La Cultura 1416 - Il Saggiatore
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
La Cultura 1416
Marco Franzoso Il grande libro della scrittura Manuale pratico, avventuroso e filosofico per scrivere qualsiasi storia
Esperite le pratiche per l’acquisizione dei diritti di pubblicazione delle immagini, la casa editrice rimane a disposizione di quanti avessero a vantare ragioni in proposito. © il Saggiatore S.r.l., Milano 2020
Sommario Incipit 15 Prima premessa: il libro giusto per l’isola deserta 17 Seconda premessa: sopravvivere nell’isola 21 Terza premessa: la regola del surf, assecondare l’onda 27 Quarta premessa: si salpa 31 primo atto 1. Cos’è una storia 35 2. La posta in gioco 42 secondo atto 3. Il metodo di scrittura: le fasi della scrittura 53 i. Alcune considerazioni sulle fasi di lavoro 54 ii. Le fasi di scrittura 56 1. La bozza di un’idea 56 2. Le 25 parole 60 3. Il soggetto 64 4. La scaletta 67 5. La scrittura 70 4. La ricerca sul campo 71
5. Prima stesura, seconda stesura, terza stesura, quarta stes… 84 i. Prima stesura 86 ii. Seconda stesura 92 iii. Terza stesura 97 6. La struttura in Tre Atti 99 i. Alcune considerazioni generali 99 ii. I Tre Atti 107 1. Primo Atto. L’uscita dal mondo 112 2. Secondo Atto. Il viaggio 118 a. La chiamata 120 b. La prima parte del Secondo Atto 121 c. Il Secondo punto di svolta 124 d. La seconda parte del Secondo Atto 126 e. Il climax 129 3. Terzo Atto. Nostos, il ritorno a casa. 131 iii. Il finale 134 7. La storia come contenitore: la teoria dell’imbuto 139 8. Le fasi del racconto (e la lingua con cui affrontarle) 152 i. Storia e Discorso 152 ii. Il Discorso per fasi 157 1. Esordio e Incipit 158 2. Prima parte 180 3. Primo punto di svolta 187 4. Seconda parte e Secondo punto di svolta (climax) 189 5. Finale: il ritorno a casa 190 7. La «cadenza» in musica 200 8. Conclusione 203 9. Finale del capitolo 204 9. Storia e sottostorie 205 10. La struttura e le corrispondenze interne 216 i. Le corrispondenze 216 ii. Le corrispondenze esterne 216
iii. Le corrispondenze interne 217 1. Corrispondenze simbolico‑metaforiche 217 2. Corrispondenze strutturali 222 11. I motori della storia 268 i. Premessa 268 ii. La tensione narrativa 269 iii. La suspense 273 iv. Il colpo di scena 277 v. Il conflitto 282 vi. «E se?» 286 12. Il personaggio 290 i. Prima parte 290 1. Qualche passo indietro (molto indietro) 290 2. La persona nella narrazione 297 3. Chi è il personaggio 299 4. Breve storia del personaggio 299 ii. Seconda parte 314 1. L’arco di trasformazione del personaggio 314 a. Personaggio a due dimensioni e personaggio a tutto tondo 316 a.1 – Personaggio a due dimensioni 316 a.2. – Personaggio a tutto tondo 318 b. Personaggio a due dimensioni e personaggio a tutto tondo in funzione della loro posizione narrativa 319 2. La costruzione del personaggio 323 a. Le caratterizzazioni esteriori 323 b. Le caratterizzazioni interne 330 c. Le caratterizzazioni in base agli eventi e agli incontri 335 d. Il suo mondo: come si muove nelle scene cui partecipa 337 e. I livelli: il personaggio e i suoi strati 341 f. Il conflitto dentro il personaggio 344 3. Caratterizzare un personaggio attraverso gli altri personaggi 345 4. I nomi dei personaggi 354 5. Le parti e il tutto 360
6. Il personaggio come sguardo: il narratore interno e esterno 361 7. Le funzioni dei personaggi nella storia 365 8. Proiezioni, specchi 384 13. Le ambientazioni 392 14. La scena, l’Aggregatore e i raccordi 401 i. La scena 401 1. La scena nel flusso del romanzo 401 2. La scena in sé 403 ii. L’Aggregatore 408 iii. I raccordi 434 15. I dialoghi 440 16. I tre pilastri della narrazione 471 i. Primo pilastro. Il tempo verbale 471 1. Una premessa per sgombrare il campo a malintesi 471 2. Prima parte: il senso espressivo del verbo 474 3. Seconda parte: i tempi verbali 497 a. Indicativo presente 497 a.1 – Presente nel tempo della narrazione 500 a.2 – Presente nel tempo della vicenda narrata 501 b. Il passato 505 b.1 – Presente storico 505 b.2 – Passato remoto 506 b.3 – Imperfetto511 b.4 – Passato prossimo 525 b.5 – Infinito presente 527 4. Considerazioni finali 528 ii. Secondo pilastro. La persona verbale 529 1. Una premessa 529 2. La persona verbale: un gioco 531 a. Prima persona singolare 536 b. Seconda persona singolare 537 c. Terza persona singolare 540
