L'immigrazione nella legislazione italiana e nella normativa comunitaria
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L’immigrazione nella legislazione italiana e nella normativa comunitaria Salvatore Mannino Avvocato Sommario: 1. Introduzione al problema - 2. L’evoluzione legislativa nel quadro comunitario - 3. L’evoluzione legislativa nel quadro italiano - 4. I delitti di favoreggiamento - 4.1. Il delitto di favoreggiamento dell’ingresso illegale - 4.2. Il delitto di favoreggiamento dell’emigrazione illegale - 4.3. Le circostanze - 4.4. Il delitto di favoreggiamento della permanenza illegale - 4.5. Il bene protetto e le altre caratteristiche dell’art. 12 T.U. - 5. I delitti connessi ai documenti - 5.1. Le fattispecie di falso materiale - 5.2. L’omessa esibizione di documenti da parte dello straniero - 6. I reati collegati all’espulsione - 7. I reati in materia di occupazione dei lavoratori - 8. Le nuove norme in materia di immigrazione contenute nel “Decreto sicurezza” (Legge n. 125 del 2008) ed il c.d. “reato di clandestinità” - 9. Profili comparati di politica dell’immigrazione - 9.1. Francia - 9.2. Germania - 9.3. Regno Unito - 9.4. Spagna - 9.5. Stati Uniti d’America - 10. Conclusioni 1. Introduzione al problema Il fenomeno migratorio in Italia è un fatto recente ed è il risultato della presa di coscienza da parte del Paese di un problema nuovo e sovente drammatico e che, in precedenza non si era configurato. Il fenomeno de quo ha dato luogo alla nascita di un vero e proprio diritto dell’immigrazione che costituisce una nuova branca del diritto che, a sua volta, trova una ulteriore specificazione, sotto il profilo penalistico; a ragione, possiamo oggi parlare, infatti, di diritto penale dell’immigrazione come uno dei nuovi “temi della modernità” 1, trovando una propria collocazione nella vita di tutti i giorni di ogni cittadino europeo. La crescita della problematica legata all’immigrazione si giustifica facilmente laddove si pensi agli ultimi dati statistici di cui si è in possesso. Infatti, dal contenuto dell’ultimo dossier pubblicato dalla Caritas italiana gli immigrati presenti in Italia sono quasi quattro milioni (circa 3.690.000); mentre nell’intera Europa le 1 Cfr. U. Beck, Che cos’è la globalizzazione, Roma, 1999, p. 29 ss.; F. Stella, Giustizia e Modernità, Milano, 2003, p. 4. 1
cifre si attestano a circa cinquanta milioni di immigrati, ovvero un terzo dell’intera popolazione di emigranti di tutto il globo terrestre 2. Ed ancora, analizzando la questione sotto il profilo giudiziario si osserva che oltre il 40% dell’intera popolazione carceraria detenuta nel nostro Paese è composta da stranieri extracomunitari. In particolare, sulla base delle ultime statistiche disponibili, su un totale di 48.693 detenuti nelle carceri italiane, 18.252 sono stranieri 3. Basta ciò per valutare il “contributo” che lo straniero offre nella commissione di reati sul territorio italiano, e quanto tale attività incide sulla nostra ingolfata macchina giudiziaria. Basterebbe l’esame di questi pochi dati per comprendere l’enormità del nuovo problema che la scienza giuridica, ed il diritto penale più in particolare, deve affrontare e che interessa diversi settori dell’ordinamento giuridico - dal diritto amministrativo al diritto internazionale, al diritto penale e processuale penale - e che deve essere osservato sotto una prospettiva di approccio multidisciplinare; ciò rileva maggiormente se si considera l’impatto della questione non soltanto nell’ambito giuridico ma anche in quello di altre scienze quali, ad esempio, la sociologia e la politica, alla luce anche delle paure che “l’invasione” genera nei cittadini 4. 2. L’evoluzione legislativa nel quadro comunitario L’esame del diritto penale dell’immigrazione non può che partire dall’evoluzione della sua disciplina, molto recente, sia in sede comunitaria che in sede nazionale. Il diritto dell’immigrazione è un diritto nuovo che solo da una ventina di anni impegna l’attività legislativa comunitaria ed italiana. L’immigrazione illegale o clandestina verso l’Europa, è, infatti, un fenomeno che il vecchio continente conosce da breve tempo. In sede europea l’incipit a politiche comunitarie contro l’immigrazione clandestina è stata data da alcune Conclusioni del Consiglio europeo e, soprattutto, da alcune Comunicazioni della Commissione europea. E’ opportuno, brevemente, tracciare un quadro di questi primi elementi normativi 5. La prima delle Comunicazioni della Commissione in materia risale al 1985; la Commissione ha evidenziato che lo sviluppo della politica europea in tema di migrazioni 2 XVII Rapporto Caritas - Migrantes, Roma, 2007, le cui statistiche complete sono, comunque, reperibili sul sito www.caritasitaliana.it. 3 Le cifre sono del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia e sono aggiornati al 31 dicembre 2007, liberamente consultabili su www.giustizia.it/statistiche. 4 Cfr. O. Hoffe, Globalizzazione e diritto penale, Torino, 2001, p. 14 ss. 5 Cfr. per un maggiore dettaglio dell’evoluzione normativa comunitaria R. Pisillo Mazzeschi, Strumenti comunitari di prevenzione e di contrasto all’immigrazione clandestina, in Dir. dell’Unione Europea, 2004, p. 729 ss. 2
dovesse essere “parte integrante dell’Europa dei cittadini” 6. Qualche anno dopo, la stessa Commissione, intervenendo sul problema migratorio in senso stretto, indicava come principali obiettivi da perseguire l’azione preventiva sulle cause di pressione migratoria verso i confini europei, limitando i flussi di arrivo con un controllo rigido delle frontiere 7. In anni più recenti, la Commissione ha adottato una politica diversa, facendo uso di criteri più flessibili dovuti al deficit demografico registrato in Europa ed alla carenza di manodopera nel mercato del lavoro: si sceglie una strada di partnership economica con i paesi di origine dei migranti, integrando il problema dell’immigrazione nei rapporti tra Unione Europea e paesi terzi 8. Peraltro, con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam l’1 maggio 1999 si è data una svolta alla politica comunitaria in tema di immigrazione. Infatti, il Titolo IV del Trattato (artt. 61-69) conferisce all’Unione Europea competenza in materia di “visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse alla libera circolazione delle persone”. In particolare, è l’Unione Europea a dettare le regole circa le condizioni di ingresso e soggiorno degli stranieri, nonché quelle relative al rimpatrio dei soggetti presenti sul territorio in maniera irregolare. L’immigrazione diviene, a tutto tondo, una materia di stretta competenza comunitaria cui gli Stati membri devono adeguarsi realizzando così il c.d. spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Naturalmente, sulla base delle disposizioni del Trattato la competenza dell’Unione Europea fa salva la responsabilità degli Stati membri circa