ITINERARIO EUCARISTICO TRIENNALE

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Diocesi di Ariano Irpino-Lacedonia
                  ITINERARIO EUCARISTICO TRIENNALE
EMMAUS…                        IN CAMMINO…            (I anno)
                                        CON LA PAROLA…              (II anno)
                                             PER L’OSPITALITÀ…               (III anno)
PREMESSA
        Emmaus è liturgia fatta vangelo, perché è l’esperienza liturgica della comunità apostolica
diventata narrazione evangelica. Se Emmaus è questo significa che, nella sua sostanza, la liturgia
cristiana è vangelo in atto. Questo racconto lucano può dunque, a giusto titolo, assurgere a
paradigma del rapporto tra liturgia ed evangelizzazione. La liturgia è una realtà
evangelizzante in se stessa; non è ancella dell’evangelizzazione ma è essa stessa realtà che
evangelizza. Nei discepoli di Emmaus la prima generazione di cristiani ha raccontato il cammino che
essa ha compiuto per giungere alla fede pasquale, testimoniando così che nella Chiesa si diventa
cristiani e si resta cristiani in una sola maniera: nell’intelligenza delle Scritture e nella frazione
del pane. Fin dalle sue origini evangeliche la Chiesa è consapevole che il cristiano è l’opera
della liturgia: lo forgia, lo forma, lo mantiene credente custodendolo.
        L’accedere alla liturgia per una vita intera è ciò che tiene in vita l’“essere cristiano”, personale
come comunitario. Noi entriamo nella liturgia ma in realtà è lei che entra in noi, scende nelle fibre
del nostro essere credente, plasma il nostro «uomo interiore» (Ef 3,16). Senza liturgia, cioè senza il
nutrimento solido della Parola di Dio e il pane sostanziale dell’Eucaristia, senza l’azione della Spirito,
la consolazione del perdono e l’olio della fraternità, il cristiano deperisce, degenera, muore.
        Come ogni testo del Nuovo Testamento, Emmaus è un testo dove la Chiesa si racconta e al
tempo stesso si espone e si giudica, dove la Chiesa dice ciò che è e si misura su ciò che dovrebbe
essere. L’esegesi ha provato come questo episodio sia impastato dall’esperienza che i primi cristiani
facevano in quelle forme embrionali di liturgia che tuttavia già racchiudevano l’essenziale del culto
cristiano: la lettura delle Scritture alla luce della morte di Cristo e la frazione del pane. Al
contempo, in questa pagina di Luca la Chiesa si è data da se stessa la norma della sua pratica, così che
potrà sempre tornare a Emmaus come al canone della sua liturgia e lì valutarla. È quello che occorre
fare costantemente: tornare a Emmaus come all’origine della liturgia nella consapevolezza che
ciò che è avvenuto sul cammino di Emmaus è ciò che ancora oggi avviene nelle nostre liturgie.
        Emmaus è, in modo del tutto indisgiungibile, un microcosmo della fede cristiana e un
microcosmo dell’autenticamente umano. È microcosmo della fede perché gli elementi essenziali vi
sono contenuti: la venuta del Risorto sempre da riconoscere, l’intelligenza delle Scritture, lo
scandalo della croce, l’Eucaristia, l’annuncio «il Signore è risorto», la comunione nella Chiesa.
Ma Emmaus è anche un microcosmo dell’autenticamente umano, perché è un’affascinante
esperienza umana, un vero e proprio itinerario di maturazione umana. Vi si trova l’esperienza
della disillusione, la ricerca di senso, il cammino, il dialogo, la sofferenza e la morte, lo scendere della
sera con le sue tenebre e paure, l’ospitalità, la condivisione del pane, l’apertura degli occhi che è
riconoscimento, comprensione e ritorno alla relazione abbandonata. Emmaus è dunque al tempo
stesso microcosmo dell’essenza del cristianesimo e dell’autenticamente umano, è cammino di fede ed
è cammino di umanizzazione come deve essere l’esperienza liturgica. Da più parti si avverte che una
liturgia autenticamente umana sarebbe un terreno particolarmente fertile per vivere e trasmettere il
vangelo. Nell’attuale ricerca di un nuovo umanesimo cristiano la liturgia gioca un ruolo essenziale e
decisivo nel mostrare che oggi il cammino di fede deve essere declinato anzitutto come cammino di
umanizzazione.
        Il cammino di questo triennio (2020-2023) non sarà quello di accumulare iniziative ma
vivere una lectio continua di questa pagina del terzo vangelo; sarà un tempo invece per
accogliere non solo come da questo racconto emerga il modo in cui nella liturgia Gesù Cristo

