Il ruolo della giustizia penale internazionale - Dott.ssa Jessica Denti - Ministero della ...
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CENTRO ALTI STUDI CENTRO MILITARE PER LA DIFESA DI STUDI STRATEGICI Dott.ssa Jessica Denti Il ruolo della giustizia penale internazionale ∞
I. Introduzione II. La Giustizia Penale Internazionale ..................................................................... 1 I Storia della Giustizia Penale Internazionale e dei Tribunali Internazionali 1 II L’oggetto della Giustizia Penale Internazionale : Nozione di crimine internazionale 7 III Crimine di guerra 8 IV Crimini contro l’umanità 11 V Crimine di genocidio 13 VI Crimini contro la pace 14 VII Il caso Cefalonia: processo ad Alfred Stork 15 VIII L’evoluzione della responsabilità penale internazionale dell’individuo commesse nel corso di guerre civili 16 IX Le difficoltà delle autorità nazionali: immunità, prescrizione, amnistia 18 III. Gli Organi della Giustizia Penale Internazionale: La Corte Penale Internazionale .................................................................................................... 20 I L’istituzione della Corte Penale Internazionale 20 II Gli organi della Corte Penale Internazionale 21 III Caratteri generali della Corte Penale Internazionale (CPI) 23 IV Principio di complementarità 28 V Le fonti 29 VI Il procedimento: indagini, giudizio, determinazione della pena, impugnazioni 30 IV. Il terrorismo internazionale............................................................................... 31 I Il terrorismo internazionale 31 II Il terrorismo ieri e oggi 33 III Il califfato islamico 36 IV Strumenti del terrorismo: crimini in rete 41 V Le lacune italiane: la prevenzione 42 VI La cooperazione come risposta al terrorismo 44 VII Le convenzioni in materia di terrorismo 46 VIII Terrorismo e responsabilità penale internazionale 48
V. Conclusioni ........................................................................................................ 51 VI. Bibliografia ......................................................................................................... 54 VII. Riferimenti normativi ......................................................................................... 56 VIII. Sitografia ............................................................................................................ 56
I. Introduzione La Giustizia Penale Internazionale è il complesso di regole ed istituzioni che organizzano la sanzione alla quale vengono sottoposti gli individui responsabili di gravi violazioni del diritto internazionale. Si riferisce in sostanza ai procedimenti di repressione di crimini internazionali. Il Diritto Penale Internazionale è l’insieme di norme statali e internazionali che disciplinano tale repressione, connotando fattispecie, istituti e principi generali e il processo attuato contro i responsabili.1 Esso è un diritto ibrido che ha una doppia natura: un elemento è costituito dal Diritto Internazionale Penale e l’altro è rappresentato dal Diritto Penale; la difficoltà sta proprio nel combaciare il settore penale e il Diritto Internazionale, il primo solitamente è legato allo Stato e alla delimitazione dell’azione sul territorio, mentre il diritto internazionale è per definizione non legato a un territorio nazionale, inoltre, il Diritto Penale ha una struttura verticale composta da autorità-individuo, mentre il secondo presente una struttura orizzontale, composta dal complesso Stato-Stato. Questa natura ibrida manifesta una logica giuridica molto complessa.2 Un’altra difficoltà che incontra il Diritto Penale Internazionale è il suo essere plurale, infatti è luogo di dialogo tra culture giuridiche. La norma, in fase di elaborazione, deve infatti tener conto di tante realtà e culture giuridiche e giudiziarie. Questa pluralità emerge anche in fase interpretativa. La comunità internazionale cerca da sempre di dare delle risposte preventive ed efficaci per disciplinare la punizione dei responsabili.3 Tale sistema è basato su tre pilastri, uno costituito dalle disposizioni che definiscono i crimini internazionali e prevedono la punizione dei responsabili; il secondo è rappresentato da regole relative alla competenza dei giudici nazionali di ogni Stato a giudicare crimini internazionali; infine l’ultimo pilastro è rappresentato da norme organizzative concernenti l’istituzione e il funzionamento dei Tribunali Internazionali.4 Il Diritto Penale Internazionale è un nuovo sistema giuridico penale che prende corpo come nuovo ordinamento, unico e mondiale. Esso ha caratteristiche peculiari rispetto gli altri ordinamenti. Il Diritto Penale è un diritto senza Stato, sussidiario agli Stati aderenti. Non essendo espressione di uno Stato vigente, il 1 Amati E., Caccamo V., Costi M., Fronza E., Vallini A., Introduzione al diritto penale internazionale, Giuffrè, 2010, pag. 24. 2 Ivi pag. 25. 3 Zappalà S., La giustizia penale internazionale, Il Mulino, 2005. Pag. 7 4 Ivi p. 7
