L'evoluzione della concezione del vino da Orazio ai giorni nostri - 2500 anni di cultura della vite
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Di Noemi Tomasi Il tema del vino si può ben definire epocale e trasversale. Esso sembra infatti segnare in modo preciso le tappe della civiltà sorta nel bacino del Mediterraneo, intrecciandosi costantemente con la storia, la religione ed il mito. In particolar modo ha destato il mio interesse il percorso e le situazioni a cui questa bevanda era associata, lungo la mia ricerca ho cecato di elencare a grandi linee le varie influenze che ha avuto su popolazioni e persone lungo il corso della storia. Conviviale e spirituale SIMPOSIO IN GENERALE Pensando alla cultura antica, prima di tutto greca, il primo contesto a cui si associa il vino è sicuramente il Simposio: rito collettivo e occasione di comunione emotiva e spirituale, era identificato come momento di festa e celebrazione. Aveva luogo generalmente dopo il pasto e vi partecipavano uomini adulti per bere, cantare, suonare e conversare insieme, sotto la regia di un magister bibendi, una personalità abilitata a impartire le regole del bere e scegliere i temi della conversazione. Da questa occasione moli autori greci come Senofane ed Alceo trassero ispirazione per la composizione delle proprie opere esaltando l’aspetto religioso, rituale ed edonistico di massima importanza nella vita dell’uomo. IMITAZIONE MODELLI GRECI È proprio da essi che gli autori latini trassero i modelli per le loro opere. Da tempo la critica ha definitivamente messo in luce che la poesia latina è poesia di imitazione “allusiva”, una poesia cioè che si presenta come ripresa e variazione dotta di temi, situazioni, ma anche spunti poetici , luoghi letterari e metri della poesia greca. Il pubblico che fruiva delle opere degli autori romani era poi colto, esclusivo, conosceva i modelli e apprezza l’imitazione. ORAZIO Volendomi concentrare in particolare sulla poetica di Orazio nei confronti del vino è quindi impossibile non considerare le influenze causate dagli scrittori greci, infatti il poeta latino per ricreare l’atmosfera e le situazioni della cultura ellenistica doveva procurarsi prima di tutto il vino. Nelle odi composte dal poeta il vino possiede sempre una posizione privilegiata. Come ha osservato il critico La Penna, nella lirica oraziana il vino non è una bevanda generica , esso è rappresentato nelle sue varietà locali, quasi a connotarne una sua molteplice soggettività: esso è, di volta in volta, il Caecubo, il Falerno, il Massico, il Chio, il Lesbio e via dicendo. Il simposio di Orazio poi non è il simposio ellenistico dove si puntava alla perdita delle inibizioni o si affrontavano i grandi problemi politici, infatti in esso vi regna la tranquillità e la serenità. Il poeta latino esalta l’intimità di pochi
amici con cui condividere le gioie della pace in campagna, nella villa Sabina lontani dalle ansie di chi vive perduto dietro sogni di potere e di successo rispondendo al suo modo di vedere la vita. Ad ornamento del simposio egli pone la semplicità poiché la vera gioia è essere li insieme nell’unico luogo che può salvare l’uomo dal mondo e dal tempo. Il simposio guadagna un profondo valore esistenziale, intorno ad una coppa di vino ci si protegge dal tempo che passa; intorno ad una coppa di vino ci si protegge dall’esterno, si tagliano i ponti con la finitezza, si coglie l’unica possibile felicità, quella dell’attimo. Ma come arrivava il vino sulla tavola di Orazio? La vendemmia si effettuava verso metà di settembre, in agosto nelle zone dell’Africa, numerose raffigurazioni ci testimoniano come nel ciclo produttivo del vino, acquisisse un’importanza simbolica accostata molto spesso ad immagini mitiche di Eroti vendemmiatori, indaffarati a raccogliere l’uva. Queste fonti esemplificano come nel mondo antico questa bevanda possedeva in sé un’importanza religiosa e conviviale che veniva rispecchiata nel simposio. Terminata il raccolto l’uva veniva caricata