, proporzionalità, trasparenza e reattività, proponendo,
eventualmente, gli interventi ritenuti necessari ai fini dell’ammissione
al regime. Al termine dell’attività istruttoria, il procedimento di am-
missione prevede che l’Ufficio tenga uno o più incontri interlocutori

cosa c’è di nuovo e di vero, in Pratica fiscale e professionale, 29, 2016, p. 31 e
ss.; ID., Cooperative Compliance: come funziona il nuovo interpello “sprint”, in
Pratica fiscale e professionale, 32-33, 2016, p. 27 e ss.; A. DELLA ROVERE, F.
VINCENTI, Il tax risk management quale strumento di governance per le imprese,
in Amministrazione & Finanza, 8, 2017, p. 53 e ss.; C. ATTARDI, Procedura di
cooperazione e collaborazione rafforzata nel panorama dei modelli attuativi, in Il
Fisco, 43, 2017, p. 4150; S. M. GALARDO, “Cooperative compliance”: relazioni
Fisco-contribuente, la nuova sfida, in Corr. Trib., 36, 2016, p. 2735 e ss.

366 —
La gestione del rischio fiscale —

con i rappresentanti designati dalla società ed eventualmente, qualora
lo ritenga necessario, acceda presso le sedi di svolgimento dell’attività
dell’impresa o della stabile organizzazione, allo scopo di prendere
diretta cognizione di elementi informativi utili.
Al termine della fase di riscontro dei requisiti soggettivi e oggettivi,
l’Ufficio comunica al contribuente l’esito della verifica entro 120
giorni decorrenti dalla data di ricevimento dell’istanza o della do-
cumentazione, se presentata entro i successivi 30 giorni. In caso di
ammissione al regime, il contribuente è inserito nell’elenco pubblicato
sul sito istituzionale dell’Agenzia delle Entrate. Il regime si applica
al periodo d’imposta nel corso del quale la richiesta di adesione è
trasmessa all’Agenzia delle Entrate e si intende tacitamente rinnovato
qualora non sia espressamente comunicata dal contribuente la volontà
di non permanere nel regime stesso.
Con riguardo agli effetti, ne sono previsti diversi di natura “premiale”
per le imprese che intendono aderire al regime. In generale, l’adesione
al regime comporta la possibilità per i contribuenti di pervenire con
l’Agenzia delle Entrate a una comune valutazione delle situazioni
suscettibili di generare rischi fiscali prima della presentazione delle
dichiarazioni fiscali, attraverso forme di interlocuzione costante e
preventiva su elementi di fatto, inclusa la possibilità dell’anticipazione
del controllo.
In particolare, poi, si prevede:
     i) la possibilità di accedere a una procedura abbreviata di inter-
pello preventivo, nell’ambito della quale l’Agenzia delle Entrate si
impegna a rispondere ai quesiti delle imprese entro quarantacinque
giorni decorrenti dal ricevimento dell’istanza o della eventuale do-
cumentazione integrativa richiesta (18);

        (18) In merito all’interpello in forma abbreviata si veda il Decreto Ministe-
riale 15 giugno 2016.

                                                                             — 367
— La gestione del rischio fiscale

     ii) l’applicazione di sanzioni ridotte alla metà, e comunque in
misura non superiore al minimo edittale, con sospensione della riscos-
sione fino alla definitività dell’accertamento, per i rischi comunicati
in modo tempestivo ed esauriente, laddove l’Agenzia delle Entrate
non condivida la posizione dell’impresa;
     iii) l’esonero dalla presentazione di garanzie per i rimborsi delle im-
poste dirette e indirette per tutto il periodo di permanenza nel regime;
     iv) la pubblicazione sul sito istituzionale dell’Agenzia dell’elenco
dei contribuenti che hanno aderito al regime.
Si prevede, peraltro, che in caso di denuncia per reati fiscali, l’Agenzia
delle Entrate comunica alla Procura della Repubblica se il contribuente
abbia aderito al regime di adempimento collaborativo, fornendo, se ri-
chiesta, ogni utile informazione in ordine al controllo del rischio fiscale e
all’attribuzione di ruoli e responsabilità previsti dal sistema adottato.
Infine, si prevede una disposizione di chiusura a norma della qua-
le se, successivamente all’ammissione al regime, emergono rischi
fiscali non individuati dal sistema di controllo del rischio fiscale o
non comunicati all’ufficio competente, l’Agenzia delle Entrate può
disporre con provvedimento motivato l’esclusione del contribuente
dal regime, previa valutazione della rilevanza dei rischi fiscali non
individuati o non comunicati.

