JON BON JOVI: I LUSTRI(NI) DELL'HAIR METAL - Betapress.it
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JON BON JOVI: I LUSTRI(NI) DELL’HAIR METAL Molti anzi… moltissimi anni fa con la mia band di allora, i Casual Connection Crew, iniziavo a comporre testi e canzoni rigorosamente in inglese con l’inseparabile Gas (amico prima e tastierista poi, con cui collaboro dal lontano 1987). Nei nostri concerti suonavamo però per la maggior parte cover di artisti internazionali come U2, Police, R.E.M., Ramones, AC/DC… e anche Bon Jovi! Erano i tempi di Slippery When Wet e dell’esplosione dell’“Hair Metal” e in nessuna performance live dell’underground nostrano di quegli anni mancava in scaletta un brano di John Bongiovanni. Origini siciliane Jon, nato e cresciuto nel New Jersey, iniziò sin da piccolo a cimentarsi con la chitarra e la voce, strumento che utilizza da allora in modo magistrale. Profondamente radicato nella cultura americana, Jon cresce riflettendo la musica e soprattutto la moda del tempo ed ispirandosi a Mozart, Bach e a Big come Aerosmith e anche Bruce Springsteen, suo “vicino” di casa, con cui il prossimo 22 aprile suonerà assieme in remoto per raccogliere fondi da
destinare agli ospedali del New Jersey in emergenza da Covid-19. Oltre 130 milioni di dischi venduti nel mondo, Bon Jovi ha girato l’intero globo con oltre duemila concerti in 50 paesi, collezionando numerosi premi e guadagnandosi nel 2018 un posto di diritto nella Rock and Roll Hall of Fame. Sono certo che i puristi del Rock e del Metal siano d’accordo con me nell’affermare che Jon Bon Jovi sia stato uno dei creatori di una nuova stagione della musica targata USA. Già negli anni Settanta la rivoluzione del “Glam Rock” fece la fortuna di artisti e di band come i T. Rex, David Bowie, Roxy Music e perfino Queen e la novità era legata più al look (paillettes, trucchi esagerati, e frange colorate erano le divise dei glammers unite ad una sensualità quasi feminea; n.d.a.) che non alla musica. Ma è nella seconda metà degli anni Ottanta che l’Heavy Metal inizia la sua deriva (se così si può dire) verso il Glam ed il Pop. Così nasce l’”Hair Metal” che fu portato al successo dai Bon Jovi e da band che adoro come Def Leppard, Europe, Twisted Sister, Poison, Mötley Crüe, Krokus, Ratt, W.A.S.P., Skid Row, Cinderella e molte altre ancora. Caratteristica fondamentale di un “Hair Metal Band” che si rispetti è l’esaltazione della potenza sonora delle cosiddette “Ballads”, lentoni strappalacrime mielosi e sdolcinati che tradizionalmente erano legati quasi
esclusivamente alla musica pop. Voglio citare anche i Dokken di Don Dokken (voce) e George Lynch (chitarra), che sono una delle formazioni più longeve del genere “Hair Metal” nei quali all’inizio degli anni Duemila ha militato un mio caro amico Alex “Spillo” De Rosso (a breve su Betapress la sua intervista; n.d.a.). Tornando a metà degli anni Ottanta, mentre Jon Bon Jovi riscuoteva un successo planetario, i Gun’s n’Roses spopolavano con Appetite for Destruction distanziandosi dal genere “Hair Metal”. Il fenomeno iniziava infatti la sua rapida discesa fino a scomparire quasi del tutto soppiantato dal Grunge, fenomeno innovativo nato a Seattle nei gloriosi anni Novanta. Un breve e fortunato ritorno dell’“Hair Metal” si è avuto pochi anni fa con l’avvento di successi planetari come quelli degli Ark e dei Darkness. Bon Jovi virando in modo molto intelligente ha mantenuto negli anni un sottile filo con le sue origini “Hair”, riconvertendo la sua musica che gli permette ancor oggi un grandissimo successo di vendite e pubblico. Vi lascio con la splendida “Ballad” Wanted Dead or Alive, Rock Forever! https://www.youtube.com/watch?v=SRvCvsRp5ho PERTH
UN THE CON SKARDY: la musica del cuore. Sting: italian feelings Dalla cantina di Sting escono oggi etichette di pregio dedicate alle sue canzoni più famose: dalla mitica Message in a Bottle del 1979 (un brut metodo charmat con spiccato carattere… GIANKA: LA FORMA DELL’AMORE Songwriter, scrittore eclettico, cantante, musicista poli – strumentista, imprenditore, leader di una delle più importanti
Associazioni di imprenditori con la mission della valorizzazione del Made in Italy (Nuova Organizzazione d’Imprese), disegnatore di fumetti ed ideatore della Nazionale Italiana Sicurezza sul Lavoro (la prima squadra a livello mondiale a portare come mission la promozione dei Valori di salute e sicurezza sul lavoro attraverso lo sport). Questo è Giancarlo Restivo in arte Gianka, ma è soprattutto un caro amico con cui condivido la passione per il lavoro, per l’arte e soprattutto per la musica. E’ difficile parlare solo di musica con una persona così poliedrica come Gianka, ma cercherò di limitarmi agli argomenti che più ci accomunano e quindi innanzitutto la musica e così gli ho posto alcune domande… a distanza! PERTH: Ciao Gianka, la prima domanda è una curiosità personale. Posto il fatto che ho divorato il tuo primo romanzo Il Destino nelle Sue mani, al quale hai associato la stupenda colonna sonora omonima, ci racconti qualcosa in anteprima (uscirà sabato 11 aprile 2020; n.d.a.) del racconto/sequel Le prime luci, il racconto dell’esilio del mondo e se anch’esso sarà accompagnato da alcune songs? GIANKA: Le prime luci, il racconto dell’esilio del mondo è un fantasy che attraverso la narrazione verosimile del primo peccato pone a noi delle domande: perché qualcosa ci manca sempre? Perché anche prima di questo “esilio” in casa, ci sentivamo fuoriposto? E prova a farci compagnia in un’ipotesi di risposta da verificare personalmente. Si, le canzoni ci sono anche stavolta. PERTH: Cosa pensi del periodo di grave emergenza sanitaria che stiamo vivendo? Cosa può sostenerci in questi giorni di “arresti domiciliari forzati”? Bastano gli slogan #iomifermo #iostoacasa, #andratuttobene, i lenzuoli, le bandiere e le canzoni dal balcone o le rassicurazioni della politica? GIANKA: Oggi dobbiamo affrontare questa fatica, in passato