Diritto Penale Internazionale risulta essere l’applicazione delle norme da parte del singolo Stato. Contemporaneamente si afferma con propria autonomia, allorché, qualora i singoli Stati non lo applicassero, minacciandone l’esistenza, necessita di una base portante consolidata. Alcuni elementi di carattere penalistico hanno trovato sviluppo in regole, dando vita al Diritto Consuetudinario. Lo Stato non è soggetto a sanzione in caso di inadempienza, tuttavia è soggetto all’obbligo di cooperare con l’organo, chiamato a dar vita al Diritto Penale Internazionale, ovvero, la Corte Penale Internazionale.5 Quindi la sfida più grande del nuovo sistema penale internazionale è affermare la sua esistenza anche contro gli Stati che ne hanno accompagnato la sua nascita, avvenuta con il Trattato di Roma. Gli Stati facenti parte hanno adottato lo Statuto di Roma rendendolo consono ai propri ordinamenti statali. I crimini, oggetto del Diritto Penale Internazionale sono maggiormente crimini di Stato, da qui la necessità di un organo sopranazionale, terzo, che garantisca una disciplina. Tuttavia lasciare solo allo Stato il compito di attuare tale diritto potrebbe voler dire operare affinché continui a non esistere.6 Nel corso della ricerca definirò il termine crimine internazionale, distinguendone le tipologie principali. I passi mossi nel XX secolo, per organizzare la disciplina in materia di crimini internazionali, hanno avuto difficoltà soprattutto nella definizione di protezione da parte dei governanti delle comunità statali. Tali protezioni innescano difficoltà, in quanto rispecchiano alcuni valori della comunità internazionale, risultando difficile giungere ad un equilibrio tra giustizia e il rischio di screditare gli organi sovrani dello Stato. Giustizia e politica sono soggetti a contrasti continui; con il termine Giustizia Penale Internazionale ci si riferisce inevitabilmente ad un settore della vita pubblica nel quale i comportamenti criminosi sono commessi. Essi abbracciano anche l’autorità statale, in modo diretto o indiretto.7 Nell’ultimo decennio del secolo scorso la comunità internazionale ha dato vita a forme di giurisdizione penale internazionale con l’intento di favorire processi di pacificazione e transizione politica, in casi di violazione dei diritti dell’uomo e di conflitti armati fra gruppi etnico religiosi, concretizzata nelle istanze giurisdizionali miste. 5 Amati E., Caccamo V., Costi M., Fronza E., Vallini A., Introduzione al diritto penale internazionale, Giuffrè, 2010, pag. 15 6 Ivi pag. 15 7 Panella L., Zanghì C., Cooperazione giudiziaria in materia penale e diritti dell’uomo, Ghiappichelli editore, Messina 2002, pag. 11.
La prima parte dell’analisi sarà rivolta a ripercorrere le fasi storiche della giustizia penale internazionale, la nascita dei Tribunali Internazionali e le loro funzioni. L’inquadramento storico è diviso in quattro tappe, dai processi di Norimberga e Tokyo alle Convenzioni di Ginevra, alla nascita dei tribunali per l’Ex Jugoslavia e Ruanda fino all’istituzione della Corte Penale Internazionale, di cui tratterò analizzando la sua struttura e le sue funzioni. Successivamente cercherò di marcare una linea tra lo Stato e gli organi internazionali, definendo il ruolo statale e il suo obbligo di cooperazione. La comunità internazionale ha sentito l’esigenza di stabilire ulteriori garanzie dei diritti rispetto a quella dei singoli ordinamenti nazionali, attualmente tale garanzia ha la necessità di ricercare maggiore efficacia rispetto alla crescente domanda di libertà. La cooperazione giudiziaria degli Stati in materia di Diritto Penale Internazionale richiede una definizione condivisa e comune dei diritti. La collaborazione tra Stati comprende sia l’estradizione, elemento più significativo della cooperazione giudiziaria, sia l’assistenza giudiziaria. 8 Nel corso della trattazione emergerà inevitabilmente come la disciplina non è ancora consolidata, attende di essere forgiata, presentando limiti e carenze. 9 Agli inizi degli anni Novanta l’obiettivo prioritario degli Stati era il perseguimento dei crimini internazionali, permessa dalla piena conoscenza e conoscibilità di principi che sono alla base della convivenza pacifica dei popoli. Non si può prescindere dal parlare del Diritto Penale Internazionale senza fare riferimento al Diritto Internazionale dei diritti umani, la giurisdizione di una è collegata all’altra. Il primo qualifica come crimini quei comportamenti che costituiscono anche violazioni di norme sui diritti umani. Gli anni Novanta rappresentano il periodo cruciale circa il coinvolgimento della società civile nelle questioni internazionali. Viene rilanciata la pratica dell’ingerenza di Stati e di organizzazioni internazionali per la protezione dei diritti fondamentali dell’uomo, un ingerenza umanitaria, una contromisura mossa da violazioni di norme internazionali, a cui si aggiungono iniziative non governative.10 8 Ivi pag. 14. 9 D’Agostino D., Il diritto penale internazionale: dalla genesi dei crimini internazionali alla istituzione della Corte penale internazionale, Tesi individuale, a.a. 2012-2013. 10 De Stefani P., Profili di diritto penale internazionale nella prospettiva dei diritti umani, Università di Padova Centro di studi e di formazione sui diritti della persona e dei popoli.