il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna (cfr. art. 64 Trattato CE). D’altro lato, il Trattato, sul presupposto che l’immigrazione trova sviluppo nelle reti internazionali della criminalità, sancisce il principio per cui possono essere applicate le disposizioni del Trattato in materia di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (Titolo VI del Trattato, artt. 29-31) 9. A tali criteri di carattere generale, si sono aggiunti nel corso degli anni una serie di direttive comunitarie volte a specificare ed integrare le disposizioni in materia di immigrazione. In relazione al tema di questo lavoro pare opportuno segnalare la direttiva 2001/40/CE del Consiglio europeo del 28 maggio 2001: questa direttiva traccia con chiarezza uno scheletro della struttura dello strumento delle espulsioni, che costituisce, come noto, un punto nodale della repressione dell’immigrazione clandestina. In un quadro 6 Comunicazione della Commissione al Consiglio sugli orientamenti per una politica comunitaria delle migrazioni (COM 85 48 def. del 7 marzo 1985). 7 Comunicazione della Commissione al Consiglio ed al Parlamento europeo sull’immigrazione (Doc. SEC 91 1855 def. del 23 ottobre 1991). 8 Si tratta delle Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Tampere, 15 e 16 ottobre 1999, parr. 11- 12 e 22-27. 9 E’ appena il caso di notare che il tema dell’immigrazione in sede europea è destinato a subire profonde modifiche se e quando entrerà in vigore la c.d. Costituzione Europea. 3
certamente non vincolante, si afferma il principio per cui ogni Stato membro deve assicurare che i cittadini di Stati terzi presenti illegalmente nel territorio siano allontanati, anche se la persona interessata si sia rifugiata in un altro Stato membro, rispetto allo stato autore della decisione, e senza la necessità di un’ulteriore decisione sul punto. In questa prospettiva, si impone agli Stati il rispetto dei diritti umani fondamentali e l’obbligo di garantire allo straniero, oggetto del provvedimento di allontanamento, un mezzo di ricorso. Un altro atto di importanza cruciale è la Direttiva 2002/90/CE del Consiglio del 28 novembre 2002: essa è volta a definire la nozione comune di favoreggiamento all’ingresso, del transito e del soggiorno illegale. Inoltre, viene imposto agli Stati membri di adottare sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive nonché la possibilità di prevedere sanzioni di altra natura, contro le persone fisiche e le persone giuridiche autori dei tali reati. La novità della Direttiva 2002/90/CE è costituita dal fatto che, per la prima volta, espressamente l’Unione Europea indica lo strumento penale come mezzo migliore, o comunque necessario, al fine di reprimere il fenomeno dell’immigrazione clandestina nel territorio dell’Unione Europea 10. 3. L’evoluzione legislativa nel quadro italiano L’evoluzione della disciplina legislativa in materia di stranieri ed immigrazione in Italia è storia molto recente. Fino alla fine degli anni ottanta il legislatore nazionale aveva del tutto trascurato tale fenomeno, in ragione del fatto che l’Italia, dall’inizio del XX secolo, fosse un paese di emigrazione - soprattutto verso gli Stati Uniti ed il Nord Europa - e non recettore di immigrazione. Sulla scorta di queste premesse appare quasi logico che lo sviluppo della normativa sia stato caratterizzato da un susseguirsi continuo di norme, spesso tese ad affrontare l’immigrazione con l’ottica esclusiva del problema di ordine pubblico. Quindi, è opportuno tracciare una breve sintesi della storia del diritto italiano in tema di contrasto dell’immigrazione irregolare 11. La prima legge, in ordine di tempo, intervenuta a tentare di regolare il fenomeno migratorio è la c.d. legge Martelli 12. Si trattava di una legge emergenziale - come dimostra 10 Va ricordata, poi, la Direttiva del Consiglio del 29 aprile 2004 che prevede la possibilità del rilascio del permesso di soggiorno a cittadini di paesi terzi che, vittima della tratta di esseri umani o del favoreggiamento dell’immigrazione illegale, collaborino con le autorità giudiziarie competenti. 11 Per un quadro completo si veda A. Caputo, Diritto e procedura penale dell’immigrazione, Torino, 2006, p. 4 ss. 12 Si tratta del D.L. 30 dicembre 1989, n. 416 rubricato “Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato”, convertito, con modifiche, nella Legge 28 febbraio 1990, n. 39. 4
inequivocabilmente l’utilizzo da parte del Governo dello strumento del decreto legge - che tentava di coniugare, da un lato, la chiusura delle frontiere innanzi all’arrivo di immigrati che appariva una vera invasione; e, da altro lato, il tentativo di integrare quello che era un fenomeno sociologico (l’immigrazione irregolare) sostanzialmente infermabile. Il risultato, sul piano delle opzioni normative, era quello di ampliare il novero dei reati presupposto dell’espulsione considerata una misura di sicurezza nonché di individuare nell’espulsione un ruolo centrale nella gestione della politica dell’immigrazione (sebbene non vada sottaciuto che la legge Martelli incrementa le garanzie degli stranieri destinatari dei provvedimenti) e considerare, in sintesi, il problema migratorio esclusivamente come una questione attinente l’ordine pubblico interno. Soltanto tre anni dopo, la disciplina dell’espulsione dello straniero subisce una prima importante modifica, attraverso il c.d. decreto Conso 13. Tale decreto non soltanto introduce una serie di reati che risultano tuttora in vigore, ma introduce una nuova forma di espulsione. Si tratta della espulsione a richiesta dello straniero sottoposto a custodia cautelare per delitti diversi da quelli previsti dall’art. 407, comma 2, lett. a), nn. da 1 a 6, c. p. p., ovvero condannato a pena detentiva non superiore a tre anni. Ancora poco tempo dopo, appena due anni, furono emanati i c.d. Decreti Dini, che furono reiterati, con una pratica inaccettabile sul piano dei principi costituzionali, per ben cinque volte senza poi essere mai convertiti in legge 14. Le principali novità erano costituite dall’introduzione di una nuova figura dell’espulsione come misura di prevenzione nonché dall’applicabilità, a certe condizioni, della misura dell’obbligo di dimora per la persona da espellere. Occorre aspettare pochi anni per addivenire alla prima legge organica in tema di immigrazione, ovvero la legge Turco - Napolitano 15. Rilevante novità introdotta da questa legge è il sistema delle quote, che tentava di bilanciare gli ingressi per ragioni di lavoro con le necessità di manodopera e con la sostenibilità degli stessi sotto il profilo assistenziale. Il sistema dello sponsor (chiamata diretta del lavoratore extracomunitaria da parte dell’imprenditore) e del ricongiungimento familiare garantivano, poi, una certa flessibilità alle quote di ingresso. Inoltre, vengono ampliati i diritti dell’immigrato che, però, è considerato un “ospite in prova perpetua” oltre che sottoposto ad una sorta di preclusione ex lege rispetto alla regolarizzazione della presenza. La legge, inoltre, si caratterizzava per una sostanziale ineffettività delle espulsioni, che rimanevano tali solo sulla carta. 13 D.L. 14 giugno 1993, n. 187, convertito, con modifiche, nella Legge 12 agosto 1993, n. 296. 14 D.L. nn. 489/1995, 22/1996, 132/1996, 269/1996, 376/1996 e 477/1996. 15 Legge 6 marzo 1998, n. 40 poi riversata nel c.d. Testo Unico sull’immigrazione di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 tuttora in vigore. 5