ne abbiamo avute altre. Non esiste una vita senza dolore. Domandiamoci cosa ha permesso ai nostri nonni di affrontare le macerie della Guerra, da dove veniva la loro forza? Impariamo dalla nostra storia, avremo la risposta su cosa fare adesso. PERTH: Parliamo della tua musica. Quando hai iniziato a suonare e a scrivere? Cosa ti ha mosso all’inizio? E con il tempo cos’è cambiato? GIANKA: Ho sempre avuto una famiglia canterina, ma io ho iniziato perché mi sono innamorato. Siccome non sono un tipo che si accontenta, volevo dichiarami in grande, perciò ho voluto scrivere e suonare una canzone. Poi ho scoperto che la musica unisce le persone, libera il cuore, ti aiuta a non mentire…soprattutto a me stesso. Cosa vogliamo di più? PERTH: La forma dell’amore è un toccante articolo sul Corriere della Sera di poche settimane fa a firma Alessandro D’Avenia ma è soprattutto la cinquantesima e conclusiva track di Gianka – Anthology, ce ne parli? GIANKA: Cohen canta C’è una crepa in ogni cosa, è così che entra la luce. La forma dell’amore invita a guardare dentro quella crepa, e a domandarci qual è il prezzo da pagare per una vita degna di essere vissuta. Si paga anche per gli altri a volte. Se dovessi essere io a farmi giustizia bestemmierei, guardare la Croce invece mi ha dato delle risposte impensabili. PERTH: In un breve clip hai condiviso il bellissimo brano I segni del tempo spiegandone il significato, in sintesi un inno alla bellezza e alla donna. Come la bellezza c’entra con l’amore? GIANKA: Non esiste bellezza senza amore. La bellezza esige cura. I segni del tempo canta di questo. Quanto frutto ha portato essere stati fedeli a ciò che ha messo assieme me e mia moglie. Io non la conoscevo, l’ho incontrata un bel
giorno. Lei era un anticipo di risposta a ciò che ho sempre cercato. Perciò chiunque me l’avesse messa davanti era stato fedele a ciò che desideravo di più. Valeva la pena scommetterci tutto allora! PERTH: Molti artisti italiani ed internazionali (ad esempio Bono Vox degli U2 che è uscito da poco con il brano Let Your Love Be Known) hanno postato sui social video messaggi di speranza, alcuni hanno cantato e recitato nel web, messaggi di solidarietà, moniti ed attenzioni, cosa serve secondo te oggi per non far morire la musica e l’arte in Italia? GIANKA: Un bambino canta perché si sente voluto bene. Noi facciamo musica per raccontarci cosa di bello e di vero incontriamo in questo triste mondo, o per gridare di incontrarlo. L’arte serve a rappresentare quel che riconosciamo come bello e vero, o a ricercarlo. Finché ci saranno uomini impegnati nella ricerca di una risposta, o commossi dall’aver scoperto un tratto di bene in mezzo a tanta tristezza, e ce lo suoneranno… la musica non morirà. PERTH: Cosa succederà alla musica una volta finito il periodo di emergenza globale? GIANKA: Il cuore dell’uomo è sempre in emergenza e la musica è espressione dell’urgenza di una risposta che non bari. Perciò spero che questo cuore non smetta mai di emergere e farsi sentire. Questa sana inquietudine è ciò che mi rassicura e cioè che l’uomo ha le armi per combattere qualunque sciagura. PERTH: Ci parli del progetto Hard Rock (a me molto caro) Ighnor-Hunts? GIANKA: Vedo tante band che smettono dopo un po’, perché non si è raggiunto il successo, per stanchezza, per delusione, o perché si pensa di aver raggiunto una certa età. Gli Ignoranti, invece sono la dimostrazione, che dentro lo stare insieme di tre amici, quel sacrosanto gusto di spaccare di
brutto può essere tenuto vivo per sempre. Se vogliamo non morire di tristezza, il fuoco dentro va tenuto vivo. PERTH: Penso fortemente che il Rock non morirà mai… ma anche la musica Pop, il’R’n’B, il Blues, l’Heavy Metal e tutti quei generi cui diamo troppo spesso un’etichetta inutile… Come secondo te la musica avrà un ruolo determinante nella battaglia che stiamo vivendo? GIANKA: I generi cambiano perché cambiano le generazioni. Ogni figlio esprime diversamente l’essenza tratta dai propri padri. Ma la domanda è la stessa “Perché ci sono?”. Ricordiamoci che il canto è letteralmente carne che vibra, col cuore che va a tempo, grida questa domanda ed esige una risposta. La musica è l’arma che qualcuno ci ha dato per combattere la battaglia dell’esistenza. PERTH: La musica è vita! La musica è brividi! La musica è “occhi che brillano” e “cuori che si infiammano”. Oggi purtroppo la musica invece è pura immagine virtuale. Cosa dici ai giovani di oggi, troppo spesso legati a clichè proposti da personaggi mediatici che stanno all’arte come un criceto sta a La Goccia (Preludio op. 28 nr. 15; n.d.a.) di Chopin? GIANKA: Posso solo dire ciò che a me venne detto: verificate la proposta di questi personaggi, fino in fondo. Se li scoprite vuoti, cercate e non fermatevi alla prima delusione. Cantate e suonate questa ricerca di trovare facce autentiche, piene di carne e sangue che pulsano per rendere migliore questo mondo. Vi assicuro, scoprirete la bellezza e ascolterete capolavori! PERTH: Hai ricevuto il premio “Sanremo Music Award” alla carriera per i triplo disco del 2016, il romanzo del 2017 e la colonna sonora del 2018. Un grande traguardo! Quali sono i tuoi progetti musicali per il futuro? GIANKA: Avere l’occasione di rientrare in sala di registrazione ad incidere insieme a PERTH la colonna sonora
de Le prime luci, il racconto dell’esilio del mondo. PERTH: Oh Gianka… torniamo in studio assieme! GIANKA: Grande! https://www.youtube.com/watch?v=Ald7rX57cOQ PERTH O MIA BELA MADUNINA – THE BLUES BUNKER SESSION O MIA BELA MADUNINA – THE BLUES BUNKER SESSION Come moltissimi italiani anche io ieri sera ero davanti alla tv a guardare “Musica che unisce”, l’intensa rassegna di cantanti italiani in diretta da casa a sostegno della Protezione
Civile. Il forte messaggio di unione e responsabilità in un momento di grande difficoltà per il nostro Paese (#iostoacasa è il refrain della serata; n.d.a.) è da lodare ed il monito di Favino e della Cortellesi da seguire in silenzio: “stai a casa…anche se hai voglia di uscire anche se hai voglia di vedere le persone che ami, voglia di abbracciare tutti. Stai a casa perché la fuori c’è qualcuno che sta lottando per te, (…) non li dimenticare; non dimenticarti di loro perché loro non dimenticheranno mai”. Gabbani, Masini, Amoroso, Elisa, Negramaro, Emma, Ferro, Bocelli, Cremonini, Cocciante (perfino) Mahmood sono alcuni degli ospiti della serata. Mentre si esibiva Ermal Meta mi arriva un whatsapp da Carletto Fumagalli, frontman della Blues4People (vedi Betapress.it – maggio 2017; n.d.a.) con un video… una canzone italiana in chiave blues… Brothers! Qui mi fermo e vi esorto a guardare il video… Buona visione! https://www.youtube.com/watch?v=LYz2i96TcOI