2.2. Rischio fiscale e sistemi di tax governance.

Come sopra anticipato, al fine di poter instaurare con l’Amministra-
zione Finanziaria detto rapporto di cooperazione, è necessario che
l’impresa predisponga di un sistema di controllo interno del rischio
fiscale (19).
       (19) L. FRUSCIONE, B. SANTACROCE, La gestione del rischio fiscale:
il nuovo rapporto Fisco-Impresa, in Il Fisco, 20, 2014, p. 1957 e ss.; per un’ampia
rassegna sul sistema di controllo fiscale, anche nell’ambito della cooperative com-

368 —
La gestione del rischio fiscale —

Si è in precedenza affermato che il “rischio fiscale” può essere definito
come il rischio di mancanza di conformità delle operazioni di gestione
aziendale alla normativa tributaria. Nell’ambito della normativa della
cooperative compliance, per “rischio fiscale”, come statuito espressa-
mente dalla normativa, si intende, in particolare, il rischio di operare
in violazione di norme di natura tributaria ovvero in contrasto con i
principi o con le finalità dell’ordinamento (20).

pliance, si vedano: ID., Modello organizzativo 231 e gestione del rischio fiscale:
modalità di integrazione e controllo, in Il Fisco, 5, 2015, p. 457 e ss.; E. FUSA,
D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 - Il sistema del controllo interno: importante elemento
per la tax compliance, in Il Fisco, 32, 2015, p. 3115 e ss.; M. PANSARELLA, G.
STANCATI, Reato di autoriciclaggio e sistemi di controllo del rischio fiscale:
una nuova prospettiva, in Corr. Trib., 30, 2015, p. 2359 e ss.; L. MENICACCI,
L. NERI, Tax risk reporting: uno strumento a supporto del management, op. cit.;
C. MELILLO, L’evoluzione del rapporto Fisco-Impresa secondo le linee guida
dell’OCSE, in Rass. Trib., 4, 2015, p. 932 e ss.; M. RAVERA, B. SANTACROCE,
Profili soggettivi e mappatura dei rischi nella “Cooperative Compliance”: impatti
operativi per i gruppi d’impresa, in Corr. Trib., 47, 2016, p. 3601 e ss.; G. ALBANO,
Regime dell’adempimento collaborativo. Un modello per la gestione del rischio
fiscale, in Corr. Trib., 35, 2015, p. 2653 e ss.; C. ROMANO, L. CHIODAROLI,
Regime di adempimento collaborativo: la risposta all’incertezza nei rapporti tra
Fisco e contribuente, op. cit.
        (20) Art. 3, comma 1, d.lgs. n. 128 del 2015, art. 1, comma 1, lett. c),
Provvedimento Agenzia delle Entrate 14 aprile 2016 e art. 1, comma 1, lett. h),
Provvedimento Agenzia delle Entrate 26 maggio 2017.
        Come ricordano M. RAVERA, B. SANTACROCE, Profili soggettivi e
mappatura dei rischi nella “Cooperative Compliance”: impatti operativi per i
gruppi d’impresa, op. cit., i rischi con impatti di natura fiscale si possono generare
nelle seguenti situazioni:
        i) nell’ambito di tipiche attività di processo caratterizzate da una natura
ricorsiva (es. nello svolgimento delle normali attività di vendita o di gestione del
personale), durante le quali potrebbero generarsi impatti di natura fiscale. In questo
caso saranno definiti rischi ordinari o di routine;

                                                                             — 369
— La gestione del rischio fiscale

Il “rischio fiscale” - concetto sconosciuto solo una quindicina di anni
fa - ad oggi, a livello internazionale, è parte integrante di tutti i sistemi
di controllo delle grandi aziende (21) (oltre che, in particolar modo,
degli intermediari finanziari).

