LA GESTIONE DEL RISCHIO FISCALE - Unione Industriale Torino
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La gestione del rischio fiscale — LA GESTIONE DEL RISCHIO FISCALE Andrea Di Gialluca (*) - Maria Adele Morelli (**) Sommario: 1. Premessa. - 2. Le “spinte” alla cooperative compliance. - 2.1. Il regime dell’adempimento collaborativo: profili operativi. - 2.2. Rischio fiscale e sistemi di tax governance. - 2.3. Il regime dell’adempimento collaborativo: i modelli di gestione del rischio fiscale. - 3. L’interpello sui nuovi investimenti: profili generali. - 3.1. L’interpello sui nuovi investimenti: profili operativi. - 3.2. I rapporti tra l’interpello sui nuovi investimenti e la cooperative compliance. - 4. Conclusioni. 1. Premessa. In linea generale, il “rischio fiscale” può essere definito come il rischio derivante dalla mancanza di conformità delle operazioni di gestione aziendale rispetto alla normativa tributaria. Il rischio fiscale varia in funzione di numerosi elementi. A titolo esemplificativo, si consideri l’incertezza relativa alla nor- mativa tributaria. È stato, infatti, correttamente osservato (1) che l’incertezza sulle tematiche fiscali è un aspetto fortemente sentito dai contribuenti ed in particolare dalle aziende di maggiori dimensioni, operanti in un contesto internazionale, le quali, tra l’altro, risultano essere oggetto di controlli penetranti da parte delle Autorità Fiscali. (*) Dottore Commercialista e Cultore della materia in Diritto tributario d’impresa e in Diritto Processuale Tributario presso Università LUISS Guido Carli di Roma. (**) Avvocato presso Ser Global soc. coop. arl S.T.P. e Ricercatrice Fonda- zione Nazionale dei Commercialisti (FNC). (1) C. ROMANO, L. CHIODAROLI, Regime di adempimento collaborativo: la risposta all’incertezza nei rapporti tra Fisco e contribuente, in Corr. Trib. 20, 2015, p. 1540 e ss. — 355
— La gestione del rischio fiscale L’incertezza, che spesso si traduce in accertamenti nei confronti dei contribuenti, dev’essere valutata adeguatamente considerando anche l’ingente peso delle sanzioni amministrative, l’esiguità delle condizio- ni obiettive di punibilità dei reati tributari e i possibili riflessi negativi sulla reputazione. Queste considerazioni, senza dubbio, valgono anche per le piccole e medie imprese le quali si trovano ad avere a che fare con una normativa tributaria particolarmente complessa, sia dal punto di vista della disciplina sostanziale che dal punto di vista degli adempimenti (2). Un presidio dedicato al rischio fiscale a livello aziendale rappresenta, dunque, ormai un imprescindibile elemento per una corretta gestione amministrativa. Un’oculata gestione di detto rischio comporta, da un lato, un’attenta pianificazione degli oneri tributari e, dall’altro, una razionale e chiara mappatura dei rischi fiscali derivanti dai processi aziendali (3). La gestione del rischio fiscale, peraltro, deve necessa- riamente essere integrata con gli altri sistemi di controllo aziendale. Quanto precede ha, nel tempo, trovato conferma nel vigente impianto normativo. Il passaggio fondamentale si è avuto con l’approvazione della legge 11 marzo 2014, n. 23, recante delega al Governo per un sistema fi- scale più equo, trasparente ed orientato alla crescita. A seguito della suddetta legge delega, è stato emanato il d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, recante disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra Fisco e (2) In merito alla numerosità degli adempimenti gravanti sulle imprese italiane sia consentito rinviare a: F. MARCHETTI, F. RASI, L. MONTI, A. DI GIALLUCA, I “Lacci e Lacciuoli” gravanti sulle imprese: il Fisco, Alter Ego, Viterbo, 2016. Si vedano anche: FONDAZIONE NAZIONALE DEI COMMER- CIALISTI, Il costo degli adempimenti fiscali e i costi dello spesometro 2017, 28 marzo 2018. (3) L. MENICACCI, L. NERI, Tax risk reporting: uno strumento a supporto del management, in Amministrazione e Finanza, 2, 2017, p. 43 e ss. 356 —
La gestione del rischio fiscale — contribuente. Tale decreto, unitamente alla normativa e ai provvedi- menti attuativi, regola il “regime dell’adempimento collaborativo” (c.d. cooperative compliance). La legge in esame, dunque, ha tentato di migliorare la certezza del sistema tributario italiano, anche in virtù di un nuovo rapporto tra Fisco ed impresa-contribuente, improntato ad una collaborazione, attiva e trasparente, tra le parti (4). Tuttavia, al fine di poter instaurare con l’Amministrazione Finanziaria detto rapporto di cooperazione, è necessario che l’impresa predisponga di un sistema di controllo interno per la gestione del rischio fiscale. Dunque, la legge delega fiscale ha posto l’attenzione, per la prima volta e in maniera inequivocabile, sulla rilevanza strategica del rischio fiscale e sulla necessità di prevederne il monitoraggio nell’ambito delle imprese, attraverso idonei sistemi di risk management. Va aggiunto che il “regime dell’adempimento collaborativo” disci- plinato dal d.lgs. n. 128 del 2015 non è l’unico istituto introdotto dal Legislatore finalizzato a promuovere la cooperazione tra Fisco e contribuenti e la certezza del diritto. Coevo è, tra gli altri, l’“interpello sui nuovi investimenti”, introdotto dall’art. 2 del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147. (4) Cfr. sul punto la Relazione illustrativa laddove è stato precisato che un primo punto importante di intervento è quello di dare maggior certezza al sistema tributario. E, infatti, “Mutamenti frequenti e incisivi nel sistema tributario non solo generano costi aggiuntivi di adempimento (connessi con l’apprendimento delle nuove norme, l’instaurazione delle nuove procedure, gli inevitabili dubbi interpretativi iniziali, l’insorgere di qualche contenzioso, ecc.) ma modificano anche le convenienze relative su cui erano basate le decisioni prese in passato, e soprattutto generano incertezza. Troppo spesso, nel recente passato, si sono avuti cambiamenti piuttosto radicali su aspetti strutturali del nostro sistema fiscale, con effetti negativi sulla credibilità e sulla stabilità di medio-lungo periodo della politica tributaria”. — 357