Ultimo passaggio recente è la c.d. legge Bossi - Fini 16. Questa legge mantiene in vigore il Testo Unico sull’immigrazione, anche se apporta notevoli modifiche a quella che rimane, ad oggi, la fonte normativa di riferimento in materia di immigrazione. Sotto il profilo politico, ancor prima delle conseguenze giuridiche, questa legge si qualifica per un pesante irrigidimento di tutta la normativa. In tal senso vanno lette la stretta sulla disciplina degli ingressi considerati, a ragione, causa dell’aumento esponenziale dell’immigrazione irregolare; viene soppresso il sistema dello sponsor, al fine di garantire una richiesta interna di prestazione di lavoro e si ridimensiona il diritto al ricongiungimento familiare. In altre parole, si adotta una linea dura a fronte dell’arrivo di migliaia di immigrati sulle coste italiane. Tuttavia, nonostante i proclami indicati, anche la legge Bossi-Fini non ha saputo dare applicazione ed effettività al sistema delle espulsioni, vero nodo gordiano della materia, ed ha anzi aggravato la confusione tra disciplina penale e disciplina amministrativa, inserendo lo straniero, per così dire, in un sotto sistema speciale ed emergenziale rispetto a quello ordinario applicato al cittadino italiano. Sotto questo profilo, il ruolo giocato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale è stato fondamentale, per tentare un riequilibrio dei diritti dello straniero, individuando quello che la dottrina chiama “statuto costituzionale dello straniero” 17. Basti pensare alla recente sentenza della Corte Costituzionale in tema di detenzione amministrativa nei Centri di permanenza temporanea. In tale sentenza, la Consulta ha precisato che “il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea ed assistenza è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell’art. 13 della Costituzione” 18. Ancora, la Corte Costituzionale ha sottolineato che il diritto alla difesa di cui all’art. 24 Cost., costituisce diritto fondamentale spettante anche allo straniero. Tale diritto fondamentale è stato sancito sia rispetto al diritto all’assistenza linguistica nel procedimento penale 19, nonché relativamente al diritto di rientro in Italia per lo straniero espulso per partecipare liberamente al giudizio 20. In conclusione, sul punto, la Corte Costituzionale ha tentato felicemente di perimetrare il riconoscimento dei diritti e delle garanzie costituzionali anche per ogni uomo che si trovi, seppur in condizione di irregolarità, sul territorio italiano. 16 Legge 30 luglio 2002, n. 189. 17 A. Caputo, Diritto e procedura penale dell’immigrazione, cit., p. 33 ss. 18 Corte Cost., sent. n. 105/2001, in Giur. Cost, 2001. 19 Corte Cost., sent. n. 10/1993, in Foro It., 1993, I, 1374. 20 Corte Cost., sent. n. 492/1991, in Giur. Cost., 1991, 1994. 6
4. I delitti di favoreggiamento 4.1. Il delitto di favoreggiamento dell’ingresso illegale Nell’ambito delle disposizioni penalistiche contenute nel Testo Unico, quindi nell’ambito di quello che potremmo indicare come diritto penale dell’immigrazione, un ruolo di primo piano occupa certamente il delitto di favoreggiamento dell’ingresso illegale, di cui all’art. 12, comma 1, T.U. La ratio dell’introduzione del richiamato delitto è da ricondurre all’impegno che l’Italia aveva sottoscritto in sede degli accordi di Schengen, nei quali si era impegnata formalmente a potenziare l’azione di contrasto delle immigrazioni clandestine verso gli Stati membri dell’Unione Europea. Sotto il profilo generale, la struttura del reato mantiene irrilevante in sede penale l’illiceità del mero ingresso illegale da parte del soggetto irregolare, e mira a reprimere qualsiasi condotta favoreggiatrice delle migrazioni illegali. Questo spiega la scelta del legislatore per l’attribuzione al delitto de quo di reato di attentato. Il fatto delittuoso è, infatti, descritto in forma aperta, al fine di poter reprimere qualsivoglia condotta che sfrutti l’immigrazione irregolare e clandestina, tanto che non si richiede per la sua integrazione che l’ingresso illegale sia, poi, effettivamente avvenuto 21. In buona sostanza, la norma individua esclusivamente la condotta vietata - l’ingresso contra ius - ed utilizzando la tecnica della consumazione anticipata, tipica di ogni reato di pericolo, demanda al giudice l’accertamento concreto dell’idoneità della condotta al raggiungimento dello scopo delittuoso. In tal senso, la Corte di Cassazione ha ritenuto sussumibile il delitto in esame anche nel caso in cui “l’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato sia formalmente regolare ma in realtà finalizzato ad una permanenza irregolare” 22. L’incipit della norma (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”) indica che il legislatore, sebbene colpisca duramente il favoreggiamento dell’ingresso illegale, ritiene che tale reato abbia natura sussidiaria laddove il fatto integri una più grave fattispecie delittuosa. E’ evidente che il più grave reato che assorbirebbe quello di cui all’art. 12, 21 Cass., sez. III, 19.5.2005, n. 35629, in CED Cassazione Rv. 232390 e Cass., sez. I, 23.6.2000, n. 4586, in CED Cassazione Rv. 217165, che parla esplicitamente di “reato a condotta libera ed a consumazione anticipata”. 22 Cass., sez. I, 10.10.2007, n. 42985, in CED Cassazione Rv. 238120, in tale fattispecie l’ingresso degli stranieri, privi del permesso di soggiorno, era stato realizzato attraverso l’organizzazione di viaggi a scopo solo apparentemente turistico, ma finalizzati alla permanenza sul territorio italiano. 7
