Insegnare il design della moda - Il progetto nella moda

Pagina creata da Serena Frigerio
 
CONTINUA A LEGGERE
Università Iuav di Venezia
Dipartimento di Culture del Progetto

quaderni della ricerca

Il progetto nella moda

Insegnare il design della moda
Università Iuav di Venezia - Dipartimento di Culture del Progetto
Quaderni della ricerca

Copyright ©MMXIV
ARACNE editrice S.r.l.

www.aracneeditrice.it
info@aracneeditrice.it

via Raffaele Garofalo, 133/A-B
00173 Roma
[06]93781065

ISBN 978-88-548-7132-8

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento
anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore.

Copyright © per i testi: Maria Bonifacic; Maria Cristina Cerulli; Patrizia Fiorenza; Samanta Fiorenza; Maria Luisa Frisa; Anthony Knight;
Ethel Lotto; Mario Lupano; Amanda Montanari; Gabriele Monti; Desamparados Pardo Cuenca; Simone Sbarbati; Alessandra Vaccari

Copyright © per le immagini: p. 8 Niccolò Magrelli; p. 18 Francesco de Luca; p. 20 Maria Bonifacic; p. 26 Giacomo Frasson;
p. 38 Amanda Montanari; da p. 46 a p. 75 Francesco de Luca e Laura Bolzan / Commesso fotografo; p. 78 Augusto Maurandi;
p. 84 Simone Sbarbati; p. 88 Alma Ricci; p. 94 Francesco de Luca; p. 104 locandine Comesta; p. 110 Desamparado Pardo Cuenca;
p. 118 Alessandra Vaccari; p. 144 Francesco de Luca

Progetto grafico di Luciano Comacchio - MeLa Media Lab
Coordinamento editoriale e impaginazione di Ethel Lotto e Andrea Chinellato
Trascrizione testi della tavola rotonda di Ilaria Cipriani e Marta Franceschini
Assistenza alla ricerca Susanna Battistutto e Martina Bernardi

I edizione: maggio 2014
Insegnare il design della moda
a cura di Mario Lupano e Alessandra Vaccari

Unità di ricerca: Il progetto nella moda
responsabile scientifico: Mario Lupano

membri: Maria Luisa Frisa, Amanda Montanari, Gabriele Monti, Fabio Quaranta,
Alessandra Vaccari, Cristina Zamagni

dottorandi e assegnisti di ricerca afferenti: Susanna Battistutto, Martina
Bernardi, Maria Cristina Cerulli, Anita Costanzo, Riccardo Dirindin, Ethel Lotto
Indice

      Introduzione
  8 Imparare il design della moda: un processo relazionale / Mario Lupano

      Analessi
 18   Insegnare il design della moda: l’esperienza dello Iuav / Maria Luisa Frisa
 20   Learned in Italia / Maria Bonifacic
 26   Lost and Found in Translation / Patrizia Fiorenza e Samanta Fiorenza
 38   Il ruolo della modellistica nella formazione del designer /
      Anthony Knight e Ethel Lotto

      Album
 46 Be My Guest: 2009-2014 / Foto di Francesco de Luca e Laura Bolzan

      Prolessi
 78 L’uso della storia nel fashion design / Alessandra Vaccari
 84 Comunicare la moda: la ricerca sul sé / Simone Sbarbati
 88 Necessità della study collection / Gabriele Monti
 94 Indagine sugli scarti pre-consumo di aziende tessili e
    dell’abbigliamento / Maria Cristina Cerulli
104 L’approccio open source alla progettazione della moda / Amanda Montanari
110 Sperimentare il co-design: progettare la moda attraverso le comunità /
    Desamparados Pardo Cuenca