— La gestione del rischio fiscale Con il presente lavoro si intendono ripercorrere, nei tratti fondamen- tali, i due principali meccanismi di collaborazione tra Fisco e con- tribuenti quali il “regime dell’adempimento collaborativo” di cui al d.lgs. n. 128 del 2015 e l’“interpello sui nuovi investimenti”, di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 147 del 2015. Si tratta, peraltro, di istituti che sono collegati (o, quantomeno, “collegabili”). È, infatti, consentito a coloro che aderiscono all’interpello sui nuovi investimenti di accedere, pur non avendone i requisiti dimensionali, al regime di cooperative compliance. Parte del lavoro sarà dedicata all’analisi dei sistemi di gestione del rischio fiscale. 2. Le “spinte” alla cooperative compliance. Con l’art. 6, legge n. 23 del 2014 il Legislatore ha voluto prevedere un dialogo anticipato tra contribuente e Agenzia delle Entrate al fine di pervenire ad una congiunta valutazione dei potenziali rischi fiscali, in tal modo aumentando il livello di certezza del diritto tributario. Il Legislatore ha così voluto introdurre forme di comunicazione e di cooperazione rafforzata, anche in termini preventivi rispetto alle scadenze fiscali, tra le imprese e l’Amministrazione Finanziaria e la previsione obbligatoria di sistemi aziendali strutturati di gestione e di controllo del rischio fiscale, con una chiara attribuzione di respon- sabilità nel quadro del complessivo sistema dei controlli interni. Il descritto contesto normativo è finalizzato alla costruzione di un mi- gliore rapporto Fisco-contribuenti, basato su dialogo, fiducia reciproca, collaborazione, piuttosto che sul confronto conflittuale. Invero, il regime di cooperative compliance è stato preceduto sia da precedenti esperienze a livello internazionale che da un “Progetto Pilota” realizzato in Italia nel 2013. 358 —
La gestione del rischio fiscale — Con riguardo ai profili internazionali (5), l’OCSE, già nel 2008 (6) aveva svolto un’analisi sul ruolo degli intermediari nell’ambito della pianificazione fiscale aggressiva; in tale Studio si proponeva l’in- staurazione di un nuovo rapporto di collaborazione (c.d. enhanced relationship) tra grandi contribuenti, consulenti fiscali ed Ammini- strazioni Finanziarie, basato essenzialmente sulla fiducia reciproca. Successivamente, nel 2013 (7) il Forum OCSE sull’Amministrazione Fiscale ha pubblicato uno Studio sulla concreta implementazione del nuovo modello di cooperazione tra Fisco e contribuente. È emerso che tutti i 24 Stati Membri dell’OCSE oggetto di analisi avevano sviluppato e/o implementato un modello di cooperative compliance. Nel nuovo Studio, il concetto di “enhanced relationship” è stato ri- nominato “cooperative compliance”, in quanto tale termine descrive in maniera più accurata l’obiettivo (compliance) ed il mezzo attra- verso cui raggiungerlo (cooperation). Peraltro, proprio la necessità dell’adozione di un efficace sistema di controllo interno del rischio fiscale da parte del contribuente rappresenta l’elemento evolutivo (5) Si vedano sul punto: V. TAMBURRO, Nuove prospettive nel rapporto tra Fisco e contribuente: a proposito di una recente collettanea in tema di c.d. “tax assurance”, in DPT, 3, 2016, p. 938 e ss.; B. FERRONI, Cooperative compliance, governance aziendale e tutoraggio, in Il Fisco, 20, 2014, p. 1950 e ss. (6) OCSE, Study into the Role of Tax Intermediaries, 2008. Come precedenti esperienze, vanno ricordate anche quelle relative al Forum on Tax Administration istituito nel luglio 2002 dal Comitato Affari Fiscali dell’OC- SE. In particolare, già dal 2004 con il Documento “Managing and Improving Tax Compliance” l’OCSE enfatizzava l’importanza di applicare i moderni principi del risk management nel gestire la compliance fiscale. A tale documento, si affiancò, nel 2010, anche la nota informativa “Understanding and Influencing Taxpayer Compliance Behaviour”. (7) OCSE, The importance of the Tax Control Framework, in Co-operative Compliance: A Framework: From Enhanced Relationship to Co-operative Com- pliance, Parigi, 2013. — 359
— La gestione del rischio fiscale e qualificante della cooperative compliance rispetto alle enhanced relationship, anche se entrambi gli approcci sono basati sugli stessi principi e finalità (8). In questo contesto, il “Progetto Pilota” italiano (9) era mirato a pro- muovere e sviluppare un’interlocuzione preventiva ed una collabora- zione rafforzata fra contribuenti ed Agenzia delle Entrate (10). Sin da subito, in effetti, il “Progetto Pilota” aveva suscitato un certo interesse in quanto, in coerenza con la prassi degli altri Paesi che avevano già adottato simili programmi, si attendeva dalla sua adesio- (8) S.M. GALARDO, Cooperative compliance: relazioni Fisco-contribuente, la nuova sfida, in Corr. Trib., 36, 2016, p. 2735 e ss. (9) In merito si vedano: A. NUZZOLO, P. VALENTE, Tax governance e coo- perazione rafforzata con il Fisco, in Il Fisco, 19, 2014, p. 1853 e ss.; M. LENOTTI, “Cooperative compliance” nella delega fiscale e nel progetto pilota dell’Agenzia delle Entrate, in Corr. Trib., 21, 2014, p. 1627 e ss.; G. CANTON, M. MEULEPAS, Cooperative compliance e tax control framework: strumenti di certezza fiscale preventiva, in Amministrazione & Finanza, 3, 2014, p. 37 e ss.; F. LEONE, B. BONO, Co-operative compliance: verso un nuovo rapporto Fisco-contribuente, in Amministrazione & Finanza, 8, 2015, p. 23 e ss.; M. PENNESI, “Cooperative tax compliance”: il Fisco cerca la collaborazione dei grandi contribuenti, in Corr. Trib., 29, 2013, p. 2335 e ss. (10) Come precisato dal Comunicato stampa dell’Agenzia delle Entrate del 25 giugno 2013, “Gli obiettivi del progetto sono quelli di individuare concreti elementi utili alla successiva definizione delle caratteristiche che dovranno ispi- rare questa nuova forma di interlocuzione. Approccio che consentirà, in sintesi, una evoluzione dell’attuale attività di tutoraggio spostando in fase preventiva l’intervento dell’amministrazione fiscale. Il nuovo rapporto dovrà caratterizzarsi, da un lato, dall’impegno effettivo del contribuente ad assumere comportamenti orientati all’adempimento spontaneo e a fornire volontariamente, o a richiesta, informazioni complete e tempestive sulle operazioni che presentano maggiori rischi fiscali e dall’altro, dal concreto impegno dell’Agenzia a rispondere alle esigenze del contribuente e a consentire la risoluzione delle questioni fiscali di più ampio rilievo in maniera tempestiva ed equilibrata”. 360 —