d. Prima persona plurale 540 e. Seconda persona plurale 542 f. Terza persona plurale 543 3. Conclusione 543 iii. Terzo pilastro. Il narratore e il punto di vista 544 1. Alcune considerazioni 544 2. Punto di vista vs narratore 548 a. Narratore esterno onnisciente 551 b. Narratore interno onnisciente 553 c. Narratore esterno parziale 558 d. N arratori plurimi. Prime persone e/o terze persone alternate 559 e. Narratore interno di vicenda vissuta al passato 564 e.1 – Narratore testimone 564 e.2 – Narratore confessore 569 f. Narratore interno di vicenda vissuta al presente 573 g. Narratore inesistente g.1 – M anoscritto ritrovato, diario, epistolario 574 g.2 – Monologo interiore 579 g.3 – Flusso di coscienza 582 h. Narratore indefinibile 584 i. Narratore inattendibile 593 j. Oltre il narratore (e oltre il lettore) 594 17. Il montaggio 597 18. Stile vs storia 609 i. Stile come percorso 609 ii. Alcuni spunti 622 iii. Conclusione 632 iv. La «bella frase» 634 19. Alcuni trucchi del mestiere e qualche consiglio 636 20. L’editing 643
terzo atto 21. La vita dello scrittore 649 i. Gli esordi 649 ii. La pagina bianca 653 iii. Le droghe, l’alcol e la vita spericolata 655 iv. Il problema dei soldi per lo scrittore 662 v. La frustrazione dello scrittore 663 vi. La vita dello scrittore 664 22. 126 consigli di lettura 666 finale 23. Il senso della letteratura 673 24. Alla fine, come un arrivederci 676 25. Un ultimo consiglio prima di andare per mare 703 Bibliografia 705 Ringraziamenti 711
Il grande libro della scrittura a mia madre
Mi compiaccio per il tuo esordio su Tempo Nuovo. Ma per‑ ché non hai scelto un tema serio? La forma è ottima, ma i personaggi sono legnosi, il soggetto, poi, è insulso. In quinta ginnasio si può pretendere di più… Prendi qualcosa dalla vita reale, di ogni giorno, senza trama e senza finale. Anton Čechov, da una lettera al fratello Aleksandr Cedi le redini ad ogni impulso, fai tutti gli errori di stile, grammatica, gusto, sintassi. Riversa in massa. Rovesciati. Lascia andare la rabbia, l’amore, la satira con tutte le pa‑ role che riesci a cogliere, costringere o creare, con qual‑ siasi metrica, prosa, poesia o borbottio che ti viene. Così imparerai a scrivere. Virginia Woolf
Incipit Perché alcune storie di fantasia, ambientate in luoghi e tempi lontani dai nostri, vissute da personaggi a noi estranei – oltre che palesemen‑ te inesistenti – ci commuovono e ci turbano e possono cambiare le nostre esistenze, quando certi fatti orribili, struggenti o sentimental‑ mente coinvolgenti, e comunque reali, letti sul giornale o raccontati attraverso la violenza cruda delle immagini televisive o, peggio anco‑ ra, visti o vissuti in prima persona, ci lasciano alle volte indifferenti? Il manuale che state leggendo nasce con l’intento di rispondere a questa domanda.
Prima premessa: il libro giusto per l’isola deserta Quando mi chiedono che libro porterei su un’isola deserta nella mia mente scorrono subito pochissimi titoli. L’Ulisse di James Joyce (è sempre il primo a cui penso anche se non è un romanzo che amo particolarmente), poi Guerra e pace di Lev Tolstoj, e infine Voi non sapete che cos’è l’amore di Raymond Carver. Questi tre. Non sono certo i miei testi preferiti ma, per motivi che mi sfug‑ gono, la mia mente d’impulso indicherebbe tra questi la scelta estre‑ ma di un unico libro che mi accompagni per il resto della vita. e mi sorprendo ogni volta per il fatto che non ci sia alcuna relazione tra i romanzi a cui penso e quelli che mi riguardano davvero e mi com‑ muovono nel profondo. Per motivi del tutto personali, se dovessi nominare i libri che mi hanno più influenzato e a cui sono più legato, infatti, penserei (non lo rileggo da anni, chissà perché) alla Gelosia di Alain Robbe‑Grillet, alle Onde di Virginia Woolf, o a Assalonne, Assalonne! di William Faulkner, oppure, unico italiano, alla Luna e i falò di Cesare Pavese. Poi, però, rotto l’argine dei primi titoli, verrei invaso dal mondo degli altri romanzi che sentirei subito di dovere difendere per l’emo‑ zione che mi hanno regalato e la forza con cui si sono impressi nel‑ la mia mente. Eccoli. Fortune e sfortune della famosa Moll Flanders di Daniel Defoe. I Nove racconti, di Jerome David Salinger, Alla ri‑ cerca del tempo perduto di Marcel Proust, I quarantanove racconti