comma 1, T.U. debba essere posto a tutela del medesimo interesse giuridico protetto dalla norma, diversamente l’assorbimento non può verificarsi 23. Dalla lettura del testo emerge che presupposto giuridico della norma è la “violazione delle disposizioni del presente Testo unico”. Tale inciso ha destato notevoli perplessità, sotto il profilo della compatibilità costituzionale della norma, in quanto si tratta di un requisito generico e vago, che difetterebbe della necessaria tassatività costituzionalmente dovuta 24. Sarebbe stato preferibile, da un punto di vista della tecnica di redazione normativa, indicare quelle disposizioni del T.U. la cui violazione era da considerare rilevante ai fini della realizzazione del delitto. La giurisprudenza ritiene, comunque, di adottare una lettura “ampia”, tanto che indica per “violazione delle disposizioni del presente testo unico... l’assenza di valido documento legittimante l’ingresso o in presenza di documento ottenuto con artifici o in modo illecito” 25. Appare evidente il tentativo da parte della giurisprudenza di ricomprendere “quanto più condotte possibili” sotto la fattispecie in esame, sfruttando la redazione normativa ampia e generica offerta dal legislatore delegato. Più di qualche dubbio interpretativo ha fatto sorgere la locuzione “atti diretti a procurare l’ingresso”: la direzione ed univocità degli atti dovrebbero escludere dalla rilevanza penale tutte quelle condotte che, a vario titolo, non sono finalizzate all’ottenimento del risultato illecito e cioè dell’ingresso illegale dello straniero. Quindi rileva, ai fini della commissione del reato, non solo ogni attività finalizzata a consentire l’arrivo in Italia dello straniero, ma anche quelle attività fiancheggiatrici, cronologicamente immediatamente successive, che sono intese a garantire la buona riuscita dell’operazione illecita (ad esempio: la sottrazione dai controlli della polizia o l‘avvio verso la località di destinazione) 26. Qualsiasi condotta tesa a procurare l’ingresso illegale allo straniero è ritenuta sufficiente per integrare il reato, dal reclutamento dello straniero nel suo Paese d’origine all’imbarco sulla nave o altro mezzo di trasporto, fino alla predisposizione dell’alloggio in Italia, essendo del tutto neutre, ai fini della norma, la finalità dell’ingresso o le circostanze concrete successive all’arrivo illegale, che si rivelano dei post-factum irrilevanti 27. In tal senso, l’adesione di uno Stato all’Unione Europea non determina la non punibilità del 23 In questo senso, Cass., sez. V, 21.1.2004, n. 6250, in CED Cassazione Rv. 228087, che esclude l’assorbimento del reato di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 286 del 1998 nel più grave reato di falso in atto pubblico, sul presupposto del diverso interesse giuridico tutelato dalle due norme, per il primo il sanzionamento di attività dirette a favorire l’ingresso illegale degli stranieri nel territorio dello Stato e per il secondo la tutela della fede pubblica. 24 A. Callaioli, Sub art. 12, in T. Padovani, (a cura di), Leggi penali d’udienza, Milano, 2003, 1842. 25 Così Cass., sez. I, 20.10.2004, n. 49258, in CED Cassazione Rv. 230159. 26 Così Cass., sez. III, 4.10.2007, n. 42980, in CED Cassazione Rv. 238148. 27 In tal senso, Cass., sez. III, 19.5.2005, n. 35629, in Guida al Dir. 2005, 43, 93. 8
delitto, commesso anteriormente alla data di entrata in vigore del Trattato di adesione, consistente nel compiere “atti diretti a procurare l’ingresso” nel territorio italiano dello straniero che sia cittadino di tale Stato. La modifica della norma extrapenale non è integratrice della norma penale, né opera retroattivamente rispetto al reato, ai sensi dell’art. 2 c.p., ma comporta una mera modifica di una situazione di fatto 28. Un aspetto che ha dato luogo ad un vivace dibattito giurisprudenziale è quello relativo alla competenza giurisdizionale penale italiana. Come è noto, il delitto de quo spesso ha come luogo di commissione zone di confine o, ancor più spesso, acque internazionali e zone contigue. Da qui è sorto il problema di ancorare la commissione del delitto al territorio italiano, al fine di reprimere la condotta illecita secondo la legge penale italiana ed impedire la sostanziale impunità degli autori del traffico illecito. In altre parole, affinché condotte, perlomeno in parte poste in essere all’estero, siano punibili in Italia, occorre siano collegate a comportamenti posti in essere sul territorio nazionale, ovvero siano iniziate fuori dai confini nazionali ma proseguite in Italia. Diversamente, vale il principio generale dell’efficacia nello spazio della legge penale. In ragione della necessità di un collegamento con il territorio italiano, è stata correttamente affermata la giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana ove il reato di favoreggiamento dell’immigrazione sia stato scoperto in prossimità delle coste italiane, anche se il fermo del mezzo natante straniero sia avvenuto, a seguito di inseguimento, in acque internazionali 29. Al contrario, l’intera realizzazione all’estero della condotta illecita ha provocato il difetto della giurisdizione italiana nel caso in cui la condotta si sia concretata nel trasporto clandestino degli stranieri all’interno di un camion posto a bordo di una nave battente bandiera non italiana e la scoperta si sia verificata in acque internazionali 30. Corollario delle considerazioni appena svolte è che il mero transito dello straniero al fine del rimpatrio nel proprio Paese di origine non può essere considerato reato. Se così non fosse si aprirebbe una evidente contraddizione all’interno del sistema; infatti, se obiettivo della norma è reprimere il traffico illegale dei migranti, non si comprenderebbero le ragioni per cui si attribuirebbe disvalore penale ad un fatto di segno opposto, ovvero il rimpatrio del clandestino 31. 28 Cass., sez. I, 28.2.2008, n. 10265, in CED Cassazione, Rv. 239567. 29 In tal senso, Cass., sez. I, 20.11.2001, n. 325, in CED Cassazione Rv. 220435 e, nella giurisprudenza di merito, Trib. Genova, sez. II, 9.6.2006, inedita. 30 In tal senso, Cass., sez. I, 28.10.2003, n. 5583, in CED Cassazione Rv. 226953. 31 In tal senso, Cass., sez. I, 19.12.2006, n. 1271, in CED Cassazione Rv. 236021 e Cass., sez. I, 27.1.2004, n. 12963, in CED Cassazione Rv. 227170. 9
E’ interessante notare come, proprio in riferimento a casi di transito dal territorio italiano di soggetti stranieri, la rilevanza della prova e, soprattutto, l’ineludibile onere posta a carico dell’accusa, abbia subito un forte affievolimento. Sul presupposto della natura di causa di giustificazione della condotta di transito temporaneo finalizzato al rimpatrio nel paese di origine, un orientamento giurisprudenziale, consolidato e prevalente, ritiene che sia onere dell’imputato di allegare al giudice “gli elementi di indagine per porre il giudice nella condizione di accertare la sussistenza, o quanto meno della probabilità della sussistenza, di tale esimente” 32. Si tratterebbe, in altre parole, di un onere probatorio posto a carico dell’imputato e che sarebbe integrato “... da altri elementi di particolare pregnanza tali da dimostrare la finalità e la direzione immediata del viaggio, come i titoli in possesso dell’interessato, e i motivi del viaggio” 33. Il rischio concreto di una tale granitica giurisprudenza è che vi sia un’inversione dell’onere della prova dalla pubblica accusa all’imputato, inaccettabile in un moderno Stato di diritto. Condivisibile è il tentativo di evitare facili giustificazioni da parte dello straniero, ma un eccessivo rigore in sede dibattimentale rischierebbe di caricare