La gestione del rischio fiscale — ne una ricaduta significativa in termini di benefici (es. procedure di interlocuzione con l’Amministrazione Finanziaria più snelle, efficaci, certe e veloci, riduzione delle sanzioni, etc.). Al Progetto erano stati invitati a partecipare tutti i “grandi contribuenti” (11) che avessero adottato un modello di organizzazione e di gestione di cui al d.lgs. n. 231/2001 oppure un sistema di gestione e controllo del rischio fi- scale (cd. Tax Control Framework, TCF). La sperimentazione è stata quindi propedeutica ad un’applicazione generalizzata, sempre su base volontaria, del regime di Cooperative Compliance. L’intervento muoveva proprio dalla considerazione che la presenza in azienda di un adeguato TCF, supportato al contempo da un atteggiamento traspa- rente e collaborativo nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria, potesse costituire una importante premessa per l’introduzione di un approccio al controllo fiscale ex ante, rispetto al tradizionale metodo di intervento ex post, con positivi impatti sul livello di compliance fiscale del contribuente e sulle sue esigenze di certezza e stabilità del sistema fiscale in cui opera. Il Progetto prevedeva un impegno del contribuente alla compliance ed alla disclosure delle transazioni con maggiori “rischi fiscali”: a fronte di tale trasparenza, l’Agenzia delle Entrate si sarebbe impegnata a rispondere alle esigenze del contri- buente e a consentire la risoluzione delle questioni fiscali di più ampio rilievo in maniera tempestiva ed equilibrata. (11) Ovverosia i contribuenti con volume di affari pari ad almeno 100 milioni di euro e dotati di un modello di organizzazione e gestione conforme al dettato dell’art. 6 d.lgs. n. 231 del 2001 (“Modello 231/2001”) o di un sistema di gestione e controllo del rischio fiscale. Alla fine, sono state selezionate 14 Società, fra le 84 che avevano fatto richiesta di partecipare e che erano in possesso dei requisiti di- mensionali e organizzativi previsti dal bando (cfr. MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, Relazione ai sensi dell’art. 7, comma 4, del D.lvo 7 agosto 2015, n. 128, 28 settembre 2017). — 361
— La gestione del rischio fiscale Ebbene, tanto le “spinte internazionali” dell’OCSE quanto il “Proget- to Pilota” realizzato in Italia hanno anticipato la nuova cooperative compliance, introdotta con l’art. 6, legge n. 23 del 2014 ed attuata con il d.lgs. n. 128 del 2015. 2.1. Il regime dell’adempimento collaborativo: profili operativi. L’art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 23 del 2014 (12) ha introdotto una forma di adempimento collaborativo tra le imprese e l’Ammini- strazione Finanziaria e la previsione di sistemi aziendali strutturati di gestione e di controllo del rischio fiscale. (12) “Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all’articolo 1, norme che prevedano forme di comunicazione e di cooperazione rafforzata, anche in termini preventivi rispetto alle scadenze fiscali, tra le imprese e l’amministrazione finanziaria, nonché, per i soggetti di maggiori dimensioni, la previsione di sistemi aziendali strutturati di gestione e di controllo del rischio fiscale, con una chiara attribuzione di responsabilità nel quadro del complessivo sistema dei controlli interni, prevedendo a tali fini l’organizzazione di adeguate strutture dell’amministrazione finanziaria dedicate alle predette attività di comunicazione e cooperazione, facendo ricorso alle strutture e alle professionalità già esistenti nell’ambito delle amministrazioni pubbliche. 2. Il Governo è altresì delegato a prevedere, nell’introduzione delle norme di cui al comma 1, incentivi sotto forma di minori adempimenti per i contribuenti e di riduzioni delle eventuali sanzioni, anche in relazione alla disciplina da introdurre ai sensi dell’articolo 8 e ai criteri di limitazione e di esclusione della responsabilità previsti dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, nonché forme specifiche di interpello preventivo con procedura abbreviata”. I commi 3 e 4 disciplinano, invece, il c.d. “tutoraggio”. Come rilevato nel Dossier del Senato del 27 gennaio 2015, il tutoraggio può essere definito come il complesso di attività che vengono svolte da parte dell’Agenzia delle Entrate a favore dei contribuenti, in rapporto diretto con loro. Nell’ambito della riforma del sistema del tutoraggio è prevista l’istituzione di forme premiali, consistenti in una riduzione degli adempimenti, in favore dei contribuenti che vi aderiscano. Si 362 —
La gestione del rischio fiscale — Il regime comporta l’assunzione di impegni sia per l’Agenzia delle Entrate sia per i contribuenti ammessi al regime e risponde ad esigenze di certezza e di stabilità nell’applicazione della normativa tributaria e di riduzione del contenzioso (13). rammenta che un servizio di tutoraggio era previsto a favore delle nuove imprese che avessero usufruito del regime fiscale agevolato per le nuove iniziative produttive, in- trodotto dall’art. 13 della legge n. 388 del 2000 (c.d. forfettino) ed abrogato dalla citata Legge di Stabilità 2015 (art. 1, comma 85 della legge n. 190 del 2014); l’assistenza si svolgeva prevalentemente attraverso collegamenti telematici tra il contribuente e il sistema informativo dell’Agenzia delle Entrate e, in tutti i casi in cui l’informazione richiesta non potesse essere trattata in maniera automatica, mediante rapporti diretti con l’ufficio o tramite posta elettronica. La procedura informatica a disposizione dei contribuenti consentiva di comunicare i dati necessari per la elaborazione della contabilità e per il conseguente obbligo di dichiarazione, permettendo agli uffici territorialmente competenti di monitorare i dati trasmessi dai contribuenti. (13) L’art. 5, d.lgs. n. 128 del 2015, prevede i diversi doveri per l’Ammi- nistrazione Finanziaria e il contribuente. Più precisamente il regime comporta per l’Agenzia delle Entrate i seguenti impegni: a) valutazione trasparente, oggettiva e rispettosa dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità del sistema di controllo adottato, con eventuale proposta degli interventi ritenuti necessari ai fini dell’ammissione e della permanenza nel regime; b) pubblicazione periodica sul proprio sito istituzionale dell’elenco aggiorna- to delle operazioni, strutture e schemi ritenuti di pianificazione fiscale aggressiva; c) promozione di relazioni con i contribuenti improntate a principi di trasparen- za, collaborazione e correttezza nell’intento di favorire un contesto fiscale di certezza; d) realizzazione di specifiche semplificazioni degli adempimenti tributari, in con- seguenza degli elementi informativi forniti dal contribuente nell’ambito del regime; e) esame preventivo delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali si- gnificativi e risposta alle richieste dei contribuenti nel più breve tempo possibile; f) debita considerazione degli esiti dell’esame e della valutazione effettuate dagli organi di gestione, sulla base della relazione sul rischio di cui all’articolo 4, comma 2, delle risultanze delle attività dei soggetti incaricati, presso ciascun contribuente, della revisione contabile, nonché di quella dei loro collegi sindacali — 363