        ii) nell’ambito di specifiche transazioni, quando le stesse per la loro natura
eccezionale o per le specificità che le caratterizzano sono suscettibili di generare
rischi fiscali particolarmente rilevanti. In questo caso saranno definiti rischi stra-
ordinari o non routinari.
        (21) È la stessa Relazione illustrativa al d.lgs. n. 128 del 2015 a ricordare
la progressiva e crescente attenzione dedicata dalle aziende al concetto di “rischio
fiscale”. La Relazione governativa ricorda, infatti, che, se quindici anni fa il concetto
di “rischio fiscale” era sostanzialmente ignoto, esso ha, invece, assunto rilevanza
dopo il caso Enron (e gli altri simili), nel quadro delle misure volte ad accrescere
la trasparenza e migliorare complessivamente la governance societaria. In parti-
colare, il punto di partenza è stato la Sarbanes-Oxley (2002). Successivamente,
nel 2006 il FASB (Financial Accounting Standard Board) ha emanato la FIN 48
(interpretazione dello Statement 109: “Accounting for income tax”), che obbliga il
redattore del bilancio a riconoscere e a misurare le “uncertain tax positions”, cioè
quelle posizioni per le quali la probabilità di superare una verifica fiscale (incluso
l’esito di un eventuale contenzioso) non supera il 50 per cento. La FIN 48 obbliga
a dare informativa delle “posizioni fiscali incerte” e dei criteri usati per valutarne la
probabilità; il connesso debito fiscale (comprensivo di eventuali interessi e sanzioni)
va esposto tra le passività. Dunque, la Sarbanes-Oxley e il FIN 48 hanno determinato
un profondo cambiamento nel modo in cui il top management delle grandi società
guarda al Fisco. In sostanza, il rischio fiscale diviene a pieno titolo uno dei settori
sottoposti ai controlli interni di secondo livello, quelli tesi ad assicurare il rispetto
della compliance.
        In conseguenza di tanto, sono stati disegnati e posti in funzione sistemi
di individuazione e di gestione del rischio fiscale. Nelle grandi aziende vengono
ormai impostate strategie generali di minimizzazione di questo tipo di rischio. I
modelli di gestione del rischio fiscale sono ormai generalmente diffusi e sono parte
integrante del funzionamento delle corporation. La materia è stata oggetto di diversi
studi ed esiste ormai una letteratura sull’argomento. Sono quindi ormai cambiati
la funzione e gli incentivi per il tax department. Al tradizionale tax planning volto

370 —
La gestione del rischio fiscale —

Come ricorda la Relazione illustrativa al d.lgs. n. 128 del 2015, an-
che in Italia nell’ultimo decennio sono state riviste profondamente le
regole sui controlli aziendali, sulla scia delle iniziative assunte negli
Stati Uniti e in altri paesi. Le società che si rivolgono al mercato sono
assoggettate a regole di trasparenza e relative alla strutturazione dei
controlli interni, in conseguenza sia di diversi interventi normativi,
sia di alcune importanti iniziative di autoregolamentazione.
Sotto questo punto di vista, è stato osservato (22), in effetti, che la
tax governance risponde essenzialmente all’esigenza di assicurare
la gestione e la prevenzione dei rischi connessi alla variabile fiscale,
nonché il supporto in sede di verifica fiscale. Corporate governance
e tax governance si trovano in un rapporto di genere e specie. In tal
senso, la tax governance può definirsi quale corporate governance
applicata alla variabile fiscale. La tax governance rappresenta una
“constituent part” del più ampio concetto di corporate governance.
Orbene, come pure è stato osservato (23), l’art. 6 della legge delega
fiscale ha posto l’attenzione, per la prima volta e in maniera inequi-
vocabile, sulla rilevanza strategica del rischio fiscale e sulla necessità
di prevederne il monitoraggio nell’ambito delle imprese, attraverso
idonei sistemi di risk management. Dal punto di vista del contribuente,
l’obiettivo è quello di indurlo a dotarsi volontariamente di un siste-

alla minimizzazione del carico impositivo effettivo si affiancano l’individuazione,
il monitoraggio e la gestione dei rischi di non compliance fiscale. Non si tratta più
solo di minimizzare un “costo”: il corretto adempimento degli obblighi fiscali viene
inserito nel quadro più generale della corporate responsibility. In tale contesto, lo
stesso Fisco ha iniziato a guardare con interesse ai sistemi di controllo interno del
rischio fiscale posti in atto dalle corporations.
        (22) P. Valente, Manuale di governance fiscale, IPSOA, Milano, 2011;
AA.VV., Tax governance e risk management, Ipsoa, Milano, 2017.
        (23) C. MELILLO, L’evoluzione del rapporto Fisco-Impresa secondo le
linee guida dell’OCSE, op. cit.