su esso una sorta di probatio diabolica. Solo un breve cenno merita la questione dell’elemento soggettivo: il dolo richiesto per l’autore è quello generico. Al contrario, nella autonoma fattispecie di cui all’art. 12, comma 3, T.U. è richiesto il dolo specifico del “fine di trarre profitto anche indiretto” dall’ingresso irregolare dello straniero. La fattispecie di cui all’art. 12, comma 3, T.U. è una figura di reato autonoma, e non una mera circostanza aggravante, e riguarda il tipico caso di chi sfrutta, sotto il profilo economico, l’ingresso irregolare del clandestino avviando lo stesso ad attività delinquenziali o alla prostituzione 34. In conclusione, il reato di favoreggiamento dell’ingresso illegale, sia nella versione “semplice” di cui al comma 1, sia in quella caratterizzata dal dolo specifico di cui al comma 3, costituisce una delle figure basilari della reazione, in sede penale, dello Stato al fenomeno della migrazione irregolare. Sarebbe opportuno sforzarsi di realizzare una maggiore precisione del dettato normativo, ed evitare, ad esempio in sede di riscontro probatorio del delitto, di analizzare i termini della problematica dell’immigrazione con un “point of wiew” radicato sull’emergenza, e non sulle regole ordinarie del giusto processo. 32 In tal senso, Cass., sez. I, 20.12.2006, n. 7349, in CED Cassazione Rv. 236237. 33 Così, da ultimo, Cass., sez. I, 28.2.2008, n. 9520, in CED Cassazione, 2008. 34 Così, Cass., sez. I, 25.1.2006, n. 11578, in CED Cassazione, Rv. 233872. 10
4.2. Il delitto di favoreggiamento dell’emigrazione illegale Il delitto di favoreggiamento dell’emigrazione illegale previsto dall’art. 12, comma 1, T.U. è stato introdotto nel 2002 dalla legge Bossi - Fini, ed è nella struttura identico al delitto di favoreggiamento dell’ingresso illegale. Naturalmente, se ne differenzia in quanto la condotta favoreggiatrice è tesa a procurare allo straniero “l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente”. In altre parole, la condotta favoreggiatrice deve puntare ad ottenere l’ingresso illegale in uno Stato terzo, che non sia l’Italia. Come detto, la struttura giuridica è identica al reato di favoreggiamento dell’ingresso illegale, ivi compresa l’ipotesi di cui al terzo comma del “fine di trarre profitto anche indiretto”; si tratta di un reato di pericolo o a consumazione anticipata, che si perfeziona con il compimento dei soli atti diretti idonei ad ottenere l’ingresso illegale, nulla rilevando “l’effettività, la durata o le finalità dell’entrata o del transito, né la direzione o la destinazione finale dello straniero in transito” 35. Non omogenea è la valutazione giurisprudenziale relativamente al c.d. bene giuridico tutelato dalla norma. Da una parte si ritiene in giurisprudenza che la norma sia “volta a tutelare anche gli altri Stati membri dell’Unione Europea” 36; dall’altra parte si sostiene che la fattispecie in esame sia “diretta a combattere le attività di sollecitazione e gestione del fenomeno migratorio illegale in arrivo o in partenza dal territorio nazionale, piuttosto che a proteggere lo spazio ricompreso nell’accordo di Schengen” 37. Tra le due letture è preferibile la prima in quanto l’Italia è vincolata, sulla base del Trattato U.E., ad una cooperazione ed assistenza giudiziaria con gli altri Stati membri, per cui è consequenziale che ognuno di essi si faccia carico della possibile prevenzione di arrivi illegali su territori di Stati membri terzi; se così non fosse, il Trattato resterebbe lettera morta in una delle sue parti più pregnanti. In secondo luogo, una lettura priva di una “proiezione internazionale” renderebbe la fattispecie di cui all’art. 12, comma 1, superflua, in quanto sarebbe sufficiente prevedere il mero favoreggiamento dell’ingresso illegale senza la necessità di introdurre un reato autonomo che persegua l’emigrazione in altro Stato terzo (membro) di tipo illegale. Il punto fondamentale nell’esame del delitto de quo è costituito dall’inciso “ingresso illegale”, che si qualifica come presupposto di illiceità speciale. Tale inciso differenzia il 35 Così, da ultimo, Cass., sez. I, 28.2.2008, n. 10716, in CED Cassazione, 2008. 36 Così, Cass., sez. I, 13.2.2008, n. 9001, in CED Cassazione, Rv. 239241. 37 Così, Cass., sez. I, 26.10.2006, n. 42117, in Riv. Pen., 2007, 10, 1073. 11
presente reato dal favoreggiamento dell’ingresso illegale, che prevede la “violazione delle disposizioni del presente testo unico”. Questo riferimento inoltre pone almeno due ordini di problemi. L’ingresso illegale fa necessario riferimento all’ordinamento dello Stato estero di destinazione finale dello straniero. Il precetto penale della legge italiana è quindi completato ed integrato o meglio descritto da una legge straniera, peraltro non identificata ma variabile, per così dire, dalla meta finale del clandestino 38. Si pongono, dunque, problemi in ordine alla riserva di legge statale per il precetto penale, richiesto dall’art. 25 Cost., nonché dubbi circa la necessaria determinatezza che deve possedere, sulla base dei principi generali dell’ordinamento penale, la fattispecie penale. Ancor più evidente è il contrasto tra il reato di favoreggiamento dell’emigrazione illegale e l’art. 35, comma 4, Cost., che prevede e riconosce la libertà di emigrazione come diritto della persona costituzionalmente protetto. Il contrasto è quindi stridente tra l’incriminazione del favoreggiamento dell’emigrazione, che, al contrario, una norma di rango costituzionale ritiene meritevole di tutela e ne sancisce la libertà. Queste considerazioni non sono sfuggite alla giurisprudenza di merito più attenta che ha investito della questione la Corte Costituzionale 39. Il Tribunale torinese contestava la legittimità costituzionale del delitto in esame sotto più profili. In primo luogo, al fine di appurare l’illegalità dell’emigrazione, occorrerebbe far riferimento ad un ordinamento straniero di destinazione, per cui si sarebbe al cospetto di una norma penale in bianco, con violazione dei principi di tassatività e determinatezza della fattispecie di cui all’art. 25 Cost. Infatti, la varietà di ordinamenti stranieri cui fare riferimento colpirebbe, trattandosi di reato a consumazione anticipata, una illegalità solo futura ed eventuale. La norma inoltre, contrasterebbe con la libertà di emigrazione, riconosciuta dall’art. 35 della Carta Costituzionale quale diritto della persona. Tale norma contiene una riserva di legge che prevede la possibilità di comprimere la libertà di emigrazione, solo in presenza di condizioni eccezionali, legate a ragioni di tutela dell’ordine pubblico ed a situazioni di pericolosità. Trattasi di ipotesi eccezionali che - secondo l’iter logico-giuridico seguito in seno alla pronuncia del tribunale torinese - potrebbero prevedersi in relazione al comma 3 dell’art. 12, “stante la sua ratio di contrasto con il fenomeno della mercificazione dei 38 Cfr. A. Caputo, Diritto e procedura penale dell’immigrazione, cit., p. 82 ss. 39 Si fa riferimento a Gup. Trib. Torino (ord.), 17/3/2004, inedita e Trib. Torino (ord.), 18/5/2005, in Guida al Diritto, 2005, 41, 100. 12
