Digital storytelling of the territory. Tourism development opportunities from film tourism and sacred music for the city of Alghero

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Digital storytelling of the territory. Tourism
development opportunities from film tourism and
sacred music for the city of Alghero
Alberto Mario Carta, Vanni Martinez, Federica Piana, Gloria Turtas

Abstract
This paper examines the role played by new technologies for the creation of the so-called
“smart tourism destinations”: if new technologies are radically transforming the tourism
market, and the way to experience tourism, smart destinations will have to be more and
more able to respond to changes by innovating their offer. The study shows the results of an
interdisciplinary laboratory experiment that involved some Ph.D. students of course in
“Cultures, Literatures, Tourism and Territory” of the University of Sassari and the companies
participating in the "Smart Tourism Destinations" conference, held in Alghero in March 2019.
By means of a participatory project development methodology, the Ph.D. students have
carried out an analysis of some tourism development opportunities collecting the specialized
tourist information to be conveyed by digital and mobile tourist information systems. The
main results obtained show how various types of tourist information can converge to enrich
the tourist offer of the city of Alghero.

Keywords:
Smart Tourism Destinations ,tourism information systems ,participatory project development
,creativity ,innovation

Original title
Il racconto digitale del territorio. Opportunità di sviluppo turistico dal cineturismo e dalla
musica sacra per la città di Alghero.

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Original Abstract
Il lavoro prende in esame il ruolo giocato dalle nuove tecnologie per la creazione delle
cosiddette “destinazioni turistiche intelligenti”: se le nuove tecnologie stanno trasformando
radicalmente il mercato turistico, e il modo di fare esperienza turistica, le destinazioni
intelligenti dovranno essere sempre più capaci di rispondere ai cambiamenti innovando
l’offerta. Lo studio mostra i risultati di un esperimento laboratoriale interdisciplinare che ha
coinvolto alcuni studenti del corso di dottorato in “Culture, Letterature, Turismo e Territorio”
dell’Università degli Studi di Sassari e le imprese partecipanti al convegno “Smart Tourism
Destinations” svoltosi ad Alghero nel marzo 2019. Adottando una metodologia di
progettazione partecipata, i dottorandi hanno realizzato una analisi delle opportunità di
sviluppo turistico raccogliendo l’informazione turistica specialistica da veicolare attraverso i
sistemi informativi turistici digitali e mobili. I principali risultati ottenuti mostrano come vari
tipi di informazione turistica possano convergere per arricchire l’offerta turistica della città di
Alghero.

Original keywords:
Destinazioni Turistiche Intelligenti; sistemi d’informazione turistica; progettazione
partecipata; creatività; innovazione.

Introduzione: smartness e creatività per il turismo
urbano
                                             [1]

Secondo un recente rapporto, nel 2050 il 68% della popolazione mondiale vivrà in aree
urbane. Le città diverranno, pertanto, luoghi in cui convivranno sempre più persone,
diverse per cultura, formazione e idee. Tale fenomeno permetterà, da una parte, il
moltiplicarsi delle occasioni di contaminazione e delle sinergie tra soggetti diversi,
dall’altra implicherà una serie di problematiche di tipo sociale, di sicurezza, e di
garanzia dei servizi.
Rendere le città più vivibili costituisce, così, la grande sfida da affrontare. L’Agenda
                                                          [2]

dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) 2030 invita, quindi, a gestire meglio i

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servizi essenziali attraverso le nuove tecnologie, promuovendo l’uso consapevole delle
risorse, invitando tutti i portatori di interessi ad impiegare la loro creatività e la loro
innovazione, al fine di trovare una soluzione alle sfide dello sviluppo sostenibile.
In questo contesto, il progresso dell’infrastruttura dell’Information and Communications
Technology (ICT), unitamente al suo sempre più massiccio utilizzo in sincronia con
oggetti ed attrezzature di uso comune, rappresentano il vero capitale di base che una
città “intelligente” dovrà necessariamente possedere.
Secondo Siniscalchi (2017, pag. 70) la città intelligente “è tale se diventa un sistema,
sia negli aspetti funzionali del contesto urbano, sia nella promozione di iniziative
inclusive, in cui web e nuove tecnologie diventino un prolungamento del capitale
umano, intellettuale e culturale dei cittadini”.
Il sempre più massiccio uso delle nuove tecnologie in connessione con gli oggetti di uso
quotidiano ha sviluppato un nuovo ed importante concetto del valore attribuibile ai Big
Data, cioè a quella enorme mole di dati provenienti dai più diversi apparati digitali, la
cui analisi diventa quanto mai utile alla risoluzione delle grandi problematiche sociali,
agevolando i processi democratici e alimentando nuove forme di partecipazione attiva
alla vita politica.
Le città moderne sono quelle che appaiono in grado, più delle altre, di cogliere i
cambiamenti. Secondo questa logica, cittadini, imprese e istituzioni devono porsi nella
condizione di sviluppare la capacità di interpretare i nuovi fattori di competitività e di
adattamento alle nuove tendenze.
Infatti, solo un decennio fa, sarebbe stato impensabile ipotizzare che aziende come
Uber, Airbnb, Amazon avrebbero fatto concorrenza a storiche attività di noleggio auto e
a grandi catene ricettive e commerciali senza avere una sola auto, un solo posto letto,
un solo negozio. Oggi sappiamo che il loro successo deriva sostanzialmente dalla
capacità di cogliere il cambiamento nelle abitudini del consumatore e,
conseguentemente, dal saper comprendere l’evoluzione tecnologica, individuando
soluzioni utili e sostenibili per la collettività.
Secondo Venier (2017, pag. 28) “è quindi necessario cercare di comprendere la natura
della trasformazione digitale della società, al fine di pensare e realizzare la
trasformazione digitale delle organizzazioni”.

