JON BON JOVI: I LUSTRI(NI) DELL'HAIR METAL - Betapress.it

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JON BON JOVI: I LUSTRI(NI)
DELL’HAIR METAL

Molti anzi… moltissimi anni fa con la mia
band di allora, i Casual Connection Crew,
iniziavo a comporre testi e canzoni
rigorosamente in inglese con l’inseparabile
Gas (amico prima e tastierista poi, con cui
collaboro dal lontano 1987).
Nei nostri concerti suonavamo però per la
maggior parte cover di artisti internazionali
come U2, Police, R.E.M., Ramones, AC/DC… e
anche Bon Jovi!
Erano i tempi di Slippery When Wet e
dell’esplosione dell’“Hair Metal” e in nessuna
performance live dell’underground nostrano
di quegli anni mancava in scaletta un brano di
John Bongiovanni.
Origini siciliane Jon, nato e cresciuto nel New
Jersey, iniziò sin da piccolo a cimentarsi con
la chitarra e la voce, strumento che utilizza da
allora in modo magistrale.
Profondamente radicato nella cultura
americana, Jon cresce riflettendo la musica e
soprattutto la moda del tempo ed ispirandosi
a Mozart, Bach e a Big come Aerosmith e
anche Bruce Springsteen, suo “vicino” di
casa, con cui il prossimo 22 aprile suonerà
assieme in remoto per raccogliere fondi da
destinare agli ospedali del New Jersey in
emergenza da Covid-19.
Oltre 130 milioni di dischi venduti nel mondo,
Bon Jovi ha girato l’intero globo con oltre
duemila concerti in 50 paesi, collezionando
numerosi premi e guadagnandosi nel 2018 un
posto di diritto nella Rock and Roll Hall of
Fame.
Sono certo che i puristi del Rock e del Metal
siano d’accordo con me nell’affermare che Jon
Bon Jovi sia stato uno dei creatori di una
nuova stagione della musica targata USA.
Già negli anni Settanta la rivoluzione del
“Glam Rock” fece la fortuna di artisti e di
band come i T. Rex, David Bowie, Roxy Music
e perfino Queen e la novità era legata più al
look (paillettes, trucchi esagerati, e frange
colorate erano le divise dei glammers unite ad
una sensualità quasi feminea; n.d.a.) che non
alla musica.
Ma è nella seconda metà degli anni Ottanta
che l’Heavy Metal inizia la sua deriva (se così
si può dire) verso il Glam ed il Pop.
Così nasce l’”Hair Metal” che fu portato al
successo dai Bon Jovi e da band che adoro
come Def Leppard, Europe, Twisted Sister,
Poison, Mötley Crüe, Krokus, Ratt, W.A.S.P.,
Skid Row, Cinderella e molte altre ancora.
Caratteristica fondamentale di un “Hair Metal
Band” che si rispetti è l’esaltazione della
potenza sonora delle cosiddette “Ballads”,
lentoni strappalacrime mielosi e sdolcinati
che tradizionalmente erano legati quasi
esclusivamente alla musica pop.
Voglio citare anche i Dokken di Don Dokken
(voce) e George Lynch (chitarra), che sono
una delle formazioni più longeve del genere
“Hair Metal” nei quali all’inizio degli anni
Duemila ha militato un mio caro amico Alex
“Spillo” De Rosso (a breve su Betapress la sua
intervista; n.d.a.).
Tornando a metà degli anni Ottanta, mentre
Jon Bon Jovi riscuoteva un successo
planetario, i Gun’s n’Roses spopolavano con
Appetite for Destruction distanziandosi dal
genere “Hair Metal”.
Il fenomeno iniziava infatti la sua rapida
discesa fino a scomparire quasi del tutto
soppiantato dal Grunge, fenomeno innovativo
nato a Seattle nei gloriosi anni Novanta.
Un breve e fortunato ritorno dell’“Hair Metal”
si è avuto pochi anni fa con l’avvento di
successi planetari come quelli degli Ark e dei
Darkness. Bon Jovi virando in modo molto
intelligente ha mantenuto negli anni un sottile
filo con le sue origini “Hair”, riconvertendo la
sua musica che gli permette ancor oggi un
grandissimo successo di vendite e pubblico.
Vi lascio con la splendida “Ballad” Wanted
Dead or Alive, Rock Forever!

https://www.youtube.com/watch?v=SRvCvsRp5ho

PERTH
UN THE CON SKARDY: la musica del cuore.

Sting: italian feelings
Dalla cantina di Sting escono oggi etichette di pregio dedicate alle sue canzoni
più famose: dalla mitica Message in a Bottle del 1979 (un brut metodo charmat
con spiccato carattere…