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continua ad annunciare il vangelo alla sua comunità, ma anche come la liturgia è chiamata a
evangelizzare i credenti di oggi con le loro caratteristiche.
        Quella che viviamo non è semplicemente un’epoca di cambiamento ma un vero e
proprio cambiamento epocale dal punto di vista antropologico, culturale e sociale. Questo
segna profondamente anche il modo nel quale mai credenti viviamo la fede e ciò non può non
incidere anche sulle liturgie e sulla pastorale sacramentale della Chiesa. Da più parti l’aggettivo
“nuova” anteposto a “evangelizzazione” solleva molti dubbi e perplessità, perché il vangelo è sempre
lo stesso, è «il vangelo eterno» (Ap 14,6). Parafrasando le celeberrime parole di papa Giovanni –
«Non è il vangelo che cambia: siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio» – possiamo dire
che non è l’evangelizzazione che è nuova, ma siamo noi che cominciamo a comprendere in modo
migliore cosa significa evangelizzare.
        Al tempo stesso, ciò che si trasforma in continuazione sono l’uomo e la donna e la liturgia e
la vita pastorale che ne scaturisce deve necessariamente conoscere e prendere in conto l’umanità
concreta al quale si indirizza, consapevoli che, come disse il card. Montini intervenendo in Concilio
il 22 ottobre 1962 nella discussione sulla liturgia: «Liturgia nempe pro hominibus est instituita, non
homines pro liturgia», «la liturgia è per gli uomini non gli uomini per la liturgia».

PROPOSTE:

-   CONVEGNO DI ANNUNCIO DEL TRIENNIO AGOSTO 2020:
•   27 agosto Presentazione del Triennio (relatore) e Lectio Divina su Emmaus (relatore)
•   28 agosto Emmaus… in cammino (relatore) e con la Parola (relatore)
•   29 agosto Emmaus… l’ospitalità (relatore) e Prospettive per il Triennio (relatore)
•   30 agosto Celebrazione eucaristica serale diocesana e mandato al Triennio (Vescovo)

- Scuola di formazione Diocesana (SDF)
La SDF si propone di
- sostenere le esigenze formative per un laicato chiamato alla corresponsabilità;
- favorire una formazione unitaria nella chiesa diocesana;
- promuovere “competenze” pastorali a servizio delle comunità parrocchiali;
- formare alla nuova impostazione pastorale della Chiesa voluta dal Papa nell’esortazione apostolica
   “Evangelii gaudium”;

La SDF ha come destinatari
- i cristiani laici che avvertono il desiderio di dare ragione della loro fede, attraverso una fede pensata e
   adulta;
- quanti hanno a cuore sviluppare competenze per un servizio pastorale sempre più qualificato nei diversi
   ambiti di apostolato parrocchiale e associazionistico;
- il destinatario dei corsi della SDF, quindi, è quel laicato che, dal Concilio Vaticano II, vuole far maturare
   una sua posizione adulta all’interno della Chiesa.

    -   Congresso Eucaristico Diocesano settembre 2023

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I ANNO 2020-2021                IN CAMMINO
 Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante
13

circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre
conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano
impediti a riconoscerlo.