                                                                             — 371
— La gestione del rischio fiscale

ma di controllo del rischio fiscale che risponda a esigenze interne di
controllo dei rischi patrimoniali e reputazionali connessi al corretto
adempimento degli obblighi fiscali (24).
Tuttavia, per risultare efficaci (25), tali sistemi devono essere im-
plementati e gestiti secondo criteri di neutralità e indipendenza che
consentano di tutelare non solo gli interessi del contribuente (il
quale potrà in tal modo rivendicare l’auspicata tax compliance am-
ministrativa e penale-tributaria) ma anche dell’Erario. Ovviamente,
l’implementazione di un ulteriore Modello - quello di gestione del
rischio fiscale, appunto - deve essere inteso come momento di “po-
tenziamento” del sistema dei controlli aziendali piuttosto che come
“appesantimento” di detto sistema. In effetti, soprattutto alla luce
delle più recenti novità legislative che hanno inteso indubitabilmen-
te porre in essere ulteriori adempimenti e modelli organizzativi in

        (24) F. GALLO, Brevi considerazioni sulla definizione di abuso del diritto e
sul nuovo regime del c.d. adempimento collaborativo, in DPT, 6, 2014, p. 947 e ss.
        D’altronde, è la stessa Relazione illustrativa a chiarire che “Per il contri-
buente dotarsi di un sistema di controllo del rischio fiscale risponde innanzitutto
a esigenze interne di controllo dei rischi patrimoniali e reputazionali connessi al
corretto adempimento degli obblighi fiscali; ma offre anche alle autorità fiscali,
una volta che si instauri un rapporto di collaborazione basato sulla trasparenza e
la fiducia reciproca, un primo presidio per la correttezza fiscale del contribuente.
I vantaggi, per entrambe le parti, risiedono principalmente in un sollecito e pre-
ventivo esame dei casi dubbi e nella correlata riduzione dei controlli successivi e
dell’eventuale contenzioso”.
        (25) L’OCSE osserva che un buon sistema di tax risk management dovrebbe
assicurare il fedele e tempestivo adempimento degli obblighi tributari, garantendo, al
contempo, una chiara attribuzione di ruoli e responsabilità ai diversi settori dell’im-
presa in relazione ai rischi fiscali, efficaci procedure di rilevazione, misurazione,
gestione e controllo dei rischi fiscali il cui rispetto sia garantito a tutti i livelli azien-
dali e efficaci procedure per correggere gli errori e rimediare ad eventuali carenze
riscontrate nel suo funzionamento e attivare le necessarie azioni correttive.

372 —
La gestione del rischio fiscale —

capo alle imprese (26), può essere difficile accettare di introdurre
un nuovo e diverso sistema di controllo.

         (26) Il riferimento in questo caso è alla normativa sulla privacy. Si ricorda,
infatti, che, a partire dal 25 maggio 2018, ha trovato piena applicazione in tutti i Paesi
dell’Unione Europea, compresa l’Italia, il Regolamento UE 679/2016 (“GDPR”). In
tale contesto, l’art. 13 della legge n. 163 del 2017 ha delegato il governo ad effettuare
il coordinamento tra la normativa europea, direttamente applicabile nell’ordinamento
dal 25 agosto 2018, e quella nazionale. In attuazione della suddetta delega, è stato
emanato il d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101.
         Senza pretesa di esaustività, si ricorda che tra i principi fondamentali di
nuova introduzione vi sono il principio di accountability, i principi di “privacy by
design” e di “privacy by default”. In particolare, il principio di accountability o di
responsabilizzazione, comporta che il Titolare del trattamento dovrà approntare le
misure organizzative e tecniche necessarie a garantire la conformità del trattamento
rispetto ai dettami del GDPR. Pertanto, come evidenziato nel Considerando 74 del
GDPR, il Titolare del trattamento dovrebbe essere tenuto a mettere in atto misure
adeguate ed efficaci ed essere in grado di dimostrare la conformità delle attività di
trattamento con il presente regolamento, compresa l’efficacia delle misure. Si tratta,
peraltro, di una evoluzione rispetto a quanto previsto dal previgente Codice della
Privacy il quale imponeva delle misure minime di sicurezza per ciascun Titolare
del trattamento.
         Un’ulteriore conseguenza (o, se si vuole, un altro “significato” del principio
di accountability) è quella relativa alla rendicontazione.
         Il Titolare del trattamento dovrà comprovare di aver rispettato i principi del
GDPR. Pertanto, sotto il profilo operativo, il Titolare dovrà essere in grado di do-
cumentare e di provare (“comprovare”) di aver rispettato la normativa in esame.
         Strettamente correlati al principio di accountability sono i principi di “privacy
by design” (o protezione dei dati fin dalla progettazione) e di “privacy by default”
(o protezione per impostazione predefinita), di cui all’art. 25, GDPR. In base a tali
principi, il Titolare del trattamento deve strutturare adeguate misure tecniche ed orga-
nizzative, sia prima che il trattamento dei dati personali abbia inizio che all’atto del
trattamento stesso. Occorrerà, a tal fine, valutare le misure da adottare avuto riguardo
alle specifiche realtà operative ed organizzative del Titolare del trattamento. Va,
inoltre, soggiunto che tra le varie novità del GDPR, è prevista l’introduzione di nuove

