L'amore al tempo della cecità

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UGO SERANI
                                        Università di Roma

                              L'amore al tempo della cecità

                                                                ...e io sarò tua guida,
                                                   e trarrotti di qui per luogo etterno,
                                                        ove udirai le disperate strida,
                                                       vedrai li antichi spiriti dolenti,
                                                  che la seconda morte ciascun grida.
                                                                   Dante, Inf. I, 113-7

               Limito l'ambito della mia riflessione a un solo romanzo di Sa-
         ramago, Cecità, o meglio, rispettando il titolo originale, Ensaio so-
         bre a Cegueira (Saggio sulla cecità), affresco sulla cecità morale del
         genere umano, della nostra cultura, ma anche un apologo dell'amo-
         re. Brevemente la storia. Un'improvvisa cecità "bianca" colpisce un
         automobilista, che si ritrova improvvisamente immerso in un oriz-
         zonte lattaginoso. Ben presto i ciechi diventano due, dieci, cento;
         l'inarrestabile contagio travolge migliaia di persone. Inizialmente i
         ciechi vengono concentrati in locali chiusi, dove non possono avere
         contatti con l'esterno. I personaggi di cui conosciamo le vicende (e
         che sono anche i primi a essere colpiti dall'epidemia) vengono se-
         gregati in un manicomio dismesso, diviso in camerate. Tra di loro
         c'è una donna, che si finge cieca per seguire il marito, per ironia
         della sorte l'oculista cui si era rivolto il primo cieco. Gli ingressi so-
         no controllati da militari armati, delegati anche a rifornire di cibo i
         privi di vista. Ben presto, però, il sovraffollamento e una cecità
         doppiamente invalidante, perché collettiva e improvvisa, comincia-
         no a generare effetti devastanti, tanto dal punto di vista igienico,
         che della normale civile convivenza. Inoltre, un gruppo violento,
         guidato da un uomo armato, prende a tiranneggiare i segregati. Re-

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             quisisce il cibo e lo distribuisce solo a pagamento. Una volta finiti
             denaro e preziosi, il gruppo violento esige di essere pagato in natu-
             ra, costringendo le donne delle varie camerate a soddisfare gli ap-
             petiti sessuali dei membri del gruppo. La moglie dell'oculista, cono-
             sciuto anche questo orrore, riesce a ribellarsi e uccide il capo dei
             prevaricatori, ricomponendo così una sorta di patto sociale nel ma-
             nicomio. Frattanto l'epidemia dilaga e colpisce tutto il paese, com-
             presi coloro che avrebbero dovuto dare assistenza agli internati. I
             ciechi, rimasti senza nutrimento e con il manicomio distrutto da un
             incendio, abbandonano il loro rifugio. Il piccolo gruppo guidato dal-
             la moglie dell'oculista vaga per la città in cerca di cibo. Le strade
             sono disseminate di cadaveri, escrementi, auto abbandonate, e sono
             percorse da piccoli gruppi di ciechi anch'essi in cerca di cibo e ripa-
             ro per la notte, preda di una sorta di nomadismo cieco appunto.
             Condotti dalla moglie dell'oculista nella propria casa, i nostri perso-
             naggi possono recuperare la dignità perduta. Prima di tutto la puli-
             zia del corpo, quindi la serenità di un pasto normale (o quasi), infi-
             ne l'abbandono della promiscuità. Il cammino catartico è ormai con-
             cluso e i ciechi prendono a riacquistare la vista nello stesso ordine
             in cui l'avevano perduta.
                   Innanzitutto vediamo come sono definiti i personaggi. Nessu-
             no ha un nome e, come detto, tutti sono ciechi meno uno, la donna
             che ha finto la cecità e che è costretta a vedere, a testimoniare l'or-
             rore. Il nucleo portante del romanzo è dunque composto dall'oculi-
             sta e dalla moglie, dal primo cieco e dalla moglie, dal bambino stra-
             bico che cerca la madre, dal ladro, che ben presto muore e viene so-
             stituito dal vecchio con la benda sull'occhio, il quale subentra, ap-
             punto, in medias res. Infine dalla ragazza dagli occhiali scuri. Otto
             persone, cinque uomini e tre donne, ma in realtà il gruppo sarà
             sempre formato solo da quattro uomini e tre donne. I primi sono
             tutti definiti in base al ruolo "sociale" che svolgono nel romanzo. Il
             bambino strabico compare perché invoca la madre. Il ladro è ladro
             tout court e la sua fine è ingloriosa, esattamente come la sua vita:
             ucciso da una setticemia scatenata da un colpo di tacco infertogli
             sulla coscia dalla giovane dagli occhiali scuri, cui egli aveva palpeg-
             giato il seno. Il vecchio con la benda nera rappresenta la saggezza,