      Tavola rotonda
118 Moda, progetto e responsabilità

133 Ambiti d’indagine dell’unità di ricerca
135 Bibliografia
139 Autori
Introduzione
IMPARARE IL DESIGN DELLA MODA:
UN PROCESSO RELAZIONALE
Mario Lupano
Il quaderno raccoglie gli esiti di una giornata di riflessioni sulla didattica del design
della moda in ambito universitario e le relative interazioni con la dimensione della ricer-
ca. Al centro dell’attenzione è la cangiante e peculiare esperienza d’insegnamento della
moda svolta nell’arco di otto anni all’Università Iuav di Venezia. La giornata si è svolta
a Venezia il 18 febbraio 2014 nella sede del Dipartimento di Culture del Progetto che ha
promosso e sostenuto l’iniziativa e questa pubblicazione. Trovarsi in una sede diversa
da quella di Treviso, in cui si svolge quotidianamente la didattica della moda dello Iuav,
ha conferito una certa oggettività alla conversazione collettiva. Docenti e studenti dei
curricula in moda dei corsi di laurea triennale e magistrale sono una comunità molto
salda; si frequentano e riflettono giorno per giorno su ciò che stanno facendo. Ma tali
riflessioni rimangono spesso a un livello implicito mentre restano poche le occasioni
come questa per dialogare e avere un confronto strutturato sui temi della ricerca e
della didattica del design della moda.
Didattica e ricerca sono le due parole chiave che sostanziano l’attività dell’università,
l’una si intreccia con l’altra, l’una non esclude l’altra. Nell’ambito dell’insegnamento
della moda a volte queste due componenti appaiono disgiunte. Ancora oggi il design della
moda fatica a porsi in relazione con la dimensione della ricerca universitaria e questo
è forse il riflesso di una mancanza di consuetudine accademica, dato che raramente la
moda è stata insegnata all’università. Come espediente per accorciare i tempi e favorire
l’affermazione della ricerca nell’ambito del design della moda abbiamo deciso di eleggere
come tema di ricerca di questo seminario ciò su cui più spesso ci troviamo a ragionare,
vale a dire la didattica.
La ricerca è importante per diversi motivi. È attraverso di essa che si misura la parte-
cipazione alla dimensione universitaria, sia dal punto di vista culturale, sia da quello
delle logiche istituzionali. Una istituzione universitaria viene infatti valutata attraverso la
produttività sul fronte della ricerca, oltre che su quello della didattica. Una componente
dei docenti che insegnano nei nostri corsi di studio dello Iuav sono naturalmente impe-
gnati nella ricerca, con variegati indirizzi personali che più o meno direttamente entrano
in contatto con l’attività didattica alimentando riflessioni, portando materiali nuovi,
ridiscutendo vecchie convinzioni, lavorando infine per l’affermazione di una dimensione
culturale della moda – in sintonia con contesti internazionali dove gli studi di moda

                                               9/144
sono più consolidati, mentre le scuole di progettazione della moda godono di una lunga
tradizione e sono molto strutturate metodologicamente.
Nell’ambito delle ricerche personali, posso ricordare il lavoro curatoriale di Maria Luisa
Frisa, che ha prodotto mostre e libri con il fine di riconsiderare criticamente la moda
italiana e comprenderne nel posto in un quadro internazionale (Frisa 2005; Frisa e Tonchi,
2010). E l’azione culturale di Frisa si sposa ed entra in rapporto stretto con la mission del
corso di laurea, che appunto cerca un posizionamento della moda a livello italiano e a
livello internazionale. Posso ricordare le ricerche, di taglio più storiografico, condotte da
Alessandra Vaccari su moda e modernismo, (Lupano e Vaccari 2009), e altre ricerche attente
alle fenomenologie della creatività nell’ambito del fashion design, fino a considerare la
condizione dei designer indipendenti nella moda contemporanea (Vaccari 2012). Ci sono gli
studi di Gabriele Monti sulla costruzione dei discorsi espositivi nella moda, con metodologie
variegate, che partono da approcci semiotici per poi confrontarsi con aspetti più vicini ai
fashion studies (Monti 2008; Monti 2013). Ci sono poi i miei interessi, che sono tesi a inda-
gare le relazioni tra le diverse discipline del progetto, a diversa scala, e non solo. E voglio
ricordare anche i contributi di Elda Danese (Fortunati e Danese 2005; Danese 2008), o di
Paola Colaiacomo (Colaiacomo 2007), per citare solo alcuni dei docenti che con il loro lavoro
hanno aiutato a costruire l’identità dei corsi di laurea in moda allo Iuav. Tali ricerche indi-
viduali si sono tradotte in una rinnovata attenzione per le fonti bibliografiche primarie della
moda che hanno stimolato la nascita di una biblioteca specializzata che arricchisce una
prestigiosa biblioteca di ateneo dedicate alle varie espressioni della cultura progettuale.
Oltre alla dimensione della ricerca individuale, vanno ricordate molte altre azioni intraprese
che sono testimonianza pure di un’attitudine alla ricerca, intrecciata sempre con la didatti-
ca, per esempio penso all’esperienza del workshop e della mostra Under The Cover (Lupano
e Vaccari 2012) e al lavorio sugli archivi, alle mostre che ogni anno produciamo in occasione
di Fashion at Iuav, l’open day di fine anno, ai numerosi casi di collaborazioni con aziende e di
partecipazione attiva a progetti di ricerca finanziati dall’esterno.
Nella moda la questione della ricerca si pone anche in modo diverso – non prettamente interno
al quadro accademico – quando ci si concentra sugli aspetti creativi e progettuali. I designer
coinvolti nell’attività didattica esplicano il loro ricercare tra le pieghe della attività professiona-
le e sono più difficilmente misurabili con i parametri accademici della produttività scientifica.