flussi migratori e, quindi, dell’agevolazione professionale, ma non, invece, in rapporto alla fattispecie oggetto di censura” 40. La Corte Costituzionale investita del problema una prima volta decideva di restituire gli atti al giudice a quo al fine di una nuova valutazione della questione alla luce delle modifiche della struttura della norma a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 271 del 2004, nelle more del giudizio costituzionale 41. La Corte pertanto decideva di non entrare nel merito della questione costituzionale, rimandando la questione al Tribunale di Torino rimettente. In seguito ad una nuova valutazione cui era stato invitato dalla Consulta, il Tribunale di Torino riproponeva le medesime questioni dichiarando “non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativamente all’articolo 12, comma primo, seconda parte, del D.Lgs. 25 luglio 1998 n. 286 e successive modifiche in relazione alla fattispecie di favoreggiamento dell’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, per violazione degli articoli 25 e 35, quarto comma, della Costituzione” 42. La Corte Costituzionale poneva - almeno per ora - fine alla questione con un’ordinanza tranchant nella quale, ancora una volta, non si esprimeva nel merito delle questioni di legittimità costituzionale della norma sollevate dal tribunale torinese, ma dichiarava la mera manifesta inammissibilità della questione. La ratio si incentrava sulla circostanza che “il giudice a quo si è limitato a confermare, ritenendo non modificati dallo ius superveniens gli elementi costituitivi della fattispecie penale, la rilevanza delle questioni sollevate con l’ordinanza del 17 marzo 2004 richiamando, quanto al requisito della non manifesta infondatezza, i motivi posti a fondamento della propria precedente ordinanza; ... per costante giurisprudenza di questa Corte, non possono avere ingresso nel giudizio incidentale di costituzionalità questioni motivate solo per relationem, dovendo il rimettente rendere esplicite le ragioni per le quali ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione sollevata, mediante una motivazione autosufficiente, non sostituibile dal rinvio al contenuto di altre ordinanze dello stesso o di diverso giudice” 43. In questo caso era manifesta un’irregolarità formale nella riproposizione delle motivazioni poste a fondamento delle proprie ragioni a sostegno della questione di legittimità costituzionale ad impedire, in qualche modo, alla Corte Costituzionale di 40 Gup. Trib. Torino (ord.), 17/3/2004, inedita. 41 Corte Cost., Ord., 29.12.2004, n. 445, in www.cortecostituzionale.it. 42 Trib. Torino (ord.), 18/5/2005, in Guida al Diritto, 2005, 41, 100. 43 Corte Cost., Ord., 21. 2.2007, n. 75, in www.cortecostituzionale.it. 13
sciogliere quello che appare un’insolubile defaillance del sistema. Nel momento in cui la Consulta si pronuncerà, nel merito della questione di legittimità costituzionale, potrà constatare che il delitto di favoreggiamento dell’emigrazione illegale, ad oggi, non può che essere dichiarato costituzionalmente illegittimo. 4.3. Le circostanze Il complesso art. 12 del T.U. prevede una serie di disposizioni in tema di circostanze, aggravanti ed attenuanti, onde meglio modulare la gravità della sanzione. Tali circostanze si applicano ai delitti previsti dai commi 1 e 3 dell’art. 12 del T.U. In particolare, le circostanze aggravanti di cui al comma 3-bis sono ad efficacia comune ed hanno natura oggettiva. Tale comma prevede l’aumento della pena nel caso in cui il favoreggiamento dell’ingresso o della permanenza irregolare comporti: ingresso di 5 o più persone; esposizione a pericolo della vita o dell’incolumità dello straniero; sottoposizione a trattamento inumano o degradante; particolare insidiosità dei mezzi utilizzati nella commissione dei reati (ad esempio, fatto commesso da più persone in concorso o utilizzo di documenti alterati o contraffatti). Il comma 3-ter dell’art. 12 prevede, poi, delle circostanze aggravanti ad effetto speciale, e di natura soggettiva che si applicano al solo caso del delitto di favoreggiamento dell’ingresso irregolare al fine di trarre profitto (art. 12, comma 3, T.U.). Si prevede l’aumento della pena da un terzo alla metà se i fatti sono compiuti al fine di: sfruttamento della prostituzione, sfruttamento sessuale o impiego di minori in attività illecite. Tali circostanze, introdotte con la novella del 2004, sono ritenute di particolare gravità e caratterizzate da dolo specifico. Da notare che, infine, il comma 3-quater detta una disciplina specifica in tema di giudizio di bilanciamento delle circostanze previste dall’art. 12; infatti, la norma prevede che, laddove concorrano circostanze aggravanti ed attenuanti, queste ultime non possano essere ritenute equivalenti, o prevalenti, e che le diminuzioni di pena opereranno sulla pena risultante dall’aumento dovuto all’applicazione dell’aggravante. D’altra parte, il comma 3-quinquies prevede la diminuzione della pena fino alla metà in tutti quei casi in cui vi sia una condotta collaborativa da parte dell’imputato, quindi, nel caso in cui l’imputato si adopera ad evitare conseguenze ulteriori dell’attività delittuosa, aiutando l’Autorità a raccogliere elementi di prova decisivi per l’accertamento del reato, o per la cattura degli autori, o per la sottrazione di risorse rilevanti. E’ evidente che il legislatore volesse premiare ogni forma di condotta collaborativa con una sorta di “norma simbolica”, dato che si fa riferimento ad un reato istantaneo per cui vi è una sfasatura temporale tra commissione del reato e applicazione dell’attenuante. 14