GIANKA: LA FORMA DELL’AMORE

Songwriter, scrittore eclettico, cantante, musicista poli –
strumentista, imprenditore, leader di una delle più importanti
Associazioni di imprenditori con la mission della
valorizzazione del Made in Italy (Nuova Organizzazione
d’Imprese), disegnatore di fumetti ed ideatore della
Nazionale Italiana Sicurezza sul Lavoro (la prima squadra a
livello mondiale a portare come mission la promozione dei
Valori di salute e sicurezza sul lavoro attraverso lo sport).
Questo è Giancarlo Restivo in arte Gianka, ma è soprattutto
un caro amico con cui condivido la passione per il lavoro, per
l’arte e soprattutto per la musica.
E’ difficile parlare solo di musica con una persona così
poliedrica come Gianka, ma cercherò di limitarmi agli
argomenti che più ci accomunano e quindi innanzitutto la
musica e così gli ho posto alcune domande… a distanza!
PERTH: Ciao Gianka, la prima domanda è una curiosità
personale. Posto il fatto che ho divorato il tuo primo romanzo
Il Destino nelle Sue mani, al quale hai associato la stupenda
colonna sonora omonima, ci racconti qualcosa in anteprima
(uscirà sabato 11 aprile 2020; n.d.a.) del racconto/sequel Le
prime luci, il racconto dell’esilio del mondo e se anch’esso
sarà accompagnato da alcune songs?
GIANKA: Le prime luci, il racconto dell’esilio del mondo è un
fantasy che attraverso la narrazione verosimile del primo
peccato pone a noi delle domande: perché qualcosa ci manca
sempre? Perché anche prima di questo “esilio” in casa, ci
sentivamo fuoriposto? E prova a farci compagnia in un’ipotesi
di risposta da verificare personalmente. Si, le canzoni ci sono
anche stavolta.
PERTH: Cosa pensi del periodo di grave emergenza sanitaria
che stiamo vivendo? Cosa può sostenerci in questi giorni di
“arresti domiciliari forzati”? Bastano gli slogan #iomifermo
#iostoacasa, #andratuttobene, i lenzuoli, le bandiere e le
canzoni dal balcone o le rassicurazioni della politica?
GIANKA: Oggi dobbiamo affrontare questa fatica, in passato
ne abbiamo avute altre. Non esiste una vita senza dolore.
Domandiamoci cosa ha permesso ai nostri nonni di affrontare
le macerie della Guerra, da dove veniva la loro forza?
Impariamo dalla nostra storia, avremo la risposta su cosa
fare adesso.
PERTH: Parliamo della tua musica. Quando hai iniziato a
suonare e a scrivere? Cosa ti ha mosso all’inizio? E con il
tempo cos’è cambiato?
GIANKA: Ho sempre avuto una famiglia canterina, ma io ho
iniziato perché mi sono innamorato. Siccome non sono un
tipo che si accontenta, volevo dichiarami in grande, perciò ho
voluto scrivere e suonare una canzone. Poi ho scoperto che la
musica unisce le persone, libera il cuore, ti aiuta a non
mentire…soprattutto a me stesso. Cosa vogliamo di più?
PERTH: La forma dell’amore è un toccante articolo sul
Corriere della Sera di poche settimane fa a firma Alessandro
D’Avenia ma è soprattutto la cinquantesima e conclusiva
track di Gianka – Anthology, ce ne parli?
GIANKA: Cohen canta C’è una crepa in ogni cosa, è così che
entra la luce. La forma dell’amore invita a guardare dentro
quella crepa, e a domandarci qual è il prezzo da pagare per
una vita degna di essere vissuta. Si paga anche per gli altri a
volte. Se dovessi essere io a farmi giustizia bestemmierei,
guardare la Croce invece mi ha dato delle risposte
impensabili.
PERTH: In un breve clip hai condiviso il bellissimo brano I
segni del tempo spiegandone il significato, in sintesi un inno
alla bellezza e alla donna. Come la bellezza c’entra con
l’amore?
GIANKA: Non esiste bellezza senza amore. La bellezza esige
cura. I segni del tempo canta di questo. Quanto frutto ha
portato essere stati fedeli a ciò che ha messo assieme me e
mia moglie. Io non la conoscevo, l’ho incontrata un bel
giorno. Lei era un anticipo di risposta a ciò che ho sempre
cercato. Perciò chiunque me l’avesse messa davanti era stato
fedele a ciò che desideravo di più. Valeva la pena
scommetterci tutto allora!
PERTH: Molti artisti italiani ed internazionali (ad esempio
Bono Vox degli U2 che è uscito da poco con il brano Let Your
Love Be Known) hanno postato sui social video messaggi di
speranza, alcuni hanno cantato e recitato nel web, messaggi
di solidarietà, moniti ed attenzioni, cosa serve secondo te
oggi per non far morire la musica e l’arte in Italia?
GIANKA: Un bambino canta perché si sente voluto bene. Noi
facciamo musica per raccontarci cosa di bello e di vero
incontriamo in questo triste mondo, o per gridare di
incontrarlo. L’arte serve a rappresentare quel che
riconosciamo come bello e vero, o a ricercarlo. Finché ci
saranno uomini impegnati nella ricerca di una risposta, o
commossi dall’aver scoperto un tratto di bene in mezzo a
tanta tristezza, e ce lo suoneranno… la musica non morirà.
PERTH: Cosa succederà alla musica una volta finito il
periodo di emergenza globale?
GIANKA: Il cuore dell’uomo è sempre in emergenza e la
musica è espressione dell’urgenza di una risposta che non
bari. Perciò spero che questo cuore non smetta mai di
emergere e farsi sentire. Questa sana inquietudine è ciò che
mi rassicura e cioè che l’uomo ha le armi per combattere
qualunque sciagura.
PERTH: Ci parli del progetto Hard Rock (a me molto caro)
Ighnor-Hunts?
GIANKA: Vedo tante band che smettono dopo un po’, perché
non si è raggiunto il successo, per stanchezza, per delusione,
o perché si pensa di aver raggiunto una certa età. Gli
Ignoranti, invece sono la dimostrazione, che dentro lo stare
insieme di tre amici, quel sacrosanto gusto di spaccare di
brutto può essere tenuto vivo per sempre. Se vogliamo non
morire di tristezza, il fuoco dentro va tenuto vivo.
PERTH: Penso fortemente che il Rock non morirà mai… ma
anche la musica Pop, il’R’n’B, il Blues, l’Heavy Metal e tutti
quei generi cui diamo troppo spesso un’etichetta inutile…
Come secondo te la musica avrà un ruolo determinante nella
battaglia che stiamo vivendo?
GIANKA: I generi cambiano perché cambiano le generazioni.
Ogni figlio esprime diversamente l’essenza tratta dai propri
padri. Ma la domanda è la stessa “Perché ci sono?”.
Ricordiamoci che il canto è letteralmente carne che vibra, col
cuore che va a tempo, grida questa domanda ed esige una
risposta. La musica è l’arma che qualcuno ci ha dato per
combattere la battaglia dell’esistenza.
PERTH: La musica è vita! La musica è brividi! La musica è
“occhi che brillano” e “cuori che si infiammano”. Oggi
purtroppo la musica invece è pura immagine virtuale. Cosa
dici ai giovani di oggi, troppo spesso legati a clichè proposti
da personaggi mediatici che stanno all’arte come un criceto
sta a La Goccia (Preludio op. 28 nr. 15; n.d.a.) di Chopin?
GIANKA: Posso solo dire ciò che a me venne detto: verificate
la proposta di questi personaggi, fino in fondo. Se li scoprite
vuoti, cercate e non fermatevi alla prima delusione. Cantate e
suonate questa ricerca di trovare facce autentiche, piene di
carne e sangue che pulsano per rendere migliore questo
mondo. Vi assicuro, scoprirete la bellezza e ascolterete
capolavori!
PERTH: Hai ricevuto il premio “Sanremo Music Award” alla
carriera per i triplo disco del 2016, il romanzo del 2017 e la
colonna sonora del 2018. Un grande traguardo! Quali sono i
tuoi progetti musicali per il futuro?
GIANKA: Avere l’occasione di rientrare in sala di
registrazione ad incidere insieme a PERTH la colonna sonora
de Le prime luci, il racconto dell’esilio del mondo.
PERTH: Oh Gianka… torniamo in studio assieme!
GIANKA: Grande!

https://www.youtube.com/watch?v=Ald7rX57cOQ

PERTH

O MIA BELA MADUNINA – THE
BLUES BUNKER SESSION
O MIA BELA MADUNINA – THE BLUES BUNKER SESSION

Come moltissimi italiani anche io ieri sera ero davanti alla tv
a guardare “Musica che unisce”, l’intensa rassegna di
cantanti italiani in diretta da casa a sostegno della Protezione
Civile.
Il forte messaggio di unione e responsabilità in un momento
di grande difficoltà per il nostro Paese (#iostoacasa è il
refrain della serata; n.d.a.) è da lodare ed il monito di Favino
e della Cortellesi da seguire in silenzio: “stai a casa…anche
se hai voglia di uscire anche se hai voglia di vedere le
persone che ami, voglia di abbracciare tutti. Stai a casa
perché la fuori c’è qualcuno che sta lottando per te, (…) non
li dimenticare; non dimenticarti di loro perché loro non
dimenticheranno mai”. Gabbani, Masini, Amoroso, Elisa,
Negramaro, Emma, Ferro, Bocelli, Cremonini, Cocciante
(perfino) Mahmood sono alcuni degli ospiti della serata.
Mentre si esibiva Ermal Meta mi arriva un whatsapp da
Carletto Fumagalli, frontman della Blues4People (vedi
Betapress.it – maggio 2017; n.d.a.) con un video… una
canzone italiana in chiave blues… Brothers!
Qui mi fermo e vi esorto a guardare il video… Buona visione!

