Intervista a Mons. Raspanti, Vescovo di Acireale - Alleanza Cattolica

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Intervista a Mons. Raspanti, Vescovo di Acireale

Mai come in questo tempo drammatico occorre che la Chiesa non perda contatto con i fedeli e,
anche, entri in sintonia con i cosiddetti “lontani”, affinché essi ne vedano e ne sentano la presenza.
Alleanza Cattolica, pertanto, chiede ai vescovi italiani di raccontare come stanno operando nelle
proprie diocesi per affrontare l’epidemia di coronavirus e le sue drammatiche conseguenze nella
vita quotidiana, in un momento, peraltro, in cui la partecipazione alla santa messa è interdetta ai
fedeli per ragioni di ordine sanitario. Lo scopo principale delle interviste è quindi quello di ricordare
a tutti, pastori e fedeli, l’importanza della preghiera pubblica, attraverso la quale si chiede
l’intervento del Signore della storia e si cerca di rendere visibile a tutti la presenza di Dio. A questo
proposito, Alleanza Cattolica si è rivolta a Sua Eccellenza mons. Antonino Raspanti, vescovo di
Acireale.

D. Eccellenza, come valuta nella diocesi da Lei guidata, la situazione determinata dall’emergenza
epidemica, anche in relazione alle necessità pastorali dei fedeli?

R. Il quadro sanitario, purtroppo, registra una crescita costante dei contagi. E solo in questi ultimi
giorni, si è notata, da parte della popolazione, una vera ed estesa presa di coscienza relativa
all’osservanza delle regole. Ma questo perché in Sicilia si sono verificati vari casi di contagio,
nonché qualche decesso. A fronte del cambiamento degli stili di vita imposto da tale situazione, la
diocesi di Acireale si è attrezzata, come del resto tutte le altre diocesi d’Italia, con gli strumenti
della comunicazione web ovvero telefonica, per essere vicini in tutti i modi possibili alle persone.
Essere vicini vuole dire che noi come sacerdoti e pastori siamo presenti e dimostriamo la nostra
presenza secondo le diverse modalità oggi praticabili: sia, per l’appunto, attraverso la
comunicazione per mezzo della rete web, sia attraverso azioni caritative concrete, per quanto è
consentito dalle regole a cui occorre attenersi. Indico quale esempio il sistema caritativo-
assistenziale della Diocesi. La Caritas diocesana, così come la Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli,
è molto attiva e dispone di sedi operative in tre comuni della Diocesi. Peraltro, sono le stesse
strutture comunali ad avere chiesto ai volontari della Caritas di intervenire e svolgere la loro attività
assistenziale, consegnando, ad esempio, le medicine o i pacchi spesa presso le abitazioni di coloro i
quali si trovano nell’impossibilità di uscire da casa. Sono i nostri volontari a effettuare le compere e
le consegne per conto di chi ne fa richiesta, attenendosi ovviamente a tutte le necessarie

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precauzioni. Per il comune di Acireale, i responsabili della Protezione Civile si sono offerti di fornirci,
ai fini di questo servizio, guanti e mascherine, e allo stesso tempo ci hanno chiesto di segnalare loro
i nomi di coloro i quali hanno chiamato per richiedere aiuti, in modo tale che essi possano avere un
migliore controllo del territorio e dunque possano porsi nelle condizioni di essere in grado aiutare
chi ha effettivamente bisogno. Oltretutto, la Diocesi ha lasciato attive le due mense che da essa
dipendono, così come la casa alloggio, che dispone di dieci posti letto e nella quale sono accolti
alcuni senza tetto. A questi ultimi, vista l’attuale situazione, è stata assicurata la continuità di
permanenza, con i relativi servizi di assistenza (pasti, pulizie, ecc.). Tutto ciò grazie al lavoro dei
volontari.