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Per comprendere meglio questa trasformazione è stato utile indagare i quattro pilastri
del sistema digitale odierno costituenti il modello SMAC, acronimo di Social, Mobile,
                   [3]

Analytics e Cloud.
Evoluzione di questa piattaforma tecnologica, secondo Camerada (2018, pag. 109) è il
protocollo SMAS, acronimo di Social, Mobile, Analytics e Security, strumento che
permette di effettuare una misurazione delle prestazioni conseguite dai territori
preposti all’accoglienza, in termini di innovazione e digitalizzazione turistica con
un’attenzione particolare ai temi della cyber security.
Del resto, la social technology, unitamente ai dispositivi mobili, ha modificato i
paradigmi della comunicazione, determinando la creazione di enormi volumi di dati la
cui analisi permette di ricavare utili informazioni, esponendoci però ai rischi di attacchi
cibernetici.
Ma, se in origine vi era la tendenza a costruire sempre un maggior legame tra città ed
innovazione tecnologica, oggi l’approccio è sostanzialmente diverso, in quanto si
preferisce attribuire un ruolo sempre più importante allo sviluppo del capitale umano e
sociale. In quest’ottica, l’infrastruttura tecnologica non rappresenta più il fine ultimo
delle politiche “smart”, ma il mezzo con il quale più soggetti partecipano alla vita
politico-economica di una città e contribuiscono al miglioramento della qualità della
vita.
Questo punto di vista è supportato da Luciani (2014, pag. 377), il quale promuove la
“città che impara” ad essere “creativamente intelligente” attraverso la trasformazione
e la crescita partecipata prima di tutto dei suoi stessi cittadini.
Coerentemente con tale visione appare quanto affermato da Bassan e Magno (2018,
pagg. 389–390) ovvero che “di fronte al cambiamento del sistema economico e allo
sviluppo continuo, inarrestabile e non arginabile di beni e servizi «social», si pone
l’autorità statale chiamata a riorganizzare la propria amministrazione pubblica sulla
base di nuovi principi”.
Allo stesso modo, la nuova tendenza dell’offerta turistica tiene conto del ruolo moderno
del visitatore, il quale spogliandosi dell’aspetto tradizionale di fruitore passivo diventa il
protagonista principale della produzione della sua stessa esperienza coinvolgente e
partecipativa. Il turismo creativo, così, si colloca nella dimensione dell’esperienza

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meritando di attenzione e di un approccio strategico per il potenziamento della
destinazione e mezzo per la valorizzazione dell’identità culturale del territorio.
Secondo una definizione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la
                                [4]

Scienza e la Cultura (UNESCO) esso rappresenta un “viaggio diretto verso
un’esperienza autentica ed impegnata, con apprendimento partecipativo nelle arti,
nella cultura o nella vita di personaggi del luogo, che fornisce un legame con chi vive in
questo luogo e genera questa cultura vivente”.
In linea con quanto sopra espresso, anche per Scrofani e Leone (2017, pag. 122)
“l’estrema attenzione al visitatore, ai suoi gusti e alla percezione stessa di un prodotto
e al territorio che lo genera ha modificato sensibilmente le modalità di fruizione dei
luoghi e il significato stesso dell’esperienza vissuta dal consumatore nel momento del
consumo”.
Importante, secondo questa logica, diventa la componente tecnologica, la quale non
riveste un ruolo di protagonista assoluta dell’offerta, ma contribuisce a valorizzare
l’esperienza turistica multisensoriale.
Per comprendere appieno le nuove dinamiche legate a questa evoluzione di consumo, il
campo di interesse della scienza geografica si estende dal tradizionale ambiente crono-
spaziale classico, a quello dinamico tipico dell’informazione e dell’interazione sociale in
rete. Cogliere i cambiamenti apportati dalla rivoluzione digitale è importante in
funzione della competitività delle destinazioni turistiche, sempre più influenzata dalle
nuove tendenze, sia nella relazione con il turista sia nella gestione dei servizi.
Solo grazie a questo moderno approccio si potrà essere competitivi nel nuovo scenario
turistico internazionale, lanciando una sfida basata su logiche metodologiche
multidisciplinari e multidimensionali, capaci di far vivere esperienze uniche e
indimenticabili al turista.

La città di Alghero protagonista di storie e narrazioni

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identitarie
Nel panorama delle destinazioni turistiche, la città di Alghero si mostra capace di
cogliere queste nuove tendenze, collocandosi al centro di un progetto il cui modello di
sviluppo economico è fondato sull’asset della creatività, dal quale emerge il forte ruolo
della componente culturale.
L’idea di città creativa è in qualche modo strettamente connessa all’idea di città smart.
Nonostante le difficoltà di darne una definizione compiuta (Paradiso, 2013), possiamo
affermare che entrambi i termini riconoscono come fattore di vantaggio competitivo e
percorso su cui fondare lo sviluppo strategico del territorio la capacità di adattarsi
velocemente ai cambiamenti e alle trasformazioni, di trovare soluzioni rapide ed efficaci
ai problemi, di coinvolgere in un processo attivo e partecipato i residenti.
Grazie alla creatività, si innescano percorsi capaci di produrre quelle innovazioni che
migliorano la qualità della vita dei cittadini e dei loro ospiti.
In questo contesto, governance locale, forze imprenditoriali e sociali sono unite
nell’obiettivo comune di stimolare l’economia del luogo attraverso il miglioramento del
funzionamento delle istituzioni e del capitale umano. In questo nuovo ruolo,
l’Amministrazione Comunale, si è posta al centro di nuove relazioni finalizzate alla
condivisione del proprio destino.
Tale approccio creativo, teso ad aggregare idee e progetti, è stato caratterizzato da un
carattere negoziato, operativo, flessibile ed integrato. Essere città creativa, infatti, è da
intendersi come elaborazione condivisa e partecipata di una visione futura del territorio.
Un vero e proprio patto tra governance locale, forze imprenditoriali e sociali per
realizzare tale visione.
A tale scopo, l’Amministrazione Comunale ha posto in essere una serie di azioni
finalizzate a porre al centro di una rete territoriale i servizi della pubblica
amministrazione, le associazioni, le imprese e i cittadini. In questo modo, nel tentativo
di valorizzare i talenti locali e di attirarne altri dall’estero, ne è risultata accresciuta la
capacità di innovazione territoriale.
Così come il percorso smart, anche la pianificazione strategica volta alla città creativa è
più un processo che non porta a conclusioni, ma alla costruzione di una rete stabile di