18 Il grande libro della scrittura di Ernest Hemingway, tutti i romanzi di Patrick Modiano e di John Maxwell Coetzee, e anche, perché no?, It di Stephen King. Così. Anzi, se devo essere sincero, funziona sempre in questo modo. Prima vengono indipendenti alcuni titoli, ma poi subito si apre la voragine dei romanzi davvero amati perché, terza fase, vengo som‑ merso dal caos di tutti (tutti) i romanzi che ho letto, come se ciascu‑ no di essi non fosse che la sfaccettatura di un unico grande romanzo originario che ogni volta si rinnova, e si rinnova appunto nella ma‑ terialità di quello specifico testo. Tutti i romanzi infatti, non sono che versioni parziali, sfaccetta‑ ture, elementi compositivi di quell’unico grande e inesausto roman‑ zo che è la narrazione. Un caos verbale, un mare di parole sulle quali galleggio come un naufrago – appunto – prima di annegare o approdare coi vestiti la‑ ceri sulla mia isola deserta con qualche libro e un sacco di tempo li‑ bero davanti a me. Perché i libri sono sempre stati il mio salvagente nei confronti della vita, e se anche la confusione regna sovrana, le parole e i testi che amo fanno fiorire quella cosa che mi tiene vivo attraverso il rac‑ conto: la memoria. L’unica possibilità per trovare un po’ di chiarez‑ za e costruirsi un’identità nella quale riconoscersi. Il mare. L’oceano. Di nuovo la domanda. Mi è appena stata posta in una piccola bi‑ blioteca di provincia, annessa alle scuole elementari, di fianco al vec‑ chio Municipio, dove ho da poco finito di presentare il mio ultimo romanzo. È giunto il tempo delle domande. Anzi, della domanda: «Che libro porterebbe con sé su un’isola deserta?». Questa volta non rispondo di impulso. È successo due giorni fa, in una bella serata di novembre, in un paesino perso sui colli vicen‑ tini coperto dalla prima nebbia dell’anno. In sala molta gente che ha sfidato il tempo in una fredda e umida serata come questa, ed è usci‑ ta per venire qui a sentire me, proprio me. Ci sono anche dei ragazzi. Sono molto attenti, fanno domande pertinenti. Mi emoziona sem‑ pre il loro entusiasmo. Prima di rispondere mi prendo una pausa, e mi guardo in giro. In
Prima premessa: il libro giusto per l’isola deserta 19 sala c’è silenzio, le persone mi studiano incuriosite. Alcuni hanno gli occhi stanchi per la giornata appena trascorsa, il lavoro, la famiglia, altri sono svegli e attenti, felici di essere qui. Una ragazza con matita e bloc‑notes prende appunti da un’ora e scriverà la mia risposta che, magari, un giorno rileggerà. Respiro. Bevo un po’ di acqua, sorrido. Nella mia mente scorrono centinaia di titoli, libri letti e riletti, oppure solo sfogliati. I primi tre che ho citato prima. Poi la valanga degli altri. Migliaia. Brevi frasi, incipit, finali, personaggi che mi si sono impressi dopo la prima let‑ tura, recensioni si contendono lo spazio della mia mente. Ma questa sera non so davvero cosa rispondere e quale sia il libro che sintetizza tutto ciò che sento e che penso della scrittura narrativa. Eppure è una domanda che deve avere una risposta e almeno io, che come attività scrivo, dovrei averla elaborata. Una risposta. Io so‑ no uno scrittore, la dovrei conoscere. Ma. Ma non so, questa sera no. Indugio. Mi guardo in giro ancora per qualche secondo. Intorno a me si è formata una barriera di silenzio perfetto e io so che la mia risposta sarà a suo modo importante. O almeno alcune persone la considereranno tale. Tutti, anche quelli nelle ultime file pendono per alcuni istanti dalle mie labbra. C’è della magia in questo silenzio vi‑ centino e autunnale. La verità è che non vorrei rispondere, per questo cerco con gli oc‑ chi una via di fuga oltre la finestra. Ma nulla cambia, non serve, a un certo punto della vita gli ali‑ bi e le finestre non bastano più, e allora sorrido ancora. Un sorriso di circostanza, stampato sul mio viso opaco, come se la sapessi lun‑ ga, anche se non è vero. Nessuno scrittore la sa mai lunga. Gli scrit‑ tori non sanno niente. In fondo non si tratta che di definire la mia linea, che problemi ci sono? La mia linea letteraria, certo, ne avrò pur una anch’io, o no? Tempo scaduto. Forse non ce l’ho. «Un manuale di pesca!» esclamo a quel punto.
20 Il grande libro della scrittura E mi sento sollevato, liberato, leggero, e anche quelli delle ultime file sembrano sollevati, liberati e leggeri, e tirano il fiato. Certo, di quello avrò bisogno per sopravvivere in un’isola deserta dopo il nau‑ fragio, di un buon manuale per non morire di fame. La ragazza scrive «manuale di pesca» sul suo bloc‑notes e annui sce con la testa. Un manuale di pesca, niente di più. Ecco la verità. E non sto smi‑ nuendo la narrativa, anzi. Questo mi hanno insegnato i migliori romanzi che ho letto. A comprendere in ogni momento che cosa è davvero importante nel‑ la vita, per stilare l’ordine delle priorità, e a sapere in ogni momento che la narrativa serve alla vita, è dentro la vita, e quando parla al di so‑ pra, o dietro, o ai lati della vita, non serve, non significa, non esprime. Alle volte c’è bisogno solo di un buon manuale di pesca. E la buo‑ na letteratura è lì per farcelo comprendere e apprezzare.