                                                                                 — 373
— La gestione del rischio fiscale

Per tale ragione, dovrà essere individuato un “collante” tra i diversi
Modelli, come può esserlo, appunto, il Modello 231/2001 (27). È la

figure, come il “Responsabile per la protezione dei dati personali”, RPD o DPO
o il Data Protection Officer, e la revisione di alcune preesistenti (es. Responsabile
del Trattamento). In sintesi, l’introduzione dei nuovi importanti principi in materia
di privacy e dei nuovi soggetti impone ai Titolari del Trattamento di “disegnare” un
Modello privacy ed attuarlo efficacemente, comportando, così, degli adempimenti
di non poco conto per le imprese. Per una disamina dei nuovi principi e dei nuovi
soggetti del GDPR sia consentito richiamare: A. DI GIALLUCA, M. A. MORELLI,
I principi fondamentali del GDPR, in Quotidiano MySolution, 3 agosto 2018; ID.,
I soggetti previsti dal GDPR e dal “nuovo” Codice della “privacy”, in Quotidiano
MySolution, 27 settembre 2018; ID., Le figure chiave disciplinate dal GDPR e dal
“nuovo” Codice della “privacy”, in Quotidiano MySolution, 2 ottobre 2018.
        (27) Come rileva B. FERRONI, Cooperative compliance, governance azien-
dale e tutoraggio, op. cit. “[...] Le imprese, per aderire al modello [...] dovranno
costruire una mappa dei rischi fiscali, approntare meccanismi di gestione e controllo
degli stessi rischi e definire una chiara attribuzione delle responsabilità, nel quadro
del complessivo sistema dei controlli interni e della governance aziendale. E questo
rischia di aumentare la “pressione” di auto/etero regolamentazione che le imprese
subiscono in misura sempre più elevata. Basti pensare, ad esempio, a quanti e quali
modelli organizzativi e di gestione sono normalmente già implementati da un’im-
presa manifatturiera: dalla qualità (ISO 9001) all’ambiente (ISO 14001/EMAS),
dall’efficienza energetica (ISO 50001) alla sicurezza informatica (ISO 27001), dalla
sicurezza sul lavoro (UNI-INAIL/BS OHSAS 18001) al risk management (D.Lgs. n.
231/2001). Esistono già, peraltro, anche modelli relativi alla gestione del rischio
con finalità fiscale come le certificazioni AEO che attestano l’affidabilità comuni-
taria e lo status di Operatore Economico Autorizzato doganale e sono riconosciuti,
a seguito di apposito accertamento dell’Autorità doganale nazionale (per l’Italia
l’Agenzia delle Dogane), a chi comprova il rispetto degli obblighi doganali, il
rispetto dei criteri previsti per il sistema contabile e la solvibilità finanziaria. Per
il riconoscimento dello status di AEO/sicurezza, inoltre, si deve dimostrare la ri-
spondenza ad adeguate norme di sicurezza. Il riconoscimento di ambedue i predetti
status costituisce l’AEO/Full, il quale consente di ottenere tutti i benefici previsti
dalla normativa, quali ad esempio: il più agevole accesso alle procedure sempli-