su carri per essere trasportata nella pars fructuaria della villa rustica dove si procedeva alla pigiatura attraverso la tradizionale pressione dei piedi o l’impiego di mezzi meccanici come il torcular . Una volta ottenuto il succo d’uva, non restava che procedere a tutta una complessa serie di fasi vinificatorie. Alla fine del processo di vinificazione, il prodotto ottenuto passava dalle mani del produttore a quelle del mercante che trasportava il vino in anfore, sia su carri, sia su imbarcazioni lungo i corsi fluviali d’acqua dove una volta giunto a destinazione veniva venduto. VINO NELLE ODI Arrivato a destinazione il vino poteva finalmente prendere parte ai simposi organizzati dai nobili romani, come quello di Orazio. In Orazio il vino viene naturalmente associato al convivio, prediligendone l’aspetto riflessivo. Bisogna però sottolineare come Orazio ama bere in occasioni ben precise “nunc” (ora); non ama il vino in sé, ma l’aiuto che offre all’individuo, esaltandolo come farmaco delle pene dell’uomo, da un lato come ebrezza e dall’altro come piacere moderato e naturale, elemento essenziale del convito e insieme ingrediente di quella elegante semplicità che i romani ricchi e colti ricercavano. GODI LE GIOIE DELL’AMORE E DELLA VITA SCACCIANDO LA TRISTEZZA DELL’INVERNO (ode 1,9) Il buon vino coglie ed esemplifica la concezione che il poeta possiede della vita. Nell’ode nona del primo libro: Orazio in una fredda giornata invernale, descrive il paesaggio spoglio della campagna attorno a Roma. Il richiamo alla poetica di Alceo è evidente, soprattutto nel paesaggio invernale che apre l’opera, ma da questo spunto il poeta latino avvia una riflessione propria. Il componimento di Orazio è dedicato a Taliarco, pseudonimo greco che significa “re del gioioso banchetto”, che qui rappresenta la gioventù. Il poeta invita il suo ospite a tirare fuori il vino vecchio di quattro anni che è “merum”, cioè vino puro e non mescolato ad acqua molto più pregiato di quello tradizionale che veniva associato a resine o miele per migliorarne la bevibilità, e a concentrarsi sul presente godendone appieno ogni instante lasciando il futuro incerto agli dei. Segue un consiglio di non rifiutare gli amori e le danze finché in lui è presente la giovinezza approfittando di ogni gioia che la vita regala. Dissòlve frìgus lìgna supèr foco
largè repònens àtque benìgnius depròme quàdrimùm Sabìna, ò Thaliàrche, merùm diòta. Scogli il freddo ponendo abbondantemente Legna sul focolare, con maggior generosità Spilla dall’anfora sabina un vino invecchiato di quattro anni. O Taliarco. CARPE DIEM (ode 1,11) Ma le parole in cui più profondo appare il rapporto tra il vino e la concezione oraziana della vita sono contenute nell’ode del Carpe Diem, dedicata a Leuconoe, la fanciulla ingenua che tesse i sogni illusori sul suo futuro. Orazio invita la ragazza, identificata anch’essa con uno pseudonimo “dall’animo candido”, a non cercare di capire il futuro, poiché agli uomini questo non è concesso ed è meglio saper accettare qualunque cosa accadrà. Per imparare questa saggezza Leuconoe, e con lei ogni individuo, dovrà vivere intensamente ogni giorno (carpe diem) ed abituarsi a filtrare i vini, compito che richiede mano ferma e pazienza, doti poco naturali in una giovinetta fremente ma necessarie per dare alla bevanda la purezza e la limpidezza che ne farà un gran vino. Attraverso la metafora del “filtraggio” il vino diventa simbolo del tempo che ogni uomo deve considerare come il bene più prezioso, il poeta invita l’interlocutore a vivere intensamente ogni attimo “filtrando” dalla vita di ogni giorno ogni singolo momento eliminando il superfluo che rende la vita/ vino amara. Sapias, vina liques, et spatio brevi spem longam reseces. dum loquimur, fugerit invida aetas: carpe diem quam minimum credula postero. Sii saggia, filtra il vino e da uno stretto Spazio taglia via una lunga speranza. Mentre stiamo parlando il tempo scorre: cogli l’attimo quanto meno possibile confidando nel futuro.
