L'Albero di Natale e il Solstizio d'Inverno
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! ! L’Albero di Natale e il Solstizio d’Inverno “Verrà a visitarci dall’alto un Sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte”: così scrive San Luca (Luca 1:78). Il Sole di cui San Luca parla ha un chiaro riferimento: Gesù Cristo che scende nell’Umanità nella stagione più fredda dell’anno, l’inverno. Tutta la Cristianità festeggia del Fig lio di Dio il 25 Dicembre, giorno in cui il Sole è appena transitato al Solstizio d’inverno. L’astronomo greco Antioco definì quest’evento “Dies solemnis Solis crescit Lux”, chiaro riferimento ad un’antica tradizione misterica che vede l’Astro Solare, veicolo igneo della Divinità. I Solstizi e gli Equinozi furono le date in cui i Sacerdoti di ogni civiltà celebravano i loro segreti rituali. Fu l’entrata del Sole in questi precisi giorni dell’anno a sancire le date mistiche segnalate sugli antichi calendari sacri e a dare il via all’edificazione di templi costruiti secondo delle precise posizioni astronomiche. Un esempio lo possiamo cogliere a Karnak, in Egitto: il grande tempio di Amon Râ è perfettamente allineato al sorgere del Sole al Solstizio invernale. L’inverno è il momento più buio dell’anno quando il Sole, nel suo moto lungo l’eclittica, viene a trovarsi alla minima declinazione: in quei giorni si avverte ancora di più la sua discesa sotto l’orizzonte. L’inverno rappresenta l’Averno, il mondo delle ombre, il mondo inferi, dove domina il freddo e l’ “assenza di vita”. Orfeo, Enea, D a n t e s p e r i m e n t a ro n o l a discesa in questo luogo oscuro, regno dei morti e del silenzio: la
sofferenza per quella mancanza dei raggi del Sole fu tale da indurli ad un cambiamento totale della loro essenza, mutamento necessario per poter cominciare a scorgere in loro stessi i primi nuovi bagliori di luce. Ecco che da quel punto basso all’orizzonte, trascorso il freddo dell’inverno, si incominciano ad intravedere i primi risvegli della verde Primavera. Il Primo Vere, la “Luce del Mondo”, è il Cristo-Sole che viene ad illuminare coloro che sono nelle tenebre dell’Averno: Dio scende nell’umanità affinché l’Uomo, redento, possa ritornare a Lui. La nascita del Dio Solare, tradizionalmente fissata al Solstizio invernale, non viene ricordata soltanto dalla Dottrina Cristiana. Andando a ritroso nelle antiche civiltà, ci accorgiamo che la nascita di mitici personaggi come il dio Horo in Egitto, Dioniso nell’antica Grecia, Zaratustra e Mitra in Persia, Krishna in India ed altri ancora, era celebrata intorno al giorno 25 Dicembre. Anche la simbologia legata al luogo di nascita del Figlio di Dio, trova strette relazioni tra il Cristianesimo ed arcaiche dottrine orientali. In Persia, ad esempio, scopriamo un importante riferimento nella figura di Aura Mazda, il “dio solare” che nasce in una grotta: la leggenda narra che era figlio di una vergine e che il padre era il Dio Sole, cioè la suprema Divinità. Interessanti notizie si ritrovano anche presso le antiche civiltà del nord Europa come i Celti, i Germani e gli Scandinavi. E’ proprio presso uno di questi popoli che ebbe origine l’idea di associare la nascita del Dio Solare ad un albero, emblema di vita in continua evoluzione, ma anche di morte e resurrezione. L’albero è il simbolo che lega Cielo e Terra, considerato punto di “centralità” e vero Asse del Mondo. Esso mette in comunicazione i tre livelli del cosmo: le
sue radici affondano nelle profondità del suolo, il tronco ed i suoi rami più bassi sono in contatto con la superficie del terreno e la sua chioma svettante sembra che tocchi il cielo. Nel Paradiso terrestre si parla di due Alberi: l’ “Albero della Vita”, i cui frutti danno l’immortalità e quello della “Scienza del bene e del male”, doloroso strumento della caduta adamica; infine nella Cabbalà ebraica si affronta il tema dell’ “Albero Sefirotico” i cui frutti, se saputi cogliere, conducono a vita e giovinezza eterna. Nella tradizione egiziana le relazioni dell’albero con il “Dio Solare” si fanno ancora più calzanti: la colonna vertebrale di Osiride, dio della “rinascita”, è messa in relazione ad una pianta dal fusto eretto e dai rami frondosi sulle cui foglie appare scritto il nome di Râ. L’albero è quindi il simbolo di vita nel suo aspetto dinamico e di perpetua rigenerazione; è strumento prodigioso di forze telluriche e celesti, “antenna della terra” che capta ed assorbe di continuo le energie del cosmo per farle sue e condensarle nella sua linfa. I Druidi, casta sacerdotale della popolazione celtica, conoscevano molto bene questo linguaggio ed erano soliti ritirarsi in radure immerse nella foresta dove spazio e tempo non esistono, ma dove esiste la sacralità di un luogo in cui il pensiero si fa più leggero e la preghiera può salire meglio verso l’alto. In quelle zone definite da un folto di alberi, ritenuti divini, il Sacerdote celebrava riti segreti dal profondo significato iniziatico: era nel “bosco sacro” che si poteva respirare l’atmosfera paradisiaca che induce a mistica contemplazione. Furono i Celti a dare origine al più antico culto che vedeva il dio “Alban Arthuan” (rinascita del Dio Sole) abbinato alla figura dell’ “abete bianco”; i Celti erano soliti associare