— La gestione del rischio fiscale L’obiettivo fondamentale è quello di costruire un migliore rapporto col Fisco basato su dialogo, collaborazione e fiducia reciproca, piuttosto che sul confronto conflittuale (14). A seguito della suddetta legge delega, è stato emanato il d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, recante disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra Fisco e contribuente; detto decreto, agli artt. 3-8, di- sciplina appunto il regime di cooperative compliance. Ulteriormente, il Decreto Ministeriale 15 giugno 2016 ha introdotto le disposizioni attuative relative all’interpello previsto nell’ambito di tale regime, mentre il successivo Decreto Ministeriale del 30 dicembre 2016 e dei pareri degli organismi di vigilanza. Il regime comporta per i contribuenti i seguenti impegni: a) istituzione e mantenimento del sistema di rilevazione, misurazione, ge- stione e controllo del rischio fiscale, nonché attuazione delle modifiche del sistema adottato eventualmente ritenute necessarie dalla Agenzia delle Entrate; b) comportamento collaborativo e trasparente, mediante comunicazione tempestiva ed esauriente all’Agenzia delle Entrate dei rischi di natura fiscale e, in particolare, delle operazioni che possono rientrare nella pianificazione fiscale aggressiva; c) risposta alle richieste della Agenzia delle Entrate nel più breve tempo possibile; d) promozione di una cultura aziendale improntata a principi di onestà, correttezza e rispetto della normativa tributaria, assicurandone la completezza e l’affidabilità, nonché la conoscibilità a tutti i livelli aziendali. (14) Tale ratio la si evince dallo stesso art. 3, d.lgs. n. 128 del 2015 che, “al fine di promuovere l’adozione di forme di comunicazione e di cooperazione rafforzate basate sul reciproco affidamento tra Amministrazione finanziaria e contribuenti, nonché di favorire nel comune interesse la prevenzione e la risolu- zione delle controversie in materia fiscale”, istituisce “il regime dell’adempimento collaborativo fra l’Agenzia delle entrate e i contribuenti dotati di un sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, inteso quale rischio di operare in violazione di norme di natura tributaria ovvero in contrasto con i principi o con le finalità dell’ordinamento tributario”. 364 —
La gestione del rischio fiscale — ha fissato al 31 dicembre 2019 il termine finale della fase di prima applicazione del nuovo istituto. Contestualmente, sono stati emanati diversi Provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate (15) e documenti di prassi (16) finalizzati a rendere pienamente operativa la cooperative compliance. Entrando nel merito della disciplina sostanziale (17), dal punto di (15) Trattasi, in particolare, dei Provvedimenti del 14 aprile 2016 e del Provvedimento del 26 maggio 2017. (16) Circolare n. 38/E del 16 settembre 2016; vd. anche il comunicato stampa del 16 settembre 2016. (17) Per un’approfondita disamina della disciplina relativa alla cooperative compliance si rinvia a: ASSONIME, Circolare n. 14 del 22 aprile 2016; ID., Note e studi n. 17/2016; B. FERRONI, Cooperative compliance, governance aziendale e tutoraggio, op. cit.; ID., Cooperative compliance: finalmente ai blocchi di partenza il regime di adempimento collaborativo, in Il Fisco, 21, 2016, p. 2015 e ss.; ID., Il tax control framework nel regime di adempimento collaborativo, in Il Fisco, 38, 2016, p. 3621 e ss.; ID., Cooperative compliance: partecipazione dei gruppi e pro- fili di corporate governance, in Il Fisco, 42, 2016, p. 4043 e ss.; ID., Cooperative compliance: un regime sempre più attrattivo per le grandi imprese, in Il Fisco, 25, 2017, p. 2407 e ss.; ID., Imprese multinazionali e cooperative compliance, in Il Fisco, 3, 2017, p. 207 e ss.; M. LEO, Cooperative compliance: una strada lunga e impervia, in Il Fisco, 38, 2016, p. 3616 e ss.; V. AZZOLINI, G. GARGIULO, R. LUPI, La “cooperative compliance”: una legge manifesto in mezzo al guado, in Dialoghi tributari, 4, 2015, p. 401 e ss.; A. SANTORO, A. MANZITTI, Ricchezza non registrata e pianificazioni fiscali aggressive: in che consiste la “cooperative compliance” della delega fiscale?, in Dialoghi tributari, 2, 2014, p. 127 e ss.; F. PISTOLESI, Le regole procedimentali nel provvedimento di attuazione dell’adem- pimento collaborativo, in Corr. Trib., 30, 2017, p. 2412 e ss.; G. ALLEVATO, La “cooperative compliance” italiana e il progressivo allineamento agli standard internazionali, in Corr. Trib., 41, 2016, p. 3168 e s.; C. MELILLO, Regime di adem- pimento collaborativo e monitoraggio del rischio fiscale: incentivi, semplificazioni e oneri, in DPT, 6, 2015, p. 10963 e ss.; A. MERCATELLI, Estensione del regime di “Cooperative compliance” e altre risposte dell’Amministrazione, in Pratica fiscale e professionale, 46, 2016, p. 21 e ss.; ID., “Cooperative compliance” Fisco-imprese: — 365
— La gestione del rischio fiscale vista dell’ambito soggettivo, in fase di prima attuazione, al regime di cooperative compliance possono partecipare i contribuenti che hanno ricavi o volume d’affari superiori ai 10 miliardi di euro. La soglia per partecipare al programma scende ad 1 miliardo di euro per quelle realtà che hanno scelto di partecipare al “Progetto Pilota” sin dall’avvio. Non è prevista nessuna soglia dimensionale, invece, per le imprese che intendono dare esecuzione alla risposta dell’Agenzia delle Entrate, fornita a seguito di istanza di interpello sui nuovi inve- stimenti (cfr. infra). L’impresa che aderisce al nuovo regime di adempimento collaborativo deve necessariamente disporre di un efficace sistema di controllo del rischio fiscale, impostato su una chiara tax strategy. Di questo aspetto si tratterà analiticamente nei successivi paragrafi. Sotto il profilo dello svolgimento procedimentale, si prevede che i con- tribuenti che intendano aderire al regime inoltrino una domanda in via telematica utilizzando il modello reso disponibile sul sito istituzionale della Agenzia delle Entrate. L’Ufficio competente per la valutazione dei requisiti di ammissibilità per l’accesso al regime è chiamato ad ef- fettuare i propri controlli secondo criteri di comprensione del business, imparzialità, proporzionalità, trasparenza e reattività, proponendo, eventualmente, gli interventi ritenuti necessari ai fini dell’ammissione al regime. Al termine dell’attività istruttoria, il procedimento di am- missione prevede che l’Ufficio tenga uno o più incontri interlocutori cosa c’è di nuovo e di vero, in Pratica fiscale e professionale, 29, 2016, p. 31 e ss.; ID., Cooperative Compliance: come funziona il nuovo interpello “sprint”, in Pratica fiscale e professionale, 32-33, 2016, p. 27 e ss.; A. DELLA ROVERE, F. VINCENTI, Il tax risk management quale strumento di governance per le imprese, in Amministrazione & Finanza, 8, 2017, p. 53 e ss.; C. ATTARDI, Procedura di cooperazione e collaborazione rafforzata nel panorama dei modelli attuativi, in Il Fisco, 43, 2017, p. 4150; S. M. GALARDO, “Cooperative compliance”: relazioni Fisco-contribuente, la nuova sfida, in Corr. Trib., 36, 2016, p. 2735 e ss. 366 —