PERTH LA MUSICA DA “GUARDARE” In questi mesi siamo protagonisti, nostro malgrado, di un’emergenza sanitaria globale che rivoluzionerà il futuro del mondo per come l’abbiamo conosciuto finora. Anche la musica subirà un profondo e, mi auguro radicale, cambiamento. A mio modesto parere, già oggi si stanno delineando due grandi areali: il primo in cui la persona è al centro ed il secondo in cui è sacrificabile. Non essendo né un economista né un esperto di geopolitica evito di addentrarmi troppo in questo delicatissimo argomento, c’è un fattore però, legato ai nuovi contesti, che è sotto gli occhi di tutti e che, volenti o nolenti riguarda tutti. L’imperialistico Regno Unito inneggia al darwinismo sociale mentre la Repubblica Popolare Cinese, lontana dalla democrazia e dai diritti umani, invia aiuti sanitari (negati in principio dagli “amici” dell’Europa; n.d.a.), denaro e personale medico e paramedico all’Italia, uno dei paesi maggiormente colpiti dall’epidemia. Una tragedia globale come quella di oggi porterà a riflessioni profonde riguardanti l’intera umanità e questo è positivo, l’uomo
dovrà tornare al centro e la musica avrà, a mio avviso, un ruolo fondamentale per la riscoperta dei veri valori. I falsi profeti delle nuove correnti musicali (sostenuti dai talk show e dai talent), i profeti del cinismo, del becero ed irritante edonismo mediatico, del disprezzo delle regole sociali, lasceranno il posto a chi intonerà inni alla vita e alla morte e racconterà dell’uomo, della sua esistenza, della sua anima, del suo cuore, domande queste che portano ad un’unica vera riflessione: per cosa veramente vale la pena vivere? Tutto ciò, in modo straordinario è stato testimoniato in questi ultimi giorni: il “coinvolgimento digitale” di centinaia di artisti e musicisti noti (e sconosciuti) al grande pubblico che, rigorosamente dalle loro abitazioni, hanno lanciato un grido di solidarietà per vincere la guerra che ognuno di noi è chiamato a combattere. Sangiorgi (Negramaro), Jovanotti, Bocelli, il Blasco Nazionale, Ligabue, Ferro, Sarcina (Vibrazioni), Agnelli (Afterhours), Britti, Pinguini Tattici Nucleari (intervistati da noi di Betapress a maggio 2019; n.d.a.) e moltissimi altri (che vi invito a vedere martedì 31 marzo alle 20.30 su RAI 1 ed in streaming; n.d.a.) hanno lanciato una campagna di raccolta fondi per il Sistema Sanitario Nazionale e per la Protezione Civile. Il mondo dell’arte e della musica oggi ci stanno consegnando un messaggio forte di solidarietà: la persona al centro! Ridisegnare la mappa dell’intrattenimento musicale e della discografia sarà una sfida che ci
auguriamo possa iniziare al più presto perchè il dramma che ci sta affliggendo non sia capitato invano. Ma allora cosa serve veramente in questi giorni di isolamento? Qual’è il ruolo della musica in questo triste momento? Quanto importante sarà la musica e l’arte in un futuro, speriamo prossimo, di ripresa? Chi guardare (ed ascoltare) allora? Dobbiamo guardare ed ascoltare artisti che ci tocchino il cuore, dobbiamo guardare a chi parla di me, di te, di quel che sono io, di quel che sei tu. Una cara amica anni fa mi chiese di accompagnarla all’Alcatraz di Milano ad uno dei primi concerti da solista di Robert Plant (storico frontman dei Led Zeppelin; n.d.a.) e la cosa che mi colpì, oltre al sound devastante e l’incredibile presenza scenica, fu guardare ed ascoltare la straripante bellezza e la profondità dei pezzi proposti e cantati con una voce struggente. Alla fine lo incontrammo nel backstage per un breve dialogo e Plant ci accolse cordialmente rispondendo a tutte le nostre domande… un grande! Il mio augurio è che in questo momento di autoisolamento domiciliare si possano riscoprire gli Artisti veri, quelli con la “A” maiuscola: Artisti, Cantanti, Musicisti… da guardare! Vi lascio con un brano scritto pochi giorni fa “per me e per te”, per il dramma di tutto il popolo italiano, dal leader degli U2, Bono Vox: “Let Your Love Be Know”.
https://www.youtube.com/watch?time_continu e=20&v=m8esAuYRyYI&feature=emb_logo Perth PERTH GIOVANNI SUCCI: “CARNE CRUDA A COLAZIONE” “Bazzico festival prestigiosi e circoli anonimi con progetti assurdi per chiunque altro”… questo è Giovanni Succi! Sacha Tellini lo ha intervistato in esclusiva per BetaPress. Ciao Giovanni, il 20 Settembre scorso è uscito il tuo ultimo album di inediti, “Carne cruda a colazione”. Il titolo rappresenta molto lo spirito che hai messo nel realizzare i brani, crudi e decisamente amari, talvolta conditi con un pizzico di velata ironia. Come mai la scelta di un linguaggio
così deciso per mettere nero su bianco i testi delle tue canzoni? Mi fa piacere che si noti, scrivo così da vent’anni. Nei Bachi Da Pietra (Succi è cofondatore della band noise alternative; n.d.r.) porto il mio stile all’estremo, se ti piace te li consiglio. L’uso di un linguaggio così graffiante è anche un modo per volersi distinguere dai testi di alcune canzoni che, al giorno d’oggi, risultano essere troppo spesso “accomodanti”? Le canzoni accomodanti sono sempre esistite perché piacciono a tutti. Non si può dire lo stesso delle mie, ma non sono frutto di un brillante piano per distinguermi. Sono io. Come nasce questo album? Proprio dalla percezione che questi pezzi non rientravano nel mondo dei Bachi Da Pietra. Quindi insieme a Ivan Antonio Rossi abbiamo lavorato, come su “Con ghiaccio”, per fare in modo che la differenza fosse netta anche nella forma. “Algoritmo”, seconda traccia del tuo album, propone un’invettiva contro le logiche che dominano le piattaforme odierne sulle quali è possibile ascoltare musica. Pensi che l’utente non abbia alcun potere decisionale rispetto a quello che è il consumo musicale? Non è un’invettiva, è una fotografia, come nel video di Luca Deravignone. Penso che l’utente abbia pieni poteri, ma ci rinuncia volentieri, non ha più voglia di cercare, c’è troppa roba, lascia fare all’algoritmo che decodifica l’artista, lo giudica, lo etichetta, lo colloca. Proprio come fa con l’ascoltatore. Qual è la tua visione del panorama musicale contemporaneo? Dall’alto della mia collina in provincia di Asti, al centro del mondo, mi pare che il tutto conviva con il tutto, rigorosamente collocato dentro nicchie perfettamente etichettate. Se esposte al grande pubblico, le nicchie si gonfiano, durano per un po’, esplodono e poi si ammosciano. Oppure diventano monumenti e la gente ai monumenti chiede solo che stiano fermi.