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soggetti che sia capace di realizzare gli interventi previsti nel piano stesso.
Grazie a questa visione di sviluppo della città, Alghero è riuscita ad essere tra le
finaliste per il titolo di Capitale Italiana della Cultura 2018, Capitale Mediterranea del
Fair Play del 2018 ed è tuttora impegnata per l’ingresso nel network della città creative
UNESCO, creato nel 2004 per favorire la cooperazione tra quelle città che hanno
individuato la creatività come elemento strategico per lo sviluppo socioeconomico. Tale
network ha come linea di intervento principale la condivisione di esperienze e la
promozione di progetti in grado di fare sinergia tra il settore pubblico, quello privato e la
società civile.
La pianificazione strategica, infatti, è stata posta alla base di un programma di lavoro
che ha visto il coinvolgimento dell’intera città, fornendo importanti contributi di
riflessione. Ciò ha creato quel clima di fiducia tra imprese, cittadini ed istituzioni che ha
permesso di riscoprire e valorizzare l’identità territoriale e la vocazione alla costruzione
di una città intelligente, sostenibile, ed inclusiva.
Del resto, le città nell’era digitale si ritrovano ad essere interconnesse con una rete
globale che le proietta verso un miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione
amministrativa. Collaborando in rete possono offrire nuovi servizi ai propri cittadini,
mutuando buone pratiche e scambiandosi le informazioni, operando come network e
non come singole città.
Con lo sviluppo del web, infatti, è oggi più semplice permettere una facile interazione
                                                                                          [5]

tra cittadini e istituzioni. I nuovi istituti introdotti dai recenti interventi legislativi
intendono la trasparenza come “accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle
pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la
partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di
controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse
pubbliche”.
Ciò rappresenta senza dubbio un’esaltazione dei principi democratici in quanto
promuove nuove relazioni con i cittadini, che possono operare quel controllo sulle azioni
degli amministratori e misurarne il valore derivante dall’attività di governo.
                                              [6]

Anche il Ministro della Funzione Pubblica sull’attività di comunicazione delle Pubbliche

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Amministrazioni, nel nuovo assetto normativo ha evidenziato come “la comunicazione
pubblica cessa di essere un segmento aggiuntivo e residuale dell’azione della pubbliche
amministrazioni, e ne diviene parte integrante, così come accade da decenni alle
imprese che agiscono nel mercato dei prodotti e dei servizi”.
La filosofia Open Government Data continua a diffondersi sempre più massicciamente,
con l’obiettivo di ottenere un accesso più semplice ed immediato ai dati della pubblica
amministrazione, consentendone l’accessibilità anche alle persone con disabilità,
facendo così partecipare più attivamente i cittadini alle politiche pubbliche, esprimendo
giudizi e svolgendo un ruolo attivo nella governance locale.
Inoltre, migliori livelli di efficacia potranno derivare dalle prospettive di analisi dei Big
Data finalizzate a supportare la governance locale nel prendere le decisioni. Così, i
servizi offerti potranno essere basati sui fabbisogni dei cittadini e realizzati sulla base
delle necessità evidenziate grazie all’uso delle nuove tecnologie.
In questo ambito di grande condivisione e partecipazione si è sviluppato il progetto
denominato Sistema Integrato di Ospitalità (SIO), inserito nella cornice del Piano
Strategico del Turismo della cittadina catalana, che presuppone un raccordo con le
Politiche di valorizzazione dei beni e patrimonio culturale, archeologico ed ambientale,
stabilite dal Documento Unico di Programmazione del Comune di Alghero.
All’interno di questa metodologia è stato inserito anche il progetto Smart Tourism
Destinations, con l’ambizione di attivare le sinergie necessarie per promuovere la
trasformazione del patrimonio culturale e naturalistico in elementi fondanti di sviluppo
economico. La progettazione partecipata tra mondo accademico, pubblica
amministrazione e sistema delle imprese rappresenta la chiave di volta di questo
processo di Open Innovation.
Sviluppo territoriale, innovazione tecnologica, turismo digitale e cyber security, sono
stati gli argomenti di riflessione, a cui si sono uniti dei laboratori sul grado di
digitalizzazione dell’offerta turistica algherese promossi dal DUMAS e indirizzati agli
operatori dei servizi. Allo stesso modo, sono state programmate azioni di co-
progettazione territoriale creativa con il comparto produttivo che hanno risposto
all’esigenza di offrire prodotti turistici innovativi e capaci di adattarsi a una domanda in
continua evoluzione.

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In particolare, questo approccio condiviso e partecipato era già stato impiegato
positivamente in occasione del progetto Compétitivité et Innovation des Entreprises del
Villes Portuaires (CIEVP), realizzato nell’ambito del Programma europeo di Cooperazione
Transfrontaliera Interreg Italia – Francia “Marittimo” 2014-2020, per lo sviluppo di un
sistema imprese/territorio attrattivo e orientato verso un modello di offerta turistica
sostenibile, organizzata in modalità sistemica e veicolata attraverso strumenti digitali.
Questi temi sono, altresì, coerenti con i contenuti del Piano Strategico Alghero 2020,
recentemente aggiornato, il quale cerca di immaginare una Città amabile per i propri
cittadini, attraente verso l’esterno e con uno sguardo e una preoccupazione costante
per le generazioni future.
Fin dalla sua prima elaborazione, il piano strategico “Alghero 2020 – la città amabile –
un’isola della qualità, un arcipelago delle relazioni, una terra delle innovazioni”, ha
posto come obiettivo prioritario l’esigenza di immaginare un futuro sostenibile per la
propria comunità, in grado di coniugare sviluppo economico ed equità sociale.
Il Piano, articolato in cinque linee strategiche, disegna un percorso orientato ad una
città accogliente, socialmente coesa, capace di coniugare tradizione ed innovazione,
saper fare e creatività. L’iniziativa è nata come progetto di un’intera comunità;
scommettendo sulla possibilità di costruire in maniera partecipata gli strumenti per
realizzarlo.
Secondo la medesima logica, nel tentativo di raccontare digitalmente alcuni aspetti
della cultura algherese, è stato prospettato un approccio interdisciplinare volto a
coniugare le conoscenze proprie delle scienze territoriali con quelle delle scienze
umanistiche. A tal fine, è stato costituito un gruppo di ricerca interdisciplinare,
composto da geografi e umanisti, che ha rappresentato i risultati della ricerca in una
piattaforma di idee sotto forma di poster.
Il carattere multidisciplinare e interdisciplinare è stato favorito in una prospettiva che
ambisce a produrre innovazione attraverso l’interazione tra gli ambiti apparentemente
lontani e non sempre dialoganti. Grazie alle nuove applicazioni digitali, infatti, è
possibile creare nuovi prodotti turistici, come neo-luoghi che consentono “la visita a
distanza di siti archeologici, musei virtuali, oltre ad offrire foto e materiale
documentario provenienti da istituzioni o singoli utenti” (Mazzola, 2018, pag. 9).