La gestione del rischio fiscale — con i rappresentanti designati dalla società ed eventualmente, qualora lo ritenga necessario, acceda presso le sedi di svolgimento dell’attività dell’impresa o della stabile organizzazione, allo scopo di prendere diretta cognizione di elementi informativi utili. Al termine della fase di riscontro dei requisiti soggettivi e oggettivi, l’Ufficio comunica al contribuente l’esito della verifica entro 120 giorni decorrenti dalla data di ricevimento dell’istanza o della do- cumentazione, se presentata entro i successivi 30 giorni. In caso di ammissione al regime, il contribuente è inserito nell’elenco pubblicato sul sito istituzionale dell’Agenzia delle Entrate. Il regime si applica al periodo d’imposta nel corso del quale la richiesta di adesione è trasmessa all’Agenzia delle Entrate e si intende tacitamente rinnovato qualora non sia espressamente comunicata dal contribuente la volontà di non permanere nel regime stesso. Con riguardo agli effetti, ne sono previsti diversi di natura “premiale” per le imprese che intendono aderire al regime. In generale, l’adesione al regime comporta la possibilità per i contribuenti di pervenire con l’Agenzia delle Entrate a una comune valutazione delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali prima della presentazione delle dichiarazioni fiscali, attraverso forme di interlocuzione costante e preventiva su elementi di fatto, inclusa la possibilità dell’anticipazione del controllo. In particolare, poi, si prevede: i) la possibilità di accedere a una procedura abbreviata di inter- pello preventivo, nell’ambito della quale l’Agenzia delle Entrate si impegna a rispondere ai quesiti delle imprese entro quarantacinque giorni decorrenti dal ricevimento dell’istanza o della eventuale do- cumentazione integrativa richiesta (18); (18) In merito all’interpello in forma abbreviata si veda il Decreto Ministe- riale 15 giugno 2016. — 367
— La gestione del rischio fiscale ii) l’applicazione di sanzioni ridotte alla metà, e comunque in misura non superiore al minimo edittale, con sospensione della riscos- sione fino alla definitività dell’accertamento, per i rischi comunicati in modo tempestivo ed esauriente, laddove l’Agenzia delle Entrate non condivida la posizione dell’impresa; iii) l’esonero dalla presentazione di garanzie per i rimborsi delle im- poste dirette e indirette per tutto il periodo di permanenza nel regime; iv) la pubblicazione sul sito istituzionale dell’Agenzia dell’elenco dei contribuenti che hanno aderito al regime. Si prevede, peraltro, che in caso di denuncia per reati fiscali, l’Agenzia delle Entrate comunica alla Procura della Repubblica se il contribuente abbia aderito al regime di adempimento collaborativo, fornendo, se ri- chiesta, ogni utile informazione in ordine al controllo del rischio fiscale e all’attribuzione di ruoli e responsabilità previsti dal sistema adottato. Infine, si prevede una disposizione di chiusura a norma della qua- le se, successivamente all’ammissione al regime, emergono rischi fiscali non individuati dal sistema di controllo del rischio fiscale o non comunicati all’ufficio competente, l’Agenzia delle Entrate può disporre con provvedimento motivato l’esclusione del contribuente dal regime, previa valutazione della rilevanza dei rischi fiscali non individuati o non comunicati. 2.2. Rischio fiscale e sistemi di tax governance. Come sopra anticipato, al fine di poter instaurare con l’Amministra- zione Finanziaria detto rapporto di cooperazione, è necessario che l’impresa predisponga di un sistema di controllo interno del rischio fiscale (19). (19) L. FRUSCIONE, B. SANTACROCE, La gestione del rischio fiscale: il nuovo rapporto Fisco-Impresa, in Il Fisco, 20, 2014, p. 1957 e ss.; per un’ampia rassegna sul sistema di controllo fiscale, anche nell’ambito della cooperative com- 368 —
La gestione del rischio fiscale — Si è in precedenza affermato che il “rischio fiscale” può essere definito come il rischio di mancanza di conformità delle operazioni di gestione aziendale alla normativa tributaria. Nell’ambito della normativa della cooperative compliance, per “rischio fiscale”, come statuito espressa- mente dalla normativa, si intende, in particolare, il rischio di operare in violazione di norme di natura tributaria ovvero in contrasto con i principi o con le finalità dell’ordinamento (20). pliance, si vedano: ID., Modello organizzativo 231 e gestione del rischio fiscale: modalità di integrazione e controllo, in Il Fisco, 5, 2015, p. 457 e ss.; E. FUSA, D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 - Il sistema del controllo interno: importante elemento per la tax compliance, in Il Fisco, 32, 2015, p. 3115 e ss.; M. PANSARELLA, G. STANCATI, Reato di autoriciclaggio e sistemi di controllo del rischio fiscale: una nuova prospettiva, in Corr. Trib., 30, 2015, p. 2359 e ss.; L. MENICACCI, L. NERI, Tax risk reporting: uno strumento a supporto del management, op. cit.; C. MELILLO, L’evoluzione del rapporto Fisco-Impresa secondo le linee guida dell’OCSE, in Rass. Trib., 4, 2015, p. 932 e ss.; M. RAVERA, B. SANTACROCE, Profili soggettivi e mappatura dei rischi nella “Cooperative Compliance”: impatti operativi per i gruppi d’impresa, in Corr. Trib., 47, 2016, p. 3601 e ss.; G. ALBANO, Regime dell’adempimento collaborativo. Un modello per la gestione del rischio fiscale, in Corr. Trib., 35, 2015, p. 2653 e ss.; C. ROMANO, L. CHIODAROLI, Regime di adempimento collaborativo: la risposta all’incertezza nei rapporti tra Fisco e contribuente, op. cit. (20) Art. 3, comma 1, d.lgs. n. 128 del 2015, art. 1, comma 1, lett. c), Provvedimento Agenzia delle Entrate 14 aprile 2016 e art. 1, comma 1, lett. h), Provvedimento Agenzia delle Entrate 26 maggio 2017. Come ricordano M. RAVERA, B. SANTACROCE, Profili soggettivi e mappatura dei rischi nella “Cooperative Compliance”: impatti operativi per i gruppi d’impresa, op. cit., i rischi con impatti di natura fiscale si possono generare nelle seguenti situazioni: i) nell’ambito di tipiche attività di processo caratterizzate da una natura ricorsiva (es. nello svolgimento delle normali attività di vendita o di gestione del personale), durante le quali potrebbero generarsi impatti di natura fiscale. In questo caso saranno definiti rischi ordinari o di routine; — 369