Religioso Con la caduta dell’impero romano, la coltura della vite attraversò momenti di difficoltà, dove il terreno lo consentiva venivano coltivati il lino e la canapa oltre che il frumento, la segale e l’orzo. Gran parte delle superfici agrarie furono a quei tempi anche destinate al pascolo; tale maniera di sfruttare i terreni era destinate ai fabbisogni familiari e alla vendita di derrate agricole alimentari che non richiedevano cure ed attenzioni pari a quelle della vite ma assicuravano una rendita immediata. Come ha potuto allora la coltivazione della vite arrivare fino ai giorni nostri? Ora noi possiamo goderne grazie alla componente spirituale e fortemente religiosa attribuitagli; infatti esso come lo era stato prima per la religione pagana divenne simbolo chiave dell’eucarestia cristiana. Per questa ragione la viticoltura fu tenuta in vita all’interno dei monasteri, in particolare dai monaci benedettini ed è grazie a loro se il vino riuscì a salvarsi ed ad imporsi con tutte le caratteristiche dell’enologia moderna. Infatti i monaci oltre che a coltivare e conservare le piante per tutto il Medio Evo, difendendo con gelosia i loro vigneti possedevano una grande curiosità nello sperimentare ed incrociare diverse razze fino a produrre le tipologie di vino esistenti, come il Teroldego. Esempi di monasteri che si consacrarono alla coltivazione della vigna sono presenti in Trentino Alto Adige come l’ex Abbazia di San Michele all’Adige e l’Abbazia di Novacella entrambe tuttora all’avanguardia nella produzione del vino.
Economico Con l’uscita dal Medio Evo la coltivazione della vigna riprese vigore, in particolare in Trentino, diventando una delle risorse economiche principali e attuando la conversione da prodotto funzionale alla celebrazione religiosa a fonte di sostegno economico per la popolazione. Il grande cliente era il Nord: e ciò è naturale, dato che a sud del Trentino ci si imbatteva in zone di produzione vinicola, quindi in zone concorrenti e non acquirenti. Ma fu grazie all’aggregazione con l’Impero austroungarico che il commercio incrementò notevolmente trasformando la valle dell’Adige nelle cantina dell’impero subordinando ogni territorio favorevole alla coltivazione della vigna. INFLUENZE SULL’AMBIENTE Nelle zone a vocazione viticola il paesaggio venne gradualmente modificato per consentire in modo ottimale la coltivazione della vite. Due esempi molto importanti e significativi sono: la messa a coltura mediante terrazzamenti della ripida Valle di Cembra e la bonifica ottocentesca della Piana Rotaliana. VAL DI CEMBRA La val di Cembra è una tipica vallata alpina fluviale con due versanti a V molto scoscesi con direzione est-ovest. Il versante orografico destro della valle molto favorevole alla viticoltura per la
sua fortunata esposizione al sole è stato nei secoli completamente terrazzato con imponenti opere di muri a secco che già in epoca pre- romana i reti antichi abitatori delle vallate alpine avevano cominciato a terrazzare. Il versante sinistro della valle invece è solo marginalmente interessato dalla viticoltura e tradizionalmente sfruttata per le cave di porfido. Infatti geologicamente questa valle è di origine vulcanica effusiva e perciò abbondano anche rocce e detriti per costruire questi estesi muri a secco. Così ai nostri la valle appare totalmente asservita a questa viticoltura estrema di montagna tanto da essere definita dagli esperti come uno dei migliori esempi di “viticoltura eroica di Europa” così da rendere omaggio alle generazioni di viticoltori che hanno letteralmente strappato la terra alla montagna. ROTALIANA Un altro eclatante esempi di modifica del territorio a favore della coltivazione della vite fu la bonifica agricola della piana rotaliana. Fino alla prima metà del 1800 gran parte di questa piana era occupata da un estesissimo greto fluviale del fiume Noce che a quei tempi confluiva nell’Adige all’altezza di San Michele all’Adige, il fiume Noce mancava di argini e le frequenti piene consentivano solo il pascolo nel suo ampio greto. Anche i paesi di Mezzolombardo e di Mezzocorona erano stati fondati e sviluppati a ridosso delle montagne circostanti su conoidi sopraelevati rispetto al fiume. Dal 1850 si intrapresero degli imponenti lavori di bonifica deviando il corso del Noce che adesso sbocca nell’Adige a sud di Zambana. Questo impetuoso torrente fu imbrigliato da potenti argini per contenere le sue piene, successivamente tutto l’immenso letto ormai prosciugato fu ricoperto di uno strato di circa un metro di terreno alluvionale proveniente dai dintorni della piana. Fu così che la Piana Rotaliana divenne una grande plaga ininterrotta di vigneti divenendo uno dei più bei giardini vitati d’Europa.