Seconda premessa: sopravvivere nell’isola Così. Tuttavia ci sono persone che per sopravvivere nell’isola, cioè il mondo nel quale abitiamo, hanno bisogno di leggere e di scrivere. È il loro modo di stare in questo luogo e fa parte della loro identità, li costituisce. E, visto che non abitiamo su un’isola deserta ma, appun‑ to, nel mondo, non basta sempre un manuale di pesca per costituirsi come persona. In un mondo complesso come il nostro, alle volte, un manuale di pesca potrebbe anche trarci in inganno. Per questo, qui, un buon romanzo è molto, molto più utile. E poi, nel nostro mondo, la vita si svolge e identifica anche in quanto ha a che fare coi valori, con il senso, con gli scopi personali e quelli collettivi, coi sentimenti, con le emozioni, con la felicità uma‑ na e con il dolore, con il guardare dentro e il guardare oltre le cose. Con il mondo simbolico. Con l’uomo. Con noi. Con me. Queste persone hanno un rapporto diretto, intimo, con la scrit‑ tura, come lo si può avere con il proprio volto o un proprio piede. A loro è dedicato questo libro. Ed è per questo che non desidero scrivere solo un manuale di pe‑ sca o di sopravvivenza, cioè. Con questo manuale non intendo otte‑ nere solo un libro di tecniche narrative come in giro ce ne sono molti e che, in sostanza, «insegnano» scrittura narrativa con lo stesso ca‑ lore con cui illustrerebbero il modo in cui annodare una lenza in‑ torno a un amo. Al contrario, è il calore, che cerco.
22 Il grande libro della scrittura D’altra parte non vorrei nemmeno che questo fosse solo un ma‑ nuale di «scrittura creativa». Ce ne sono già tanti, e anche molto uti‑ li e ben fatti. Che bisogno ci sarebbe di altro? Piuttosto mi piacerebbe disegnare e intraprendere insieme un viaggio. Un viaggio primordiale ma che si rinnova oggi per l’enne‑ sima volta come se fosse la prima, come quello di un naufrago che parte con le migliori intenzioni per il nuovo mondo ma poi si perde e si risveglia in fin di vita su un’isola deserta dove in breve deve im‑ parare a ricostruirsi, e a ricostruire il mondo, se vuole sopravvivere. Deve reinventarsi un rapporto con lo spazio e con il tempo e tro‑ vare il proprio posto in quello spazio e in quel tempo. Vorrei pertanto che questo testo fosse un piccolo viaggio per ma‑ re, fianco a fianco, noi due, attraverso una distesa di acqua che ci sembra di conoscere ma che a ogni piè sospinto ci riserva sorprese più o meno gradite, e che ci porta infine ad approdare su una riva sabbiosa e poi a percorrere segretamente la nostra nuova isola che, sì, ci sembra già di amare e che ci ha salvato la pelle, ma che ancora non conosciamo e nella quale rischiamo di perderci. Un percorso. Mille percorsi possibili. Già mille volte compiuti, ma ogni volta rinnovati. Desidero scrivere la prima guida per orientarsi e conoscere il mo‑ do in cui alcuni scrittori hanno affrontato i territori e gli oceani can‑ gianti della narrativa, studiando come si sono mossi, e cercando di comprendere le scelte fatte e le strade intraprese. E soprattutto, gra‑ zie a questo, desidero compiere un percorso ulteriore e scoprire in‑ sieme il senso che sta dietro e dentro la narrativa. Che questa guida sia un manuale di sopravvivenza, quindi, che altro è in fondo un buon romanzo? È importante, visto che la scrittura è innanzitutto artigianato. E chi ha deciso di intraprendere questo bellissimo viaggio (la scrittu‑ ra) possa trovare le prime regole per galleggiare e nuotare, e poi, una volta approdato sull’isola, anche i consigli per la vita di tutti i giorni, cioè come si erige una capanna, come ci si procura il cibo e si racco‑ glie l’acqua. È fondamentale imparare a costruire un amo con la li‑ sca di un pesce, produrre un’esca appetibile coi pesci che abitano le