Esaminando la Corte Penale Internazionale e lo Statuto che la disciplina mi soffermerò nel corso della ricerca su alcuni punti contorti di tale normativa, sollevando questioni inerenti agli articoli della stessa. Oltre alla risoluzione di processi che attuano delle sanzioni il ruolo della Giustizia Penale Internazionale è l’attività di prevenzione. Il nascente problema che destabilizza la sicurezza internazionale è il terrorismo, fenomeno riadattato ai nuovi contesti mondiali, che assume nuove forme e scelte strategiche diverse. Dopo aver connotato le forme assunte e le problematiche politiche e sociali, analizzerò le soluzioni adottate dagli Stati per farne fronte. Con la nascita di problemi nuovi la Corte deve ampliare le sue competenze? Deve assumere un carattere innovativo? Parlare di terrorismo significa associare alcuni fattori politici, economici, religiosi e legislativi. Tale fenomeno si è allargato a dismisura trovando la propria strada mediante le vie di una criminalità organizzata. L’ONU dal canto suo cerca di individuarlo nel senso più generale e tutelando i diritti umani. La centralità della tutela dei diritti umani si deve alla connessione con la questione di asilo politico. Tale termine porta con se un corollario: quello di definire il fenomeno stesso. Le normative nazionali introducono il reato di terrorismo. Nasce anche la necessità di rafforzare la cooperazione internazionale tra gli Stati, le organizzazioni e le istituzioni internazionali e regionali. La definizione del terrorismo internazionale compare con la “Dichiarazione sulle misure destinate a eliminare il terrorismo internazionale” e la “Dichiarazione” che la completa. Gli Stati cercarono di inizializzare azioni appropriate con la “Conferenza Ministeriale del Movimento dei Paesi non Allineati” tenutasi l’8 aprile 2000 da cui emerse l’ingiustificabilità degli atti criminali volti a provocare terrore nella popolazione. Per prevenire il terrorismo si cercano, inoltre, di adottare nuove misure assicurando strumenti giuridici effettivi, intensificando lo scambio di informazioni evitando di diffondere notizie inesatte o non verificate. Tutti gli stati si impegnano nella lotta contro il terrorismo ed è necessario che facciano tutto ciò che è in loro potere per contrastarlo. Inoltre, questo fenomeno è fortemente legato al traffico illegale di armi e di materie nucleari. Esso è definito come una serie di atti criminali conosciuti o calcolati per terrorizzare l’insieme di una popolazione, un gruppo dentro la popolazione o certe persone ai fini
politici.11 Inoltre si caratterizza come forza alternativa allo scontro aperto e alla lotta di resistenza, in quanto ha obiettivi non militari e chi agisce si giustifica in nome della religione avvalendosi della nuova tecnologia. Una delle precauzioni prese dagli Stati riguarda il divieto di attività illegale di persone, gruppi e organizzazioni che inducono alla perpetrazione del sequestro di ostaggi. Nella Conferenza Ministeriale dei paesi non allineati, si afferma la necessità di un coordinamento di misure amministrative. Viene raccomandato agli Stati di adeguare la propria giurisdizione sopra a tutte le fattispecie di reato. L’articolo 8 dello Statuto nato durante tale conferenza, sottolinea l’obbligo statale all’azione penale garantendo un processo leale che rispetti i diritti di trattamento.12 Il fenomeno del terrorismo considerato di mera natura politica non è di competenza della Corte penale internazionale, tuttavia assistiamo alla nascita di un terrorismo globale, gli Stati, a tal proposito, potrebbero considerare l’opportunità di rivedere tale decisione e creare un tribunale speciale. 11 Risoluzione Assemblea Generale 60/43 , 6 gennaio 2006. 12 Balbo P., Il terrorismo. La fattispecie di un reato in evoluzione nelle disposizioni italiane e internazionali, Halley, La prefazione.