TERRENI E VITI Preso atto delle diverse tipologie di terreno presenti in queste due zone si può ricondurre a ognuna di esse una precisa tipologia di vino e vigneto che esprime al meglio le proprie caratteristiche coltivata su di essi. TEROLDEGO È interessante notare che la gran parte della piana rotaliana è coltivata col vitigno teroldego, questo vitigno autoctono infatti esprime le migliori caratteristiche su terreni alluvionali non eccessivamente profondi con abbondante sottosuolo di ghiaia e sassi che impediscono il ristagno dell’umidità. La piana rotaliana infatti dal punto di vista pedologico è nota per avere caratteristiche di montagna in una zona totalmente pianeggiante. Il terreno con cui fu effettuata la bonifica, derivato dagli scavi
necessari per la creazione del nuovo letto del fiume, è per la maggior parte sedimentario prodotto dello scorrere del fiume lungo le vallate circostanti e così nei secoli il Noce trasportò a valle frammenti di rocce provenienti dalle montagne del Trentino. Dal punto di vista etimologico il nome teroldego deriva da Tiroler Gold, questo vitigno infatti era considerato l’oro rosso del Tirolo per le sue caratteristiche del vino prodotto da queste uve. Si tratta infatti di un vino importante con un colore rosso violaceo intenso con dei tipici sentori di viola e una bella struttura tannica molto armonica al palato. Per queste doti era ed è molto apprezzato specialmente nell’area tedesca e ancora adesso è definito il principe dei vini trentini. MÜLLER THURGAU
Geologicamente la val di cembra è famosa per i suoi porfidi. Il fiume Avisio infatti nel corso dei millenni ha inciso questa grande piattaforma porfirica risalente alle grandi attività eruttive del tardo Paleozoico creando questa tipica vallata alpina con andamento est-ovest. Anche i poco profondi terreni presenti nella valle sono originati dal disgregarsi di questa roccia porfirica e sono essenzialmente leggeri con una buona componente di sabbia porfirica, questa situazione pedologica è favorevole alla coltivazione del vitigno Müller Thurgau che è ampiamente coltivato in Val di Cembra. Questa vite infatti è stata creata dal professore Hermann Müller noto ricercatore svizzero che nel secolo scorso incrociò il vitigno Riesling Renano col vitigno Madeleine Royale. Il vino Müller Thurgau ha un colore paglierino con riflessi verdolini ed è caratterizzato da una fine aromaticità e un sapore fresco leggermente acidulo. Questo vino bianco ottiene una delle sue migliori espressioni proprio in val di cembra grazie al terreno non calcareo e alla buona quota altimetrica della valle (tra i 400 e 800 s.m.l) che garantisce stagioni non troppo calde tali da bruciare i delicati aromi del vino in questione. BIBLIOGRAFIA • 2500 anni di cultura della vite nell’ambito Alpino e Cisalpino. A cura di Gaetano Forni e Attilio Scienza. • Orazio, cigno sulle ali del tempo. Giacinto Agnello e Arnaldo Orlando. G.B. Palumbo Editore • Vini del Trentino, un mondo nel bicchiere. Nevio Tomasutti. Presentazione di Enzo Spaltro. • Ministero dell’agricoltura e delle foreste Ispettorato Agrario compartimentale per le Venezie. V. Montanari-G. Ceccarelli . La viticoltura e la enologia nelle tre Venezie. 1952 • Le rocce da vino della piana rotaliana. Centro di studi rotaliani Mezzocorona. A cura dei proff. A. Fuganti e F. Defrancesco. • Viticoltura moderna. Manuale pratico. Giovanni Dalmasso. Hoepli
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