https://www.youtube.com/watch?v=LYz2i96TcOI
PERTH

LA MUSICA DA “GUARDARE”
In questi mesi siamo protagonisti, nostro
malgrado, di un’emergenza sanitaria globale
che rivoluzionerà il futuro del mondo per
come l’abbiamo conosciuto finora.
Anche la musica subirà un profondo e, mi
auguro radicale, cambiamento. A mio
modesto parere, già oggi si stanno delineando
due grandi areali: il primo in cui la persona è
al centro ed il secondo in cui è sacrificabile.
Non essendo né un economista né un esperto
di geopolitica evito di addentrarmi troppo in
questo delicatissimo argomento, c’è un
fattore però, legato ai nuovi contesti, che è
sotto gli occhi di tutti e che, volenti o nolenti
riguarda tutti.
L’imperialistico Regno Unito inneggia al
darwinismo sociale mentre la Repubblica
Popolare Cinese, lontana dalla democrazia e
dai diritti umani, invia aiuti sanitari (negati in
principio dagli “amici” dell’Europa; n.d.a.),
denaro e personale medico e paramedico
all’Italia, uno dei paesi maggiormente colpiti
dall’epidemia.
Una tragedia globale come quella di oggi
porterà a riflessioni profonde riguardanti
l’intera umanità e questo è positivo, l’uomo
dovrà tornare al centro e la musica avrà, a
mio avviso, un ruolo fondamentale per la
riscoperta dei veri valori.
I falsi profeti delle nuove correnti musicali
(sostenuti dai talk show e dai talent), i profeti
del cinismo, del becero ed irritante edonismo
mediatico, del disprezzo delle regole sociali,
lasceranno il posto a chi intonerà inni alla vita
e alla morte e racconterà dell’uomo, della sua
esistenza, della sua anima, del suo cuore,
domande queste che portano ad un’unica vera
riflessione: per cosa veramente vale la pena
vivere? Tutto ciò, in modo straordinario è
stato testimoniato in questi ultimi giorni: il
“coinvolgimento digitale” di centinaia di
artisti e musicisti noti (e sconosciuti) al
grande pubblico che, rigorosamente dalle loro
abitazioni, hanno lanciato un grido di
solidarietà per vincere la guerra che ognuno
di noi è chiamato a combattere.
Sangiorgi (Negramaro), Jovanotti, Bocelli, il
Blasco Nazionale, Ligabue, Ferro, Sarcina
(Vibrazioni), Agnelli (Afterhours), Britti,
Pinguini Tattici Nucleari (intervistati da noi di
Betapress a maggio 2019; n.d.a.) e moltissimi
altri (che vi invito a vedere martedì 31 marzo
alle 20.30 su RAI 1 ed in streaming; n.d.a.)
hanno lanciato una campagna di raccolta
fondi per il Sistema Sanitario Nazionale e per
la Protezione Civile.
Il mondo dell’arte e della musica oggi ci
stanno consegnando un messaggio forte di
solidarietà: la persona al centro! Ridisegnare
la mappa dell’intrattenimento musicale e
della discografia sarà una sfida che ci
auguriamo possa iniziare al più presto perchè
il dramma che ci sta affliggendo non sia
capitato invano.
Ma allora cosa serve veramente in questi
giorni di isolamento? Qual’è il ruolo della
musica in questo triste momento?
Quanto importante sarà la musica e l’arte in
un futuro, speriamo prossimo, di ripresa? Chi
guardare (ed ascoltare) allora? Dobbiamo
guardare ed ascoltare artisti che ci tocchino il
cuore, dobbiamo guardare a chi parla di me,
di te, di quel che sono io, di quel che sei tu.
Una cara amica anni fa mi chiese di
accompagnarla all’Alcatraz di Milano ad uno
dei primi concerti da solista di Robert Plant
(storico frontman dei Led Zeppelin; n.d.a.) e
la cosa che mi colpì, oltre al sound devastante
e l’incredibile presenza scenica, fu guardare
ed ascoltare la straripante bellezza e la
profondità dei pezzi proposti e cantati con
una voce struggente. Alla fine lo incontrammo
nel backstage per un breve dialogo e Plant ci
accolse cordialmente rispondendo a tutte le
nostre domande… un grande!
Il mio augurio è che in questo momento di
autoisolamento domiciliare si possano
riscoprire gli Artisti veri, quelli con la “A”
maiuscola: Artisti, Cantanti, Musicisti… da
guardare!
Vi lascio con un brano scritto pochi giorni fa
“per me e per te”, per il dramma di tutto il
popolo italiano, dal leader degli U2, Bono
Vox: “Let Your Love Be Know”.
https://www.youtube.com/watch?time_continu
e=20&v=m8esAuYRyYI&feature=emb_logo

Perth

PERTH

GIOVANNI   SUCCI:  “CARNE
CRUDA A COLAZIONE”
“Bazzico festival prestigiosi e circoli anonimi con progetti assurdi per chiunque
altro”… questo è Giovanni Succi! Sacha Tellini lo ha intervistato in esclusiva per
BetaPress.

Ciao Giovanni, il 20 Settembre scorso è uscito il tuo ultimo album di
inediti, “Carne cruda a colazione”. Il titolo rappresenta molto lo spirito
che hai messo nel realizzare i brani, crudi e decisamente amari, talvolta
conditi con un pizzico di velata ironia. Come mai la scelta di un linguaggio
così deciso per mettere nero su bianco i testi delle tue canzoni?

Mi fa piacere che si noti, scrivo così da vent’anni. Nei Bachi Da Pietra (Succi è
cofondatore della band noise alternative; n.d.r.) porto il mio stile all’estremo, se ti
piace te li consiglio.

L’uso di un linguaggio così graffiante è anche un modo per volersi
distinguere dai testi di alcune canzoni che, al giorno d’oggi, risultano
essere troppo spesso “accomodanti”?

Le canzoni accomodanti sono sempre esistite perché piacciono a tutti. Non si può
dire lo stesso delle mie, ma non sono frutto di un brillante piano per distinguermi.
Sono io.

Come nasce questo album?

Proprio dalla percezione che questi pezzi non rientravano nel mondo dei Bachi Da
Pietra. Quindi insieme a Ivan Antonio Rossi abbiamo lavorato, come su “Con
ghiaccio”, per fare in modo che la differenza fosse netta anche nella forma.

“Algoritmo”, seconda traccia del tuo album, propone un’invettiva contro
le logiche che dominano le piattaforme odierne sulle quali è possibile
ascoltare musica. Pensi che l’utente non abbia alcun potere decisionale
rispetto a quello che è il consumo musicale?

Non è un’invettiva, è una fotografia, come nel video di Luca Deravignone. Penso
che l’utente abbia pieni poteri, ma ci rinuncia volentieri, non ha più voglia di
cercare, c’è troppa roba, lascia fare all’algoritmo che decodifica l’artista, lo
giudica, lo etichetta, lo colloca. Proprio come fa con l’ascoltatore.

Qual è la tua visione del panorama musicale contemporaneo?

Dall’alto della mia collina in provincia di Asti, al centro del mondo, mi pare che il
tutto conviva con il tutto, rigorosamente collocato dentro nicchie perfettamente
etichettate. Se esposte al grande pubblico, le nicchie si gonfiano, durano per un
po’, esplodono e

poi si ammosciano. Oppure diventano monumenti e la gente ai monumenti chiede
solo che stiano fermi.
Come definiresti, da un punto di vista degli arrangiamenti musicali, il tuo
ultimo lavoro?

Per onestà io lo definirei pop, ma mi dicono dalla regia che tutto quello che sfioro,
anche solo di passaggio, diventa rock. Mi resta un’ombra di dubito. Allora mi
mettono su uno dei Melliflui a caso e mi dicono: – ecco, senti, questo è pop! – Ah.
Ok. Rock.

“Carne cruda a colazione” arriva dopo il tuo primo album,”Con ghiaccio”,
pubblicato nel 2017. Quanto è cambiato Succi nel corso di questi due
anni?

Non moltissimo, ma pensa che “Con Ghiaccio” arrivava dopo “Necroide” dei Bachi
Da Pietra, per chiunque altro sarebbe follia. So bene che il pubblico premia chi
conferma le certezze rimanendo sempre uguale. Nel mio caso la certezza è che
posso portarti da Black Metal Il Mio Folk ad Algoritmo senza perdere la rotta.