Come definiresti, da un punto di vista degli arrangiamenti musicali, il tuo ultimo lavoro? Per onestà io lo definirei pop, ma mi dicono dalla regia che tutto quello che sfioro, anche solo di passaggio, diventa rock. Mi resta un’ombra di dubito. Allora mi mettono su uno dei Melliflui a caso e mi dicono: – ecco, senti, questo è pop! – Ah. Ok. Rock. “Carne cruda a colazione” arriva dopo il tuo primo album,”Con ghiaccio”, pubblicato nel 2017. Quanto è cambiato Succi nel corso di questi due anni? Non moltissimo, ma pensa che “Con Ghiaccio” arrivava dopo “Necroide” dei Bachi Da Pietra, per chiunque altro sarebbe follia. So bene che il pubblico premia chi conferma le certezze rimanendo sempre uguale. Nel mio caso la certezza è che posso portarti da Black Metal Il Mio Folk ad Algoritmo senza perdere la rotta. C’è una canzone dell’album alla quale sei più affezionato? Se sì, qual è? Per quale motivo? “Meglio di niente”, l’ultima nata del pacchetto Carne Cruda. Una canzone di cui sconsiglio l’ascolto, se non in determinate condizioni, tutte antisociali. Chi è oggi, musicalmente parlando, Giovanni Succi? Un grande. Quali sono i tuoi progetti futuri in ambito artistico? Campare almeno fino alla morte, poi si vedrà. TRACKLIST 01_Povero zio 02_Algoritmo 03_Grazie per l’attesa 04_I melliflui
05_Cabrio 06_Arti 07_La risposta 08_Grigia 09_Meglio di niente 10_Balene per me *bonus track https://www.youtube.com/watch?v=Qni4-DjXng4 Sacha Tellini SCOTT STAPP: The Space Between the Shadows Non credo si possa coscientemente dire che oggi il Rock sia ancora del tutto vivo e vegeto, soprattutto quello degli anni ’90 legato a sonorità in netto contrasto con quelle del decennio precedente ma con una potenza di suono ed una lucidità di idee che ha portato band come BLACK STONE CHERRY (vedasi Betapress Music novembre 2018), NICKELBACK, ALTER BRIDGE e CREED a rivoluzionare la scena musicale alternative. E non credo sia nemmeno possibile, facendo un breve tour tra le emittenti radiofoniche nazionali e locali, comprendere a fondo il motivo che spinge gli ascoltatori ad impantanarsi con (sedicenti) artisti che sono tra le cose più lontane dall’arte musicale.
L’Auto-Tune (Software per manipolazione audio che permette di correggere l’intonazione o mascherare errori ed imperfezioni della voce; n.d.a.) imperversa sovrano e la discografia non è in grado di proporre artisti giovani e creativi che possano “tenere viva la fiammella” del Blues, del Rock e del Pop, ma non voglio dilungarmi troppo in questioni oramai note. Scott Stapp, ex leader dei CREED, è un esempio luminoso di come un artista possa continuare a ribadire come il Rock sia vivo, rifiutando di chinarsi ai dettami degli standard del mercato discografico. The Space Between the Shadows è il terzo album solista di Stapp che si è rilanciato dopo due lavori opachi: The Great Divide e Proof of Life (quest’ultimo, a dire il vero, contiene un ottimo pezzo autobiografico: Slow Suicide; n.d.a.). Ad aprire le danze World I Used To Know, che fa ben sperare i fans di Stapp (tra cui il sottoscrittto; n.d.a.), la successiva traccia Name e la traccia conclusiva Last Hallelujah sono due ballate potenti, due canzoni che si cantano a squarciagola con una buona dose di brividi. “I am a son without a father”è il refrain martellante di Name, quasi a richiamare l’attenzione sulla nuova vita artistica di Scott. Immediatezza anche per il singolo Purpose For Pain con riff accattivanti, il groove incalzante rende assai difficile a questo punto dell’album non desiderare di poter vedere Stapp dal vivo. La voce di Stapp rimane una sorpresa positiva, sembra non sia passato un giorno dai tempi di My Own Prison, Human Clay e Weathered (album dei CREED rispettivamente del 1997, 1999 e 2001; n.d.a.) ed il livello dei testi è assolutamente alto, degno di un grandissimo poeta. Tornando a The Space Between the Shadows, le tracks Survivor, Red Clouds e Gone Too Soon sono pezzi assolutamente convincenti e qualora ci fossero ancora dei dubbi sulla qualità dell’album, Mary’s Crying li fuga tutti. Le rimanenti song (Heaven In Me, Wake Up Call Inside, Face Of The Sun Side e Ready To Love) sono pienamente inserite nel lavoro di Stapp, con sonorità e melodie studiate a tavolino che ammiccano ai fans della “Post Grunge Generation”. Concludendo vi posso dire che Stapp è finalmente tornato e con The Space
Between the Shadows ha posto un solido paletto tra lui ed i suoi detrattori (quasi sempre adoratori di Myles Kennedy degli ALTER BRIDGE; n.d.a) e fa ben presagire per il futuro di questo artista, a cui tutto si può rimproverare ma non di aver trascurato l’amore per i fans ed il vero puro e glorioso Rock‘n’Roll! Tracklist dell’album 1. World I Used To Know 2. Name 3. Purpose For Pain 4. Heaven In Me 5. Survivor 6. Wake Up Call Side 7. Face Of The Sun Side 8. Red Clouds 9. Gone Too Soon 10. Ready To Love 11. Mary’s Crying 12. Last Hallelujah https://www.youtube.com/watch?v=wDRQXrRtE5M
Perth UN THE CON SKARDY: la musica del cuore. Marghera (Venezia), mercoledì 31 luglio 2019 ore 18.30, Skardy mi indica il Bar accanto al palazzo del Municipio. Ci sediamo in un tavolino nel dehor… “un the caldo, grassie” ordina alla cameriera. Inizia così la lunga intervista con una delle leggende della musica italiana, anzi, venessiana. L’ultima volta che ebbi la fortuna di bere un drink con Skardy era il lontano 1994 quando io, giovane universitario, mi dilettavo nell’organizzazione di concerti e di eventi live. All’epoca la musica era veramente “da piazza” e quell’estate ricordo che Prato della Valle a Padova era gremita di persone. Il lettore perdoni frasi e battute in dialetto veneto che indicano la genuinità di Skardy e che permettono una comunicazione più diretta. PERTH: Ti ho richiesto questa intervista perché innanzitutto è un onore poterti rivedere dopo più di vent’anni e soprattutto perché, come pochi altri artisti, ti ritengo, un vero e proprio punto di riferimento nella scena musicale italiana, mi riferisco alla vera arte e libera creatività, oggi invece è come se la gente fosse drogata dalla falsità di proposte musicali costruite a tavolino, una grande mercificazione di talenti usa e getta. Puoi dire ai lettori di Betapress.it cosa ne