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In particolare, nell’ambito del convegno Smart Tourism Destinations-Alghero Smart Lab
sono stati proposti alcuni itinerari culturali identitari nel territorio di Alghero attraverso
LoQual Explorer . L’approccio interdisciplinare che ha caratterizzato il laboratorio ha
                 [7]

portato alla creazione di due itinerari diversi nel territorio algherese, incentrati su una
tematica specifica (rispettivamente religiosa e cinematografica). Il sistema
d’informazione turistica LoQual Explorer è un modello geo-economico di potenziamento
del comparto turistico applicabile al territorio (Mariotti et al., 2016, pag. 435): è il frutto
di un gruppo di ricerca attivo presso il dipartimento DUMAS e ha visto una prima fase di
realizzazione nel quadro del summenzionato progetto transfrontaliero CIEVP.
Il risultato è stato quello di valorizzare attrattive locali meno conosciute che potessero
contribuire a creare un’offerta turistica variegata e fruibile tutti i giorni dell’anno. Il
racconto digitale del territorio è il risultato di un approccio insieme tecnologico,
economico e umanistico capace di rendere la città protagonista di storie e narrazioni
identitarie che trovano espressione negli itinerari proposti, sintesi di conoscenza,
cultura e creatività.
Lo stesso tipo di approccio potrebbe permettere, oltretutto, di mettere il territorio
algherese in relazione con altre realtà della rete metropolitana di Sassari che
condividono elementi caratterizzanti comuni, creando reti di cooperazione sovralocale.

Dall’idea al racconto del territorio: il percorso di
sviluppo laboratoriale
L’esperimento laboratoriale che ha visto coinvolti alcuni studenti del corso di dottorato
in “Culture, Letterature, Turismo e Territorio” del Dipartimento di scienze umanistiche e
sociali – DUMAS dell’Università di Sassari, ha rappresentato un’occasione formativa di
rilievo sia per i dottorandi che per gli stakeholders pubblici e privati del progetto CIEVP
(localizzati nell’area di studio algherese) che hanno preso parte al convegno Smart
Tourism Destinations-Alghero Smart Lab. Il laboratorio ha permesso, infatti di prendere
coscienza delle dinamiche che si generano (in termini positivi, come opportunità e
valore aggiunto, ma anche in termini negativi, come difficoltà e ostacoli da superare),
quando si mette in pratica la “progettazione partecipata” (Amendola, 2009; Argano,

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2012) in un contesto operativo reale, definito e attuale come quello rappresentato dal
progetto CIEVP, all’interno del quale è stato sviluppato il concept progettuale del
sistema informativo LoQual Explorer.
Al fine di inquadrare adeguatamente le attività del laboratorio sperimentale e –
soprattutto – i risultati (outputs) a cui si è giunti, sarà opportuno chiarire brevemente i
punti salienti del framework operativo nel quale è stato condotto l’esperimento alla luce
dell’impianto teorico adottato.

Il racconto del territorio: dalla strategia informativa agli
itinerari concreti
Il progetto CIEVP ha fatto propri i risultati della ricerca scientifica, elaborando ed
implementando “un modello geo-economico di sviluppo territoriale dove la
competitività di beni e servizi di eccellenza (locali, ben fatti e autentici) viene resa
accessibile attraverso una piattaforma informativa i cui punti di accesso sono i nodi di
una rete di imprenditori (ristoratori, produttori agroalimentari, artigiani, commercianti,
operatori del settore turistico) selezionati per la qualità dei prodotti offerti”, come
                                      [8]

delineato nel relativo Piano d’Azione (d’ora innanzi “Piano CIEVP”) (Mariotti, 2017).
Tra i prodotti (outputs) del progetto, l’ideazione del sistema informativo LoQual
Explorer, ha rappresentato un risultato di notevole rilievo ed è divenuto il punto di
partenza su cui impostare il confronto interdisciplinare all’interno dell’esperimento
laboratoriale tenutosi presso il DUMAS nell’ambito delle iniziative del convegno Smart
Tourism Destinations. In questa cornice di ideazione e sviluppo del sistema informativo,
il laboratorio interdisciplinare ha voluto dare vita a una prima esplorazione di alcuni,
possibili, ambiti informativi di applicazione del sistema LoQual Explorer complementari
al “nocciolo duro” (core concept): al centro del sistema si colloca, infatti, l’informazione
turistica attinente al comparto enogastronomico e agroalimentare.
Alla base dell’ideazione dello strumento informativo troviamo una vera e propria
strategia, secondo la quale il momento di attesa al tavolo del ristorante “di qualità”
diventa un momento cruciale per la trasmissione di informazioni connesse

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all’esperienza che il fruitore è in procinto di fare: innanzitutto consentirà al turista di
acquisire informazioni dettagliate (e in modalità multilingua) sulle pietanze e gli
ingredienti impiegati “approfondendo la conoscenza di quelle materie prime dalla
qualità ambientale certificata provenienti dal territorio circostante” (Mariotti, 2017, pag.
7). Se questo è il primo step della strategia informativa alla base del sistema, la stessa
prevede – già dalla sua prima ideazione – ulteriori sviluppi in contesti informativi
differenti dell’enogastronomia e dell’agroalimentare.
Sin nelle prime fasi di ideazione dello strumento venne, infatti, prevista la possibilità di
acquisire altri tipi di informazione “parallelamente alle informazioni a carattere
enogastronomico” (Mariotti, 2017, pag. 7). L’idea progettuale Loqual Explorer guarda
oltre la sola informazione enogastronomica – il core del sistema e della strategia
informativa, lo ribadiamo – e vorrebbe aprirsi agli “antichi saperi, elementi territoriali
storici-paesaggistici” (Mariotti, 2017, pag. 8).
È in questo specifico contesto operativo che è, perciò, necessario inquadrare
l’esperienza laboratoriale al centro del presente studio. Tenendo conto delle limitazioni
operative (in particolare il fattore tempo), l’esperimento non poteva che avere un
carattere puramente esplorativo: sia dei possibili contenuti non enogastronomici e non
agroalimentari con cui arricchire l’apporto informativo del sistema, ma anche delle reali
condizioni di collaborazione con gli stakeholders del territorio con cui si attua la
progettazione partecipata.
Attraverso il laboratorio interdisciplinare si è voluto, perciò, fare una prima esplorazione
di possibili percorsi di conoscenza territoriale (Gemignani, 2011; Romei & Petrucci,
2003, pagg. 59–63; Voghera et al., 2015) producendo dei risultati da trasmettere,
successivamente, ai professionisti della comunicazione digitale (Rosati et al., 2014;
Rosati & Resmini, 2011): questi avranno il compito di tradurre la conoscenza esperta
raccolta durante il laboratorio grazie agli “esperti di dominio” (Berini & Guida, 2000)
partecipanti al laboratorio – in informazione veicolabile al turista attraverso il sistema
Loqual Explorer.
Per avere una prima idea degli steps successivi che gli sviluppatori del sistema Loqual
Explorer dovranno affrontare con la conoscenza esperta sarà utile guardare ad un
contesto operativo simile al nostro, ossia la progettazione dell’applicativo denominato