C’è una canzone dell’album alla quale sei più affezionato? Se sì, qual è?
Per quale motivo?

“Meglio di niente”, l’ultima nata del pacchetto Carne Cruda. Una canzone di cui
sconsiglio l’ascolto, se non in determinate condizioni, tutte antisociali.

Chi è oggi, musicalmente parlando, Giovanni Succi?

Un grande.

Quali sono i tuoi progetti futuri in ambito artistico?

Campare almeno fino alla morte, poi si vedrà.

TRACKLIST

01_Povero zio

02_Algoritmo

03_Grazie per l’attesa

04_I melliflui
05_Cabrio

06_Arti

07_La risposta

08_Grigia

09_Meglio di niente

10_Balene per me *bonus track

https://www.youtube.com/watch?v=Qni4-DjXng4

Sacha Tellini

SCOTT STAPP: The Space Between
the Shadows

Non credo si possa coscientemente dire che oggi il Rock sia ancora del tutto vivo
e vegeto, soprattutto quello degli anni ’90 legato a sonorità in netto contrasto con
quelle del decennio precedente ma con una potenza di suono ed una lucidità di
idee che ha portato band come BLACK STONE CHERRY (vedasi Betapress Music
novembre 2018), NICKELBACK, ALTER BRIDGE e CREED a rivoluzionare la
scena musicale alternative.

E non credo sia nemmeno possibile, facendo un breve tour tra le emittenti
radiofoniche nazionali e locali, comprendere a fondo il motivo che spinge gli
ascoltatori ad impantanarsi con (sedicenti) artisti che sono tra le cose più lontane
dall’arte musicale.
L’Auto-Tune (Software per manipolazione audio che permette di correggere
l’intonazione o mascherare errori ed imperfezioni della voce; n.d.a.) imperversa
sovrano e la discografia non è in grado di proporre artisti giovani e creativi che
possano “tenere viva la fiammella” del Blues, del Rock e del Pop, ma non voglio
dilungarmi troppo in questioni oramai note.

Scott Stapp, ex leader dei CREED, è un esempio luminoso di come un artista
possa continuare a ribadire come il Rock sia vivo, rifiutando di chinarsi ai dettami
degli standard del mercato discografico.

The Space Between the Shadows è il terzo album solista di Stapp che si è
rilanciato dopo due lavori opachi: The Great Divide e Proof of Life (quest’ultimo, a
dire il vero, contiene un ottimo pezzo autobiografico: Slow Suicide; n.d.a.).

Ad aprire le danze World I Used To Know, che fa ben sperare i fans di Stapp (tra
cui il sottoscrittto; n.d.a.), la successiva traccia Name e la traccia conclusiva Last
Hallelujah sono due ballate potenti, due canzoni che si cantano a squarciagola con
una buona dose di brividi. “I am a son without a father”è il refrain martellante di
Name, quasi a richiamare l’attenzione sulla nuova vita artistica di Scott.

Immediatezza anche per il singolo Purpose For Pain con riff accattivanti, il groove
incalzante rende assai difficile a questo punto dell’album non desiderare di poter
vedere Stapp dal vivo.

La voce di Stapp rimane una sorpresa positiva, sembra non sia passato un giorno
dai tempi di My Own Prison, Human Clay e Weathered (album dei CREED
rispettivamente del 1997, 1999 e 2001; n.d.a.) ed il livello dei testi è
assolutamente alto, degno di un grandissimo poeta.

Tornando a The Space Between the Shadows, le tracks Survivor, Red Clouds e
Gone Too Soon sono pezzi assolutamente convincenti e qualora ci fossero ancora
dei dubbi sulla qualità dell’album, Mary’s Crying li fuga tutti.

Le rimanenti song (Heaven In Me, Wake Up Call Inside, Face Of The Sun Side e
Ready To Love) sono pienamente inserite nel lavoro di Stapp, con sonorità e
melodie studiate a tavolino che ammiccano ai fans della “Post Grunge
Generation”.

Concludendo vi posso dire che Stapp è finalmente tornato e con The Space
Between the Shadows ha posto un solido paletto tra lui ed i suoi detrattori (quasi
sempre adoratori di Myles Kennedy degli ALTER BRIDGE; n.d.a) e fa ben
presagire per il futuro di questo artista, a cui tutto si può rimproverare ma non di
aver trascurato l’amore per i fans ed il vero puro e glorioso Rock‘n’Roll!

Tracklist dell’album

     1.   World I Used To Know
     2.   Name
     3.   Purpose For Pain
     4.   Heaven In Me
     5.   Survivor
     6.   Wake Up Call Side
     7.   Face Of The Sun Side
     8. Red Clouds
     9. Gone Too Soon
   10. Ready To Love
   11. Mary’s Crying
   12. Last Hallelujah

https://www.youtube.com/watch?v=wDRQXrRtE5M
Perth

UN THE CON SKARDY: la musica
del cuore.

Marghera (Venezia), mercoledì 31 luglio 2019 ore 18.30, Skardy mi indica il Bar
accanto al palazzo del Municipio.

Ci sediamo in un tavolino nel dehor… “un the caldo, grassie” ordina alla
cameriera.

Inizia così la lunga intervista con una delle leggende della musica italiana, anzi,
venessiana.

L’ultima volta che ebbi la fortuna di bere un drink con Skardy era il lontano 1994
quando io, giovane universitario, mi dilettavo nell’organizzazione di concerti e di
eventi live.

All’epoca la musica era veramente “da piazza” e quell’estate ricordo che Prato
della Valle a Padova era gremita di persone.

Il lettore perdoni frasi e battute in dialetto veneto che indicano la genuinità di
Skardy e che permettono una comunicazione più diretta.

PERTH: Ti ho richiesto questa intervista perché innanzitutto è un onore poterti
rivedere dopo più di vent’anni e soprattutto perché, come pochi altri artisti, ti
ritengo, un vero e proprio punto di riferimento nella scena musicale italiana, mi
riferisco alla vera arte e libera creatività, oggi invece è come se la gente fosse
drogata dalla falsità di proposte musicali costruite a tavolino, una grande
mercificazione di talenti usa e getta. Puoi dire ai lettori di Betapress.it cosa ne
pensi?

SKARDY: Fondamentalmente credo che il mondo dell’arte e dello spettacolo sia
gestito in modo ignobile, la musica è degradata da una certa politica non solo a
livello locale ma “dirìa a livèo mondial”, e non conoscendola fino in fondo l’arte, il
potere riduce tutto a “fumo, lustrisini, pajette ma poca sostansa”, ecco, questo è
quello che penso.

PERTH: Il Veneto è una Regione magnifica, ma a volte l’opinione pubblica,
fomentata da una certa politica, mostra il popolo veneto come persone legate al
denaro e ai propri interessi da difendere con la spada. Come la musica che tu hai
proposto in tutta la tua carriera ha mostrato invece il vero spirito veneto?