pensi? SKARDY: Fondamentalmente credo che il mondo dell’arte e dello spettacolo sia gestito in modo ignobile, la musica è degradata da una certa politica non solo a livello locale ma “dirìa a livèo mondial”, e non conoscendola fino in fondo l’arte, il potere riduce tutto a “fumo, lustrisini, pajette ma poca sostansa”, ecco, questo è quello che penso. PERTH: Il Veneto è una Regione magnifica, ma a volte l’opinione pubblica, fomentata da una certa politica, mostra il popolo veneto come persone legate al denaro e ai propri interessi da difendere con la spada. Come la musica che tu hai proposto in tutta la tua carriera ha mostrato invece il vero spirito veneto? SKARDY: Il genere umano sta dimenticando la propria umanità per correre dietro al mito della ricchezza e del lusso, perché di questo si tratta, non si tratta del benessere! Il Veneto, come l’Italia, è un Paese che ha conosciuto il benessere e l’ha gettato via nella speranza di ottenere qualcosa in più. Cosa si è ottenuto distruggendo un intero sistema sociale che, pur con tutti i suoi peccati e limiti era alla base dell’armonia tra le persone? Si è ottenuto un cambio di potere, si è insediato un sistema cannibale sia dal punto di vista economico che sociale: le categorie dei più ricchi si mangiano quelle dei più poveri e di conseguenza abbiamo un mondo che, anche senza essere in guerra fisica, però è in una sorta di guerra tra individui e tra popolazioni. Prova a pensare all’ostilità che c’è adesso non solo tra le Regioni del nostro Paese ma nei confronti di popolazioni di altre etnie, trent’anni fa questo discorso non stava in piedi, anzi chi veniva da altre parti del mondo veniva considerato come un’opportunità e una ricchezza da cui trarre vantaggio. La mia musica, declinata in dialetto veneto, ha sempre tentato di comunicare con ironia questa denuncia contro la diseguaglianza sociale. Sicuramente lo spirito veneziano mi è rimasto e cerco ancora di trasmetterlo perché vedo che sta perdendosi nella storia, quando io giro per Venezia sento la gente che non è più la stessa gente che io ho conosciuto quando ero ragazzino o bambino addirittura. Il veneziano che conoscevo io era un veneziano che nell’esprimersi era una barzelletta, era una persona che trasmetteva talmente tanti modi di dire e talmente tanto umorismo che ti segnava. Al giorno d’oggi la gente parla in maniera quasi “da ufficio”, le barzellette da bar sono morte da 20 anni, vuol dire che lo spirito umano, originario,
non solo quello veneziano, ma proprio lo spirito umano ha avuto dei danni, come ha avuto dei danni questo pianeta per opera dell’uomo e l’opera dell’uomo ha prodotto dei danni anche all’uomo stesso. PERTH: Incontri molti giovani, sia al lavoro (Skardy lavora come “bideo” in una scuola di Venezia; n.d.a.) che ai tuoi concerti, cosa chiedono alla musica i giovani? Solo divertirsi oppure c’è dell’altro, secondo te? SKARDY: Il mondo dei giovani è molto variegato, ci sono figli di generazioni che hanno avuto educazioni musicali diverse, i figli dei rockettari hanno ancora una certa predisposizione ad ascoltare la musica prodotta da musicisti e strumenti “manuali”, chi è cresciuto senza una cultura musicale, una cultura alla “bellezza artistica”, con genitori interessati a discoteche o ambienti in cui la musica elettronica, ha sostituito il vero sound, è più ricettivo ai suoni sintetici e quindi a quella musica che io chiamo “musica chimica”, prodotta dal computer. La maggior parte dei ragazzi di oggi ascolta ed è più attratta dalla musica chimica che dalla musica suonata, questo è grave perché, per quanto sia prodotta bene e per quanto ci voglia bravura a produrla, la musica cosiddetta “chimica” non avrà mai lo stesso effetto di uno strumento naturale. (Rimango sempre impressionato da questo refrain che peraltro i lettori di Music conoscono molto bene. Tutti gli artisti veri e Skardy è uno di questi, hanno a cuore la musica vera, non il prodotto di un potere che annulla le coscienze propinando una musica “usa e getta”, una musica “chimica”; n.d.a.) PERTH: La “musica chimica”, come la definisci tu, può essere definita arte? SKARDY: Per quanto sia perfetta la musica chimica trasmetterà sempre freddo, non come la musica suonata, la musica che ha bisogno di musicisti capaci! Io cerco sempre di fare quest esempio: sappiamo tutti quanto è buona la pizza cotta nel forno a legna, se tu mangi la pizza preconfezionata è ugualmente buona, ma non come la pizza cotta nel forno a legna. E quindi la musica elettronica la musica “chimica” sta alla pizza surgelata, come la musica suonata sta alla pizza originale. Faccio un esempio sconcio: “el vibrator xè sempre duro, ma il casso xè de carne” (Qualche amico veneto direbbe: “pura poesia”; n.d.a.). Nel senso che la musica elettronica “gà el so spessor ma no gà el caòr che gà ea musica sonada”. Al giorno d’oggi ben pochi ragazzini recepiscono questa differenza, forse se ne renderanno conto quando avranno 40 anni e capiranno cosa può essere definita arte. Io verso i 40/50 anni ho iniziato a recepire questa differenza, molto pesante, tra la musica
costruita negli ultimi vent’anni e quella che c‘era prima, che magari suonava peggio ma dava più calore. Una sera ero in auto di ritorno da un concerto con Elio, ascoltavo la radio e sento un brano di un trapper di oggi e mi dicevo: non mi piace ma senti che potenza di suono, cambia il brano e parte “Smells Like Teen Spirit” de Nirvana, che nemmeno mi piacciono tanto, eppure ho sentito subito che il sangue ribolliva… ho ripensato ancora una volta all’importanza della musica suonata. PERTH: La tua storia artistica è molto lunga e piena zeppa di collaborazioni importanti con cui hai condiviso la tua musica “made in veneto”, ci racconti qualche aneddoto? Non so Elio e le Storie Tese, piuttosto che Paolo Belli… SKARDY: Con Elio e le Storie Tese ho fatto le ultime (e definitive, due anni fa; n.d.a.) quattro date. Penso che con la fine del loro gruppo sia finito l’ultimo dei veri grandi gruppi italiani, dei veri e propri “maestri”. Se li guardi tutti, uno per uno, sono grandissimi musicisti, gli ultimi, mi vien da dire, perché se si pensa ai musicisti di adesso per prima cosa non militano in band poi sono tutti cantanti con il DJ che sintetizza e masterizza dietro alla voce ed infine ci sono i musicisti che fanno i turnisti e che suonano di tutto e con tutti. E’ un disastro. Dal Rock &Roll agli anni ’90 c’è stato fermento, oggi la musica è un disastro. Elio inoltre ci ha insegnato soprattutto come si realizzano i dischi e come ci si rapporta con il mondo discografico, anche se gli aneddoti più curiosi risalgono ai tempi in cui i Pitura Freska neanche esistevano, perché andavo a “imbragarme zente che jera parechio in alto” nel senso ad esempio che siamo andati a battere sulla macchina di Jimmy Cliff (famoso cantante reggae giamaicano; n.d.a): c’era Jimmy seduto in auto che si allenava con i bonghi e noi siamo andati lì a battergli sulla macchina, a suonare con lui…a rompere i coglioni alla gente famosa. Inoltre mi piace ricordare personaggi che avevano una certa autorevolezza artistica e che per primi ci dicevano “guarda che quello che state facendo è bello, ha un valore!” Mentre il resto della “plebaglia” disprezzava quello che facevamo, c’erano persone tra cui pittori, scrittori, anche docenti universitari, professionisti del mondo dello spettacolo che ci dicevano: “Beo! Bravi! Continué!” anche se il resto del mondo, soprattutto la critica musicale, ci considerava sotto il livello… animale. Questa è una questione importante: quando cerchi di portare un gruppo o un cantante alla ribalta la prima cosa che ti arriva sono le bastonate, nessuno viene a domandarti: “Cossa ti xè drio fàr, fame scoltàr”, no, invece ti dice “sta roba ea fa schifo!” La gente all’inizio non accetta la novità.