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| 13

               [9]

“Cicerone 2.0” : questo applicativo è stato sviluppato come parte di un progetto più
                                                                      [10]

ampio (denominato “INMOTO – Information MObility for TOurism” ), adottando
strumenti di progettazione propri dello sviluppo software e del design dell’informazione
come i “diagrammi d’uso” (Use Diagrams) e i “casi d’uso” (Use Cases) che sono stati
redatti in un linguaggio iconico formalizzato denominato UML (Unified Modelling
Language).
Il nostro laboratorio, considerati gli scopi e il reale contesto operativo, rappresenta il
passo precedente all’utilizzo di questi strumenti: è stata raccolta la conoscenza esperta
nei tre domini selezionati (geografia, storia del cinema e religiosità popolare), facendo
anche uso di rappresentazioni grafico-iconiche, oltre che testuali, ma con un basso
grado di formalizzazione: il risultato sono stati gli schemi denominati “diagrammi
d’itinerario” e presentati agli stakeholders interessati durante il convegno algherese.

Racconti digitali reticolari: nuovi turismi, smartness e
territori plurali
Negli ultimi decenni – come evidenziato da Mangano e Ugolini (2017) in un contesto di
analisi molto simile al nostro – due elementi hanno caratterizzato le dinamiche del
settore turistico: da un lato questi ha visto confermare il trend di crescita e, dall’altro,
questi ha subito delle rilevanti trasformazioni nelle caratteristiche della domanda; ciò
soprattutto “in relazione a nuove richieste e modalità di fruizione delle risorse
[turistiche, Ndr.]” (Mangano & Ugolini, 2017, pag. 9). Ad oggi, la profonda
trasformazione in atto è confermata, negli studi dedicati al settore, anche dalla
necessità dell’introduzione di concetti ed etichette nuovi: questi tentano di individuare e
definire le novità che toccano, in particolar modo, l’esperienza di fruizione utilizzando
espressioni varie come “turista attivo”, “esperienzialità” ed “emozione” (ibid.).
Il modo in cui questa trasformazione incide anche sulla proposta e fruizione di percorsi
e itinerari turistici è preso in esame da Podda, Camerada e Lampreu (2016); gli autori –
a partire dallo specifico legame tra questa modalità di fruizione itinerante e l’utilizzo di
strumenti cartografici – guardano al rapporto tra territorio, prodotti locali e turismo,

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sottolineando il crescente ruolo dei nuovi turismi e l’affermazione, in particolare, del
turismo “rurale” e di quello “culturale”. Far riferimento al concetto di turismo culturale e
– di conseguenza – al concetto di “cultura” in maniera univoca è tutt’altro che semplice;
se poi li esaminiamo dal punto di vista dell’attività al centro del laboratorio
sperimentale (ossia la progettazione di itinerari turistici “culturali”) appare evidente la
difficoltà di una definizione univoca. Come sottolinea Beltramo (2013, pag. 16), infatti,
“l’interpretazione degli itinerari culturali è molteplice e varia a seconda degli obiettivi
ultimi del soggetto che li promuove”. Un concetto del tutto simile è espresso, parlando
di cultura e di progettazione culturale in senso ampio, da Argano (2012) quando mostra
come siano molteplici i punti di vista di cui tenere conto e molteplici le teorie e
definizioni prodotte da soggetti molto diversi (in ambito scientifico, delle industrie
culturali e da parte dei legislatori in Italia e in Europa).
Nel nostro caso è particolarmente utile guardare, in primo luogo, alla cultura
“localizzata”; ossia agli elementi strutturati nel sistema di relazioni che costituiscono il
“complesso di beni e saperi che contraddistingue popoli e aree geografiche“ (Amoretti
& Varani, 2016, pag. 248); elementi, relazioni e processi che sono espressione di un
                                                                                  [11]

territorio specifico, che sono cioè localizzati in un’area definita e delimitata e che
hanno una duplice natura: materiale e immateriale. Queste componenti giocano un
ruolo fondamentale nel caratterizzare il territorio come “complesso sistema di relazioni
fra comunità insediate (e loro culture) e ambiente” (Magnaghi, 2000, pag. 61, corsivo
nostro).
Il territorio – tra astrazione relazionale e concretezza spaziale – diventa perciò un bene
culturale in sé, un insieme culturale complesso (Lupo, 2009, ripreso da Argano, 2012),
ovvero il concreto contenitore spaziale di un articolato capitale culturale territoriale che
va:

  inteso dinamicamente come insieme complesso degli elementi disponibili del
  territorio sul piano materiale e immateriale, che si evolvono ed arricchiscono nel
  tempo creando un legame tra passato e futuro, determinano la dimensione culturale
  e costituiscono la ricchezza implicita ed esplicita in termini di specificità del
  territorio in questione (Argano, 2012, pag. 62).

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Il territorio nel suo complesso è sempre più al centro dell’offerta turistica e, come ci
ricorda Giannone (2004) e come ravvisano Meini e Nocera (2012), dal punto di vista del
Destination Marketing si è progressivamente consolidato il concetto-guida di “prodotto-
territorio”: se dal lato della domanda si cerca sempre più l’esperienza immersiva nella
complessità culturale del territorio visitato, dal lato dell’offerta le comunità, gli enti
locali, le imprese e il mondo della ricerca (come nel nostro caso) sono chiamati a
cooperare per mettere sul mercato il sistema competitivo dell’offerta turistica.
La sintesi che è ormai necessario trovare nella concezione del territorio come prodotto
turistico, è espressa con chiarezza da Mariotti et. al (2016) evidenziando che:

 nell’era di Internet e della globalizzazione, il territorio non può essere inteso solo
 come uno spazio astratto e teorico costituito da paesaggi, ma come un “prodotto
 complesso”, la cui attrattività dipende dalla quantità, qualità e tipologia di risorse
 disponibili – di natura tangibile e intangibile – e dalla capacità di poter convertire le
 stesse in fattori di competitività (Mariotti et al., 2016, pag. 219).