Seconda premessa: sopravvivere nell’isola 23 acque meno profonde, intrecciare corde resistenti alle intemperie uti‑ lizzando le foglie presenti proprio e solo nella nostra isola personale. Man mano che proseguiamo nel viaggio (che entriamo dentro la storia), poi, dobbiamo imparare a difenderci dagli insetti e dai pre‑ datori notturni. Poi il resto, certo, c’è da imparare in fretta le rego‑ le per abitare l’isola deserta e, finalmente, da quel momento viverla, cosa che, per uno che ama la narrativa, significa scriverla. Dopo aver letto il manuale, infatti, il resto lo dobbiamo fare noi. Voglio dire che per quanto un manuale sia dettagliato, a un cer‑ to punto lo dobbiamo chiudere (non si mangiano le pagine e non si pesca dentro un libro) per inoltrarci di persona nella boscaglia del‑ la nostra isola o lungo una certa linea di acqua, altrimenti saprem‑ mo realizzare un amo e una corda in teoria, certo, ma questa teoria non ci servirebbe a catturare il pesce e a costruire una capanna. Po‑ tremmo conoscere la differenza tra bacche buone e bacche velenose, ma questo non ci aiuterà a sfamarci. Dobbiamo mollare tutto, anche il manuale, e andare, da soli. Questo deve insegnarci un buon manuale, ad abbandonarlo quan‑ do è il momento. Così andiamo, perché la fame e la sete stringono. E quando, alla ricerca di bacche e frutti entreremo nella bosca‑ glia che si apre dietro una baia rocciosa, vi troveremo anche le fo‑ glie per realizzare le funi, scopriremo che quelle foglie sono molto simili a quelle descritte nel manuale, ma non sono uguali. Sono un po’ più corte, un po’ più grosse e ruvide e dure (questo lo scoprire‑ mo solo avendole per le mani, non dalla foto nel manuale). E allora starà a noi, adattarle. Questo, mi piacerebbe. Che il manuale insegnasse a scoprire che le cose sono sempre un po’ diverse da come le abbiamo lette. Un buon manuale ci rende indipendenti. Il manuale di sopravvivenza insegnava come costruire la nostra capanna con dei tronchi, ma noi scopriamo che dietro una pozza d’acqua nascosta dai rovi, nella nostra isola si apre un boschetto di bambù. Perché non provare con quelli? Nessuno ci aveva mai par‑ lato del bambù. Mai nel nostro manuale avevamo sentito nomina‑ re quella pianta.
24 Il grande libro della scrittura Probabile che chi ha scritto il manuale non ne conoscesse nem‑ meno l’esistenza. È una nostra scoperta personale. Ci emozioniamo! Perché non provare a verificare la tenuta di questi legni così lunghi e flessibili? Magari oltre che per costruirci la capanna funzionano an‑ che come canne da pesca. Sì! Scopriamo che il bambù è resistente e solido, ed è anche leg‑ gero e facile da trasportare e tagliare, rispetto al legno di cui ci par‑ lava il manuale. Fantastico. Ci mettiamo subito all’opera. Strappiamo un po’ di canne e men‑ tre le lavoriamo – il sole scende, una leggera brezza oceanica ci rinfresca il viso – veniamo colti dalla nostalgia e ricordiamo un mo‑ mento del passato. Che bei tempi, eravamo ragazzi. Con il boschetto di bambù dietro di noi ci regaliamo una pau‑ sa anche se si sta facendo tardi. Il sole sta calando, eccolo, davanti a noi sempre più basso, il riflesso sulle acque oceaniche è un balugi‑ nio giallo, blu e rosso. Che bellezza. Sì. Siamo soli nell’isola e venia‑ mo colti dalla nostalgia per le persone care che abbiamo lasciato sul continente. Dovremmo lavorare, eppure un ricordo ci sorprende, e noi ci la‑ sciamo sorprendere. E ci fermiamo per gustarci quel ricordo. Avevamo undici anni, nostro fratello tredici. Che bei tempi. Die‑ tro casa nostra, a separare i campi coltivati a granoturco, c’era un ca‑ nale stretto e lungo e dritto che non finiva mai. Una volta abbiamo costruito una zattera con taniche di metallo e cassette della frutta, ma quando ci siamo saliti sopra era instabile e siamo caduti nel ca‑ nale. Ne siamo usciti con il corpo imbrattato di fango e sanguisughe, ma era il nostro posto preferito e ci siamo divertiti a toglierci le san‑ guisughe, e il giorno dopo ci saremmo tornati. Mio fratello mi prendeva in giro, io ero piccolo e ho iniziato a piangere. Il sole stava calando come ora, che ricordi. Ma era il no‑ stro posto e ci tornavamo sempre per pescare, anche se non tirava‑ mo su niente. Eppure stavamo lì delle ore, il barattolo coi vermi al nostro fianco, il galleggiante fatto con un turacciolo di sughero, le canne da pesca.