II. La Giustizia Penale Internazionale I. Storia della Giustizia Penale Internazionale e dei Tribunali Internazionali Il primo embrione del Diritto Penale Internazionale consisteva in regole di natura consuetudinaria o pattizia destinate a disciplinare i conflitti armati e proteggere la popolazione civile. Convenzionalmente la storia della Giustizia Penale Internazionale risale alla fine della Prima Guerra Mondiale. L’articolo 228 del Trattato di Pace di Versailles permise agli Stati di imporre al governo tedesco di riconoscere alle potenze alleate il diritto di condurre davanti a Tribunali Militari individui accusati di aver commesso violazioni delle leggi e consuetudini. Tale decisione ebbe un ruolo riformatore. I processi vennero poi esaminati dalla Corte Suprema di Lipsia. Prima di allora solo lo Stato che soccombeva alla guerra attuava atti di riparazioni. Con il Trattato di Versailles del 1919 si diede vita al processo di Guglielmo II, accusato di aver indotto alla guerra, con riferimento a responsabilità personali diverse da quelle statali. Il primo tentativo di giustizia penale non ebbe esito positivo, in quanto il paese si rifiutò di consegnare l’imputato che scappò in esilio in Olanda. Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale a seguito del genocidio che vide protagonisti gli Ebrei sorse, l’idea di far valere la responsabilità penale dell’individuo che ricopre alte autorità statali, attuata con l’istituzione dei Tribunali Militari Internazionali di Norimberga e 13 Tokyo. Venne firmato a Londra, nell’agosto 1945, tra le potenze alleate, un Accordo istitutivo dello Statuto della Corte di Norimberga. Il Tribunale avrebbe giudicato e punito i massimi responsabili dei crimini nazisti contro la pace, crimini di guerra e crimini contro l’umanità.14 Essi avevano competenze parziali, erano chiamati a giudicare solo i crimini commessi da una delle parti del conflitto, occupandosi solo dei maggiori responsabili. Gli Alleati non giunsero ad un accordo circa lo strumento da adottare per punire i responsabili dei crimini internazionali. La Gran Bretagna ad esempio non desiderava l’avvio di un processo ma un arresto ed un’esecuzione diretta perché lo ritenevano un 13 Zappalà S., La giustizia penale internazionale, Il Mulino, 2005. 14 Moreschi F., Lezioni di storia delle relazioni internazionali, Universitas Studiorum, Mantova, 2012, pag. 80. 1
luogo di continuazione della propaganda nazista. Gli Stati Uniti, dall’altro lato, credevano nella possibilità per i leaders tedeschi di avere un processo ricco di garanzie. Il primo processo venne istituito contro ventiquattro persone e sei organizzazioni criminali. Tra i ventiquattro vi erano i capi del Partito Nazista, del Governo tedesco e il personale ai vertici delle forze armate germaniche. Le sei organizzazioni criminali erano le SS, le SA (squadre d’assalto), il Governo tedesco, lo Stato Maggiore, la Gestapo e il Servizio di Sicurezza. Tale processo si concluse con dodici condanne a morte, a seguito delle quali si attuarono processi minori, arrestati dal contesto della guerra fredda; l’astio mondiale portò alla dissoluzione dei processi interrompendo la loro prosecuzione.15 Il Tribunale Militare Internazionale per l’Estremo Oriente ebbe caratteristiche similari, istituito nel 1946 dal Generale Mac Arthur, giudicò ventotto imputati accusati di crimini di guerra e contro l’umanità, il processo conclusosi nel 1948 con sette condanne a morte e sedici ergastoli.16 I due processi diedero vita a discussioni successive di natura storica politica e giuridica. La loro costituzione fu un iniziativa statunitense e del Regno Unito. L’ intento alla base era quello di poter dar vita a processi giuridici con una fase istruttoria non fittizia, dando all’ accusato la possibilità di difesa. La Corte era composta solo dalle potenze vincitrici e per questo, spesso, venne criticata. I crimini vennero codificati in seguito, prima di allora crimini simili alla persecuzione ebraica non erano inquadrati come crimini di guerra perché non connessi all’evento bellico. Gli eventi accaduti durante la guerra conclusasi nel 1945, hanno stimolato la necessità di codificare i crimini commessi dalla Germania nazista e dal Giappone e di poter punire persone fisiche responsabili di tali atti.17 I due Tribunali contribuirono all’affermazione del Principio di Giustizia Internazionale tra cui la responsabilità penale individuale per le più grandi violazioni del Diritto Internazionale umanitario e della rilevanza di aver agito in esecuzione di ordini.18 Per quanto concerne la responsabilità penale dell’individuo è un concetto introdotto nel XX secolo, essendo lo Stato attore collettivo e principale dell’ordinamento internazionale si fa carico delle azioni riconducibili ai suoi organi, l’atto viene imputato allo Stato stesso ma nel campo dei crimini internazionali viene affiancato 15 Ivi pag. 81 16 Ivi pag. 82. 17 Ivi pag. 83. 18 Tuzi Vincenzo, L’esercizio dell’azione penale negli organi di giustizia internazionale: i tribunali ad hoc e la corte penale internazionale, Cemiss, pag. 3. 2