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         l'uomo spogliato dalle impurità del vivere, colui che può permetter-
         si di dire la verità, perché esercita una autorità morale tacitamente
         riconosciuta. Poi abbiamo il primo cieco, l'uomo senza il quale non
         avrebbe inizio la storia e senza il quale l'autore non potrebbe dire
         di aver chiuso il cerchio, di aver ricomposto ciò che era stato pertur-
         bato. Questi è accompagnato dalla moglie, che non ha altro ruolo
         all'infuori di essere moglie. Poi c'è l'oculista, polo d'attrazione per la
         storia narrata e metafora dell'inanità umana davanti alla cecità:
         cieco colui che dovrebbe curare i ciechi. Infine, rimangono ancora
         due donne. La prima è identificata anch'essa per il proprio ruolo
         sociale di moglie -la moglie dell'oculista-; la seconda da un inutile
         oggetto di vanità, la ragazza dagli occhiali scuri. E, sintomatica-
         mente, solo quest'ultima tra le donne presentate nel romanzo ha un
         lavoro: è una prostituta.
                Da questo schematico riassunto notiamo subito come, nel ro-
         manzo, il ruolo femminile sia strettamente legato alla concezione
         tradizionale della donna che è, di volta in volta, madre, moglie,
         amante. Anche il ruolo maschile rispetta i canoni classici, benché
         manchi la figura dell'eroe-guerriero, compito cui supplirà la vera
         protagonista del romanzo, e cioè la moglie dell'oculista. È infatti at-
         traverso i suoi occhi che il narratore ci descrive il mondo della ceci-
         tà, ed è attraverso i suoi sentimenti che scopriamo l'orrore di un re-
         gresso a uno stadio sociale primitivo, in cui la soddisfazione dei be-
         ni primari supera le barriere della morale e della convivenza civile.
                Nel mondo degradato di Cecità ci sorprenderebbe di incontra-
         re la storia d'amore, visto che tutto il romanzo è piuttosto una ra-
         pida discesa verso l'inferno: "Era inevitabile, l'inferno preannuncia-
         to sta iniziando", dice sospirando la moglie all'oculista1. Eppure le
         donne del romanzo, come abbiamo visto, sono connotate soprattut-
         to, se non esclusivamente, in quanto portatrici di amore: materno,
         di coppia, passionale. Fa eccezione l'unico personaggio a conservare
         la vista, che assolve un primario compito di guida.
                Ma il suo essere guida e testimone è anch'esso un atto di

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                  Per Cecità, cito dalla trad. di Rita Desti in José Saramago, Romanzi e
         racconti, voi. II, 1985-1998, "I Meridiani", Milano, Mondadori, 1999, p. 1197.