PERTH: Però avete avuto parecchio successo! SKARDY: Certo! Ma ce lo siamo conquistato sulla strada, non facendoci aiutare dalle Major o da grandi produttori, siamo stati attaccati anche dalla parte più povera della popolazione, che ci dava dei “venduti” pensando che fossimo oramai in mano alla discografia che conta. Invece no, siamo sempre rimasti indipendenti e siamo andati avanti per la nostra strada. PERTH: Quale è stato il momento esatto in cui ti è stato chiaro che da Marghera avresti potuto calcare i palchi di tutta l’Italia? SKARDY: A San Siro quando ho visto Bob Marley (the King of Reggae; n.d.a.), quando mi è venuta in mente questa equazione, che è stata semplicissima, fulminea e geniale. Mi ricordavo un po’ l’inglese, avendolo studiato alle scuole medie, avevo 20 anni, ero a San Siro a vedere un concerto di Bob Marley, quando mi sono reso conto che parlavano l’inglese allo stesso modo in cui noi veneziani parliamo italiano, ho pensato: questo genere musicale è perfetto se ci canto sopra in veneziano e lì è iniziato tutto. Chiaro che mi ci è voluto del tempo per imparare a scrivere, per modulare i testi a seconda della musica, però se ti piace ti viene automatico e quando sono riuscito a scrivere due, tre canzoni e le ho fatto ascoltare ad alcuni amici con cui suonavamo assieme, mi hanno detto “però… potrebbe funzionare!” Avevamo una sala in cui provavamo, con il bassista abbiamo iniziato a istruire un gruppetto, siamo riusciti ad esordire qui davanti in questa piazza (Piazza del Municipio di Marghera; n.d.a.) nella rassegna “Marghera estate” del 1985. E da lì è iniziato tutto, perché quando hanno visto che nelle piazze attiravamo un buon numero di ascoltatori, iniziavano a chiamarci in tutti i locali e dove andavamo facevamo il “pienone”. Nel 1987 siamo tornati qui in piazza a Marghera i bar quella sera hanno esaurito tutte le riserve alcoliche (ride). PERTH: A Padova nel ’94 avete fatto 20.000 persone, ricordo che c’era il Comune molto preoccupato per la sicurezza. Mi hai già risposto per la gran parte, comunque cos’è la via di San siro nella quale sei stato illuminato un po’ come Joliet Jake Blues, alias John Belushi, nel glorioso film Blues Brothers? Forse quando ti sei imbattuto con il Re del Reggae? SKARDY: Sì infatti, io avevo già preso una bella “spettenada” l’anno prima quando mi hanno invitato a vedere Peter Tosh (altra leggenda del Reggae
giamaicano; n.d.a.) che non conoscevo. All’epoca il reggae non mi piaceva, ascoltavo Led Zeppelin, Deep Purple, Santana, Pink Floyd. Alcuni amici mi convinsero ad andare al concerto di Marley a Bologna, era il 1979. La Band si è presentata sul palco con 15 elementi, una mini orchestra. Mi è piaciuto! Era un misto tra un concerto di Santana, un concerto di Funky, un concerto di Rock, non capivo bene cosa fosse, però mi piaceva. La Band “pestava”, aveva un groove pazzesco, tremendo. Sono uscito contento e mi sono ricreduto sul Reggae, suonato così mi piaceva molto. Stessa cosa per il concerto di Bob Marley! Prima del concerto si esibirono dei gruppi che non ebbero grande successo (si beccarono “ortaggi” in faccia), la terza band fu quella di un tale di nome…Pino Daniele! Anche lui prese solamente qualche applauso ma quando uscì Bob Marley esplose lo stadio. Cos’è che mi ha fatto andare fuori di testa? Che rispetto ad altri concerti a cui ero stato qui la gente non era seduta al suo posto in posizione yoga a guardare un palco, qui la gente ballava, saltava, si muoveva, è diverso, capisci? Se io sono seduto qui e vedo a 20/30 metri una “fìa che me piase” difficilmente mi alzo e vado a sedermi vicino a lei, ma se sono in piedi e sto ballando, posso avvicinarmi e con una scusa fare conoscenza. Finito questo concerto uno di noi disse: “Fioi doman ghe xè i Led Zeppelin a Zurigo, nemo?!” Sono andato e tornando dal concerto dei Led Zeppelin ho pensato che se dovevo scegliere avrei scelto Bob Marley… notare che i Led Zeppelin mi piacevano molto! PERTH: Volevo farti una domanda relativa ai Pitura Freska, da quello che so tu non hai mai avuto piacere di dire perché è finita, tranne quello che scrivi nel sito e nei vari blog, la verità è che era finita un’epoca con loro? SKARDY: La realtà è che il gruppo aveva iniziato in una direzione e poi è stato portato in un’altra, perché essendo tanti musicisti, ognuno voleva dare al progetto una propria direzione, qual è il segreto, secondo me? Quando hai preso una direzione e sei su una linea, devi continuare a seguirla, perché i Rolling Stones sono ancora vivi? Perché a loro piace quel genere e continuano a proporlo. PERTH: Grande Bidello a mio avviso è un vero capolavoro. Un’opera che, con la consueta ironia che ti contraddistingue annienta i reality, vedi Grande Fratello, farai un pezzo anche contro i Talent? SKARDY: Ma non ci penso proprio, ormai considero la televisione come la preistoria dell’intelligenza umana. Quando accendo la televisione e vedo che
vengono trasmessi film degli anni ’40 e ’50, mi sembra di tornare a quando ero piccolo negli anni ’60 e probabilmente la gente era più intelligente di adesso, di conseguenza non posso parlare male di una cosa che ormai per me è il male già in partenza, c’è ben poco che salvo della televisione. Una volta guardavo “BLOB”, ora nemmeno quello, perché una volta facevano vedere il meglio e il peggio, ora vedi solo il peggio e mi fa paura. Il meglio è nascosto. Inoltre credo che non serva, perché ormai la gente è orientata a questa insulsa mentalità e se io vado a toccare questi idoli vuoti, sono un alieno. PERTH: Nella canzone Firulì Firulà dici di sentirti di un altro pianeta, intendi questo essere un alieno? SKARDY: Ritorno a quello che ho detto all’inizio, non trovo più l’umanità che trovavo 30/40 anni fa, perché ormai non contano più né le parole, né quello che trasmetti come persona, ma contano i like sul telefono, contano i social, internet e tutto il resto e di conseguenza uno si sente già estromesso dal mondo se non vive dentro questo schema, se ti faccio vedere il mio telefono costa 20 euro, è mezzo rotto e non me ne frega niente di social ecc…, ovviamente essendo artista ho chi lavora per me e li segue, perché devo essere presente altrimenti iniziano a pensare che io sia morto, ma queste cose non sono la mia priorità. Ritengo che internet non venga usato nella maniera corretta secondo lo scopo per cui era stato pensato, un po’ come per tutte le scoperte o le correnti filosofiche o di pensiero, nascono per un intento e poi ne viene modificato lo scopo, Cristo ha dato vita al Cristianesimo e poi ne hanno fatto un’arma di guerra, Marx ha pensato il comunismo e poi hanno dato vita invece a uno stato militare. E’ sempre così.. si parte da uno scopo buono, poi la corruzione dell’uomo distrugge tutto. PERTH: so che stai pensando ad un nuovo disco e spero di poterlo recensire quanto prima ma parlando di uno dei tuoi ultimi lavori è stata la rivisitazione in chiave Raggae del famoso brano “Centro di Gravità Permanente” di Franco Battiato. Qual è per Skardy il “Centro di Gravità Permanente” che gli permette di stare di fronte alle situazioni che vediamo tutti i giorni e di cui hai appena accennato? SKARDY: “Speremo de inissiar el novo disco”… dovrebbero iniziare le registrazioni dopo l’estate. Per quanto riguarda il “Centro di Gravità Permanente”, è un bel problema perché mi sembra di essere diviso continuamente in due pianeti: c’è il pianeta in cui stai bene, fai quel che ti piace e