                                                   10/144
Inoltre, in questi casi la ricerca si avvale spesso della complicità di situazioni esterne e tradi-
zionalmente ritenute antagoniste del mondo accademico, come ad esempio le realtà aziendali.
Dobbiamo ricordare che le discipline del progetto, nel loro vasto dispiegarsi, dalla moda alle
arti e all’architettura, sono difficilmente declinabili con le dimensioni della ricerca accademica
tradizionale. Sono discipline a statuto scientifico debole, per le quali è difficile individuare e
sostenere uno o più sistemi di certezze deterministiche. Al contrario di altri campi di studio, i
cui principi basilari mantengono una costanza affidabile e trasmissibile, la moda – ma anche
l’architettura – è condannata a un processo di revisione permanente, che produce verità inevi-
tabilmente parziali e provvisorie. Questo produce anche difficoltà e differenze in tema di me-
todologie didattiche. L’università si fonda, originariamente e primariamente, sull’affermazione
di discipline che siano chiaramente trasmissibili. Le discipline artistiche e progettuali, invece,
sono venate di saperi aleatori e sfuggenti; sono caratterizzate da procedimenti analogici, dove
confluiscono le azioni di molti attori e pronunciamenti diversi che producono equilibri precari, o
comunque sempre negoziati.
In questo quadro, la ricerca e la didattica diventano difficili da misurare: insegnare il proget-
to, insegnare l’arte, insegnare l’esercizio dei processi creativi è tanto pericoloso quanto
necessario. Spesso è un procedimento individuale, spesso è un processo multiforme e re-
lazionale. Più che indagare come si insegna l’arte, la moda e l’architettura, forse dovremmo
cercare di capire come si apprendono l’arte, la moda e l’architettura. Questa consapevolezza
non deve svalutare l’intento didattico: forse non si può insegnare l’arte, eppure bisogna
farlo. Ne erano consapevoli anche i docenti del Bauhaus, impegnati a spazzare via una
tradizione accademica, puntando a cercare nuove referenze nella fabbrica (il sistema dei
laboratori vs gli atelier).
Forse occorre concentrarsi intorno alla costruzione di un ambiente in cui si impara. Forse
questo è il modo più opportuno di insegnare. Concepire un corso di studi dedicato a una
disciplina del progetto equivale, dunque, a costruire un ambiente per lo studio, e tale
costruzione è, di fatto, un’orchestrazione di elementi eterogenei (cose, persone, fatti,
azioni) che dovrà essere molto calibrata e aperta ad aggiustamenti e discussioni continue.
Un’orchestrazione e un utilizzo anche di diversi formati didattici: lezioni frontali, studio
individuale e seminariale, workshop istantanei o di lunga durata, brainstorming, progetti,
testi, mostre, installazioni dentro e fuori il recinto della scuola, conferenze, dibattiti, con-