        Il racconto di Emmaus si svolge per intero lungo la strada che va da Gerusalemme a
Emmaus, ed è esattamente un’andata e un ritorno. In particolare, dall’inizio del racconto alla sosta
per la cena, tutto avviene in movimento. Si inizia dicendo che «due di loro erano in cammino» e
«mentre conversavano e discutevano insieme Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro». Il
movimento compiuto da Gesù è di avvicinarsi a «due di loro» che stanno camminando, per mettersi
al loro passo e aver parte ai loro discorsi. Quasi a voler porre l’accento sul nesso tra parlare e
camminare Gesù domanda: «Che sono questi discorsi che state facendo tra voi camminando
(peripatoùntes)?». Domandando di cosa parlano, in realtà fa dichiarare ai due la ragione del loro
cammino e, più a fondo ancora, l’oggetto della loro ricerca.
        La fede pasquale nasce in cammino perché essa è un cammino. Il cristianesimo stesso
negli Atti degli Apostoli è più volte chiamato «Via (ódos)» (At 9,2), mentre per Pietro la condizione
dei cristiani è di essere «stranieri e pellegrini» (1Pt 2,11) cioè gente che cammina, e per Giovanni
dirsi credenti in Cristo significa «camminare come lui ha camminato» (1Gv 2,6).
        La liturgia di Emmaus è in cammino a dire che la liturgia cristiana è sempre in itinere, e che
ogni Eucaristia celebrata sulla terra è soltanto sacramento del «banchetto di nozze dell’Agnello»
(Ap 19,9), è un pasto nell’attesa del compimento, una cena lungo il cammino. Non dobbiamo
dimenticare che uno dei nomi più antichi del radunarsi dei cristiani per la liturgia è il verbo latino
procedere (avanzare), da cui proviene il nome processio dato all’assemblea liturgica, un nome che con
tutta probabilità è la traduzione latina di sýnodos. Pensare l’assemblea liturgica come sinodo, un fare
strada insieme, corrisponde all’immagine neotestamentaria di Chiesa come popolo che cammina. La
liturgia di Emmaus avviene in cammino non solo perché si diventa cristiani attraverso un itinerario
ma anche perché il credere è un camminare, anzi la fede ne è la causa, secondo la bella espressione
di Paolo «noi camminiamo per la fede (día písteos)» (2Cor 5,7). Per questo, uno dei primi compiti
della liturgia è mantenere in movimento la fede, ossia far vivere la fede come dinamica e crescita
perché la liturgia cristiana non è il culto di una religione materna e dunque avvolgente, protettiva e
rassicurante, ma ha al cuore la Parola di Dio Padre che risuona, giudica e chiede conversione. La
liturgia cristiana deve muovere e in certi casi perfino scuotere la fede di chi vi partecipa.
In realtà, è sempre necessario ricordare che il cristianesimo è da se stesso, su questioni
fondamentali, una controcultura di cui la liturgia deve essere il segno più immediatamente
eloquente agli occhi del mondo. La liturgia cristiana non è nata per soddisfare il bisogno di riti
nazionali, tantomeno per avallare teologicamente ciò che si oppone apertamente al vangelo.
Comprendere la liturgia come una realtà in itinere di una fede in cammino significa, nel
preciso contesto antropologico, culturale e sociale nel quale viviamo, comprendere che le
nostre liturgie, e più in generale le celebrazioni dei sacramenti, sono oggi chiamate ad ospitare un
modo di vivere la fede, anche tra i credenti più assidui, che non è più, come un tempo, la somma di
certezze incrollabili ma è l’espressione di un desiderio di qualcosa e di qualcuno in cui poter sperare,
così che credere significa aggrapparsi a una speranza.
Oggi la liturgia deve saper essere realtà evangelizzante per una generazione di credenti con
poca capacità di fede, che non è l’apistía (mancanza di fede) e neppure la oligopistía (la poca
fede) ma la asthéneia tes písteos, la debolezza nella fede (cfr. Rm 4,19; 14,1). Solo una liturgia
che sa accogliere la fragilità della fede sarà una liturgia evangelizzante perché saprà, come
Gesù ascoltare, e interpretare l’appello che il padre del ragazzo epilettico gli rivolse: «Credo;
aiutami nella mia incredulità» (Mc 9,24).

        PROPOSTE:
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II ANNO 2021-2022                CON LA PAROLA
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  Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono,
col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò
che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il
Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei
sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi
speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando
queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla
tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i
quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto
le donne, ma lui non l’hanno visto». 25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto
i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E,
cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.