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          amore, nel senso più ampio del termine. E, anzi, la sua stessa pre-
          senza nel manicomio, nel luogo degli orrori, è un atto d'amore: si
          finge cieca per non abbandonare il marito ed essere internata con
          lui. Del resto Saramago, nel libro-intervista con Juan Arias, soste-
          nendo di non aver scritto mai romanzi d'amore, ammette tuttavia
          che "capita che l'amore finisca sempre con l'entrarci". Continua Sa-
          ramago: "La verità è che sono molto discreto in questo, nello scrive-
          re parole d'amore, sono così vaghe, così consumate, così vuote, che
          no, non mi propongo di scrivere un romanzo d'amore. È chiaro che
          parlo di un uomo e di una donna, ma l'amore c'entra in quanto c'en-
          trano loro. Cos'è che rende evidente l'amore? È la presenza della
          donna, sempre"2.
                Dunque è utilizzando questa chiave interpretativa che dob-
          biamo indagare Cecità, inteso però non come romanzo d'amore, ma
          come romanzo dell'amore, sull'amore. Nelle oltre 300 pagine del li-
          bro anche i momenti di sublime amore passano senza che mai l'in-
          chiostro componga le fatidiche parole "ti amo". Piuttosto troviamo
          espressioni come "Taci, disse dolcemente la moglie del medico,
          taciamo tutti, in certi momenti le parole non servono a niente"3, fra-
          se che fa seguito a un amplesso. Ma queste non sono le parole del-
          l'amante all'amante: il medico aveva appena 'tradito' la moglie con
          la ragazza dagli occhiali scuri. In questo caso, dunque, è la donna-
          guida, la donna angelicata che prende il sopravvento e comprende
          di dover superare la propria 'cieca' gelosia, a vantaggio di qualcosa
          di più alto e sublime, quell'amore il quale fa sì che, poche righe più
          avanti, si possa leggere: "La ragazza dagli occhiali scuri sarebbe
          rimasta sola, era lei quella che doveva essere consolata, per ciò la
          mano della moglie del medico tardò tanto a staccarsi". Eppure la
          donna angelicata di Saramago è solidamente legata alla terra, si
          direbbe che lei sia piuttosto donna tellurica, madre terra, madre
          benigna, perché le sue parole, anche in una situazione tanto estre-
          ma -il tradimento, la cecità collettiva, lei unica vedente che assiste
          agli orrori negli orrori, che "contemplò per un istante le due teste
                  2
                    Juan Arias, José Saramago: El Amor Posible, Barcelona, Planeta, 1998.
           Cito dalla trad. it.: José Saramago. L'amore possibile, s.l., Frassinelli, 1999, p. 58.
                  3
                    Romanzi e racconti, cit., p. 1302.

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          cieche, posate fianco a fianco sul guanciale sudicio, le facce sporche,
          i capelli arruffati, solo gli occhi risplendevano inutilmente"4—, non
          appaiono come improbabili. Difficili, forse, da pronunciare, difficili
          da accettare, come aspra e terribile è la prova che lei è costretta ad
          affrontare. La realtà in cui tali parole sono dette è al limite dell'ac-
          cettabile, ma non è impossibile. Nell'anno in cui Saramago pubbli-
          cava YEnsaio sobre a Cegueira, avevamo riscoperto come attuale
          qualcosa che, nella civilizzata Europa, speravamo fosse definitiva-
          mente passato nel 1945. Tra il 1992 e il 1995, a pochi chilometri
          dalle nostre coste, in Bosnia e Croazia, lo stupro etnico, la reclusio-
          ne in campi di concentramento, la riduzione dell'uomo allo stato
          animale sono stati avvenimenti reali, tangibili per migliaia di es-
          seri umani. La realtà che Saramago ci ha riproposto non può, dun-
          que, essere considerata impossibile, non appartenente alla nostra
          vita di occidentali opulenti. E infatti lo scrittore premio Nobel ricor-
          da che, nelle parole e nelle azioni della moglie del medico, "non c'è
          nessuna retorica, lei fa semplicemente quello che deve fare,
          nient'altro"5. Deve ergersi a testimone dell'orrore, a sublimatrice di
          affetti, a vendicatrice di se stessa e delle sue compagne, a guida dei
          bisognosi. Deve nascondere dentro di sé gli orrori di carneficine
          apocalittiche, di ammassi di cadaveri putrescenti e di carogne rosic-
          chiate dai cani. Il tutto in nome dell'amore supremo per l'uomo. O,
          come preferisce Saramago, riferendosi sempre al tradimento del
          medico con la ragazza dagli occhiali scuri, della compassione. Ecco
          cosa dichiara a Juan Arias: "la moglie del medico è in grado di pro-
          vare qualcosa che potremmo definire sublime: la compassione. È
          come se dicesse: io li comprendo, li capisco, poveretti. Se si trattas-
          se di un'altra storia o di un altro personaggio, potrebbe essere un
          episodio terribile, lei si scaglierebbe sulla ragazza ed esigerebbe che
          il marito le chiedesse perdono. In altre parole: tutte quelle cose in-
          sensate che in una situazione concreta sono delle reazioni umane e
          che, tuttavia, lì non appaiono"6.
                Ma è solo compassione, è solo amore? O questa donna piutto-
                 4
                   Ibidem, p. 1303.
                 6
                  L'amore possibile, cit., p. 62.
                 " Ibidem, p. 50.