L’art. 12 cpv. prevede, poi, la c.d. scriminante umanitaria; sulla base di tale disposizione le attività di soccorso e assistenza prestate nei confronti di stranieri in condizione di bisogno non costituiscono reato. Tale norma ha natura di causa di giustificazione, in quanto il sistema penale ritiene, a ragione, prevalente il soccorso umanitario degli irregolari rispetto alle esigenze di tutela dell’ordine pubblico. 4.4. Il delitto di favoreggiamento della permanenza illegale Il delitto di favoreggiamento della permanenza illegale previsto dall’art. 12, comma 5, del T.U. deve la sua introduzione all’ossequio dell’Italia all’Accordo di Schengen ed ad un principio “velato” della legge italiana in quanto manca un meccanismo di regolarizzazione per chi è entrato irregolarmente nel territorio italiano 44. Meglio si potrebbe sostenere che il legislatore con l’incriminazione del favoreggiamento della permanenza intendesse completare il novero delle condotte tipicamente connesse all’arrivo irregolare dello straniero. In caso contrario, avremmo avuto una falla evidente nel sistema ed un inaccettabile “omaggio” a chi lucra sulla condizione degli irregolari già presenti sul territorio. Si tratta di un reato sussidiario come si evidenzia dalla indicazione “fuori dai casi previsti dai commi precedenti” e “salvo che il fatto non costituisca più grave reato”, facendo riferimento alla fattispecie di cui al comma 1. Il delitto di cui al comma 5 si caratterizza per una migliore precisione del dettato normativo, rispetto al comma 1. In particolare, si differenzia da questo in quanto il fatto tipico del comma 5 è descritto come reato di evento, e non con l’utilizzo della tecnica della consumazione anticipata: nel comma 5 l’autore “favorisce”, non compie “atti diretti a...”. Per converso, essendo reato a forma libera, può sussistere il favoreggiamento alla permanenza anche nel caso in cui l’ingresso sia stato regolare 45. In secondo luogo, il comma 5 prevede un dolo specifico di profitto: profitto che deve essere ingiusto e deve trarre origine dalla condizione di illegalità dello straniero. Il tipico caso è quello di chi mette a disposizione degli stranieri illegali unità abitative imponendo, nella conclusione del rapporto sinallagmatico, condizioni vessatorie per la parte debole o “particolarmente onerose ed esorbitanti dal rapporto” 46. In altre parole, non basta la mera conclusione di un rapporto contrattuale con 44 Così L. Pepino, Immigrazione, politica, diritto, in Quest. Giust., n. 1/1999, p. 11 ss. 45 Cass., sez. III, 3.10.2006, n. 39952, in Riv. Pen., 2007, 9, 949, che ha ritenuto sussistente il reato di favoreggiamento della permanenza irregolare in un caso di presentazione di domanda di regolarizzazione priva di requisiti e finalizzata a protrarre nel tempo la permanenza nel territorio di persone avviate alla prostituzione che inizialmente avevano fatto ingresso regolare. 46 In tal senso, Cass., sez. I, 23.10.2003, n. 46070, in Riv. Pen., 2004, 176 e da ultimo nella giurisprudenza di merito Trib. Torre Annunziata, 7.4.2008, in Massima Redazionale, 2008. 15
l’immigrato clandestino, poiché occorre accertare in concreto la sussistenza, da un punto di vista soggettivo, del fine di trarre “indebito vantaggio dalla condizione di illegalità dello straniero che si trova nella posizione di contraente debole, imponendogli condizioni onerose ed esorbitanti dall’equilibrio del rapporto sinallagmatico” 47. Così come non è configurabile il reato per il solo fatto dell’assunzione al lavoro in nero di immigrati clandestini, occorrendo un “quid pluris” costituito “dall’elemento finalistico dell’ingiusto profitto, che qualifica il profilo soggettivo del reato” 48. Contraddittorio appare l’inciso “o nell’ambito delle attività punite a norma del presente articolo” alternativo al dolo specifico previsto. Secondo alcuni studiosi va letto in relazione alle attività di sfruttamento della prostituzione o dei minori di cui al comma 3-ter dell’art. 12 49; preferibile appare invece la lettura di chi sostiene che tali attività sono “le attività di favoreggiamento dell’ingresso contra ius finalizzate alla realizzazione di tali attività” 50. 4.5. Il bene protetto e le altre caratteristiche dell’art. 12 T.U. Occorre pertanto indicare quale interesse giuridico la norma di cui all’art. 12 T.U. mira a tutelare. In questo senso il dibattito in dottrina è molto vivace e contrastato. Una parte di essa ritiene che i delitti di favoreggiamento di cui all’art. 12 T.U. hanno una natura plurioffensiva. Sono posti cioè a salvaguardia dell’interesse dello Stato a controllare i flussi migratori ed anche a tutelare le persone fisiche che di quei flussi costituiscono la realtà umana. La tutela delle frontiere avrebbe - sempre secondo tale indirizzo dottrinale - una dimensione internazionalistica, e non di mero ordine pubblico 51. Altra parte della dottrina, invece, sostiene che obiettivo principale della norma sia la tutela dell’ordine pubblico, in ragione dell’interesse dello Stato sulla materia dell’immigrazione ed ai problemi della sicurezza connessi ai flussi migratori privi di controllo 52. Non vi è dubbio che l’interpretazione più aderente al dato normativo sia la seconda. Dall’analisi non soltanto dell’art. 12 ma, soprattutto, dell’intero impianto del T.U. emerge un costante timore del legislatore di gestire il traffico migratorio clandestino nell’ottica di tutela dell’ordine pubblico. Si tratterebbe di tutelare le frontiere dello Stato e di controllare il flusso 47 Cass., sez. I, 16.10.2003, n. 46066, in CED Cassazione, Rv. 226476. 48 Cass., sez. I, 30.1.2008, n. 6068, in Dir. e Pratica Lav., 2008, 9, 597. 49 Così L. Baima Bollone, Disposizioni contro le immigrazioni clandestine, in AA.VV., Il nuovo diritto dell’immigrazione, Milano, 2003, p. 220. 50 Così, A. Caputo, Diritto e procedura penale dell’immigrazione, cit., p. 98 ss. 51 M. Cerase, Riformata la disciplina dell’immigrazione: le novità della “Legge Bossi-Fini” - Il commento, in Dir. pen. e proc., n. 11/2002, p. 1347. 52 A. Caputo, Diritto e procedura penale dell’immigrazione, cit., p. 125 ss. 16
di arrivo dei migranti come difesa e gestione dell’ordine pubblico dello Stato. In questo senso andrebbero lette le forme di “detenzione amministrativa”, nella sostanza penale, degli immigrati irregolari nei Centri di permanenza temporanea, ora denominati Centri di identificazione ed espulsione. L’art. 12, comma 4, detta un’importante disposizione procedurale che, in parte, deroga ai principi generali dell’ordinamento processuale. Tale disposizione prevede l’arresto obbligatorio in flagranza di reato nel caso di favoreggiamento dell’ingresso e dell’emigrazione irregolare, di cui all’art. 12, comma 1 e 3, del T.U. Per entrambe le fattispecie viene previsto uno speciale potere coercitivo in capo alla polizia giudiziaria, in deroga ai limiti edittali stabiliti per l’arresto obbligatorio dall’art 380 c. p. p. 53 Inoltre, è disposta la confisca del mezzo utilizzato nella commissione dei reati, anche in caso di adesione al procedimento speciale dell’applicazione della pena su richiesta delle parti. La disposizione normativa non fa riferimento all’esclusione della confisca nel caso in cui il mezzo di trasporto appartenga ad un terzo. In ragione di ciò, una granitica giurisprudenza ha ritenuto che il terzo “perché possa qualificarsi persona estranea al reato e far valere il diritto al dissequestro e alla restituzione del bene, ha l’onere di dimostrare di non aver mantenuto una condotta colposa, costituita dalla mancanza di diligenza nel controllo sull’operato del soggetto che ha materialmente e illecitamente usato il mezzo di trasporto” 54. Come per altre vicende connesse alla materia dell’immigrazione, si opera un’inversione dell’onere della prova, giustificata dall’emergenza costituita dai flussi migratori irregolari. La questione, per inciso, è stata posta al vaglio della Corte Costituzionale, la quale l’ha ritenuta manifestamente infondata sul presupposto dell’applicazione dell’art. 240 c.p., che vieta la confisca a carico di persone estranee al reato, facendo così salvo il principio della personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27 Cost. 55. Infine, il medesimo art. 12, comma 4, T.U. dispone, per entrambi i casi di favoreggiamento dell’ingresso e dell’emigrazione irregolare, il giudizio direttissimo, fatte salve la necessità di speciali indagini. Si tratta, evidentemente, di una forma atipica di instaurazione del giudizio direttissimo che, in ogni caso, deve rispettare i limiti temporali previsti dal codice per l’adozione del rito speciale 56. 53 Cass., sez. I, 27.10.2006, n. 39051, in CED Cassazione, Rv. 235980. 54 Cass., sez. I, 9.12.2004, n. 1927, in Riv. Pen., 2006, 2, 245. 55 Corte Cost., Ord., 25. 3.2001, n. 78, in Riv. Giur. Polizia, 2001, 738. 56 Cass., sez. VI, 25.9.2006, n. 35828, in Arch. Nuova Proc. Pen., 2007, 5, 648. 17