        La pagina di Emmaus è in prevalenza una discussione, uno scambio di vedute e di
interpretazione di fatti. Il testo annota da subito una certa abbondanza di parola quando dapprima
sottolinea che i due «conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto». All’inizio del racconto
vi è dunque un’enfasi posta sulla parola, e Luca fa proprio della parola tra i due discepoli il luogo da
dove Gesù proviene: «Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e
camminava con loro». Il Risorto pare sorgere dalla conversazione stessa, ed è già questa una forma
di risurrezione. Non per nulla il lavoro di Gesù, a ben guardare, sarà un lavoro di parola, più
esattamente del dare la parola alle Scritture. Vi è un primo tempo della parola ed è quello dello
scambio. Gesù stesso ne dà inizio, come al suo solito, ponendo delle domande. Non si impone, li
osserva, li ascolta, entra nella loro condizione come il Figlio di Dio è entrato nel mondo e come il
vangelo ancora oggi entra nella storia di ciascuno. Sì, Gesù prima di parlare ascolta, fino ad
acconsentire di essere preso per uno che non sa: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò
che vi è accaduto in questi giorni?». Si lascia prendere per estraneo ai fatti lui che ne è stato il
protagonista. È una forma di kénosi del sapere pur di guadagnare qualcuno che a volte anche il nostro
stile ecclesiale dovrebbe conoscere. Sembra di sentire Paolo quando scrive: «Mi sono fatto debole per
i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno»
(1Cor 9,22). Solo chi è consapevole che ogni sapere, dunque anche il suo, non può essere
assoluto, è disposto al dialogo, allo scambio che è sempre una dinamica di dare e ricevere. Il
Cristo di Emmaus sembra dirci che evangelizzare è anzitutto saper ascoltare e non solo
asserire, è saper suscitare domande e non solo dare risposte. Evangelizzare è cercare e perfino
mendicare il dialogo, così caro a Paolo VI, in un rapporto di reciprocità. La Chiesa, certo, ha da
dare all’umanità una parola di vita e di salvezza ma anche l’umanità laica e non credente ha da
insegnare alla Chiesa dei valori umanamente altissimi e la storia dimostra quanto e come ciò sia
avvenuto. Allora la liturgia, e in modo del tutto particolare la pastorale dei sacramenti, sarà una realtà
che evangelizza quando saprà suscitare la domanda di fede e non solo rispondere alla domanda di
sacramenti. La pastorale sacramentale è annuncio del vangelo quando non si accontenta di soddisfare
i bisogni religiosi, diversamente avremo fatto delle parrocchie dei sacramentifici, erogatrici di servizi
religiosi che offrono, al pari di altri produttori, dei beni di consumo.
        Da Gesù interrogati, i due discepoli raccontano per ordine «ciò che riguarda Gesù il
Nazareno», raccontano i fatti avvenuti, in modo obiettivo «valido per tutti, per chi credeva e per chi
non credeva, per Pilato, per Caifa, per Erode, per Cleopa e per l’altro compagno pellegrino. Per tutti
questa è la storia vera, oggettiva. Anche per noi»(Ernesto Balducci).
Terminato il racconto, i due discepoli hanno dapprima l’umiltà di lasciarsi rimproverare e giudicare
da Gesù – «stolti e lenti di cuore a credere» – e poi lo ascoltano, diremmo si lasciano evangelizzare.

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In questo modo i due discepoli si decentrano da loro stessi e dalla loro visione dei fatti per porre al
centro il forestiero e la sua interpretazione. Ma anche Gesù si decentra per porre al centro le
Scritture, «e cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si
riferiva a lui». Alla loro conversazione su «tutto quello che era accaduto» Gesù mette di fronte «tutti
i profeti ... tutte le Scritture». Questo è ciò che avviene in ogni liturgia della parola: per lasciarsi
evangelizzare dal Signore la comunità cristiana riunita si decentra per ascoltare le Scritture.
All’interno dell’assemblea liturgica ciascun credente, ponendosi in ascolto della Parola, si
decentra da sé, dalla sua interpretazione degli eventi, dalla sua visione della storia, dal suo
giudizio sugli altri e pone non la sua ma un’altra parola al centro, la Parola di Dio. Questo è
il principio dell’evangelizzazione: la Chiesa che pone al centro la Parola di Dio contenuta nelle
Scritture e vi si sottomette. Nella liturgia la Chiesa si lascia evangelizzare, perché
sottomettendosi al vangelo lascia che la parola di verità la giudichi e la critichi così come i
discepoli di Emmaus hanno accettato la critica del forestiero alla loro interpretazione dei fatti
avvenuti a Gerusalemme.