— La gestione del rischio fiscale Il “rischio fiscale” - concetto sconosciuto solo una quindicina di anni fa - ad oggi, a livello internazionale, è parte integrante di tutti i sistemi di controllo delle grandi aziende (21) (oltre che, in particolar modo, degli intermediari finanziari). ii) nell’ambito di specifiche transazioni, quando le stesse per la loro natura eccezionale o per le specificità che le caratterizzano sono suscettibili di generare rischi fiscali particolarmente rilevanti. In questo caso saranno definiti rischi stra- ordinari o non routinari. (21) È la stessa Relazione illustrativa al d.lgs. n. 128 del 2015 a ricordare la progressiva e crescente attenzione dedicata dalle aziende al concetto di “rischio fiscale”. La Relazione governativa ricorda, infatti, che, se quindici anni fa il concetto di “rischio fiscale” era sostanzialmente ignoto, esso ha, invece, assunto rilevanza dopo il caso Enron (e gli altri simili), nel quadro delle misure volte ad accrescere la trasparenza e migliorare complessivamente la governance societaria. In parti- colare, il punto di partenza è stato la Sarbanes-Oxley (2002). Successivamente, nel 2006 il FASB (Financial Accounting Standard Board) ha emanato la FIN 48 (interpretazione dello Statement 109: “Accounting for income tax”), che obbliga il redattore del bilancio a riconoscere e a misurare le “uncertain tax positions”, cioè quelle posizioni per le quali la probabilità di superare una verifica fiscale (incluso l’esito di un eventuale contenzioso) non supera il 50 per cento. La FIN 48 obbliga a dare informativa delle “posizioni fiscali incerte” e dei criteri usati per valutarne la probabilità; il connesso debito fiscale (comprensivo di eventuali interessi e sanzioni) va esposto tra le passività. Dunque, la Sarbanes-Oxley e il FIN 48 hanno determinato un profondo cambiamento nel modo in cui il top management delle grandi società guarda al Fisco. In sostanza, il rischio fiscale diviene a pieno titolo uno dei settori sottoposti ai controlli interni di secondo livello, quelli tesi ad assicurare il rispetto della compliance. In conseguenza di tanto, sono stati disegnati e posti in funzione sistemi di individuazione e di gestione del rischio fiscale. Nelle grandi aziende vengono ormai impostate strategie generali di minimizzazione di questo tipo di rischio. I modelli di gestione del rischio fiscale sono ormai generalmente diffusi e sono parte integrante del funzionamento delle corporation. La materia è stata oggetto di diversi studi ed esiste ormai una letteratura sull’argomento. Sono quindi ormai cambiati la funzione e gli incentivi per il tax department. Al tradizionale tax planning volto 370 —
La gestione del rischio fiscale — Come ricorda la Relazione illustrativa al d.lgs. n. 128 del 2015, an- che in Italia nell’ultimo decennio sono state riviste profondamente le regole sui controlli aziendali, sulla scia delle iniziative assunte negli Stati Uniti e in altri paesi. Le società che si rivolgono al mercato sono assoggettate a regole di trasparenza e relative alla strutturazione dei controlli interni, in conseguenza sia di diversi interventi normativi, sia di alcune importanti iniziative di autoregolamentazione. Sotto questo punto di vista, è stato osservato (22), in effetti, che la tax governance risponde essenzialmente all’esigenza di assicurare la gestione e la prevenzione dei rischi connessi alla variabile fiscale, nonché il supporto in sede di verifica fiscale. Corporate governance e tax governance si trovano in un rapporto di genere e specie. In tal senso, la tax governance può definirsi quale corporate governance applicata alla variabile fiscale. La tax governance rappresenta una “constituent part” del più ampio concetto di corporate governance. Orbene, come pure è stato osservato (23), l’art. 6 della legge delega fiscale ha posto l’attenzione, per la prima volta e in maniera inequi- vocabile, sulla rilevanza strategica del rischio fiscale e sulla necessità di prevederne il monitoraggio nell’ambito delle imprese, attraverso idonei sistemi di risk management. Dal punto di vista del contribuente, l’obiettivo è quello di indurlo a dotarsi volontariamente di un siste- alla minimizzazione del carico impositivo effettivo si affiancano l’individuazione, il monitoraggio e la gestione dei rischi di non compliance fiscale. Non si tratta più solo di minimizzare un “costo”: il corretto adempimento degli obblighi fiscali viene inserito nel quadro più generale della corporate responsibility. In tale contesto, lo stesso Fisco ha iniziato a guardare con interesse ai sistemi di controllo interno del rischio fiscale posti in atto dalle corporations. (22) P. Valente, Manuale di governance fiscale, IPSOA, Milano, 2011; AA.VV., Tax governance e risk management, Ipsoa, Milano, 2017. (23) C. MELILLO, L’evoluzione del rapporto Fisco-Impresa secondo le linee guida dell’OCSE, op. cit. — 371
— La gestione del rischio fiscale ma di controllo del rischio fiscale che risponda a esigenze interne di controllo dei rischi patrimoniali e reputazionali connessi al corretto adempimento degli obblighi fiscali (24). Tuttavia, per risultare efficaci (25), tali sistemi devono essere im- plementati e gestiti secondo criteri di neutralità e indipendenza che consentano di tutelare non solo gli interessi del contribuente (il quale potrà in tal modo rivendicare l’auspicata tax compliance am- ministrativa e penale-tributaria) ma anche dell’Erario. Ovviamente, l’implementazione di un ulteriore Modello - quello di gestione del rischio fiscale, appunto - deve essere inteso come momento di “po- tenziamento” del sistema dei controlli aziendali piuttosto che come “appesantimento” di detto sistema. In effetti, soprattutto alla luce delle più recenti novità legislative che hanno inteso indubitabilmen- te porre in essere ulteriori adempimenti e modelli organizzativi in (24) F. GALLO, Brevi considerazioni sulla definizione di abuso del diritto e sul nuovo regime del c.d. adempimento collaborativo, in DPT, 6, 2014, p. 947 e ss. D’altronde, è la stessa Relazione illustrativa a chiarire che “Per il contri- buente dotarsi di un sistema di controllo del rischio fiscale risponde innanzitutto a esigenze interne di controllo dei rischi patrimoniali e reputazionali connessi al corretto adempimento degli obblighi fiscali; ma offre anche alle autorità fiscali, una volta che si instauri un rapporto di collaborazione basato sulla trasparenza e la fiducia reciproca, un primo presidio per la correttezza fiscale del contribuente. I vantaggi, per entrambe le parti, risiedono principalmente in un sollecito e pre- ventivo esame dei casi dubbi e nella correlata riduzione dei controlli successivi e dell’eventuale contenzioso”. (25) L’OCSE osserva che un buon sistema di tax risk management dovrebbe assicurare il fedele e tempestivo adempimento degli obblighi tributari, garantendo, al contempo, una chiara attribuzione di ruoli e responsabilità ai diversi settori dell’im- presa in relazione ai rischi fiscali, efficaci procedure di rilevazione, misurazione, gestione e controllo dei rischi fiscali il cui rispetto sia garantito a tutti i livelli azien- dali e efficaci procedure per correggere gli errori e rimediare ad eventuali carenze riscontrate nel suo funzionamento e attivare le necessarie azioni correttive. 372 —