SKARDY: Il genere umano sta dimenticando la propria umanità per correre
dietro al mito della ricchezza e del lusso, perché di questo si tratta, non si tratta
del benessere! Il Veneto, come l’Italia, è un Paese che ha conosciuto il
benessere e l’ha gettato via nella speranza di ottenere qualcosa in più.
Cosa si è ottenuto distruggendo un intero sistema sociale che, pur con
tutti i suoi peccati e limiti era alla base dell’armonia tra le persone? Si è
ottenuto un cambio di potere, si è insediato un sistema cannibale sia dal
punto di vista economico che sociale: le categorie dei più ricchi si
mangiano quelle dei più poveri e di conseguenza abbiamo un mondo che,
anche senza essere in guerra fisica, però è in una sorta di guerra tra
individui e tra popolazioni. Prova a pensare all’ostilità che c’è adesso non
solo tra le Regioni del nostro Paese ma nei confronti di popolazioni di
altre etnie, trent’anni fa questo discorso non stava in piedi, anzi chi
veniva da altre parti del mondo veniva considerato come un’opportunità e
una ricchezza da cui trarre vantaggio. La mia musica, declinata in dialetto
veneto, ha sempre tentato di comunicare con ironia questa denuncia
contro la diseguaglianza sociale. Sicuramente lo spirito veneziano mi è
rimasto e cerco ancora di trasmetterlo perché vedo che sta perdendosi
nella storia, quando io giro per Venezia sento la gente che non è più la
stessa gente che io ho conosciuto quando ero ragazzino o bambino
addirittura. Il veneziano che conoscevo io era un veneziano che
nell’esprimersi era una barzelletta, era una persona che trasmetteva
talmente tanti modi di dire e talmente tanto umorismo che ti segnava. Al
giorno d’oggi la gente parla in maniera quasi “da ufficio”, le barzellette
da bar sono morte da 20 anni, vuol dire che lo spirito umano, originario,
non solo quello veneziano, ma proprio lo spirito umano ha avuto dei
danni, come ha avuto dei danni questo pianeta per opera dell’uomo e
l’opera dell’uomo ha prodotto dei danni anche all’uomo stesso.

PERTH: Incontri molti giovani, sia al lavoro (Skardy lavora come “bideo” in una
scuola di Venezia; n.d.a.) che ai tuoi concerti, cosa chiedono alla musica i giovani?
Solo divertirsi oppure c’è dell’altro, secondo te?

SKARDY: Il mondo dei giovani è molto variegato, ci sono figli di generazioni che
hanno avuto educazioni musicali diverse, i figli dei rockettari hanno ancora una
certa predisposizione ad ascoltare la musica prodotta da musicisti e strumenti
“manuali”, chi è cresciuto senza una cultura musicale, una cultura alla “bellezza
artistica”, con genitori interessati a discoteche o ambienti in cui la musica
elettronica, ha sostituito il vero sound, è più ricettivo ai suoni sintetici e quindi a
quella musica che io chiamo “musica chimica”, prodotta dal computer. La
maggior parte dei ragazzi di oggi ascolta ed è più attratta dalla musica chimica
che dalla musica suonata, questo è grave perché, per quanto sia prodotta bene e
per quanto ci voglia bravura a produrla, la musica cosiddetta “chimica” non avrà
mai lo stesso effetto di uno strumento naturale. (Rimango sempre impressionato
da questo refrain che peraltro i lettori di Music conoscono molto bene. Tutti gli
artisti veri e Skardy è uno di questi, hanno a cuore la musica vera, non il prodotto
di un potere che annulla le coscienze propinando una musica “usa e getta”, una
musica “chimica”; n.d.a.)

PERTH: La “musica chimica”, come la definisci tu, può essere definita arte?

SKARDY: Per quanto sia perfetta la musica chimica trasmetterà sempre freddo,
non come la musica suonata, la musica che ha bisogno di musicisti capaci! Io
cerco sempre di fare quest esempio: sappiamo tutti quanto è buona la pizza cotta
nel forno a legna, se tu mangi la pizza preconfezionata è ugualmente buona, ma
non come la pizza cotta nel forno a legna. E quindi la musica elettronica la musica
“chimica” sta alla pizza surgelata, come la musica suonata sta alla pizza originale.
Faccio un esempio sconcio: “el vibrator xè sempre duro, ma il casso xè de carne”
(Qualche amico veneto direbbe: “pura poesia”; n.d.a.). Nel senso che la musica
elettronica “gà el so spessor ma no gà el caòr che gà ea musica sonada”. Al giorno
d’oggi ben pochi ragazzini recepiscono questa differenza, forse se ne renderanno
conto quando avranno 40 anni e capiranno cosa può essere definita arte. Io verso
i 40/50 anni ho iniziato a recepire questa differenza, molto pesante, tra la musica
costruita negli ultimi vent’anni e quella che c‘era prima, che magari suonava
peggio ma dava più calore. Una sera ero in auto di ritorno da un concerto con
Elio, ascoltavo la radio e sento un brano di un trapper di oggi e mi dicevo: non mi
piace ma senti che potenza di suono, cambia il brano e parte “Smells Like Teen
Spirit” de Nirvana, che nemmeno mi piacciono tanto, eppure ho sentito subito che
il sangue ribolliva… ho ripensato ancora una volta all’importanza della musica
suonata.

PERTH: La tua storia artistica è molto lunga e piena zeppa di collaborazioni
importanti con cui hai condiviso la tua musica “made in veneto”, ci racconti
qualche aneddoto? Non so Elio e le Storie Tese, piuttosto che Paolo Belli…

SKARDY: Con Elio e le Storie Tese ho fatto le ultime (e definitive, due anni fa;
n.d.a.) quattro date. Penso che con la fine del loro gruppo sia finito l’ultimo dei
veri grandi gruppi italiani, dei veri e propri “maestri”. Se li guardi tutti, uno per
uno, sono grandissimi musicisti, gli ultimi, mi vien da dire, perché se si pensa ai
musicisti di adesso per prima cosa non militano in band poi sono tutti cantanti con
il DJ che sintetizza e masterizza dietro alla voce ed infine ci sono i musicisti che
fanno i turnisti e che suonano di tutto e con tutti. E’ un disastro. Dal Rock &Roll
agli anni ’90 c’è stato fermento, oggi la musica è un disastro. Elio inoltre ci ha
insegnato soprattutto come si realizzano i dischi e come ci si rapporta con il
mondo discografico, anche se gli aneddoti più curiosi risalgono ai tempi in cui i
Pitura Freska neanche esistevano, perché andavo a “imbragarme zente che jera
parechio in alto” nel senso ad esempio che siamo andati a battere sulla macchina
di Jimmy Cliff (famoso cantante reggae giamaicano; n.d.a): c’era Jimmy seduto in
auto che si allenava con i bonghi e noi siamo andati lì a battergli sulla macchina, a
suonare con lui…a rompere i coglioni alla gente famosa. Inoltre mi piace
ricordare personaggi che avevano una certa autorevolezza artistica e che per
primi ci dicevano “guarda che quello che state facendo è bello, ha un valore!”
Mentre il resto della “plebaglia” disprezzava quello che facevamo, c’erano
persone tra cui pittori, scrittori, anche docenti universitari, professionisti del
mondo dello spettacolo che ci dicevano: “Beo! Bravi! Continué!” anche se il resto
del mondo, soprattutto la critica musicale, ci considerava sotto il livello… animale.
Questa è una questione importante: quando cerchi di portare un gruppo o un
cantante alla ribalta la prima cosa che ti arriva sono le bastonate, nessuno viene a
domandarti: “Cossa ti xè drio fàr, fame scoltàr”, no, invece ti dice “sta roba ea fa
schifo!” La gente all’inizio non accetta la novità.
PERTH: Però avete avuto parecchio successo!

SKARDY: Certo! Ma ce lo siamo conquistato sulla strada, non facendoci aiutare
dalle Major o da grandi produttori, siamo stati attaccati anche dalla parte più
povera della popolazione, che ci dava dei “venduti” pensando che fossimo oramai
in mano alla discografia che conta. Invece no, siamo sempre rimasti
indipendenti e siamo andati avanti per la nostra strada.