il pianeta in cui sei costretto a fare cose che non vorresti fare; io ho 60 anni e sono ancora costretto a lavorare! A 60 anni hai oramai dato tutto quel che potevi! Questo è il pianeta che non mi piace. Qual è il mio pianeta, il mio “Centro di Gravità Permanente”? Stare a casa mia, ascoltare la mia musica, andare in giro a suonare, cucinare, mi piace cucinare e avendo la moglie straniera ho dovuto imparare se volevo mangiare come dalla mamma (ride). PERTH: Rifarai “Menarosto” la rubrica di cucina? SKARDY: No, preferisco dedicarmi alla musica, stimolare la gente ad avere ancora interesse per la musica “suonata”, perché ritengo che la musica faccia bene, sia salutare, anche se si dice che non dia beneficio immediato, io credo che permetta un beneficio psichico e credo che il motivo per cui la gente peggiora nei rapporti, nella vita, sia che manca il beneficio psichico che dà la musica. Forse oggi con te ho parlato un po’ da matto, perché salto da Mercurio a Plutone… il mio difetto principale è di non essermi mai adeguato ai tempi odierni, parlo ancora come fossi negli anni ’70, perché il mondo doveva migliorare, se è peggiorato non è colpa mia e non vado certo a peggiorarmi per adeguarmi al mondo. Siamo in una società che ha l’obiettivo del beneficio immediato e questo vale anche per la musica, la vera ricchezza si crea nel tempo, nell’immediato puoi solo far contento qualcuno… “desso vago casa che gò da cusinàr, ciao”. PERTH: Skardy, ti ringrazio, ciao. PERTH
Perth https://www.youtube.com/watch?v=KsCdxXtgN9o MODENA CITY RAMBLERS: “RIACCOLTI”. Eccoci qua cari lettori. Non credo servano commenti quando si ha la fortuna di poter incontrare una Band che ha realmente fatto un pezzo di storia della musica italiana e sottolineo musica! Grandissimi musicisti che non hanno voluto piegarsi alle bieche regole dell’industria discografica ma leggiamo cosa ci raccontano Davide “Dudu” Morandi e Francesco “Fry” Moneti dei Modena City Ramblers. PERTH MODENA CITY RAMBLERS: “RIACCOLTI”. 1) Allora ragazzi, questo tour prende vita dal vostro ultimo lavoro, l’album “Riaccolti”, nato come vero e proprio omaggio al ventennale del vostro storico album acustico “Raccolti”. Com’è nata l’idea di incidere questo album e cosa rappresenta per voi ? “L’idea di questo nostro lavoro non nasce, dal principio, per celebrare l’album
“Raccolti”, motivazione che è arrivata in corso d’opera: avevamo voglia di fare qualcosa di veramente acustico, riproponendo quel suono che era una caratteristica di questo gruppo all’inizio della sua carriera. Dopo aver spinto per tanto tempo, sul palco, con chitarre elettriche e batterie, avevamo l’esigenza di “asciugare” il nostro suono, riproponendo qualcosa di diverso: visto che l’anno scorso era il ventennale di “Raccolti”, abbiamo quindi deciso di unire le due cose e di dar vita questo progetto. Ci siamo ritrovati allo Studio Esagono di Rubiera, uno studio che per molti anni è stata la nostra seconda casa e che ha riaperto da poco i battenti dopo un periodo di chiusura, e lì abbiamo cominciato a incidere il nuovo album. Sicuramente anche questo è stato un modo per riavvicinarci alle nostre origini.” 2) A cosa si deve la scelta di organizzare una campagna di crowfunding per la pubblicazione del cd? E come mai avete deciso di tornare nei live club per promuovere il vostro lavoro? “Per quanto riguarda la scelta di utilizzare il crowfunding, non sentiamo di aver fatto niente di particolarmente nuovo: oramai viene ampiamente utilizzato anche in ambito discografico, anche se per noi è stata la prima volta. Ci è piaciuta l’idea di utilizzare questo strumento per fare qualcosa insieme ai nostri fan, oltre ad avere noi la possibilità di fare qualcosa che fosse, dall’inizio alla fine, completamente indipendente: finora ci era mancata soltanto la distribuzione dei nostri lavori, ma grazie a questa raccolta fondi, siamo riusciti a fare anche questo passaggio. Per quanto riguarda la dimensione dei club invece, noi in questo tipo di realtà ci siamo sempre stati, solo che, in genere, ci fermavamo dopo un tour estivo per ripartire a Marzo dell’anno successivo, in occasione delle feste di San Patrizio. Era molto tempo che non suonavamo quindi d’inverno, in special modo nei piccoli club, con 300/400 posti a disposizione: questa dimensione più intima ci mancava, quindi abbiamo deciso di riabbracciarla, facendo ritorno in quei club che ne offrono la possibilità. Oltre a questo, ci piace portare il nostro contributo a queste realtà con le quali siamo molto solidali, c’è molto bisogno, in Italia, di luoghi in cui poter fare musica dal vivo, però chi, al giorno d’oggi, decide di aprire un club, sa bene che non sono tutte rose e fiori. Oggi molte realtà di questo tipo stanno purtroppo chiudendo, soprattutto i club di medie e grandi dimensioni, un tempo il problema, almeno nelle grandi città, per una band, era quello di decidere dove andare a suonare, data la vastità dei posti disponibili. Ci dispiace, a questo proposito, dover ricordare come a Pordenone abbia da qualche anno chiuso un
club storico che a noi ci ha ospitato tantissime volte, il Deposito Giordani, lasciando una città come Pordenone orfana di posti in cui potersi esibire dal vivo.” 3) Com’è cambiato, in generale, il rapporto che avete con la musica nel corso della vostra carriera ultraventennale ? A proposito della vostra carriera, come vede la vostra band, che di gavetta ne ha fatta tanta, i nuovi prodotti musicali partoriti oggi dalla televisione ? “Beh, diciamo che siamo molto curiosi di seguire tutti i cambiamenti propri della sfera musicale, tutte le sue evoluzioni. Forti dei 27 anni di storia che abbiamo alle spalle, siamo coscienti del fatto che possiamo permetterci di sperimentare avendo sempre uno zoccolo duro di pubblico che ci segue e apprezza i nostri lavori. Se è vero che è cambiato il modo di fare e di proporre musica, è anche vero che è cambiato il modo di arrivare a fare musica: fra talent show, reality e altri format mediatici, un artista non viene più giudicato solo dal punto di vista del prodotto, che da questo punto di vista si ritrova ad essere “costruito”, per far fronte a tutta una serie di esigenze che certe trasmissioni impongono. Se si è perso l’attitudine a fare canzoni che siano rilevanti da un punto di vista politico e/o sociale, è anche perché per arrivare a scrivere determinati testi, devi necessariamente avere un certo percorso alle tue spalle . Ci sono, ovviamente, ancora tanti artisti che vogliono continuare a fare questo tipo di musica, però diventa difficile per loro, al giorno d’oggi, trovare dei posti in cui suonare: se ogni anno ci sono 70/80 artisti nuovi, è difficile riuscire a ritagliarsi il proprio spazio. E come riesci non appena l’hai ritagliato, rischi di essere già “vecchio”: basti pensare al fenomeno indie- rock, artisti importanti che qualche anno fa richiamavano ai concerti grandi numeri di spettatori, sono completamente spariti. D’altra parte, i fan hanno bisogno di essere “fidelizzati”, crescendo insieme a te: se un giorno diventi grande senza essere mai cresciuto, è difficile pensare di esserti costruito un solido rapporto con i tuoi fan (e questo rapporto è molto limitato nel tempo nel magico mondo dei talent show; n.d.r.).” 4) Quali sono gli ingredienti che contribuiscono ancora al vostro successo ? “Questo non lo sappiamo. Cerchiamo di proporre qualcosa che, nel farlo, entusiasmi anche noi: se mentissimo, non saremmo affatto credibili, e chi ci segue presto se ne accorgerebbe. Non abbiamo nessuna formula magica da rivelare, anche perché, se così fosse, lo avremmo già fatto.”