dalla logica del Diritto Penale, così responsabile della condotta diviene lo Stato e l’individuo che ne risponde personalmente.19 La fase successiva ai Tribunali Militari Internazionali vide un evoluzione del Diritto Penale Internazionale, iniziata nel 1945 anno in cui vennero redatte alcune Convenzioni Internazionali. La Convenzione sul crimine di genocidio, del 1948, definisce nell’art. 1 che il termine non è prettamente legato al contesto bellico ma è considerato tale anche se commesso in tempo di pace. L’art 2 definisce il termine genocidio come “l’intenzione di distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.20 Esso comprende anche gli individui governanti, funzionari pubblici o privati. Emerge l’obbligo degli Stati contraenti di conformare le Costituzioni alla Convenzione con norme consoni per attuarla. Il processo al quale viene sottoposto l’imputato avverrà all’interno dello Stato, luogo del crimine o dal Tribunale Penale Internazionale stabilito dalle parti. Tale Convenzione richiama ai sensi della Carta delle Nazioni Unite gli organi competenti in materia. Ulteriori Convenzioni, che hanno portato tale diritto al progresso, sono le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, integrate con due Protocolli Addizionali nel 1977 21 quali la Convenzione sul crimine di apartheid del 1973, la Convenzione contro la discriminazione razziale del 1975 e infine la Convenzione contro la tortura del 1984. Queste Convenzioni portano con loro un corollario, gli Stati hanno l’obbligo di punire le gravi violazioni disciplinate dalle Convenzioni in base al principio di punibilità universale. Successivamente la Commissione del Diritto Internazionale ebbe il compito di redigere un progetto di Codice dei crimini internazionali e di Statuto di una Corte Penale Internazionale, inattuata a causa del clima ideologico sgradevole dovuto alla contrapposizione del blocco sovietico e quello occidentale. Solo dopo gli anni 90 tale contesto mutò consentendo a tale progetto di dar vita nel 1998 alla Corte Penale Internazionale. 19 Zappalà S., La giustizia penale internazionale, Il Mulino, 2005, pag. 15. 20 Convenzione sul crimine di genocidio, 1948, [ultima cons.: 14.04.2015] 21 D’Agostino D., Il diritto penale internazionale: dalla genesi dei crimini internazionali alla istituzione della Corte penale internazionale, Tesi individuale, a.a. 2012-2013 pag. 2. La prima tratta delle condizioni dei feriti e dei malati delle forze armate in campo, la seconda disciplina anche la condizione dei naufraghi delle forze armate sul mare; la terza sancisce la giurisdizione nei confronti dei prigionieri di guerra, e la quarta regola la protezione dei civili in tempo di guerra. 3
La giustizia internazionale si era già manifestata con l’istituzione dei tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia e per il Ruanda, i quali cercarono già di dotarsi di un sistema autonomo e coerente. Numerose furono le critiche da parte della dottrina al Consiglio, accusato di aver competenza istitutiva di organi giurisdizionali. L’esigenza imminente di ripristinare la situazione e nominare i responsabili dei crimini portò il voto di molti Stati membri. I rispettivi conflitti ebbero un forte impatto sull’opinione pubblica della comunità internazionale. Si affermò l’idea che i governi potessero essere controllati e la loro sovranità limitata da strumenti internazionali oltre a quelli costituzionali. Inoltre, si affermò la convinzione che i diritti fondamentali necessitassero di un salto qualitativo. Il Tribunale Internazionale per il perseguimento delle persone responsabili di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse nel territorio dell’ex Jugoslavia dal 1991 venne istituito con la Risoluzione n.827 del 25 maggio 1993; Il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda nacque con la Risoluzione n.955 dell’8 novembre 1994 proclamata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Questi Tribunali danno vita ad una nuova fase del Diritto Penale Internazionale. Anch’essi, come i Tribunali di Norimberga e Tokyo, vennero istituiti dopo la commissione degli atti criminosi ed hanno natura speciale.22 Le novità che accompagna l’istituzione di tali Tribunali furono molteplici, da una parte permisero un apporto interpretativo del contenuto di disposizioni mai state applicate prima in un contesto internazionale; hanno dall’altra fornito un apporto creativo ad istituti e categorie di diritto penale, assenti precedentemente, infatti vi erano lacune di principi e norme generali. Nella successiva fase del Diritto Penale Internazionale assistiamo alla nascita di una nuova soluzione, i Tribunali misti. Alla fine degli anni 90 nacquero la Corte Suprema della Cambogia, la Corte speciale della Sierra Leone e la Corte Speciale di Timor Est. Definiti misti perché strutturati da personale in parte locale e in parte internazionale, istituiti da accordi bilaterali con le Nazioni Unite. Alla loro base vi è la certezza di una maggior efficacia, dovuta dalla presenza dei cittadini e istituzioni del paese che hanno sùbito gli atti criminali nel processo. Il percorso del Diritto Penale Internazionale vide una sua accelerazione nell’ultimo decennio con l’adozione, la firma e ratifica dello Statuto di una Corte Penale Internazionale. Lo Statuto di Roma istituito dopo un vero e proprio trattato multilaterale, approvato dalla Conferenza Diplomatica il 18 luglio 1998, con 120 voti a favore, 7 contrari e 21 astensioni, entra in vigore il 1 luglio 2002. 22 Amati E., Caccamo V., Costi M., Fronza E., Vallini A., Introduzione al diritto penale internazionale, Giuffrè, 2010, pag. 14. 4