PERTH: Quale è stato il momento esatto in cui ti è stato chiaro che da Marghera
avresti potuto calcare i palchi di tutta l’Italia?

SKARDY: A San Siro quando ho visto Bob Marley (the King of Reggae; n.d.a.),
quando mi è venuta in mente questa equazione, che è stata semplicissima,
fulminea e geniale. Mi ricordavo un po’ l’inglese, avendolo studiato alle scuole
medie, avevo 20 anni, ero a San Siro a vedere un concerto di Bob Marley, quando
mi sono reso conto che parlavano l’inglese allo stesso modo in cui noi veneziani
parliamo italiano, ho pensato: questo genere musicale è perfetto se ci canto sopra
in veneziano e lì è iniziato tutto. Chiaro che mi ci è voluto del tempo per imparare
a scrivere, per modulare i testi a seconda della musica, però se ti piace ti viene
automatico e quando sono riuscito a scrivere due, tre canzoni e le ho fatto
ascoltare ad alcuni amici con cui suonavamo assieme, mi hanno detto “però…
potrebbe funzionare!” Avevamo una sala in cui provavamo, con il bassista
abbiamo iniziato a istruire un gruppetto, siamo riusciti ad esordire qui davanti in
questa piazza (Piazza del Municipio di Marghera; n.d.a.) nella rassegna
“Marghera estate” del 1985. E da lì è iniziato tutto, perché quando hanno visto
che nelle piazze attiravamo un buon numero di ascoltatori, iniziavano a chiamarci
in tutti i locali e dove andavamo facevamo il “pienone”. Nel 1987 siamo tornati qui
in piazza a Marghera i bar quella sera hanno esaurito tutte le riserve alcoliche
(ride).

PERTH: A Padova nel ’94 avete fatto 20.000 persone, ricordo che c’era il Comune
molto preoccupato per la sicurezza. Mi hai già risposto per la gran parte,
comunque cos’è la via di San siro nella quale sei stato illuminato un po’ come
Joliet Jake Blues, alias John Belushi, nel glorioso film Blues Brothers? Forse
quando ti sei imbattuto con il Re del Reggae?

SKARDY: Sì infatti, io avevo già preso una bella “spettenada” l’anno prima
quando mi hanno invitato a vedere Peter Tosh (altra leggenda del Reggae
giamaicano; n.d.a.) che non conoscevo. All’epoca il reggae non mi piaceva,
ascoltavo Led Zeppelin, Deep Purple, Santana, Pink Floyd. Alcuni amici mi
convinsero ad andare al concerto di Marley a Bologna, era il 1979. La Band si è
presentata sul palco con 15 elementi, una mini orchestra. Mi è piaciuto! Era un
misto tra un concerto di Santana, un concerto di Funky, un concerto di Rock, non
capivo bene cosa fosse, però mi piaceva. La Band “pestava”, aveva un groove
pazzesco, tremendo. Sono uscito contento e mi sono ricreduto sul Reggae,
suonato così mi piaceva molto. Stessa cosa per il concerto di Bob Marley! Prima
del concerto si esibirono dei gruppi che non ebbero grande successo (si
beccarono “ortaggi” in faccia), la terza band fu quella di un tale di nome…Pino
Daniele! Anche lui prese solamente qualche applauso ma quando uscì Bob
Marley esplose lo stadio. Cos’è che mi ha fatto andare fuori di testa? Che rispetto
ad altri concerti a cui ero stato qui la gente non era seduta al suo posto in
posizione yoga a guardare un palco, qui la gente ballava, saltava, si muoveva, è
diverso, capisci? Se io sono seduto qui e vedo a 20/30 metri una “fìa che me
piase” difficilmente mi alzo e vado a sedermi vicino a lei, ma se sono in piedi e sto
ballando, posso avvicinarmi e con una scusa fare conoscenza. Finito questo
concerto uno di noi disse: “Fioi doman ghe xè i Led Zeppelin a Zurigo, nemo?!”
Sono andato e tornando dal concerto dei Led Zeppelin ho pensato che se dovevo
scegliere avrei scelto Bob Marley… notare che i Led Zeppelin mi piacevano
molto!

PERTH: Volevo farti una domanda relativa ai Pitura Freska, da quello che so tu
non hai mai avuto piacere di dire perché è finita, tranne quello che scrivi nel sito
e nei vari blog, la verità è che era finita un’epoca con loro?

SKARDY: La realtà è che il gruppo aveva iniziato in una direzione e poi è stato
portato in un’altra, perché essendo tanti musicisti, ognuno voleva dare al progetto
una propria direzione, qual è il segreto, secondo me? Quando hai preso una
direzione e sei su una linea, devi continuare a seguirla, perché i Rolling Stones
sono ancora vivi? Perché a loro piace quel genere e continuano a proporlo.

PERTH: Grande Bidello a mio avviso è un vero capolavoro. Un’opera che, con la
consueta ironia che ti contraddistingue annienta i reality, vedi Grande Fratello,
farai un pezzo anche contro i Talent?

SKARDY: Ma non ci penso proprio, ormai considero la televisione come la
preistoria dell’intelligenza umana. Quando accendo la televisione e vedo che
vengono trasmessi film degli anni ’40 e ’50, mi sembra di tornare a quando ero
piccolo negli anni ’60 e probabilmente la gente era più intelligente di adesso, di
conseguenza non posso parlare male di una cosa che ormai per me è il male già in
partenza, c’è ben poco che salvo della televisione. Una volta guardavo “BLOB”,
ora nemmeno quello, perché una volta facevano vedere il meglio e il peggio, ora
vedi solo il peggio e mi fa paura. Il meglio è nascosto. Inoltre credo che non
serva, perché ormai la gente è orientata a questa insulsa mentalità e se io vado a
toccare questi idoli vuoti, sono un alieno.

PERTH: Nella canzone Firulì Firulà dici di sentirti di un altro pianeta, intendi
questo essere un alieno?

SKARDY: Ritorno a quello che ho detto all’inizio, non trovo più l’umanità che
trovavo 30/40 anni fa, perché ormai non contano più né le parole, né quello che
trasmetti come persona, ma contano i like sul telefono, contano i social, internet e
tutto il resto e di conseguenza uno si sente già estromesso dal mondo se non vive
dentro questo schema, se ti faccio vedere il mio telefono costa 20 euro, è mezzo
rotto e non me ne frega niente di social ecc…, ovviamente essendo artista ho chi
lavora per me e li segue, perché devo essere presente altrimenti iniziano a
pensare che io sia morto, ma queste cose non sono la mia priorità. Ritengo che
internet non venga usato nella maniera corretta secondo lo scopo per cui era
stato pensato, un po’ come per tutte le scoperte o le correnti filosofiche o di
pensiero, nascono per un intento e poi ne viene modificato lo scopo, Cristo ha
dato vita al Cristianesimo e poi ne hanno fatto un’arma di guerra, Marx ha
pensato il comunismo e poi hanno dato vita invece a uno stato militare. E’ sempre
così.. si parte da uno scopo buono, poi la corruzione dell’uomo distrugge tutto.

PERTH: so che stai pensando ad un nuovo disco e spero di poterlo recensire
quanto prima ma parlando di uno dei tuoi ultimi lavori è stata la rivisitazione in
chiave Raggae del famoso brano “Centro di Gravità Permanente” di Franco
Battiato. Qual è per Skardy il “Centro di Gravità Permanente” che gli permette di
stare di fronte alle situazioni che vediamo tutti i giorni e di cui hai appena
accennato?