5. I delitti connessi ai documenti 5.1. Le fattispecie di falso materiale Le due fattispecie di falso materiale in documenti previste dall’art. 5, comma 8-bis, T.U. sono state introdotte dalla legge n. 189 del 2002 (c.d. legge Bossi - Fini), a tutela della genuinità dei documenti richiesti dalla legge ai fini di una presenza regolare sul territorio italiano. Tali fattispecie incriminano a) chiunque contraffà o altera un visto di ingresso o reingresso, un permesso di soggiorno, un contratto di soggiorno o una carta di soggiorno, ovvero b) chiunque contraffà o altera documenti al fine di determinare il rilascio di un visto di ingresso o di reingresso, di un permesso di soggiorno, di un contratto di soggiorno o di una carta di soggiorno è punito con la reclusione da uno a sei anni. La norma prevede che “se la falsità concerne un atto o parte di un atto che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni”; si tratta di una circostanza aggravante ad effetto speciale. Infine, la pena è aumentata se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale. Si tratta a bene vedere di due reati comuni essendo soggetto attivo “chiunque”, reati che hanno come bene protetto la fede pubblica, ovvero “la fiducia e la sicurezza del traffico giuridico... l’interesse specifico che trova una garanzia nella genuinità e veridicità dei mezzi probatori” 57. Entrambe le fattispecie concernono ipotesi di falsificazione materiale, e non prevedono ipotesi di falso ideologico, per cui si applicherà l’ordinaria fattispecie codicistica. Per ciò che concerne la struttura della prima delle due ipotesi delittuose, è bene rammentare che il fatto tipico è la falsificazione materiale di una serie di documenti indicati nella norma (visto di ingresso o reingresso, un permesso di soggiorno, un contratto di soggiorno o una carta di soggiorno). In particolare, la norma indica la condotta delittuosa nella contraffazione - cioè la formazione di un documento falso tout court - ovvero nella alterazione - cioè la modificazione rilevante di un documento genuino. L’elemento psicologico necessario per integrare il reato è il dolo generico. La seconda ipotesi di falso materiale riguarda, invece, i documenti funzionali al rilascio di un visto di ingresso o di reingresso, di un permesso di soggiorno, di un contratto di soggiorno o di una carta di soggiorno; si tratta di tutti quei documenti necessari allo straniero al fine di permanere sul territorio italiano in modo ossequioso delle disposizioni di legge vigenti. 57 Così F. Antolisei, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, a cura di L. Conti, Milano, 1995, p. 64, testualmente definisce la nozione di fede pubblica. 18
Il delitto opera nell’immediato della presenza dello straniero: si tratta, infatti, di un falso collegato al rilascio, e non al rinnovo dei documenti indicati nella norma. Il legislatore ha costruito una figura di reato a consumazione anticipata, ampliando ed arretrando la soglia di punibilità, rispetto ai delitti contro la fede pubblica previsti dal codice penale 58. In tal senso, addirittura esorbitante, rispetto al principio di offensività, appare l’incriminazione per falso materiale di documenti finalizzati al perfezionamento del contratto di soggiorno, ovvero di un documento prodromico del rilascio del permesso di soggiorno. Si punisce, insomma, la falsificazione di un documento necessario per il contratto di soggiorno, prodromico al rilascio del titolo abilitativo. Più di qualche dubbio, sotto il profilo della compatibilità costituzionale della norma, si ha in merito alla pena prevista che appare del tutto sproporzionata rispetto alle ipotesi previste dal codice penale. 5.2. L’omessa esibizione di documenti da parte dello straniero La norma in esame prevista dall’art. 6, comma 3, T.U. punisce “lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non esibisce, senza giustificato motivo, il passaporto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno, é punito con l’arresto fino a sei mesi e l’ammenda fino a € 413”. L’ipotesi in esame è un reato contravvenzionale, alla stregua dell’art. 651 c.p., che prevede il reato di “Rifiuto d’indicazioni sulla propria identità”. Si tratta, a differenza dell’ipotesi di cui all’art. 651 c.p., tuttavia, di un reato proprio, dato che soggetto attivo può essere esclusivamente lo straniero. La maggiore severità con cui è punita la contravvenzione in esame rispetto a quella prevista dall’art. 651 c.p. per i cittadini, ha portato a sospettare una possibile lesione dell’art. 3 Cost. Tuttavia, a più riprese la Corte Costituzionale ha escluso la fondatezza della questione 59. Il bene protetto dalla norma in esame è l’ordine pubblico; in particolare, la contravvenzione sottopone a sanzione penale i comportamenti elusivi posti in essere dallo straniero rispetto al doveroso controllo delle forze dell’ordine, finalizzato all’identificazione 58 Così, A. Caputo, Diritto e procedura penale dell’immigrazione, cit., p. 147. 59 Si tratta delle pronunce Corte Cost., Ord., 16. 3.2001, n. 68, in Giur. Costit., 2001, 2, che esclude l’illegittimità costituzionale della norma in quanto le censure formulate investono il piano delle scelte politiche del legislatore, discrezionali ed insindacabili, salvo il limite della manifesta irragionevolezza e della pronuncia Corte Cost., Ord., 14. 12.2001, n. 408, in Cass. Pen., 2002, 1363, che dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sotto due profili: innanzitutto, in base all’assenza di irragionevolezza delle opzioni del legislatore in riferimento agli artt. 3, 27 e 97 Cost., e poi, sotto il profilo della mancanza di effettività della sanzione inflitta a destinatari irreperibili, o difficilmente identificabili, non appare, ad avviso della Corte, una scelta irragionevole del legislatore e lesiva degli artt. 3, 27 e 97 Cost. 19
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