Meini e Nocera (2012) considerano, inoltre, opportuno (in un contesto operativo, ancora
una volta, molto simile al nostro) pianificare quelli che chiamano “geo-itinerari”:
percorsi che permettano al visitatore di farsi “un’immagine organica penetrando nello
spirito dei luoghi e apprezzando i valori estetici e culturali dei paesaggi agrari” (Meini &
Nocera, 2012, pag. 309). Gli esempi che richiamano sono quelli, ormai consolidati, delle
“vie del gusto” o “strade dei sapori” e, in particolare, delle “strade del vino”.
Evidentemente, è possibile concepire dei geo-itinerari anche nel contesto urbano,
connettendo poi l’esperienza urbana all’esperienza del territorio circostante: la strategia
informativa di LoQual Explorer, da questo punto di vista, mostra tutta la sua forza e
capacità connettiva creando delle relazioni narrative tra l’esperienza al tavolo del
ristorante con la produzione agroalimentare del territorio e richiamando insieme la
dimensione enogastronomica con le altre dimensioni del capitale culturale territoriale.
A partire da queste considerazioni, si potrà procedere alla selezione degli elementi
materiali e immateriali utili alla composizione di uno o più itinerari culturali; elementi
selezionati che diventeranno i “poli di attrazione” (cfr. Beltramo, 2013), ossia gli
highlights (volendo utilizzare un diffuso anglicismo), di ciascun itinerario: una selezione

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da realizzarsi chiamando a raccolta esperti degli ambiti culturali prescelti, come nel
caso del nostro laboratorio sperimentale. Nella progettazione degli itinerari, d’accordo
con Meini e Nocera (2012), è opportuno adottare un adeguato approccio spaziale
richiamando alcuni aspetti della teoria delle reti e della teoria dei grafi: parleremo
perciò di “nodi” per i poli di attrazione e di “archi” per i differenti possibili percorsi che
vi ci conducono. Sottolineano infatti Meini e Nocera che:

 Oltre alle risorse da selezionare e alle narrative da proporre, che rappresentano gli
 aspetti paesaggistici e territoriali di un itinerario di questo tipo, sono dunque di
 rilevante importanza anche gli aspetti più propriamente spaziali che consistono
 nella struttura topologica e nella configurazione topografica dell’itinerario per la cui
 definizione, analisi e gestione ci si avvale utilmente dei sistemi informativi geografici
 (M. Meini & Nocera, 2012, pag. 310, corsivo nostro).

Nella loro proposta per “l’individuazione in ambiente GIS di criteri e linee guida da
seguire nella progettazione di itinerari turistici in paesaggi agro-culturali” (M. Meini &
Nocera, 2012, pag. 319) un ruolo rilevante sarà, perciò, giocato dalla possibilità di
effettuare delle analisi multicriterio per la ricerca dei percorsi ottimali di collegamento
dei nodi rappresentati dai poli di attrazione; poli che gli autori etichettano come “POI”
(Points Of Interest) degli itinerari. Lo stesso approccio reticolare (con un identico
richiamo della teoria delle reti e della teoria dei grafi) è ravvisabile in Cantone et al.
                                                                  [12]

(2015) che descrive l’esperienza del progetto Or.C.He.S.T.R.A ., il cui scopo è incarnare
“in un unico sistema tecnologico aperto i molteplici elementi che articolano la
complessità prevista dal paradigma della Smart City” (Cantone et al., 2015, pag. 135).
Nel complesso scenario reticolare delle Smart Cities, i due itinerari proposti dagli esperti
degli ambiti culturali (“domini di conoscenza”, se adottiamo la prospettiva ontologico-
informatica di Berini & Guida, 2000) selezionati nel nostro laboratorio, costituiranno la
trama di un racconto (narrazione, narrativa o storytelling territoriale, che dir si voglia) la
cui funzione sarà la restituzione al visitatore di alcune dimensioni e sfaccettature
culturali del contesto territoriale considerato, ossia quello della città di Alghero.

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C’era una volta ad Alghero: una riflessione sul
film-induced tourism e le sue potenzialità
È ormai risaputo che le produzioni audiovisive generano importanti ricadute
economiche sui territori. Oltre a quelle più ovvie e immediate (ad esempio acquisti
legati ai beni e ai servizi) esistono anche delle ricadute il cui effetto dura nel tempo,
come la manifestazione di flussi turistici incentivati dalla rappresentazione del territorio
veicolata da un dato film. Il cosiddetto film-induced tourism indica, per l’appunto, tutte
quelle forme di turismo stimolate dalla produzione cinematografica. In italiano, spesso
si utilizza al suo posto il termine cineturismo (Cucco & Richeri, 2013, pag. 109).
Il cineturismo, come verrà spiegato più avanti, sta iniziando a diffondersi anche nel
territorio di Alghero. Considerando lo stretto legame che, a partire dalla metà degli anni
Sessanta, intercorre tra Alghero e il mondo del cinema, non sarebbe azzardato
affermare che, per tale territorio, il cinema rappresenta un elemento identitario forte
ma, purtroppo, spesso trascurato dalle imprese turistiche.
La storia di Alghero e quella del cinema si intrecciano per almeno due ragioni. La prima
riguarda il Meeting del cinema, nato a Capo Caccia e promosso dal 1965 dalla Azienda
Autonoma di Soggiorno e Turismo, durante il quale si proiettavano film sulle spiagge e
venivano ospitati giornalisti, registi e attori di fama nazionale e internazionale, come
Dino Buzzati, Luciano Salce, Nino Manfredi, Monica Vitti, Bibi Andersson e Anita Ekberg
(Rondello, 2018).
La seconda ragione riguarda le numerose location cinematografiche presenti nel
territorio di Alghero. Sempre dalla seconda metà degli anni Sessanta, infatti, la città
catalana e le zone circostanti hanno attirato l’attenzione di diverse produzioni
cinematografiche e sono state usate come set di film italiani e internazionali (Tabella 1).
Tra tali produzioni, è doveroso ricordare La scogliera dei desideri di Joseph Losey,
sceneggiato da Tennessee Williams, con Liz Taylor e Richard Burton. La pellicola è stata
girata interamente a Capo Caccia, in particolare sulla scogliera di Cala Barca, dove
ancora oggi sono visibili i resti della villa costruita appositamente per il film.
Capo Caccia ha ospitato anche le riprese di I protagonisti di Marcello Fondato, nel 1968,
con Sylva Koscina e Jean Sorel, e il celebre 007, la spia che mi amava, di Lewis Gilbert,