Seconda premessa: sopravvivere nell’isola 25 Quanti anni sono trascorsi, e quanti chilometri ci tengono ora lon‑ tani dalla nostra famiglia. Riandiamo con la memoria a quei tempi della nostra fanciullez‑ za e scopriamo che anche il ricordo è utile per sopravvivere nell’i‑ sola deserta. La vita non è solo mangiare e dormire, è anche sentire. E poi, tra l’altro, scopriamo che le nostre esperienze passate so‑ no determinanti per sopravvivere nel presente, non è solo il manua‑ le che può insegnarci a sopravvivere. Pescavamo, allora, da bambini, certo, e adesso, memori di quei tempi eroici della nostra giovinezza, ripetiamo gli stessi gesti. Sa‑ pevamo pescare, sapevamo infilzare un verme all’amo, sapevamo aspettare, e adesso facciamo tesoro delle nostre esperienze passate. Sono impagabili nessun manuale le può sostituire. Niente è più uti‑ le di una esperienza vissuta direttamente, per sopravvivere nell’iso‑ la deserta. Manuale e esperienza personale, questo sarà il nostro bagaglio. Quindi useremo le canne di bambù più robuste per la capanna, le altre per la pesca, come da bambini. E funzionava. È un istante, ma capiamo che il manuale non può dirci tutto. Anzi. Capiamo presto che dopo averlo letto dobbiamo abbando‑ narlo, perché a un certo punto diventerebbe di intralcio. Ed è vero, possiamo avere letto tutti i manuali di scrittura del mondo ma, come ha insegnato Robinson Crusoe, il primo grande protagonista della narrativa moderna, a un certo punto dobbiamo costruirci da soli il nostro strumento di sopravvivenza. Dobbiamo elaborare da soli le nostre storie e inventarci da soli la lingua con cui raccontarle. È questo il mio obiettivo, qui. Aiutarvi a lavorare da soli, dopo aver letto questo testo. Ogni nuovo romanzo, se è sincero, è un viaggio in terre poco bat‑ tute dove si tratta di adattare gli strumenti portati da casa. Ho letto molto, sì. Ho studiato molti manuali, certo. Ho ascolta‑ to molti consigli, chiaro, ma a un certo punto se voglio progredire devo mollare gli approdi e mettermi nel mare aperto per vedere co‑ me e dove condurre la mia barca, e che tipo di mare avrò il piace‑ re di solcare.
26 Il grande libro della scrittura Scrivere è esplorare, e le vere scoperte le facciamo sempre da soli. Pertanto mi piacerebbe che questo manuale vi mostrasse quanto bello può essere farlo; scrivere, intendo. È l’unico modo concreto per esplorare la nostra isola, cioè per scrivere una storia che sia davvero nostra. Che significa capire dav‑ vero di che pasta siamo fatti. E poi, pensiamo a quanto sia bello e a quanta esperienza possia‑ mo fare ora che camminiamo da soli. Mentre ci avventuriamo dentro la foresta vera (non quella de‑ scritta nel manuale), rimarremo incantati dai colori degli uccelli tro‑ picali e dai loro canti striduli. Ci sono dei conigli, lì, in fondo, vicino a un cespuglio, seminascosti nell’ombra e, sopra la nostra testa, un avvoltoio. (Non gliela daremo vinta, è una promessa.) Abbiamo appena trovato la pozza d’acqua cercando dei legni per costruire la capanna. Che sorpresa, trovare qualcosa mentre cerca‑ vamo qualcosa d’altro. È solo la prima delle scoperte fatte cammi‑ nando da soli. Perché è così, la scrittura, quando è buona. Un viaggio di scoper‑ ta, che è salvezza, per chi scrive. Mi piacerebbe mostrarvi quanto può essere affrontato con piace‑ re e senza paura. Sapendo che procedendo impareremo molte cose sull’isola (la storia), ma soprattutto su noi stessi (l’autore). Capiremo chi siamo davvero, e attraverso i nostri protagonisti conosceremo meglio come vincere le nostre paure (il loro viaggio è anche il vostro viaggio) e affrontare i nostri desideri. E quanto, in fondo, pur se molto dettagliate, non fossero che generiche indicazio‑ ni teoriche quelle scritte nel manuale. Ma non poteva che essere co‑ sì. Il manuale al massimo ci indica una strada, ma poi la dobbiamo percorrere da soli. Siamo noi a camminare. Buon viaggio, quindi. Scoprirete che grande isola sarete in grado di scoprire e attraver‑ sare quando lo desideriate davvero.