SKARDY: “Speremo de inissiar el novo disco”… dovrebbero iniziare le
registrazioni dopo l’estate. Per quanto riguarda il “Centro di Gravità
Permanente”, è un bel problema perché mi sembra di essere diviso
continuamente in due pianeti: c’è il pianeta in cui stai bene, fai quel che ti piace e
il pianeta in cui sei costretto a fare cose che non vorresti fare; io ho 60 anni e
sono ancora costretto a lavorare! A 60 anni hai oramai dato tutto quel che potevi!
Questo è il pianeta che non mi piace. Qual è il mio pianeta, il mio “Centro di
Gravità Permanente”? Stare a casa mia, ascoltare la mia musica, andare in giro a
suonare, cucinare, mi piace cucinare e avendo la moglie straniera ho dovuto
imparare se volevo mangiare come dalla mamma (ride).

PERTH: Rifarai “Menarosto” la rubrica di cucina?

  SKARDY: No, preferisco dedicarmi alla musica, stimolare la gente ad avere
  ancora interesse per la musica “suonata”, perché ritengo che la musica faccia
  bene, sia salutare, anche se si dice che non dia beneficio immediato, io credo
  che permetta un beneficio psichico e credo che il motivo per cui la gente
  peggiora nei rapporti, nella vita, sia che manca il beneficio psichico che dà la
  musica. Forse oggi con te ho parlato un po’ da matto, perché salto da
  Mercurio a Plutone… il mio difetto principale è di non essermi mai
  adeguato ai tempi odierni, parlo ancora come fossi negli anni ’70,
  perché il mondo doveva migliorare, se è peggiorato non è colpa mia e
  non vado certo a peggiorarmi per adeguarmi al mondo. Siamo in una
  società che ha l’obiettivo del beneficio immediato e questo vale anche per la
  musica, la vera ricchezza si crea nel tempo, nell’immediato puoi solo far
  contento qualcuno… “desso vago casa che gò da cusinàr, ciao”.

PERTH: Skardy, ti ringrazio, ciao.

PERTH
Perth

https://www.youtube.com/watch?v=KsCdxXtgN9o

MODENA    CITY                                   RAMBLERS:
“RIACCOLTI”.
Eccoci qua cari lettori. Non credo servano commenti quando si ha la fortuna di
poter incontrare una Band che ha realmente fatto un pezzo di storia della musica
italiana e sottolineo musica! Grandissimi musicisti che non hanno voluto piegarsi
alle bieche regole dell’industria discografica ma leggiamo cosa ci raccontano
Davide “Dudu” Morandi e Francesco “Fry” Moneti dei Modena City Ramblers.

PERTH

MODENA CITY RAMBLERS: “RIACCOLTI”.

1) Allora ragazzi, questo tour prende vita dal vostro ultimo lavoro, l’album
“Riaccolti”, nato come vero e proprio omaggio al ventennale del vostro
storico album acustico “Raccolti”. Com’è nata l’idea di incidere questo
album e cosa rappresenta per voi ?

“L’idea di questo nostro lavoro non nasce, dal principio, per celebrare l’album
“Raccolti”, motivazione che è arrivata in corso d’opera: avevamo voglia di fare
qualcosa di veramente acustico, riproponendo quel suono che era una
caratteristica di questo gruppo all’inizio della sua carriera. Dopo aver spinto per
tanto tempo, sul palco, con chitarre elettriche e batterie, avevamo l’esigenza di
“asciugare” il nostro suono, riproponendo qualcosa di diverso: visto che l’anno
scorso era il ventennale di “Raccolti”, abbiamo quindi deciso di unire le due cose
e di dar vita questo progetto. Ci siamo ritrovati allo Studio Esagono di Rubiera,
uno studio che per molti anni è stata la nostra seconda casa e che ha riaperto da
poco i battenti dopo un periodo di chiusura, e lì abbiamo cominciato a incidere il
nuovo album. Sicuramente anche questo è stato un modo per riavvicinarci alle
nostre origini.”

2) A cosa si deve la scelta di organizzare una campagna di crowfunding
per la pubblicazione del cd? E come mai avete deciso di tornare nei live
club per promuovere il vostro lavoro?

“Per quanto riguarda la scelta di utilizzare il crowfunding, non sentiamo di aver
fatto niente di particolarmente nuovo: oramai viene ampiamente utilizzato anche
in ambito discografico, anche se per noi è stata la prima volta. Ci è piaciuta l’idea
di utilizzare questo strumento per fare qualcosa insieme ai nostri fan, oltre ad
avere noi la possibilità di fare qualcosa che fosse, dall’inizio alla fine,
completamente indipendente: finora ci era mancata soltanto la distribuzione dei
nostri lavori, ma grazie a questa raccolta fondi, siamo riusciti a fare anche questo
passaggio. Per quanto riguarda la dimensione dei club invece, noi in questo tipo
di realtà ci siamo sempre stati, solo che, in genere, ci fermavamo dopo un tour
estivo per ripartire a Marzo dell’anno successivo, in occasione delle feste di San
Patrizio. Era molto tempo che non suonavamo quindi d’inverno, in special modo
nei piccoli club, con 300/400 posti a disposizione: questa dimensione più intima ci
mancava, quindi abbiamo deciso di riabbracciarla, facendo ritorno in quei club
che ne offrono la possibilità. Oltre a questo, ci piace portare il nostro contributo a
queste realtà con le quali siamo molto solidali, c’è molto bisogno, in Italia, di
luoghi in cui poter fare musica dal vivo, però chi, al giorno d’oggi, decide di aprire
un club, sa bene che non sono tutte rose e fiori. Oggi molte realtà di questo tipo
stanno purtroppo chiudendo, soprattutto i club di medie e grandi dimensioni, un
tempo il problema, almeno nelle grandi città, per una band, era quello di decidere
dove andare a suonare, data la vastità dei posti disponibili. Ci dispiace, a questo
proposito, dover ricordare come a Pordenone abbia da qualche anno chiuso un
club storico che a noi ci ha ospitato tantissime volte, il Deposito Giordani,
lasciando una città come Pordenone orfana di posti in cui potersi esibire dal vivo.”

3) Com’è cambiato, in generale, il rapporto che avete con la musica nel
corso della vostra carriera ultraventennale ? A proposito della vostra
carriera, come vede la vostra band, che di gavetta ne ha fatta tanta, i
nuovi prodotti musicali partoriti oggi dalla televisione ?

“Beh, diciamo che siamo molto curiosi di seguire tutti i cambiamenti propri della
sfera musicale, tutte le sue evoluzioni. Forti dei 27 anni di storia che abbiamo alle
spalle, siamo coscienti del fatto che possiamo permetterci di sperimentare avendo
sempre uno zoccolo duro di pubblico che ci segue e apprezza i nostri lavori. Se è
vero che è cambiato il modo di fare e di proporre musica, è anche vero che è
cambiato il modo di arrivare a fare musica: fra talent show, reality e altri format
mediatici, un artista non viene più giudicato solo dal punto di vista del prodotto,
che da questo punto di vista si ritrova ad essere “costruito”, per far fronte a tutta
una serie di esigenze che certe trasmissioni impongono. Se si è perso l’attitudine
a fare canzoni che siano rilevanti da un punto di vista politico e/o sociale, è anche
perché per arrivare a scrivere determinati testi, devi necessariamente avere un
certo percorso alle tue spalle . Ci sono, ovviamente, ancora tanti artisti che
vogliono continuare a fare questo tipo di musica, però diventa difficile per loro, al
giorno d’oggi, trovare dei posti in cui suonare: se ogni anno ci sono 70/80 artisti
nuovi, è difficile riuscire a ritagliarsi il proprio spazio. E come riesci non appena
l’hai ritagliato, rischi di essere già “vecchio”: basti pensare al fenomeno indie-
rock, artisti importanti che qualche anno fa richiamavano ai concerti grandi
numeri di spettatori, sono completamente spariti. D’altra parte, i fan hanno
bisogno di essere “fidelizzati”, crescendo insieme a te: se un giorno diventi
grande senza essere mai cresciuto, è difficile pensare di esserti costruito un
solido rapporto con i tuoi fan (e questo rapporto è molto limitato nel tempo nel
magico mondo dei talent show; n.d.r.).”