Gli incaricati ebbero a disposizione i modelli del Common Law e di Civil Law per la redazione di un primo progetto di Statuto. Le strade percorse per giungere a tale scopo furono molteplici. Caratteristica principale fu l’eterogeneità della formazione anche culturale dei delegati.23 Molti degli ordinamenti rappresentati erano estranei ai modelli processuali dominanti. I delegati avevano il compito di law maker, ovvero di predisporre un testo normativo. Essi avevano la consapevolezza della necessità di raggiungere compromessi. Durante le trattative vennero portate avanti delle esigenze volte a costruire una Corte capace di realizzare lo scopo sancito dal Preambolo dello Statuto stesso, ovvero, quello di porre fine all’impunità. Essa doveva divenire un modello per la giustizia penale internazionale e per gli ordinamenti nazionali. A contrario di quello avvenuto in sede dei Tribunali ad hoc si 24 riconosceva un’ effettiva partecipazione delle vittime al processo. La difficoltà risiedeva nel far valere gli interessi politici delle nazioni rappresentate. Alcuni Stati cercarono di limitare l’attività della Corte. Nasce così un ordinamento misto. Per quanto riguarda l’imputato e la sua tutela non sono stati adottati strumenti validi per porlo alla pari del rappresentante d’accusa soprattutto nella fase delle indagini, infatti, lo Statuto obbliga il Procuratore a svolgere indagini sulle circostanze. Tale Trattato rappresenta il punto di arrivo di un processo di istituzionalizzazione di un sistema di giustizia penale internazionale. In conclusione i principi fondamentali emersi con i Tribunali di Norimberga e Tokyo sono due: il primo ribadisce che sono gli uomini non gli Stati a commettere crimini internazionali ed a doverne rispondere qualsiasi carica ricoperta, in sostanza nessuno non esime dalla responsabilità; il secondo è rappresentato dall’impossibilità di non poter utilizzare un ordine ricevuto dal superiore gerarchico come scusa e giustificazione per sottrarsi alla punizione. I princìpi fondamentali scaturiti dal lavoro svolto dai Tribunali della Jugoslavia e dal Ruanda sono anch’essi rappresentati uno dalla priorità della giurisdizione rispetto a quella delle autorità nazionali e dalla limitazione di dichiarazione di “criminale” nei confronti delle persone giuridiche. Breve schema storico dello sviluppo del diritto penale internazionale: 8 agosto 1945: Accordo di Londra, Statuto del Tribunale di Norimberga 19 gennaio 1946: Istituzione del Tribunale di Tokyo - Lo Statuto verrà emesso il 26 23 Miraglia M. Diritto di difesa e giustizia penale internazionale, pag. 4, Giappichelli, Torino. 24 Ivi pag. 7. 5
Aprile. 11 dicembre 1946: Riconoscimento dei principi emersi dallo Statuto e dal Giudizio di Norimberga da parte dell'Assemblea Generale ONU - Risoluzione 95 (1) 1947: Incarico alla Commissione di Diritto Internazionale per un progetto di statuto di un Tribunale Permanente e di un codice di crimini contro la pace e la sicurezza dell'umanità 29 luglio 1950: La Commissione codifica sette principi fondamentali di Diritto Internazionale nel suo "Rapporto sui principi di Norimberga" 1950: Istituzione di un Comitato Speciale per la definizione dei crimini contro la pace (aggressione) 1953: Consegna dei progetti all'Assemblea Generale 1954: L'Assemblea Generale rimanda a data da destinarsi l'esame dei progetti in attesa che si pervenga ad una definizione del crimine di aggressione 1974: Definizione del crimine di aggressione 1980- 1994: La Commissione di Diritto Internazionale riesamina i progetti novembre 1990: L'Assemblea generale affida, su richiesta, alla Commissione di Diritto Internazionale l'incarico di riprendere i lavori per lo Statuto di un Tribunale Permanente 25 maggio 1993: Risoluzione del Consiglio di Sicurezza istitutiva del Tribunale per l'ex Jugoslavia 8 novembre 1994: Risoluzione del Consiglio di Sicurezza istitutiva del Tribunale per il Ruanda 1994: La Commissione di Diritto Internazionale completa la bozza di Statuto dicembre 1994: L'Assemblea generale istituisce un Comitato ad hoc allo stesso fine dicembre 1995: Creazione del Comitato preparatorio per l'istituzione di un Tribunale Penale Internazionale Permanente 1996 - 1997 - 1998: Sessione del Tribunale Penale Internazionale Permanente 15 marzo-3 aprile 1998: Ultima sessione pianificata del Tribunale Penale Internazionale Permanente 15 giugno: Conferenza Internazionale dei plenipotenziari per l'istituzione del 17 Luglio 1998: Tribunale Penale Internazionale Permanente. 25 25 Fonte: Amnesty international, sezione italiana. 6