un albero ad ogni mese lunare e l’abete era consacrato all’entrata solstiziale ed al giorno della nascita del “Fanciullo Divino”. L’abete bianco è un albero maestoso, longevo e sempre verde, che vive in terreni freschi, profondi e ben umidificati. Per la bellezza del suo fusto dritto, la persistenza del suo fogliame ed il folto della sua cima piramidale è soprannominato il “principe del bosco”. I suoi rami sostengono innumerevoli pigne verdi, quasi cilindriche, ben serrate e rivolte verso l’alto, ma che al momento della loro maturazione si tramutano in color bruno rossiccio, aprendosi in una cascata di minuscoli semi. La corteccia bianca-argentea del suo fusto, presenta tante piccole sacche di sostanza resinosa che, una volta incise, lasciano sortire una “gemma” che assume un importante significato simbolico. La resina dell’abete, che scaturisce dal taglio praticato sul “fusto vivo” di quest’albero, conduce a profonde riflessioni ed analogie. Intanto possiamo ricordare che per la Dottrina Ermetica la resina ha assonanza con l’Elixir perfetto. Da questa preziosa gemma, che gli alchimisti chiamavano “oro più prezioso ed autentico”, si estraeva l’olio sacro con cui si ungevano i Re per la consacrazione; lo stesso olio che Gasphar, uno dei tre Re Magi, offrì al Bambino Gesù. Anche nei Paesi scandinavi e germanici il legame tra l’Abete ed il Solstizio è ben documentato, ma i Celti furono quelli che tramandarono meglio quest’antica tradizione. Si dice che poco prima della festa solstiziale, che consacrava la discesa del Figlio di Dio, fosse usanza da parte di quel popolo, di recarsi nei boschi per sradicare un abete, portarlo a casa ed addobbarlo con ghirlande, dolci, frutta ed uova colorate: rituale poi ripetuto ogni anno in quegli stessi giorni. L’idea di attaccare i frutti all’albero, si rifà ad un’antica simbologia che riconduce l’abete
all’arcaico concetto di fertilità spirituale, avvalorato anche dal simbolismo dell’uovo, emblema di “nuova nascita”, con cui si addobbavano i suoi rami. Interessante anche l’idea di appendervi piccole ghirlande che richiamavano al significato della “corona”, emblema antico di vittoria e di regalità. Con la comparsa del Cristianesimo si perse, negli anni, quel caratteristico rituale. Nei Paesi latini, l’ “abete natalizio”, pur essendo presente nei territori invasi dalle popolazioni germaniche, lentamente andò a scomparire e fu solo in epoca molto più tarda che se ne tornò a parlare. Sembra che sia stata la duchessa tedesca Brieg, nel 1661, a riportare in vita quest’antica usanza. In occasione delle feste solstiziali la duchessa, pur avendo fatto addobbare il castello di tutto punto, si accorse che un angolo della sua stanza restava vuoto; nacque così in lei l’idea di prendere dal bosco un piccolo abete, invasarlo e collocarlo in quello spazio. Due secoli più tardi, verso la metà del XIX secolo, fu la principessa Elena Mecklenburg, moglie del duca d’Orleans, ad introdurre l’Albero di Natale alle Tuileries, suscitando stupore e sorpresa all’interno della sua Corte. Da quel giorno, si cominciò a riprendere l’usanza celtica di portare nelle abitazioni un abete e di decorarlo. Alle ghirlande, ai nastri ed ai frutti colorati furono aggiunti dolciumi e tante piccole candele di cera. Di lì a poco i fabbricanti svizzeri cominciarono a produrre palline in vetro soffiato di grandezza e fogge diverse; in seguito si utilizzarono anche materiali più moderni e si crearono i modelli decorativi sempre più fantasiosi ed innovativi. L’Albero di Natale, nel tempo, cominciò ad introdursi anche nelle case più modeste portando una nota di colore e di serenità in ogni famiglia. Ancor oggi possiamo constatare che l’abete ha resistito a tutte le mode rinforzando ancora di più la sua posizione, ma non altrettanto si può dire del suo intimo significato. La fretta, la praticità ha spesso sostituito l’antico “principe del bosco” con alberi in materiale plastico di
facile riutilizzazione. Nei giorni che precedono il Natale alberi finti dalle tinte più incredibili colorano le vetrine dei negozi: verdi, bianchi, azzurri, rossi ed anche incredibilmente neri. Le piccole candele dalla calda fiammella tremula, sono state sostituite da luci colorate che si accendono e spengono creando un impatto visivo ben diverso da quello di un tempo. Molto si è perso della simbologia dell’Albero di Natale e sembra che pochi siano interessati a riscoprirla, eppure quei piccoli lumi accesi, che nel buio della stanza risaltano come minuscole fiammelle, sono lì a ricordarci diverse cose. Ci possono ricordare il cielo stellato di quando Gesù, vera “Luce del Mondo”, è sceso qui sulla terra, ma anche le virtù che ogni coscienza umana deve realizzare per mettere a frutto quanto Lui stesso ci ha lasciato scritto: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre buone opere e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli”. (Mt 5:16)
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