                                                 11/144
vegni. E in questo ambiente gli studenti possono partecipare, cercare di emergere, fare da
soli oppure condividere con gli altri; possono – devono magari – amare la moda o praticare
l’antimoda; esercitarsi nel fare pratica, essere abili a spostare il punto di vista; selezionare
e affinare ma anche aggiungere e inquinare; lavorare a partire da qualsiasi cosa. Lavorare e
rischiare; allargare ed essere inclusivi, e poi ridurre: queste sono tutte operazioni necessarie
per la formazione.
Cosa si fa in un laboratorio di progettazione? Si predispongono esercizi e questo significa
instaurare rapporti con testi scritti e riflessioni teoriche; significa praticare la discussione
e anche l’espressione; porre attenzione all’apprendimento di discipline che sono fatte di
rituali, credenze ed epifanie. Bisogna salvaguardare delle utili indeterminatezze; e per fare
questo, paradossalmente, bisogna essere molto esatti e determinati nel progettare una
situazione didattica che è anche cangiante, ma estremamente precisa dal punto di vista dei
tempi e dei ruoli dei soggetti: studente, docente e interlocutore esterno. E infine, riflettendo
sul desiderio di entrare in relazione con il pubblico, nasce l’urgenza delle mostre, intese non
solo come atto finale, ma come momento in cui si inizia una nuova esperienza didattica.
(Corbellini 2010; Lupano 2012).

Vorrei dedicare la seconda parte di questo intervento introduttivo ad alcune considerazioni
che aiutino a comprendere il posto della moda nella cultura del progetto.
Siamo allo IUAV, o più correttamente all’Università Iuav di Venezia, nel tempio della
cultura del progetto. Siamo in una istituzione universitaria che fonda la propria identità
sull’affermazione intellettuale della progettazione – da pochi anni non più esclusivamente
architettonica – ed è giusto ricordare in questa occasione i motivi di un rapporto controverso
tra cultura del progetto e moda. Una storia di argomenti culturali che si sono manifestati
con il modernismo, quando l’architettura e il design hanno condotto una battaglia per la
liberazione dalla moda, coltivando la convinzione che la moda riguardasse la dimensione del
superfluo, del capriccioso e dell’irrazionale.
Per alludere alla storia di questo rapporto controverso fra design e moda possiamo ricordare
la posizione espressa di Bernard Rudofsky nel suo libro Are clothes modern? del 1947, nel
quale esalta un’idea di design dell’abito “antimoda”, come sviluppo novecentesco di un
più antico discorso dress reform, per affermare la liberazione del corpo dalle costrizioni