PROPOSTE:

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III ANNO 2022-2023 PER L’OSPITALITÀ
28
   Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi
insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con
loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si
aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: «Non
ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le
Scritture?». 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e
gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». ascolta
35
   Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

        «Resta con noi, perché si fa sera», la parola che trasforma lo straniero in ospite. Come ha
scritto Enzo Bianchi, con una punta di ironia, «i due discepoli, nel tempo passato insieme
con Gesù almeno una cosa l’avevano imparata: l’ospitalità, la carità, e chiedono a Gesù di
fermarsi da loro, di essere loro ospite». Invitandolo a entrare per sedersi a tavola e mangiare con
loro rivela che i due si prendono cura del viandante sconosciuto. Gregorio Magno commenta: «Il
Signore non è stato riconosciuto quando parlava, ma si è fatto riconoscere quando è stato invitato
alla tavola. Fratelli miei cari, amate dunque l’ospitalità, amate le opere ispirate dall’amore». L’invito
è sempre il luogo della soglia, mentre accogliere l’invito significa oltrepassare la soglia per entrare.
«Egli entrò per rimanere con loro»: si è ospiti quando si entra e si resta. Gesù entra e, come gli
hanno chiesto, resta con loro e due volte in due versetti si sottolinea la compagnia di Gesù, quasi a
dire che quello stare di Gesù con i due discepoli è particolarmente intenso, carico di significati:
«Rimani con noi ... Entrò per rimanere con loro ... Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse
la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono i loro occhi e lo riconobbero» (Lc 24,30-
31). Lo spezzare il pane è quel gesto che parla solo a chi ha il cuore che già arde per
l’intelligenza cristiana delle Scritture. Ed ecco, l’invitato è lui che compie il gesto di chi
presiede la tavola: spezza il pane e lo dona. L’ospite è lui che accoglie chi lo ospita a dire che
l’ospitalità è riuscita quando si diventa ospite del proprio ospite. A ben guardare, con i discepoli
di Emmaus il Risorto istaura la stessa relazione che nella sua vita creava con le persone di ogni tipo
che andavano a lui. L’ospitalità è un’attitudine dell’essere di Gesù di Nazaret, una sua postura, il suo
modo di stare al mondo e di entrare in relazione. La sua è una «santità ospitale», come l’ha definita
il teologo Christoph Theobald, che si sottrae per creare attorno a sé uno spazio di libertà, di
riconoscimento, comunicando, con la sua semplice presenza, una prossimità benevola nei confronti
di coloro che lo incontrano. Ma in cosa consiste questa “santità ospitale” di Gesù che anche i discepoli
di Emmaus esperimentano? È nient’altro che il tipo di relazione che si instaura e l’effetto che
essa produce: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi» riconoscono
i due. La frazione del pane, il gesto massimo dell’ospitalità, gesto di condivisione che consente il
riconoscimento, corrisponde all’estremo ritrarsi di chi lo compie e il suo scomparire: «Egli sparì alla
loro vista». Qui raggiungiamo il punto estremo dell’ospitalità, creare spazio per l’ospite, il
ritirarsi di fronte a lui, fino a scomparire affinché l’ospite possa ritrovare la sua identità di
credente e una nuova relazione si crei tra chi ospita e l’ospitato.

PROPOSTE:

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TEMPISTICA DEL TRIENNIO (due tempi per l’anno):

       I tempo: settembre-febbraio (Ordinario-Avvento-Natale-Ordinario)

       II tempo: marzo-giugno (Quaresima-Pasqua-Ordinario)

EUCARISTIA: PASSIONE PER L’UOMO

Eucaristia per l’affettività

EUCARISTIA: PRESENZA DI MISERICORDIA

Eucaristia per la fragilità

EUCARISTIA NEL TEMPO DELL’UOMO:

Eucaristia per il lavoro e la festa

EUCARISTIA: PANE DEL CAMMINO

Eucaristia per la tradizione

EUCARISTIA: LUCE PER LA CITTA’

Eucaristia per la cittadinanza

EUCARISTIA E COMUNIONE

Eucaristia per la comunità cristiana

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