II. L’oggetto della Giustizia Penale Internazionale: Nozione di crimine internazionale Con il termine crimini internazionali si indicano le gravissime violazioni del Diritto Internazionale alle quali sono collegate sanzioni penali a carico dell’individuo che le commette. I crimini di guerra sono il nucleo originario dei crimini internazionali, già nelle civiltà antiche ritroviamo principi volti a evitare abusi della disciplina di guerra e del processo a essi legati. Tali principi giungono già dai Persiani e dai Greci.26 Inoltre, sono presenti alcune limitazioni anche nelle antiche civiltà orientali. Nel Medioevo si può assistere alla nascita di una prima Corte volta a reprimere i crimini di guerra, nasce in Germana nel 1474, con l’accusa contro Hagembach di aver “violato le leggi di Dio e dell’uomo” 27, condannato poi a morte. Fu a partire dalla seconda metà del XX secolo, con la nascita del soldato di professione, che nacquero abitudini di comportamento delle truppe, in risposta anche agli ideali liberali e umanitari dei filosofi illuministi. Il diritto di guerra vede alla base delle regole che limitano le sofferenze inflitte a causa dei conflitti armati, lo jus in bello. Nasce quindi il Diritto Internazionale Umanitario che disciplina i conflitti armati internazionali e che restringe il diritto delle parti di utilizzare metodi e mezzi scelti. L’obiettivo era quello di controllare l’operato degli Stati. Il Diritto Penale internazionale nella fase originaria mancava di procedure e sanzioni penali. Dalla fine del 1600 fino al 1800 assistiamo alla redazione di Codici PenalI Militari Nazionali, che prevedono pene per i responsabili. Il passaggio decisivo si ebbe con la stipulazione delle Convenzioni dell’Aia del 1899 e del 1907. I crimini internazionali definiti dallo Statuto di Roma, rispetto ai crimini di diritto comune, presentano due caratteristiche fondamentali, la prima è rappresentata da specifiche fattispecie e la seconda dal contesto. Gli elementi che costituiscono il crimine internazionale sono due, uno soggettivo e uno oggettivo. Le norme sui crimini internazionali sono frutto di stratificazioni successive, non si sono sviluppate in maniera organica, ma sono state il frutto di norme di natura consuetudinaria e con carattere pattizio. Un'altra categoria di crimini internazionali è rappresentata dai 26 Amati E., Caccamo V., Costi M., Fronza E., Vallini A., Introduzione al diritto penale internazionale, Giuffrè, 2010 pag 3. 27 Ivi, pag 3. 7
cosiddetti crimini transnazionali, che in genere sono affrontati con strumenti di cooperazione di polizia e di intelligence e la collaborazione tra autorità giudiziarie. Essi sono esclusi dalla competenza della Corte Penale Internazionale, spetta agli Stati, in via esclusiva, il compito di intervenire per individuarli e punire i responsabili. Il terrorismo è l’unico dei crimini transazionali che si è posto al centro della preoccupazione della comunità internazionale. Per poter identificare l’insieme dei crimini internazionali oltre ad identificare le norme primarie che vietano un certo comportamento deve essere individuata la conseguente criminalizzazione ovvero una norma che individua una sanzione corrispondente al comportamento, occorre un secondo precetto che affermi che la violazione sia punibile con una pena detentiva.28 I crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio sono fattispecie complesse, ciò vuol dire che un comportamento criminoso prende forma in base al contesto. Per quanto concerne l’elemento soggettivo che costituisce il crimine occorre che l’accusato abbia voluto il comportamento criminoso. La determinazione del mens rea, cioè l’elemento soggettivo è particolarmente difficile.29 Nello specifico questi stati psicologici sono il dolo e la colpa, nel primo vi è una volontaria partecipazione che include la volontà di eseguire l’azione criminosa e la rappresentazione delle conseguenze dell’atto. Nel secondo caso non c’è l’intenzione di produrre l’evento bensì la volontà di violare ordinarie norme. III. Crimine di guerra Le prime condanne a morte per violazione di norme che disciplinavano le guerre risalgono al 1880. Per l’esercito statunitense veniva considerato un crimine di guerra un atto commesso in danno di persone o di beni privati, da parte dei nemici o di coloro che agiscono in concorso con i nemici, che costituisce violazione di leggi e usi della guerra. Essi sono violazioni del diritto dei conflitti armati, jus in bello, oggi noto come Diritto Internazionale Umanitario, un insieme di norme che disciplinano il comportamento dei belligeranti nel corso di un conflitto. Le Convenzioni di Ginevra del 1949 e altre 28 Cassese A., Chiavario M., De Franceso G., Problemi attuali della giustizia penale internazionale, Giappichelli, Torino 2005. 29 Zappalà S., La giustizia penale internazionale, Il Mulino, 2005, pag. 19. 8