5) Che cosa dobbiamo aspettarci da questo tour ? “Sarà un tour acustico, e al tempo stesso, decisamente energico. Proporremo dei brani che è da qualche tempo che non facciamo più live, ma che ad ogni concerto ci vengono chiesti a gran voce: è arrivato il momento di riproporli. Ci sarà la nostra solita energia di sempre ad accompagnare i nostri concerti.” 6) Quali sono, per concludere, i progetti futuri della band dopo il tour ? “Non abbiamo programmi per adesso, e, per fortuna, non siamo neanche costretti ad averli. Lavorando in un regime di totale indipendenza, possiamo più o meno fare ciò che vogliamo, senza dover rispondere a nessuna logica commerciale, a differenza di altri nostri colleghi. Ad esempio, una band che stimiamo e con la quale siamo molti amici, cioè i Negrita, dopo il festival di Sanremo non ha potuto decidere in autonomia cosa fare: c’è stato chi ha scelto per loro, e loro hanno dovuto eseguire. Quello che continueremo a fare è sicuramente tanta, tantissima musica, anche dal vivo: sono pronte alcune date estive che ai aggiungeranno a quelle già annunciate di questo tour, e che ci porteranno a giro per tutta Italia. Vi aspettiamo.” PERTH e SACHA TELLINI https://www.youtube.com/watch?v=yXkK_lnnTvU MCR: Live presso lo Studio Esagono di Rubiera (RE) durante la registrazione di “Riaccolti” Pinguini Tattici Nucleari: Noi,
“Fuori dall’Hype” per vocazione. Carissimi lettori, inizia oggi, venerdì 17 maggio 2019, la collaborazione esecutiva con Rockography, come già comunicato le scorse settimane. E’ un passo in avanti, è una storia tutta nuova fatta di musica, di informazione e innanzitutto di “amicizia operativa” con la redazione di Rockography e nello specifico con uno dei giovani giornalisti più promettenti: Sacha Tellini. Recensioni, interviste approfondimenti e rivelazioni di tutto quel mondo musicale italiano ed estero che può definirsi ancora “ARTE”! Abbiamo abituato i lettori di MUSIC a dettagliati reportage e linee editoriali chiare con l’obiettivo di farvi conoscere il pensiero e la musica di molti Artisti (con la “A” maiuscola) lontani da tutta quella finzione commerciale che domina i social ed i media (la televisione in primis). Abbiamo intervistato Riccardo Zanotti, leader e cantante dei Pinguini Tattici Nucleari prima del loro concerto all’Auditorium Flog di Firenze, una delle band più promettenti del panorama pop/indie italiano. Buona lettura. PERTH Pinguini Tattici Nucleari: Noi, “Fuori dall’Hype” per vocazione. Allora, partiamo dalle origini: come nascono i Pinguini Tattici Nucleari ? “Beh, probabilmente come sono nate tante altre band. Eravamo un gruppo di amici, che un giorno ha deciso di provare a fare questa esperienza. All’inizio dunque, tutto è partito per gioco, per divertimento: salivamo sul palco senza neanche sapere le canzoni che avremmo suonato davanti al pubblico, questo per darti l’idea di quanto fosse per noi, appunto, solo un gioco. Con il tempo, è diventata una cosa sempre più seria, anche se non eravamo minimamente preparati a questo: infatti, eccetto me, tutti gli altri componenti avevano fatto studi diversi rispetto alla musica, ed è così quindi, un po’ per caso direi, che sono nati i Pinguini Tattici Nucleari.” A cosa si deve, invece, il nome della band ? “Il perché di questo nome è un segreto che non posso dire, perché altrimenti il nostro manager Gianrico me la fa pagare cara!” (Nel frattempo abbiamo scoperto
da nostra fonte la genesi del nome, ma per rispetto al nostro ospite non lo riveleremo; n.d.r.) Non puoi darci neanche un indizio ? “Neanche questo purtroppo, mi dispiace. Posso solo dirti che il pinguino è il nostro animale guida, e infatti è un elemento molto ricorrente anche nei nostri live: dal pupazzo che sale ad un certo punto dei nostri concerti sul palco ai visual, è una presenza davvero costante. Scusami davvero, ma è un segreto che proprio non posso rivelare.” Dal vostro album di esordio “Il re è nudo” (2014), passando per “Gioventù bruciata” (2017), fino ad arrivare ad oggi, con il vostro ultimo lavoro, “Fuori dall’Hype”, come sono cambiati i Pinguini Tattici Nucleari ? “Guarda, come ti dicevo prima, giorno dopo giorno ci siamo resi conto che stava diventando un lavoro vero e chiaramente la vita ti cambia, si sconvolge. Gli equilibri e le relazioni che hai con un “lavoro normale” vengono completamente stravolti. Con un lavoro come questo, non riesci più ad avere un orario normale in cui mangi e in cui vai a letto, e di conseguenza anche il tuo rapporto con ciò che hai muta, inevitabilmente. Io sono diventato una persona molto più paziente: ad esempio mi sono molto abituato ai viaggi lunghi, rispetto ai quali prima non lo ero affatto. Mi ricordo che quando abbiamo iniziato ad andare a Torino da Bergamo, mi sembrava che ci volesse tantissimo tempo; poi ho iniziato a vedere il tempo con una prospettiva diversa, proprio grazie a questo lavoro, e quella distanza, rispetto ad altre tratte che percorriamo oggi, mi sembra davvero molto breve. Nel nostro caso però, devo precisare che se tante cose sono cambiate, altre non sono cambiate affatto. Per esempio, lo spirito con cui ci approciamo ai concerti è ancora quello dell’inizio: suoniamo semplicemente per il gusto di farlo e per divertirsi, cercando ogni volta di dare il meglio di sé.” Qual è stato il punto di svolta della vostra carriera ? “Direi che ce ne sono stati tanti, come spesso succede se una carriera può essere definita sana. Ci sono infatti tanti steps, è difficile che ce ne sia uno soltanto: pensa che, in inglese, esiste un termine coniato appositamente per definire tutte quelle band che dopo aver fatto una sola canzone spariscono dalla circolazione: le band in questione vengono definite one hit wonder, ed è in questo caso che si può parlare di un solo punto di svolta. Le cose nel nostro caso fortunatamente sono
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