                                               12/144
sartoriali. Il libro era stato preceduto nel 1944 da una mostra, deliberatamente progettata
per il MoMA in quanto istituzione che celebra l’arte delle avanguardie, che definisce lo stile
moderno dell’architettura e del prodotto industriale, e che in questo caso indirizza moderna-
mente anche l’argomento del vestire. L’obiettivo non sottaciuto era quello di inculcare una
diffidenza contro il richiamo seducente della moda ai continui cambiamenti. Una battaglia
per la liberazione dalla moda che Rudofsky – personalità sibaritica, e al di sopra di ogni
sospetto in quanto amante dell’arte del vestire che sperimentava su se stesso – aveva
iniziato in Italia nel corso degli anni trenta e con la complicità di Gio Ponti sulle pagine
di Domus, nella convinzione che il nostro corpo non si meriti di essere imprigionato da un
fenomeno irrazionale e capriccioso. In questa visione la moda stessa è superflua, come
l’ornamento nelle invettive di Adolf Loos. Una battaglia esplicita anche contro la dittatura
della sartorialità e contro una cultura del progetto basata sul taglio – gesto insensibile e
moralmente esecrabile che profana l’integrità del tessuto – e per l’affermazione di un’idea
costruttiva semplice, che riconsidera la tradizione orientale del drappeggio e della modula-
rità geometrica.
I vestiti possono essere moderni? possono entrare nel tempio del design modernista?
Alcuni capi di abbigliamento forse sì, i prodotti dalla moda no. E con il senno di poi
possiamo dire che questa è la sentenza, visto che la moda non rientra nelle collezioni di
design, né nella programmazione espositiva del MoMA.
Comunque sia, l’episodio ci serve per ricordare che per lungo tempo marcare la differenza
con la moda è stato un segno costitutivo per la cultura del design, una differenza sostan-
ziata anche da un implicito giudizio morale.
Eppure, progettare e costruire un abito equivale a confrontarsi con il tema dell’architet-
tura più prossima al corpo, ed è il luogo in cui si possono misurare molte relazioni con le
altre culture progetto.
Al di là degli aspetti legati alle logiche della costruzione/decostruzione dei manufatti che
compongono l’abbigliamento, e degli aspetti concettuali del progetto, il design della moda però
non può eludere altre questioni più aleatorie ma assolutamente costitutive la moda medesima:
le questioni identitarie, le dimensioni dello spettacolo, il desiderio, il sesso, gli immaginari.
Infatti anche questi aspetti sono aggrediti con procedimenti e riflessioni metodologiche specifi-
che, che rendono il design della moda molto significativo per il design tutto.

                                                13/144
Le pratiche design della moda hanno elaborato una serie di strumenti per lavorare
alla definizione degli immaginari. Per esempio attraverso una declinazione della forma
atlante iconografico – il mood board –, che comporta una grande e disinibita voracità
nei confronti della cultura visuale (Smith 2001). Le metodologie del mood board sono
simultaneamente capaci di orientare un percorso creativo personale e collettivo, oppure
sono importanti nella definizione di un prodotto e nel controllo del processo di produzione
industriale di una collezione. Inoltre, il progetto della moda non si riferisce quasi mai
a un solo oggetto, ma all’insieme di oggetti di una collezione che necessariamente si
struttura intorno a una narrazione.
Il design della moda riesamina le convenzioni e le ridiscute con operazioni concettua-
li – come tutte le discipline del progetto. D’altro canto, il confronto con le procedure
artistiche avviene in modo molto diretto: i termini “creazione”, “ispirazione”, “musa”,
che nel mondo dell’arte sono stati aboliti da molto tempo, qui sono vivi e utilizzati in
modo assolutamente laico e prammatico per designare tecniche e momenti della pratica
progettuale e produttiva con semplicità pop e molta efficacia.
Nel sistema della moda, che è inclusivo e non leggibile con una sola logica, convivono
attitudini diversissime: dimensione artigianale e industriale, alta e bassa tecnologia, alta
e bassa definizione. Infatti il fashion design talvolta ostenta una artigianalità anacro-
nistica, che spesso è una maschera assolutamente necessaria per confrontarsi con
l’industria e le nuove esigenze di esattezza.
La moda pratica un’idea d’innovazione che non scaturisce necessariamente dal confronto con le
nuove tecnologie, ma che implica degli scarti, dei rapporti con un’idea di heritage da progettare;
la moda intrattiene una relazione complessa e circolare con il tempo e la memoria.
La moda, come anche l’architettura, lavora sui temi dell’identità: identità collettive e di comuni-
tà transitorie, identità individuali nella società globale. Affronta esplicitamente anche il design
dell’identità di genere, senza eludere il confronto con il simbolico e la dimensione del sesso.
La moda ostenta la capacità di intercettare un pubblico e di essere effettivamente penetran-
te e diramata a livello di consumo, anche perché il progetto della moda è legato a un’idea di
coinvolgimento intimo e simultaneamente spettacolare.
Questi sono temi ineludibili per le culture del progetto, ma la moda li affronta con maggiore
evidenza e dispiegando sofisticate tecniche.