374 —
La gestione del rischio fiscale —

stessa legge delega n. 23 del 2014, infatti, ad effettuare un rinvio al
d.lgs. n. 231 del 2001 (28).

ficate e di domiciliazione, la semplificazione dei controlli di sicurezza, la priorità
di verifica in caso di controllo (e in ogni caso più rapide operazioni doganali), la
riduzione della quantità di dati da fornire per la dichiarazione sommaria, ecc. A
fronte di tale complesso assetto regolamentare, sia nazionale che internazionale, i
gruppi d’impresa hanno attivato specifiche funzioni aziendali con lo scopo di inte-
grare i predetti molteplici protocolli nell’ambito di un sistema di controllo interno
strutturato, moderno e costantemente monitorato, tale da fornire garanzie sotto il
profilo del risk management ma anche tale da costituire un asset fondamentale di
competenze a sostegno della gestione operativa e del perseguimento degli obiettivi
di business, nel rispetto della mission aziendale e dei valori alla stessa sottesi.
In tal senso, si spiega come il noto Modello ex D.Lgs. n. 231/2001, stante la sua
pervasività in tutti i processi aziendali, rappresenta un modello di organizzazione
e di gestione che può elevarsi sugli altri specifici ‘modelli’ proponendosi quale
collante naturale degli stessi, nonché strumento di controllo e di supervisione, così
da essere stato richiamato tra i requisiti necessari per aderire al progetto pilota
dalla stessa Agenzia delle Entrate. L’auspicio delle imprese, pertanto, è che la
emananda disciplina sulla gestione del rischio fiscale sia abbastanza equilibrata
e flessibile, in modo da valorizzare gli sforzi eventualmente già fatti in azienda per
implementare un sistema di controllo interno moderno ed integrato e consentire alle
stesse di adeguarsi agevolmente alle nuove regole, evitando di creare meccanismi
che appaiano troppo complessi e costosi e favorendo così la più ampia adesione
da parte dei contribuenti”.
        (28) Art. 6, comma 2, legge n. 23 del 2014, il quale prevede che “Il Governo
è altresì delegato a prevedere, nell’introduzione delle norme di cui al comma 1,
incentivi sotto forma di minori adempimenti per i contribuenti e di riduzioni delle
eventuali sanzioni, anche in relazione alla disciplina da introdurre ai sensi dell’ar-
ticolo 8 e ai criteri di limitazione e di esclusione della responsabilità previsti dal
decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, nonché forme specifiche di interpello
preventivo con procedura abbreviata”. Tuttavia, la normativa attuativa e i Provvedi-
menti dell’Agenzia delle Entrate non approfondiscono questo criterio di delega.
        Sul punto, B. FERRONI, Cooperative compliance, governance aziendale e
tutoraggio, op. cit. rileva che la norma delegante fa appunto un interessante richiamo

                                                                             — 375
— La gestione del rischio fiscale

D’altronde, come ricorda la Relazione illustrativa al d.lgs. n. 128 del
2015, in alcuni Modelli l’informativa sugli adempimenti fiscali entra
nei report periodici destinati all’Organismo di Vigilanza (OdV) (29)