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nel 1977, con Roger Moore. In quest’ultimo, nello specifico, la spettacolare scena di
inseguimento a bordo della macchina Lotus Esprint è stata girata negli ultimi chilometri
della strada per Capo Caccia.
Molte sequenze del cult movie di Sergio Martino L’isola degli uomini pesce, con Barbara
Bach, sono invece state girate all’interno della famosa Grotta di Nettuno e, più
precisamente, nel lago Lamarmora, in cui sono stati costruiti un laboratorio scientifico e
una piccola nave.
Alla luce di questi elementi, nell’ambito del convegno Smart Tourism Destinations, è
stata discussa la possibilità di creare un itinerario cinematografico fruibile dai turisti
attraverso appositi supporti tecnologici. La proposta si rivela più che mai attuale, se si
considera che il fenomeno delle movie map diventa sempre più diffuso. Nello specifico,
si tratta di “itinerari che invitano il turista-spettatore a ripercorrere una serie di luoghi in
cui è stato ambientato un dato film […] oppure a riscoprire una molteplicità di location
apparse sul grande schermo” (Cucco & Richeri, 2013, pag. 115).
                      Film                                          Location
    La scogliera dei desideri (J. Losey, 1968)      Capo Caccia, Isola Foradada, Cala Barca
        I protagonisti (M. Fondato, 1968)            Capo Caccia, Villaggio di Capo Caccia
 Barbagia. La società del malessere(C. Lizzani,             Fortino Scalo Tarantiello
                     1969)
    A come Andromeda (V. Cottafavi, 1972)           Belvedere dell’Isola Foradada, Grotte di
                                                                    Nettuno
  007, la spia che mi amava (L. Gilbert, 1977)                 Strada Capo Caccia
      The Black Stallion (C. Ballard, 1979)                Cala Barca, Punta Cristallo
  L’isola degli uomini pesce (S. Martino, 1979)                 Grotta di Nettuno
            Aprile (N. Moretti, 1988)                             Le Bombarde
     Travolti dal destino (G. Ritchie, 2001)         Centro storico, Banchina Dogana, Molo
                                                                      Rizzi
    La rapina perfetta (R. Donaldson, 2008)                   Lazzaretto, Maria Pia
      Chi salverà le rose? (C. Furesi, 2017)               Tenuta Bonaria, Torre Sulis
                      Tabella 1. I film girati nel territorio di Alghero

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In effetti, il legame tra Alghero e il cinema non risulta cristallizzato nel passato ma, al
contrario, si fa sempre più stabile, soprattutto per merito della Società Umanitaria di
Alghero che, tra i tanti progetti, ha ideato nel 2009 la rassegna Cinema delle Terre del
Mare diventata Festival nel 2018, patrocinata dall’amministrazione comunale e
sostenuta dalla Fondazione Alghero e dalla Fondazione Sardegna Film Commission.
Scopo del Festival è “recuperare il passato illustre del Meeting nato a Capo Caccia più di
50 anni fa e rilanciare la candidatura di Alghero città del cinema. Set di produzioni
                                                   [13]

importanti e di eventi di respiro internazionale” .
                                                                      [14]

Si tratta di un “Festival itinerante per cinefili in movimento” in cui le spiagge più belle
della Riviera del Corallo e alcuni dei luoghi più suggestivi della città fanno da cornice
alle proiezioni e agli eventi collaterali. Il cinema d’autore, ma anche quello
indipendente, incontra il teatro, la cinematica, i buoni libri, la musica e nuove forme di
promozione del territorio.
La Società Umanitaria ha infatti trasformato il progetto di un tour cinematografico in
realtà, sperimentando, a partire dall’edizione del 2018, insieme ad A S’Andira (Agenzia
di servizi per il turismo culturale in Sardegna) degli itinerari di cineturismo.
La formula prevede due movietour – uno a piedi dentro e fuori le mura del centro
storico e uno a bordo di un bus panoramico lungo la costa – che accompagnano i
partecipanti nei luoghi che hanno fatto da sfondo ai grandi film e che hanno ospitato
                                                               [15]

manifestazioni cinematografiche e televisive importanti .
Ciò dimostra come gli itinerari turistici di tipo cinematografico possano rappresentare
una forma di promozione del territorio concreta ed efficace, seppure ancora poco
sfruttata nel territorio sardo.
L’itinerario proposto può facilmente attirare un tipo specifico di turista, ovvero quello
che viene definito general film induced, un turista che “pur non essendo motivato a
visitare la location dalla conoscenza del film, una volta in loco sceglie di partecipare alle
attività relative, anche per il desiderio di arricchire il proprio bagaglio culturale”
(Lavarone, 2016, pag. 25). Le motivazioni possono cambiare a seconda del film:
possono essere legate al Place, ovvero “alle caratteristiche della location, ai suoi
attributi in quanto destinazione turistica” (ibid.), o alla Performance, ovvero alla trama o

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agli aspetti di genere, come potrebbe avvenire per l’horror L’isola degli uomini pesce.
Infine, le motivazioni possono dipendere dalla Personality nel caso in cui i turisti
vengano attirati “dal culto del personaggio oppure dell’attore” (ibid.), come, nel nostro
caso, Liz Taylor e Richard Burton in La scogliera dei desideri, Madonna in Travolti dal
destino e Roger Moore nella sopracitata pellicola della saga di James Bond.