4) Quali sono gli ingredienti che contribuiscono ancora al vostro successo
?

“Questo non lo sappiamo. Cerchiamo di proporre qualcosa che, nel farlo,
entusiasmi anche noi: se mentissimo, non saremmo affatto credibili, e chi ci segue
presto se ne accorgerebbe. Non abbiamo nessuna formula magica da rivelare,
anche perché, se così fosse, lo avremmo già fatto.”
5) Che cosa dobbiamo aspettarci da questo tour ?

“Sarà un tour acustico, e al tempo stesso, decisamente energico. Proporremo dei
brani che è da qualche tempo che non facciamo più live, ma che ad ogni concerto
ci vengono chiesti a gran voce: è arrivato il momento di riproporli. Ci sarà la
nostra solita energia di sempre ad accompagnare i nostri concerti.”

6) Quali sono, per concludere, i progetti futuri della band dopo il tour ?

“Non abbiamo programmi per adesso, e, per fortuna, non siamo neanche costretti
ad averli. Lavorando in un regime di totale indipendenza, possiamo più o meno
fare ciò che vogliamo, senza dover rispondere a nessuna logica commerciale, a
differenza di altri nostri colleghi. Ad esempio, una band che stimiamo e con la
quale siamo molti amici, cioè i Negrita, dopo il festival di Sanremo non ha potuto
decidere in autonomia cosa fare: c’è stato chi ha scelto per loro, e loro hanno
dovuto eseguire. Quello che continueremo a fare è sicuramente tanta, tantissima
musica, anche dal vivo: sono pronte alcune date estive che ai aggiungeranno a
quelle già annunciate di questo tour, e che ci porteranno a giro per tutta Italia. Vi
aspettiamo.”

PERTH e SACHA TELLINI

https://www.youtube.com/watch?v=yXkK_lnnTvU

MCR: Live presso lo Studio Esagono di Rubiera (RE) durante la registrazione di
“Riaccolti”

Pinguini Tattici Nucleari: Noi,
“Fuori dall’Hype” per vocazione.
Carissimi lettori, inizia oggi, venerdì 17 maggio 2019, la collaborazione esecutiva
con Rockography, come già comunicato le scorse settimane. E’ un passo in avanti,
è una storia tutta nuova fatta di musica, di informazione e innanzitutto di
“amicizia operativa” con la redazione di Rockography e nello specifico con uno dei
giovani giornalisti più promettenti: Sacha Tellini.

Recensioni, interviste approfondimenti e rivelazioni di tutto quel mondo musicale
italiano ed estero che può definirsi ancora “ARTE”! Abbiamo abituato i lettori di
MUSIC a dettagliati reportage e linee editoriali chiare con l’obiettivo di farvi
conoscere il pensiero e la musica di molti Artisti (con la “A” maiuscola) lontani da
tutta quella finzione commerciale che domina i social ed i media (la televisione in
primis).

Abbiamo intervistato Riccardo Zanotti, leader e cantante dei Pinguini Tattici
Nucleari prima del loro concerto all’Auditorium Flog di Firenze, una delle band
più promettenti del panorama pop/indie italiano. Buona lettura.

PERTH

Pinguini Tattici Nucleari: Noi, “Fuori dall’Hype” per vocazione.

Allora, partiamo dalle origini: come nascono i Pinguini Tattici Nucleari ?

“Beh, probabilmente come sono nate tante altre band. Eravamo un gruppo di
amici, che un giorno ha deciso di provare a fare questa esperienza. All’inizio
dunque, tutto è partito per gioco, per divertimento: salivamo sul palco senza
neanche sapere le canzoni che avremmo suonato davanti al pubblico, questo per
darti l’idea di quanto fosse per noi, appunto, solo un gioco. Con il tempo, è
diventata una cosa sempre più seria, anche se non eravamo minimamente
preparati a questo: infatti, eccetto me, tutti gli altri componenti avevano fatto
studi diversi rispetto alla musica, ed è così quindi, un po’ per caso direi, che sono
nati i Pinguini Tattici Nucleari.”

A cosa si deve, invece, il nome della band ?

“Il perché di questo nome è un segreto che non posso dire, perché altrimenti il
nostro manager Gianrico me la fa pagare cara!” (Nel frattempo abbiamo scoperto
da nostra fonte la genesi del nome, ma per rispetto al nostro ospite non lo
riveleremo; n.d.r.)

Non puoi darci neanche un indizio ?

“Neanche questo purtroppo, mi dispiace. Posso solo dirti che il pinguino è il
nostro animale guida, e infatti è un elemento molto ricorrente anche nei nostri
live: dal pupazzo che sale ad un certo punto dei nostri concerti sul palco ai visual,
è una presenza davvero costante. Scusami davvero, ma è un segreto che proprio
non posso rivelare.”

Dal vostro album di esordio “Il re è nudo” (2014), passando per “Gioventù
bruciata” (2017), fino ad arrivare ad oggi, con il vostro ultimo lavoro,
“Fuori dall’Hype”, come sono cambiati i Pinguini Tattici Nucleari ?

“Guarda, come ti dicevo prima, giorno dopo giorno ci siamo resi conto che stava
diventando un lavoro vero e chiaramente la vita ti cambia, si sconvolge. Gli
equilibri e le relazioni che hai con un “lavoro normale” vengono completamente
stravolti. Con un lavoro come questo, non riesci più ad avere un orario normale in
cui mangi e in cui vai a letto, e di conseguenza anche il tuo rapporto con ciò che
hai muta, inevitabilmente. Io sono diventato una persona molto più paziente: ad
esempio mi sono molto abituato ai viaggi lunghi, rispetto ai quali prima non lo ero
affatto. Mi ricordo che quando abbiamo iniziato ad andare a Torino da Bergamo,
mi sembrava che ci volesse tantissimo tempo; poi ho iniziato a vedere il tempo
con una prospettiva diversa, proprio grazie a questo lavoro, e quella distanza,
rispetto ad altre tratte che percorriamo oggi, mi sembra davvero molto breve. Nel
nostro caso però, devo precisare che se tante cose sono cambiate, altre non sono
cambiate affatto. Per esempio, lo spirito con cui ci approciamo ai concerti è
ancora quello dell’inizio: suoniamo semplicemente per il gusto di farlo e per
divertirsi, cercando ogni volta di dare il meglio di sé.”

Qual è stato il punto di svolta della vostra carriera ?

“Direi che ce ne sono stati tanti, come spesso succede se una carriera può essere
definita sana. Ci sono infatti tanti steps, è difficile che ce ne sia uno soltanto:
pensa che, in inglese, esiste un termine coniato appositamente per definire tutte
quelle band che dopo aver fatto una sola canzone spariscono dalla circolazione: le
band in questione vengono definite one hit wonder, ed è in questo caso che si può
parlare di un solo punto di svolta. Le cose nel nostro caso fortunatamente sono
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