Terza premessa: la regola del surf, assecondare l’onda I manuali e i corsi di scrittura creativa sono abbastanza noiosi. Nes‑ sun dubbio. Nessuno, per esempio, che io abbia letto riesce a sfug‑ gire all’idea che scrivere un romanzo sia innanzitutto un’attività chirurgica. C’è un corpo (il romanzo) e questo è costituito di tante tessere o ingranaggi (dialoghi, descrizioni, scene, monologhi ecc.), che vanno prima isolati e poi aggiustati insieme come faremmo nei confronti di un puzzle o di un orologio. Bene, per scrivere un ro‑ manzo non si tratterebbe quindi di far altro che illustrare il fun‑ zionamento degli organi, del cuore (personaggio principale), del cervello (l’idea), dei polmoni (le descrizioni) e del sistema cardio‑ circolatorio (il percorso narrativo) e, poi, di rimontarli insieme. A quel punto il gioco è fatto. Ecco qua, bello che sfornato, il nostro romanzo pronto per la stampa. Il problema è che non va mai così. Io credo al contrario che il romanzo, piuttosto, sia un sistema or‑ ganico, e che funzioni quando tutti gli elementi si mettono a dispo‑ sizione dell’obiettivo finale: il senso, la posta in gioco. Solo in quel momento sorge qualcosa che è superiore alla somma delle parti di cui è composto e, soprattutto, quel qualcosa può vivere di vita propria. Scrivere bei dialoghi (ma incoerenti con il senso complessivo) non significa niente, e non trasmette niente, se non che l’autore non ha le idee molto chiare. Scrivere una bella (bella?) descrizione è un’attivi‑ tà che non ha alcun senso. Ha senso trovare attraverso la scrittura le
28 Il grande libro della scrittura proprie storie. Mettersi al servizio del romanzo, oltre che della scrit‑ tura. O, meglio, mettere la scrittura al servizio del romanzo. Per questo, prima di tutto per scrivere bisogna sapere ascoltare e non forzare ciò che sentiamo. Se forziamo, se cioè imponiamo al testo le regole rigidamente apprese, otterremo al massimo un’enti‑ tà simile alla creatura di Frankenstein: un essere realizzato con pez‑ zi cuciti l’uno sull’altro, ma che non possiamo definire certo «vivo». Noi siamo padroni e schiavi del nostro testo. Lo ideiamo, abbia‑ mo deciso di scriverlo, pensiamo di conoscerlo perfettamente in ogni suo anfratto. Eppure, a un certo punto del lavoro dobbiamo avere la forza di affidarci a lui, e non solo alle nostre conoscenze. Questo lo possiamo ottenere solo se siamo stati molto precisi nell’idea che ci spinge a desiderare che il testo fiorisca di vita. Solo allora possiamo allentare le briglie delle regole che ci hanno insegnato e lasciare che i personaggi parlino, vivano e ci accompagnino dove devono andare. Noi siamo i loro migliori amici, i personaggi devono a noi la loro esistenza, li abbiamo creati, li abbiamo raccontati, ma se sono preci‑ si e vividi ci possono anche accompagnare a scoprire verità che pri‑ ma erano in penombra pure per noi. Un giorno d’estate di qualche anno fa un amico mi ha portato al mare. Era sabato. Non avevo più di tanto da fare. Ero a casa da solo e ho accettato. «C’è un vento imperdibile» ha detto. Voleva convin‑ cermi, ma non ce n’era bisogno. Io non avevo voglia di starmene in città con 40 º. Avevo caldo, ero sudato e un bagno refrigerante segui‑ to da una birra erano quanto di meglio potessi desiderare. Mi sono cambiato, pantaloncini, ciabatte, berrettino e asciugamano e insieme siamo andati. Non era un gran periodo per lui, il matrimonio era al‑ lo sfascio e sua moglie se ne era andata in vacanza al Sud per quin‑ dici giorni con il figlio. Anche il mio amico era solo. Ci saremmo portati in una spiaggia vicino a un fiume, fuori dalle traiettorie della massa e lì avremmo montato il suo surf. «Spiegami di questo surf» gli ho chiesto in auto. «È come andare a cavallo» mi ha spiegato. «La regola è questa. Tu devi capire che non sei solo, ma siete in due: tu e l’onda. E non la de‑ vi forzare.» Mi piaceva ascoltarlo. Per strada poche auto, noi tenevamo i fi‑
Terza premessa: la regola del surf, assecondare l’onda 29 nestrini aperti, i gomiti fuori e, chilometro dopo chilometro, il pro‑ fumo della salsedine si faceva più intenso (una madeleine, per me, ogni volta). «Come va?» gli ho chiesto. Era distratto, non mi ha risposto subito. Stava pensando ad altro mentre i Beach Boys ci facevano sognare le onde della California sul mare Adriatico. «Eh?» «Dicevo, come va?» «Bene» ha detto sovrappensiero. «Di cosa stavamo parlando?» «Onde» ho detto. «Onde e surf.» «Certo» si è ripreso quasi si fosse svegliato. «Perché tu non puoi decidere tutto da solo ma devi imparare ad assecondare l’onda, non puoi portare il surf dove vuoi senza tenere conto del tipo di onda che hai sotto i piedi. Non devi mai forzare l’onda, altrimenti perdi il con‑ trollo della tavola e cadi. È come a cavallo, sei mai stato a cavallo?» «No.» «Be’, siete in due ma dovete diventare uno. Solo quando il tuo mo‑ vimento governando il cavallo si trasforma in cavallo, avrai il pieno controllo della direzione e della velocità, cioè del movimento. Così per la tavola da surf.» «Non capisco.» «Devi assecondare l’onda. Capisci? La puoi forzare, ma solo fino a un certo punto, poi devi lasciare che sia lei a fare il lavoro per te. Devi trasformarti in onda per fare del buon surf.» «No, non capisco.» «Te lo spiego io. Tu devi far fare all’onda ciò che vuoi, ma per que‑ sto devi conoscere bene l’onda, e sapere anche che ogni onda è diver‑ sa. A quel punto la puoi cavalcare. Un po’ decidi, un po’ lasci fare a lei. Non è difficile. Il fatto è che in caso contrario, cadi.» «No. Non è difficile.» Stavo per chiedergli in che modo trovare l’equilibrio tra i tuoi de‑ sideri e l’essenza dell’onda quando gli è suonato il telefonino. «Pronto» ha detto. Era sua moglie. Sono volate parole grosse. In breve ha riagganciato e io non ho fatto altre domande.