Il Cant de la Sibil·la e i gosos: appunti storici e
musicologici per un turismo religioso nel territorio
di Alghero
All’interno del patrimonio devozionale e musicale sardo, la città di Alghero può vantare
due tradizioni plurisecolari di notevole interesse: il Cant de la Sibil·la o Senyal del Judici,
unicum in Sardegna, e i gosos, diffusi in tutta l’Isola. Entrambi i canti, per origine e
storia, inseriscono la città all’interno di un più ampio panorama culturale europeo e
lasciano ipotizzare prospettive di sviluppo territoriale basate sulla valorizzazione e
                                                 [16]

promozione delle pratiche devozionali locali .
Tale direzione si coniuga con un crescente interesse, dimostrato negli ultimi anni dalla
Regione Autonoma della Sardegna, verso lo sviluppo di un turismo esperienziale,
destagionalizzato e diffuso, che valorizzi il patrimonio materiale e immateriale isolano –
costituito da cammini agiografici e pellegrinaggi, beni artistici e architettonici,
manifestazioni paraliturgiche. Il progetto regionale Cultura Religiosa e Turismo del
2012, prospettava nelle sue linee guida, infatti, la realizzazione di itinerari di
pellegrinaggio, con l’obiettivo di “inserire la Sardegna nell’ambito di reti e percorsi
nazionali ed internazionali in grado di generare un’offerta turistica religiosa strutturata,
capace di attrarre importanti flussi soprattutto in periodi di bassa stagione, e sostenere
eventi e manifestazioni a forte connotazione identitaria specie se caratterizzati da
elementi di aggregazione e di coordinamento territoriale” (Progetto Cultura Religiosa e
                                              [17]

Turismo “Itinerari dello Spirito”, 2013, p.4) . A riprova di un sempre vivo interesse
regionale verso un turismo identitario, culturale e devozionale, il 3 dicembre 2020 si è

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tenuto a Sant’Antioco il convegno Cammini e luoghi di pellegrinaggio della Sardegna.
Orientamenti nazionali e prospettive regionali, all’interno del quale è stato sottoscritto
un protocollo di rete tra la RAS e i comuni iscritti nel Registro dei Cammini e luoghi di
pellegrinaggio della Sardegna (in totale sette: oltre a Sant’Antioco, anche Galtellì,
Luogosanto, Laconi, Gesturi, Dorgali e Orgosolo).
A livello nazionale e mondiale, del resto, i numeri che interessano il turismo religioso
sono notevoli, tanto che “Secondo una ricerca dell’Isnart, in Italia il settore movimenta
in media, ogni anno, 5,6 milioni di visite di pellegrini (3,3 milioni di presenze straniere e
2,3 milioni italiane)”, e arrivano a coinvolgere “circa 300 milioni di persone in tutto il
mondo per un valore complessivo, secondo i dati Wto (World tourism organization), di
                      [18]

18 miliardi di dollari” .
Concentrandoci in questa sede sul patrimonio devozionale e musicale del territorio di
Alghero, le sue peculiarità e potenzialità si procederà, dunque, a fornire un breve
inquadramento storico del Cant de la Sibil·la e dei gosos, individuati come primo
oggetto di interesse, nella prospettiva futura di: realizzare una proposta turistica
strutturata e trasversale, che coniughi il patrimonio materiale e immateriale locale;
sviluppare un’offerta culturale destagionalizzata, legata ai diversi momenti dell’anno
liturgico (si pensi anche ai riti della Setmana Santa, non presi in considerazione in
questo lavoro, culminanti nel Desclavament e nelle celebrazioni della Domenica di
Pasqua); diversificare i flussi turistici; delineare itinerari religiosi e percorsi di
pellegrinaggio che si avvalgano del sistema informativo LoQual Explorer; identificare
possibili “reti di cooperazione sovralocale”, regionale, nazionale o internazionale.
Il Cant de la Sibil·la. Le prime attestazioni, in greco e latino, del testo profetico ed
                                                                  [19]

escatologico del Canto della Sibilla risalgono al IV secolo ; nei secoli successivi, il canto
conobbe un’enorme diffusione europea – dalla penisola iberica alle Baleari, Francia,
Italia, sino all’Austria, Croazia, Malta, e persino Inghilterra – culminata tra il XIII e XV
secolo con le prime traduzioni in diverse lingue romanze (catalano, provenzale,
castigliano). In seguito al Concilio di Trento (1545-1563) fu vietata quasi ovunque la sua
                                                     [20]

esecuzione liturgica, decretandone la scomparsa .
In tale quadro, la tradizione algherese del Cant de la Sibil·la, o Senyal del Judici, assume

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particolare importanza e rilievo: il canto, infatti, arrivato ad Alghero in seguito alla
conquista aragonese del centro (1354), è eseguito tutt’oggi nella cattedrale di Santa
Maria, la sera del 24 dicembre “da un canonico, in piviale bianco, affiancato da due
chierichetti, uno con la spada, emblema della giustizia divina, e l’altro col bordone
d’argento, simbolo dell’autorità capitolare” (Mele, 2013, p. 342).
Il testo in catalano è tramandato, con alcune varianti, da due manoscritti ottocenteschi:
1) Alghero, Archivio Storico Diocesano, Fondo del Capitolo, ms. 7.2.1, 1820, musica con
                                    [21]

neumi su tetragramma ai ff. 2r-3v ; 2) Cagliari, Biblioteca Universitaria, Fondo Baille,
                                           [22]

ms. S.P. 6 bis, 2.11, 1809, senza neumi . Altre tre trascrizioni posteriori, inoltre, sono
inserite nella Raccolta Nughes, Alghero (Mele, 2013).
Per comprendere le vicende che differenziarono storicamente il canto algherese, resta
fondamentale il terzo sinodo della diocesi di Alghero, celebrato nel 1581 dal vescovo
Andrea Bacallar. Il decreto al suo interno, De la música de la Iglésia vietava, infatti,
l’esecuzione in chiesa – specialmente durante la celebrazione degli Uffici divini – di
qualsiasi composizione in versi, ad eccezione di alcune strofe spirituali, cobles spirituals,
cantate nei Mattutini di Natale. Con tale collocazione liturgica si faceva riferimento
                                                                       [23]

appunto al Senyal del Judici, del quale se ne permetteva il canto . Diversamente, nei
due sinodi precedenti del 1567-1570 e 1572, celebrati dal vescovo Pietro Frago, non si
                                                  [24]

riscontra alcun riferimento al Canto della Sibilla .
Non mancano nei tre decreti della diocesi, del 1567-1570, 1572, e 1581, tuttavia,
ulteriori dati di interesse storico-musicale per il XVI secolo. Nel già citato decreto del
1581, De la música de la Iglésia, il riferimento a “coses humanes y vanes, endemés a
mescla dels officis divinals”, e il divieto fatto all’organista di “no sonar ballets, ni altres
cansons profanes que saben moltes persones” attestano, infatti, il costume diffuso di
eseguire canti profani e danze all’interno delle chiese della diocesi all’indomani del
grande Concilio. Divieti analoghi sono presenti anche nel sinodo del 1572 che, oltre a
prevedere una multa per il deposito nelle chiese di legumi, grano e bestiame, puniva
chiunque fosse stato trovato nell’atto di ballare all’interno delle stesse: “Assi mesmo
mandamos que ni en las iglesias ni en sus porches, no se hagan bayles ni otres

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