La gestione del rischio fiscale — capo alle imprese (26), può essere difficile accettare di introdurre un nuovo e diverso sistema di controllo. (26) Il riferimento in questo caso è alla normativa sulla privacy. Si ricorda, infatti, che, a partire dal 25 maggio 2018, ha trovato piena applicazione in tutti i Paesi dell’Unione Europea, compresa l’Italia, il Regolamento UE 679/2016 (“GDPR”). In tale contesto, l’art. 13 della legge n. 163 del 2017 ha delegato il governo ad effettuare il coordinamento tra la normativa europea, direttamente applicabile nell’ordinamento dal 25 agosto 2018, e quella nazionale. In attuazione della suddetta delega, è stato emanato il d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101. Senza pretesa di esaustività, si ricorda che tra i principi fondamentali di nuova introduzione vi sono il principio di accountability, i principi di “privacy by design” e di “privacy by default”. In particolare, il principio di accountability o di responsabilizzazione, comporta che il Titolare del trattamento dovrà approntare le misure organizzative e tecniche necessarie a garantire la conformità del trattamento rispetto ai dettami del GDPR. Pertanto, come evidenziato nel Considerando 74 del GDPR, il Titolare del trattamento dovrebbe essere tenuto a mettere in atto misure adeguate ed efficaci ed essere in grado di dimostrare la conformità delle attività di trattamento con il presente regolamento, compresa l’efficacia delle misure. Si tratta, peraltro, di una evoluzione rispetto a quanto previsto dal previgente Codice della Privacy il quale imponeva delle misure minime di sicurezza per ciascun Titolare del trattamento. Un’ulteriore conseguenza (o, se si vuole, un altro “significato” del principio di accountability) è quella relativa alla rendicontazione. Il Titolare del trattamento dovrà comprovare di aver rispettato i principi del GDPR. Pertanto, sotto il profilo operativo, il Titolare dovrà essere in grado di do- cumentare e di provare (“comprovare”) di aver rispettato la normativa in esame. Strettamente correlati al principio di accountability sono i principi di “privacy by design” (o protezione dei dati fin dalla progettazione) e di “privacy by default” (o protezione per impostazione predefinita), di cui all’art. 25, GDPR. In base a tali principi, il Titolare del trattamento deve strutturare adeguate misure tecniche ed orga- nizzative, sia prima che il trattamento dei dati personali abbia inizio che all’atto del trattamento stesso. Occorrerà, a tal fine, valutare le misure da adottare avuto riguardo alle specifiche realtà operative ed organizzative del Titolare del trattamento. Va, inoltre, soggiunto che tra le varie novità del GDPR, è prevista l’introduzione di nuove — 373
— La gestione del rischio fiscale Per tale ragione, dovrà essere individuato un “collante” tra i diversi Modelli, come può esserlo, appunto, il Modello 231/2001 (27). È la figure, come il “Responsabile per la protezione dei dati personali”, RPD o DPO o il Data Protection Officer, e la revisione di alcune preesistenti (es. Responsabile del Trattamento). In sintesi, l’introduzione dei nuovi importanti principi in materia di privacy e dei nuovi soggetti impone ai Titolari del Trattamento di “disegnare” un Modello privacy ed attuarlo efficacemente, comportando, così, degli adempimenti di non poco conto per le imprese. Per una disamina dei nuovi principi e dei nuovi soggetti del GDPR sia consentito richiamare: A. DI GIALLUCA, M. A. MORELLI, I principi fondamentali del GDPR, in Quotidiano MySolution, 3 agosto 2018; ID., I soggetti previsti dal GDPR e dal “nuovo” Codice della “privacy”, in Quotidiano MySolution, 27 settembre 2018; ID., Le figure chiave disciplinate dal GDPR e dal “nuovo” Codice della “privacy”, in Quotidiano MySolution, 2 ottobre 2018. (27) Come rileva B. FERRONI, Cooperative compliance, governance azien- dale e tutoraggio, op. cit. “[...] Le imprese, per aderire al modello [...] dovranno costruire una mappa dei rischi fiscali, approntare meccanismi di gestione e controllo degli stessi rischi e definire una chiara attribuzione delle responsabilità, nel quadro del complessivo sistema dei controlli interni e della governance aziendale. E questo rischia di aumentare la “pressione” di auto/etero regolamentazione che le imprese subiscono in misura sempre più elevata. Basti pensare, ad esempio, a quanti e quali modelli organizzativi e di gestione sono normalmente già implementati da un’im- presa manifatturiera: dalla qualità (ISO 9001) all’ambiente (ISO 14001/EMAS), dall’efficienza energetica (ISO 50001) alla sicurezza informatica (ISO 27001), dalla sicurezza sul lavoro (UNI-INAIL/BS OHSAS 18001) al risk management (D.Lgs. n. 231/2001). Esistono già, peraltro, anche modelli relativi alla gestione del rischio con finalità fiscale come le certificazioni AEO che attestano l’affidabilità comuni- taria e lo status di Operatore Economico Autorizzato doganale e sono riconosciuti, a seguito di apposito accertamento dell’Autorità doganale nazionale (per l’Italia l’Agenzia delle Dogane), a chi comprova il rispetto degli obblighi doganali, il rispetto dei criteri previsti per il sistema contabile e la solvibilità finanziaria. Per il riconoscimento dello status di AEO/sicurezza, inoltre, si deve dimostrare la ri- spondenza ad adeguate norme di sicurezza. Il riconoscimento di ambedue i predetti status costituisce l’AEO/Full, il quale consente di ottenere tutti i benefici previsti dalla normativa, quali ad esempio: il più agevole accesso alle procedure sempli- 374 —
La gestione del rischio fiscale — stessa legge delega n. 23 del 2014, infatti, ad effettuare un rinvio al d.lgs. n. 231 del 2001 (28). ficate e di domiciliazione, la semplificazione dei controlli di sicurezza, la priorità di verifica in caso di controllo (e in ogni caso più rapide operazioni doganali), la riduzione della quantità di dati da fornire per la dichiarazione sommaria, ecc. A fronte di tale complesso assetto regolamentare, sia nazionale che internazionale, i gruppi d’impresa hanno attivato specifiche funzioni aziendali con lo scopo di inte- grare i predetti molteplici protocolli nell’ambito di un sistema di controllo interno strutturato, moderno e costantemente monitorato, tale da fornire garanzie sotto il profilo del risk management ma anche tale da costituire un asset fondamentale di competenze a sostegno della gestione operativa e del perseguimento degli obiettivi di business, nel rispetto della mission aziendale e dei valori alla stessa sottesi. In tal senso, si spiega come il noto Modello ex D.Lgs. n. 231/2001, stante la sua pervasività in tutti i processi aziendali, rappresenta un modello di organizzazione e di gestione che può elevarsi sugli altri specifici ‘modelli’ proponendosi quale collante naturale degli stessi, nonché strumento di controllo e di supervisione, così da essere stato richiamato tra i requisiti necessari per aderire al