ai criteri di limitazione della responsabilità dell’impresa previsti dal decreto legisla-
tivo sulla responsabilità degli enti, il n. 231/2001, in base ai quali non è sanzionabile
l’ente che preventivamente abbia adottato ed efficacemente attuato un modello di
organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire i reati commessi dai suoi
esponenti e che, nel caso di soggetti apicali, sia stato fraudolentemente aggirato.
Se ne deduce che, per garantire una valida esimente dalle sanzioni, il sistema di
gestione del rischio fiscale debba essere ispirato (in senso lato) a criteri analoghi,
cioè contempli un risk assessment per identificare le aree di rischio nei processi
aziendali, preveda specifici controlli e adotti sanzioni disciplinari per il mancato
rispetto delle misure indicate dal modello medesimo: ovviamente, tale condizione
è di per sé realizzata allorquando il sistema di controllo interno aziendale integri
efficacemente sia un Modello 231 che un tax control framework.
         (29) Come noto, il d.lgs. n. 231 del 2001, in attuazione dell’art. 11 della
legge delega 29 settembre 2000, n. 300, ha introdotto una forma di responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche, superando il principio che individuava
nella persona fisica l’unico destinatario della sanzione punitiva. Il d.lgs. 8 giugno
2001, n. 231 è stato poi più volte modificato nel corso degli anni; da ultimo, dalla
legge 20 novembre 2007, n. 167 (Legge Europea 2017) che ha ampliato il novero
dei c.d. “reati presupposto”. Ulteriori interventi, inoltre, hanno inciso, direttamente
o indirettamente, sulla normativa in oggetto: è il caso del d.lgs. 25 maggio 2017, n.
90, in attuazione della Direttiva (UE) 2015/849, che ha modificato l’art. 46, d.lgs.
21 novembre 2007, n. 231, introducendo modifiche agli adempimenti relativi alla
normativa antiriciclaggio per l’Organismo di Vigilanza (OdV).
         Ai fini che qui interessano, tra le altre cose, la società o l’ente, per essere
dichiarato esente dalla responsabilità amministrativa, deve anche dimostrare di aver
istituito un organismo preposto alla vigilanza sul corretto funzionamento dell’orga-
nizzazione stessa. L’OdV ha l’obbligo di vigilare sul funzionamento e l’osservanza
dei modelli di organizzazione e di gestione, con particolare riferimento ad eventuali
esigenze di aggiornamento degli stessi. È compito dell’OdV, in particolare vigilare
sulla rispondenza tra quanto astrattamente previsto dal modello organizzativo e i
comportamenti concretamente tenuti dai soggetti obbligati al rispetto dello stesso;

376 —
La gestione del rischio fiscale —

nell’ambito del Modello n. 231/2001. È frequente, d’altronde, l’idea
che gli accertamenti emanati dalle Autorità fiscali possono rappre-
sentare anomalie da segnalare immediatamente all’OdV. Benché la
commissione di reati tributari non comporti, di per sé, la responsabilità
delle società o dell’ente (30), è noto che alcuni reati fiscali possono

valutare la capacità del modello a prevenire i comportamenti illeciti e, quindi, veri-
ficarne la stabilità; monitorare il modello nel tempo, verificando che esso mantenga
i propri requisiti di validità, al fine di evitare che un modello, adottato in un certo
contesto storico, in un momento successivo non risulti più idoneo alla prevenzione
di rischi precedentemente non esistenti; aggiornare il modello, ove i risultati delle
analisi svolte giustifichino variazioni e/o adeguamenti.
        Pertanto, le funzioni dell’OdV possono essere raggruppate nei seguenti ambiti
di attività: a) analisi, vigilanza e controllo; b) aggiornamento del modello; c) forma-
zione. Per un’analisi accurata delle funzioni dell’OdV si rinvia ai seguenti documenti:
FONDAZIONE NAZIONALE DEI COMMERCIALISTI, I principi di redazione dei
modelli di organizzazione, gestione e controllo ex d.lgs. 231/2001, febbraio 2017;
IRDCEC, Documento n. 18 “Linee guida per l’organismo di vigilanza ex d.lgs.
231/2001 e per il coordinamento con la funzione di vigilanza del collegio sindacale”,
maggio 2013; CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI
E DEGLI ESPERTI CONTABILI, Il Modello 231/2001 per gli enti non profit: una
soluzione per la gestione dei rischi, ottobre 2012; CONFINDUSTRIA, Linee Guida
per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo, aggiornate al
marzo 2014; Circolare della Guardia di Finanza del 19 marzo 2012, n. 83607.
        (30) Come rileva C. Melillo, L’evoluzione del rapporto Fisco-Impresa
secondo le linee guida dell’OCSE, op. cit., “È di tutta evidenza che i cosiddetti
‘Modelli 231’ non hanno come finalità la prevenzione del rischio fiscale in quanto
i reati tributari, nonostante i numerosi progetti di riforma in tal senso, non sono
stati ancora inseriti nell’elenco dei reati presupposto; tuttavia, dalle proposte avan-
zate in sede legislativa sembra emergere l’ intenzione di riconoscere l’esistenza e,
comunque, privilegiare l’introduzione di sistemi integrati di compliance che, ove
correttamente implementati e aggiornati, possano prevenire o comunque ridurre
qualsiasi tipo di rischio, sia esso di natura penale (anche se non rilevante ai fini
del D.Lgs. 231/2001) ovvero di natura amministrativa”.

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