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         sto non è una figura simbolica? Non è forse che tutte le donne di
         questo romanzo perdono i contorni femminili, per divenire esseri
         asessuati, divinità incorporee? Tutte meno una, ovviamente, e cioè
         la ragazza dagli occhiali scuri. Saramago ha recentemente dichia-
         rato che nei suoi romanzi le donne sono come gli piacerebbe che fos-
         sero, incarnazioni della donna ideale. Una donna madre, moglie,
         amante e, in più, guida, centro gravitazionale, punto fermo nella
         deambulazione della vita dell'uomo. In Cecità per esempio, lei ha
         "La responsabilità di avere gli occhi quando gli altri li hanno per-
         duti"7, e il suo comportamento è fondamentale nello stabilire una
         forma di vita ordinata nella camerata, quella "azione pedagogica
         della cieca in fondo alla camerata, quella sposata con l'oculista",
         colei che "si è tanto affannata a dirci, Se non siamo capaci di vivere
         globalmente come persone, almeno facciamo di tutto per non vivere
         globalmente come animali"8.
                E anche quando l'amore acquisisce il tono assolutamente
         umano e carnale, il fatto viene comunque immerso in un'aura di su-
         blime. Alla fine del romanzo, la ragazza dagli occhiali scuri rico-
         mincia a vedere e dedica il primo abbraccio alla donna che fino ad
         allora l'aveva guidata, sostenuta, lavata. "Il secondo abbraccio fu
         per il vecchio della benda nera, adesso sapremo quanto valgano ve-
         ramente le parole, ci ha tanto commosso l'altro giorno quel dialogo
         che si è concluso con quel loro bellissimo impegno di vivere insieme,
         ma la situazione è cambiata, la ragazza dagli occhiali scuri si ritro-
         va davanti un uomo vecchio, che lei ormai può vedere, sono finite le
         idealizzazioni emotive, le false armonie nell'isola deserta, le rughe
         sono rughe, le pelate son pelate, non c'è differenza tra una benda
         nera e un occhio cieco, ed è quanto lui le sta dicendo in altri termi-
         ni, Guardami bene, sono quello con cui hai detto che avresti vissu-
         to, e lei ha risposto, Ti conosco, sei quello con cui vivo"9. Mai viene
         usata la parola amore, ma è evidente che questo è il lieto fine di
         una 'normale love story'. Riacquistata la vista, con il mal bianco
         non sparisce l'amore della giovane per il vecchio. La cecità in que-
                7
                  Romanzi e racconti, cit., p. 1376.
                8
                  Ibidem, p. 1246.
                9
                  Ibidem, p. 1450.

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         sto caso non ha ottenebrato la mente, ma ha permesso di valutare
         le cose senza il filtro della vista, solo con il sentimento. Anche in
         questo c'è qualcosa che va aldilà dell'amore, un gesto eroico di su-
         blime compassione, di compartecipazione di pensieri e affetti che
         supera la corporeità per trasformarsi in pura unione spirituale,
         amore appunto. In questo senso Cecità è certamente anche un ro-
         manzo d'amore e sull'amore, scritto forse non con la penna di Vene-
         re, ma con quella di un angelo guerriero perché, sembra suggerirci
         Saramago, per unirci una all'altro dobbiamo liberarci della nostra
         cecità, della nostra smania di prevaricazione, della nostra violenza,
         dei nostri demoni, insomma dobbiamo fare come l'angelo Raffaele:
         "E fu mandato Raffaele per curare ambedue, per liberare Tobit
         dalle albugini degli occhi, affinchè vedesse con gli occhi la luce di
         Dio e per dare Sara, figlia di Raguele, come sposa a Tobia, figlio di
         Tobit, cacciando da lei Asmodeo, il demonio malvagio"10.

               10
                    Tobia, 3, 17.

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