progetto pilota dalla stessa Agenzia delle Entrate. L’auspicio delle imprese, pertanto, è che la emananda disciplina sulla gestione del rischio fiscale sia abbastanza equilibrata e flessibile, in modo da valorizzare gli sforzi eventualmente già fatti in azienda per implementare un sistema di controllo interno moderno ed integrato e consentire alle stesse di adeguarsi agevolmente alle nuove regole, evitando di creare meccanismi che appaiano troppo complessi e costosi e favorendo così la più ampia adesione da parte dei contribuenti”. (28) Art. 6, comma 2, legge n. 23 del 2014, il quale prevede che “Il Governo è altresì delegato a prevedere, nell’introduzione delle norme di cui al comma 1, incentivi sotto forma di minori adempimenti per i contribuenti e di riduzioni delle eventuali sanzioni, anche in relazione alla disciplina da introdurre ai sensi dell’ar- ticolo 8 e ai criteri di limitazione e di esclusione della responsabilità previsti dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, nonché forme specifiche di interpello preventivo con procedura abbreviata”. Tuttavia, la normativa attuativa e i Provvedi- menti dell’Agenzia delle Entrate non approfondiscono questo criterio di delega. Sul punto, B. FERRONI, Cooperative compliance, governance aziendale e tutoraggio, op. cit. rileva che la norma delegante fa appunto un interessante richiamo — 375
— La gestione del rischio fiscale D’altronde, come ricorda la Relazione illustrativa al d.lgs. n. 128 del 2015, in alcuni Modelli l’informativa sugli adempimenti fiscali entra nei report periodici destinati all’Organismo di Vigilanza (OdV) (29) ai criteri di limitazione della responsabilità dell’impresa previsti dal decreto legisla- tivo sulla responsabilità degli enti, il n. 231/2001, in base ai quali non è sanzionabile l’ente che preventivamente abbia adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire i reati commessi dai suoi esponenti e che, nel caso di soggetti apicali, sia stato fraudolentemente aggirato. Se ne deduce che, per garantire una valida esimente dalle sanzioni, il sistema di gestione del rischio fiscale debba essere ispirato (in senso lato) a criteri analoghi, cioè contempli un risk assessment per identificare le aree di rischio nei processi aziendali, preveda specifici controlli e adotti sanzioni disciplinari per il mancato rispetto delle misure indicate dal modello medesimo: ovviamente, tale condizione è di per sé realizzata allorquando il sistema di controllo interno aziendale integri efficacemente sia un Modello 231 che un tax control framework. (29) Come noto, il d.lgs. n. 231 del 2001, in attuazione dell’art. 11 della legge delega 29 settembre 2000, n. 300, ha introdotto una forma di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, superando il principio che individuava nella persona fisica l’unico destinatario della sanzione punitiva. Il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 è stato poi più volte modificato nel corso degli anni; da ultimo, dalla legge 20 novembre 2007, n. 167 (Legge Europea 2017) che ha ampliato il novero dei c.d. “reati presupposto”. Ulteriori interventi, inoltre, hanno inciso, direttamente o indirettamente, sulla normativa in oggetto: è il caso del d.lgs. 25 maggio 2017, n. 90, in attuazione della Direttiva (UE) 2015/849, che ha modificato l’art. 46, d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, introducendo modifiche agli adempimenti relativi alla normativa antiriciclaggio per l’Organismo di Vigilanza (OdV). Ai fini che qui interessano, tra le altre cose, la società o l’ente, per essere dichiarato esente dalla responsabilità amministrativa, deve anche dimostrare di aver istituito un organismo preposto alla vigilanza sul corretto funzionamento dell’orga- nizzazione stessa. L’OdV ha l’obbligo di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di organizzazione e di gestione, con particolare riferimento ad eventuali esigenze di aggiornamento degli stessi. È compito dell’OdV, in particolare vigilare sulla rispondenza tra quanto astrattamente previsto dal modello organizzativo e i comportamenti concretamente tenuti dai soggetti obbligati al rispetto dello stesso; 376 —
La gestione del rischio fiscale — nell’ambito del Modello n. 231/2001. È frequente, d’altronde, l’idea che gli accertamenti emanati dalle Autorità fiscali possono rappre- sentare anomalie da segnalare immediatamente all’OdV. Benché la commissione di reati tributari non comporti, di per sé, la responsabilità delle società o dell’ente (30), è noto che alcuni reati fiscali possono valutare la capacità del modello a prevenire i comportamenti illeciti e, quindi, veri- ficarne la stabilità; monitorare il modello nel tempo, verificando che esso mantenga i propri requisiti di validità, al fine di evitare che un modello, adottato in un certo contesto storico, in un momento successivo non risulti più idoneo alla prevenzione di rischi precedentemente non esistenti; aggiornare il modello, ove i risultati delle analisi svolte giustifichino variazioni e/o adeguamenti. Pertanto, le funzioni dell’OdV possono essere raggruppate nei seguenti ambiti di attività: a) analisi, vigilanza e controllo; b) aggiornamento del modello; c) forma- zione. Per un’analisi accurata delle funzioni dell’OdV si rinvia ai seguenti documenti: FONDAZIONE NAZIONALE DEI COMMERCIALISTI, I principi di redazione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ex d.lgs. 231/2001, febbraio 2017; IRDCEC, Documento n. 18 “Linee guida per l’organismo di vigilanza ex d.lgs. 231/2001 e per il coordinamento con la funzione di vigilanza del collegio sindacale”, maggio 2013; CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI, Il Modello 231/2001 per gli enti non profit: una soluzione per la gestione dei rischi, ottobre 2012; CONFINDUSTRIA, Linee Guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo, aggiornate al marzo 2014; Circolare della Guardia di Finanza del 19 marzo 2012, n. 83607. (30) Come rileva C. Melillo, L’evoluzione del rapporto Fisco-Impresa secondo le linee guida dell’OCSE, op. cit., “È di tutta evidenza che i cosiddetti ‘Modelli 231’ non hanno come finalità la prevenzione del rischio fiscale in quanto i reati tributari, nonostante i numerosi progetti di riforma in tal senso, non sono stati ancora inseriti nell’elenco dei reati presupposto; tuttavia, dalle proposte avan- zate in sede legislativa sembra emergere l’ intenzione di riconoscere l’esistenza e, comunque, privilegiare l’introduzione di sistemi integrati di compliance che, ove correttamente implementati e aggiornati, possano prevenire o comunque ridurre qualsiasi tipo di rischio, sia esso di natura penale (anche se non rilevante ai fini del D.Lgs. 231/2001) ovvero di natura amministrativa”. — 377
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