                                                14/144
Il quaderno è diviso in quattro parti. Nella prima sezione, quella che abbiamo definito
dell’analessi, vale a dire del flashback, consideriamo alcune esperienze didattiche conso-
lidate e che consideriamo parte della nostra scuola, sia a livello di patrimonio identitario
che di metodologie. Confluiscono in questa sezione i contributi di Maria Luisa Frisa, Maria
Bonifacic, Patrizia e Samanta Fiorenza, Anthony Knight ed Ethel Lotto. Abbiamo intitolato
la seconda sezione prolessi con l’obiettivo di rivolgerci al futuro e discutere nuovi atteg-
giamenti di ricerca, nuove esigenze conoscitive di docenti, ricercatori e studenti. Questa
sezione raccoglie i contributi di Alessandra Vaccari, Simone Sbarbati, Gabriele Monti,
Maria Cristina Cerulli, Amanda Montanari, e Desamparados Pardo Cuenca. Le due sezioni
principali sono separate dall’album fotografico Be My Guest di Francesco de Luca e
Laura Bolzan, racconto per immagini della vita della scuola dal 2008 a oggi. Il volume si
chiude con la trascrizione della tavola rotonda, momento finale del seminario in cui sono
raccolte le riflessioni conclusive di tutti i partecipanti e gli interventi di alcuni studenti,
che hanno preso parte alla discussione.

                                              15/144
Analessi
INSEGNARE IL DESIGN DELLA MODA:
L’ESPERIENZA DELLO IUAV
Maria Luisa Frisa
Desiderio, disciplina, produttività. Tre parole, prese a prestito dall’artista Matthew
Barney (Spector 2006), per inquadrare il progetto formativo nell’ambito della moda che
all’Università Iuav di Venezia è iniziato nel 2005, quando sono stata chiamata da Marco
De Michelis a fondare e a dirigere il corso di laurea in Design della moda.
Oggi il corso di laurea si è intenzionalmente trasformato in un percorso che mette a con-
fronto la moda e l’arte contemporanea, due discipline che possiamo considerare ugualmente
progettuali, soprattutto se le inquadriamo nel comune orizzonte rappresentato dalla cultura
visuale contemporanea. Nella quotidianità del nostro lavoro nel percorso in design della
moda riflettiamo sulla continua messa a punto di un progetto formativo in grado di costruire
– nel nostro paese una vera e propria sfida – una scuola italiana di moda, che attraverso la
combinazione simultanea di riflessione concettuale e progettazione si impegni a ricercare
un’identità italiana della moda, le peculiarità della moda italiana.
All’Università Iuav di Venezia un gruppo internazionale di docenti, fra i quali spiccano
i nuovi rappresentanti della moda italiana, riflette sulla progettazione della moda, ma
anche sugli strumenti immateriali e visionari che servono per la messa a punto di un
percorso di ricerca (Frisa 2008; Frisa 2011). Un percorso consapevole del fatto che la
creatività si radica nel conflitto e che agisce per disciplinare e canalizzare tensioni e
desideri. Creatività e ricerca interdisciplinare. Creatività e attivismo. In una dimen-
sione dinamica che vede l’intera comunità formata da docenti e allievi mettersi in
discussione ogni giorno.
Allo Iuav insistiamo sulla forza del progetto formativo nel suo insieme: siamo contro
l’idea di veloci, immediati, facili corsi brevi con etichette appealing che occhieggiano
le tendenze del momento (oggi lo stylist e il blogger come ieri il cool hunter). Le nuove
direzioni del fashion sono invece trattate come elementi che inseriamo immediatamente
nel percorso formativo inteso come piattaforma mobile e articolata, dove i laboratori
di progettazione sono contenitori vivi nei quali gli studenti sperimentano il fare e il
pensare, con un approccio vicino al critical design (Dieffenbacher 2013; Dunne e Raby
2010). Puntiamo sul fornire ai nostri studenti strumenti precisi e nello stesso tempo
aperti, perché la realtà della moda lo esige; puntiamo su una cultura progettuale fatta
di conoscenze transdisciplinari, che non si pone limiti, si mette in discussione, agisce in
modo complesso e con attitudini curatoriali.

                                             19/144
LEARNED IN ITALIA

Maria Bonifacic
Puoi anche leggere