Dal punto di vista della pratica religiosa e della preghiera, va rilevato come circa la metà delle
parrocchie – ossia tutte quelle che hanno a disposizione gli adeguati mezzi tecnici –
quotidianamente trasmetta in video la santa Messa, il santo Rosario e, il venerdì, la Via Crucis,
considerato che siamo in tempo di Quaresima. Altre realtà ecclesiali, ancora, trasmettono dei
messaggi a specifiche comunità di fedeli. Porto gli esempi dell’Ufficio per la Pastorale Giovanile e di
quello dei Catechisti, che comunicano costantemente con i gruppi giovanili e con i catechisti della
Diocesi, per fornire loro le necessarie informazioni su come organizzare le attività per i bambini o
per i ragazzi un po’ più grandi. Fra gli altri, seguiamo un gruppo di adulti che la notte di Pasqua
dovrebbe ricevere il battesimo. Gli adulti sono stati già da me introdotti al sacramento, in
cattedrale, nel giorno del mercoledì delle Ceneri, solo che per confermare la data del battesimo
attendiamo l’evoluzione dei fatti. Ma soprattutto nella Diocesi le chiese rimangono accessibili, con il
medesimo orario dei giorni precedenti alle restrizioni, pur sapendo che durante il periodo di
apertura ai fedeli vi fanno ingresso pochissime persone, per lo più in correlazione ad altre uscite:
chi va a comprare il pane oppure va a comprare le medicine, passando davanti alla chiesa, entra e
vi si sofferma. I parroci, poi, si recano presso i fedeli che ne fanno richiesta, per portare loro la
Comunione o per amministrare la Confessione, specialmente nel caso di persone ammalate, oppure
per portare il Viatico ai moribondi. Benedicono poi le salme, per l’ovvia ragione che si continua a
morire, a prescindere dal coronavirus. Chi entra in chiesa e lo chiede riceve il sacramento della
Confessione, di regola nell’ufficio parrocchiale e con le dovute precauzioni. C’è quindi una vita
ecclesiale necessariamente ridotta nella dimensione fisica, ma molto intensa nella comunicazione.
Peraltro, dai numeri rilevati attraverso le trasmissioni in streaming, l’ascolto della celebrazione della
messa risulta sensibilmente superiore rispetto alla media della partecipazione alle funzioni che si

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registrava prima della diffusione dell’epidemia. Per esempio, la messa da me celebrata alle otto del
mattino ottiene un numero molto elevato di visualizzazioni ed è ritrasmessa in differita sia da una
televisione di Acireale, sia da una di Trapani, con numeri, ripeto, effettivamente alti, se si considera
che si tratta di una messa feriale. Insomma, benché non vi sia una risposta di massa, l’incremento
però risulta significativo. Gli stessi videomessaggi che in varie occasioni ho messo in rete hanno
ricevuto riscontri apprezzabili. In molti percepiscono il nostro sforzo di essere presenti, il fatto che
non abbandoniamo il territorio e che non veniamo meno ai nostri doveri pastorali. E non smettiamo
di pregare. Intrattengo poi contatti con il personale sanitario dell’ospedale di Acireale e con i
responsabili del carcere (da poco, a questo proposito, ho inviato un messaggio ai carcerati), perché
in questi luoghi si vive davvero una situazione di grande difficoltà. In sostanza, mi sembra di potere
affermare che la Chiesa italiana in questo momento c’è: è presente e cerca di condividere le
sofferenze che tutti stiamo vivendo.

D. Considerata la scarsità, se non la quasi totale assenza, di riferimenti religiosi nella
comunicazione pubblica, per quali ragioni culturali e storiche, secondo Lei, la dimensione religiosa
risulta estromessa dalla vita pubblica del nostro Paese (e di gran parte del mondo occidentale)?

R. Questo fenomeno dipende dal secolarismo imperante, nonché da un certo tipo di laicismo,
evidente per esempio in Francia e in Italia, ma ora, più di recente, anche in Spagna. Sono nazioni
politicamente egemonizzate dal laicismo, per cui non si vuole concedere parola pubblica – o almeno
non la si vuole concedere facilmente – agli uomini di religione. Li si interpella, ma incasellandoli
secondo le proprie categorie di riferimento, tutt’al più chiedendo la loro opinione o informandosi su
quali decisioni prendano riguardo ai propri fedeli. Tutto ciò, del resto, è la conseguenza di un
retaggio e di un portato culturale, possiamo dire, lungo di secoli. Questa situazione potrebbe, in
qualche modo, aprire nuovi squarci alla presenza pubblica dei cattolici? Probabilmente sì. Anche se
non lo prevedo a brevissima scadenza. Tuttavia, si notano, ora qui ora lì, piccoli segnali. Abbiamo
visto, per esempio, qualche sindaco rivolgere una preghiera pubblica. Si tratta, per l’appunto, di
piccoli segnali che lascerebbero presagire delle possibili aperture a una maggiore presenza
pubblica della fede cattolica, sebbene ancora trovo prematuro parlarne. Sarà necessario, da parte
nostra, disporre di tempo e, forse, anche di maggiore credibilità.

D. Ma anche in una prospettiva laica, nella prospettiva del non credente, la preghiera potrebbe

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rappresentare un elemento di coesione sociale in un momento molto difficile. Perché, a differenza
che in altri momenti storici, le classi dirigenti non ritengono necessario appellarsi alla preghiera e
alla penitenza come mezzi per affrontare l’emergenza sanitaria? Perché questa refrattarietà a un
appello alla fede?