30 Il grande libro della scrittura Anche nei rapporti di coppia funziona così. Quando li forzi si spezzano, o prendono direzioni che tu non desideri. «Tutto bene?» mi ha chiesto. «Sì. Tu?» In fondo è comparso il mare, un luccichio continuo. L’azzurro che si confondeva con il cielo. Eravamo arrivati. Era il mio mare, ci an‑ davo da bambino con mia madre, mio padre e mio fratello. Anche in giornata, tornavamo la sera. Gli anni più belli. «Ottimo» ha concluso. «Sei pronto per cavalcare l’onda?» Aveva dimenticato la telefonata con la moglie (si sarebbero separati a otto‑ bre, pochi mesi dopo), e era già lì, a cavallo del surf. È stata quella la mia prima vera esperienza di scrittura. E qualche giorno dopo ho iniziato a scrivere il mio primo romanzo. Trasformarsi nell’onda, diventare tutt’uno con l’onda. Il corpo del cavallo e quello del fantino. È la «Strategia del surf», o meglio imparare ad andare a cavallo assecondando il cavallo. Trasformarsi in scrittura, quindi, non forzarla. Dirigerla, ma fi‑ no a un certo punto, per far sì che la scrittura parli attraverso di noi, e non noi attraverso la scrittura. Imparare le regole, ma mai farsi sostenere dalle regole. Il risultato sarebbe un testo legnoso, goffo, infarcito di intenzio‑ ni. Insomma, non vivo.
Quarta premessa: si salpa Bene, ora torniamo un po’ indietro. Non siamo ancora partiti e vo‑ gliamo controllare se c’è tutto. Ci diamo un’occhiata in giro, ai bagagli, ai vestiti, alle provviste che abbiamo portato sulla nostra barca. Ma sì, c’è tutto. Se manca qualcosa, qualche dettaglio, pazienza. E allora partiamo, non aspettavamo che questo momento. Par‑ tiamo, sì, e in breve comprendiamo – manuale o non manuale – che ciò che conta, ora che siamo per mare, è avere il timone in mano. Un manuale non ci può dire precisamente che tipo di onde dav‑ vero incontreremo nel nostro percorso reale (ogni percorso reale è unico), o come soffierà il vento in quel momento, oppure quanto scalderà il sole. Per questo è decisivo avere solida in mano una barra, una direzio‑ ne, un senso, e noi adatteremo di volta in volta il percorso e gli inciam‑ pi e le opportunità del percorso, a questo senso e a questa direzione. Un’ultima annotazione, finché siamo nelle acque ancora basse e non corriamo rischi. Ho strutturato il testo in tre momenti, simili ai Tre Atti con cui si costruisce ogni storia, perché desidero che anche questo manuale rappresenti un piccolo percorso per chi legge. All’inizio le premesse e le primissime nozioni generiche (queste righe che state leggendo proprio ora e quelle che leggerete nel pros‑ simo capitolo). Quindi le intenzioni, le idee di base.
32 Il grande libro della scrittura Poi il Secondo Atto, il viaggio vero e proprio dentro le strutture narrative. Gli strumenti, la fatica, il percorso concreto. Infine il ritorno a casa, il Terzo Atto, in cui scopriremo che sì, sia‑ mo sempre noi, proprio noi che siamo partiti, ma che se il viaggio è stato proficuo, siamo anche un po’ diversi e forse migliori rispetto a quando eravamo partiti. Credo che ogni buona storia dovrebbe essere così. Ci fa tornare a casa un po’ più ricchi e consapevoli. Ho pensato di scrivere in questo modo il mio manuale e di man‑ tenere tra le righe il senso di questi tre atti. Partiremo quindi da considerazioni generali e andremo man ma‑ no ad approfondire singoli temi anche molto specifici, in un percorso di avvicinamento, alle volte, non lo nego, anche faticoso, soprattutto nella seconda parte del Secondo Atto, quando parleremo nello spe‑ cifico delle tecniche di scrittura. Ma faticoso è anche il percorso del protagonista in quella stessa parte del percorso, ed è lì che si deve confrontare davvero e da solo con le difficoltà della vita, e riuscire a superarle, come dovrete fare voi mentre scrivete. Quindi, non lo nego, ci saranno dei capitoli in cui è richiesta mag‑ giore attenzione da parte vostra. Forse farete difficoltà, forse no, ma questo sforzo è necessario per approfondire e per poi, aprire la stra‑ da verso il finale. E alleggerire, e lasciarci andare, e liberare le ener‑ gie migliori che abbiamo raccolto per strada e trovato dentro di noi. Ma non indugiamo oltre. Spieghiamo subito le vele e andiamo avanti, mentre un bel vento pacifico e di buon auspicio soffia alle nostre spalle. Sarà un bel viaggio, vedrete.
Puoi anche leggere