R. Credo che i governi italiani, e soprattutto, in alcune delle sue componenti, il governo attuale, non
abbiano una lunga e profonda formazione religiosa, o almeno così sembra dall’apparenza esterna.
Ragione per cui da una parte, constato che i nostri attuali governanti sono troppo schiacciati
dall’emergenza, direi quasi sommersi, con le inevitabili ansie, determinate dalle urgenze dei tempi,
e pertanto non riescono a riflettere abbastanza; dall’altra parte, a mio avviso, si registra il riflesso di
una minore sensibilità al sentimento religioso, dalla quale consegue la ritrosia a fare appello
all’intervento divino. Per altro verso, è anche vero che hanno avuto luogo varie consultazioni tra il
Ministero dell’Interno e la Presidenza del Consiglio, da una parte, e la Conferenza Episcopale
Italiana (per quanto riguarda la Chiesa Cattolica), dall’altra. Ci sono stati dei contatti, nel corso di
questa emergenza. Da parte dei governanti, c’è quindi attenzione alle scelte della Chiesa. Ma
questo ricade nell’àmbito delle relazioni istituzionali, che non vengono divulgate al pubblico.

D. La Chiesa Cattolica rappresenta ormai una minoranza, ma in che modo potrebbe invece
rafforzare la propria presenza nella vita pubblica? Quali gesti coraggiosi, che vadano oltre la
pastorale ordinaria e che aiutino gli italiani a conoscere l’importante lavoro educativo e
assistenziale svolto dai cattolici, potrebbe compiere in questo frangente?

R. Oltre a veicolare messaggi strettamente religiosi – la preghiera, il sostegno morale,
l’incoraggiamento – e mostrare di essere un solido punto di riferimento – tale, cioè, da non lasciarci
coinvolgere dalle ansie e dalle emotività del momento –, in modo che coloro i quali ci ascoltano
abbiano chiaro che non siamo soggetti alle oscillazioni indotte dall’emotività, probabilmente noi
come Chiesa potremmo anche tornare – e sottolineo tornare, in riferimento a uno specifico
momento della storia del Cattolicesimo italiano – con più forza al cosiddetto Cattolicesimo sociale.
Potremmo tornare a interessarci, più esplicitamente e con maggiore conoscenza delle relative
problematiche, alla vita sociale, alla vita quotidiana: oggi ancora di più, visto che la crisi economica
nella nostra società si presenta spaventosa, soprattutto se si considerano le questioni del lavoro,
del patto sociale, dell’impresa e della stessa amministrazione locale; questioni che determineranno

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problemi scottanti e di grandi dimensioni, ai quali noi dovremo prestare più attenzione in
riferimento alla vita delle persone, che il cristiano deve vivere in comunione con Cristo. A mio
avviso, questo impulso al cambiamento dovrebbe partire dal clero. I vescovi e il clero, cioè,
dovrebbero interessarsi a promuovere interventi nella vita sociale, così come accadde nel periodo
del Cattolicesimo sociale promosso da papa Leone XIII (1878-1903). Però, dopo una fase iniziale,
non potrà più essere principalmente il clero a trattare di questi argomenti e a spendersi nell’azione
sociale. La responsabilità ricadrà sul laicato cattolico, che tuttavia dovrà mostrare di possedere
competenze e dovrà vivere con fede l’impegno quotidiano di lavoro e, in generale, l’impegno
sociale. E dovrà anche essere in grado di comunicare con un linguaggio comprensibile ai credenti,
nella loro quotidianità. Qualcosa del genere accadde fra la fine dell’Ottocento e gli inizi del
Novecento, quando addirittura tanti sacerdoti assunsero la carica di pro-sindaco o di consigliere
comunale. Per circa quindici anni si registrò un grande slancio nell’azione politica e sociale. Fu,
come dire, aprire una pista, imprimere una svolta, a cui successivamente corrispose una vera e
propria frenata da parte dell’episcopato, sotto papa Pio X (1903-1914). Il messaggio, però, era
partito, e il laicato cattolico entrò con piena legittimità nel campo politico. È quindi probabile che
oggi, con modalità nuove e diverse, si possa tornare a questa condizione, ma con credibilità e con
atteggiamento di ascolto. Dobbiamo tornare a vivere l’Incarnazione della Parola nella storia: in
quella della nostra città, del nostro paese e, quanto meno, dell’Europa intera, perché siamo eredi di
quel passato. Dovremmo riuscirci, ma non con un atteggiamento approssimativo o confusionario,
bensì con spirito di servizio, di professionalità e di conoscenza vera dei problemi. Occorrono
persone ben formate, competenti, oneste – e sottolineo oneste –, le quali possano, per l’appunto
con onestà intellettuale e competenza, fornire il proprio contributo a una nazione che, sicuramente,
da questa prova uscirà stremata, come da una guerra.

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