Convenzioni contengono elenchi specifici di crimini di guerra come i cosiddetti grave breaches o infrazioni gravi.30 Esistono poi alcuni crimini di guerra soggetti a trasformazioni, in tal caso il Tribunale per l’ex Jugoslavia ha svolto un lavoro decisivo a tal proposito per precisare le linee di tali crimini inerenti a violazioni di norme consuetudinarie. L`art 8 dello Statuto applica due criteri, la fonte normativa di appartenenza e la natura del conflitto. Tali crimini sono composti da due elementi: l`elemento giurisdizionale, un elemento di contesto che rappresenta un criterio di politica giudiziaria indirizzato alla Corte, e l’esistenza di un conflitto armato. All`interno dello Statuto non si ricava la definizione di conflitto armato. Emergono due profili importanti anche dopo il caso Tadic per cui la Camera d’Appello del Tribunale per l’ex Jugoslavia ha ricollegato alla categoria delle gravi violazioni del Diritto Umanitario Consuetudinario: l`atto deve essere commesso nell`ambito di un confitto armato ed è necessario un nesso tra l`atto e il conflitto internazionale. Il compito del Diritto Penale Internazionale è quello di prevenire i conflitti armati, qualificando negativamente ogni tipo di aggressione alla sovranità statale tende quindi a prevenire l’insorgere del conflitto. Tuttavia la comunità internazionale tuttora non riesce a definire il termine aggressione, basti pensare all’art 5 dello Statuto che rinvia a una futura Conferenza. Dal 1899 la categoria di aggressione diviene oggetto di trattati che cercano di limitare la forza armata per la risoluzione di controversie tra gli Stati. Il tentativo di una ricerca condivisa di definizione del termine aggressione fu uno degli obiettivi iniziali perseguiti dalla Corte. Con l’Accordo di Londra del 1945, si definirono i crimini di guerra come progettazione preparazione inizio o perpetrazione di una guerra di aggressione o di una guerra in violazione dei tratti atti, convenzioni o alla partecipazione di un piano comune, ma il termine non venne definito dalla Carta.31 Nel periodo successivo a Norimberga, le Nazioni Unite cercano di codificare il termine non giungendo ad un accordo. La Risoluzione del 1974, art 3, definisce il termine aggressione come l’uso della forza armata da parte di uno Stato contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato. Le tappe della definizione del divieto dell’uso della forza sono i seguenti: 1) Convenzioni dell’Aja del 1899 e 1907 2) Trattato di Versailles del 1919 30 Convenzione di Ginevra del 1949 sul trattamento dei prigionieri [ultima cons: 14.04.2015] 31 Ivi pag. 365 9
3) Trattato Istitutivo della Lega delle Nazioni 4) Patto di Pace di Kellog-Briand o Patto di Parigi 5) Carta di Londra del 1945 6) Carte delle Nazioni Unite.32 Questi Trattati costituiscono la base per il divieto generale di usare la forza nelle relazioni internazionali disciplinato dalla Carta delle Nazioni Unite. L’art 2 comma 4 della Carta, stabilisce l’obbligo dei membri di astenersi dalla minaccia od uso della forza, non vietandola in assoluto, bensì include la “legittima difesa”. Per crimini di guerra devono intendersi le condotte riportare all’art 8 dello Statuto, tuttavia, è condizionata dalla presenza della clausola dell’opting out, la quale afferma la possibilità di un singolo Stato di dichiarare di non accettare la competenza della Corte Penale Internazionale in materia di crimini di guerra allorché il crimine sia stato commesso sul proprio territorio o dai suoi cittadini. 33 Il Diritto Internazionale bellico di origine consuetudinaria ha avuto codificazione in alcune Convenzioni che rivestono un importanza particolare per quanto concerne l’ambito penalistico in quanto attraverso questa strada si cercò di dotare il Diritto Penale internazionale di un’ applicabilità. La Carta di Londra definiva crimini di guerra come violazioni di diritto e delle consuetudini di guerra. Dopo la Seconda Guerra Mondiale mediante le Convenzioni di Ginevra del 1949 si giunge a stabilire degli obblighi di incriminazione a carico dei singoli Stati. Tali Convenzioni attribuiscono al singolo Stato il potere-dovere in base alla punibilità universale di reprimere le gravi infrazioni, punendo il reo che si trova nel suo territorio o consegnarlo a uno Stato che lo richiede e che vanta un particolare titolo di giurisdizione secondo il principio “aut dedere aut punire”. Lo Stato è soggetto all’imposizione di dover adottare ogni misura legislativa che appaia necessaria per poter rendere il Diritto dell’Ordinamento aderente al Diritto Internazionale Umanitario.34 Ad esso è delegato il compito di tutelare un bene dell’intera comunità internazionale attraverso un metodo di adeguamento indiretto. L’obbligo di legiferare degli Stati è imposto solo per crimini ritenuti “gravi” e riguardanti solo i conflitti armati internazionali. Nessun obbligo è previsto a carico degli Stati dall’art 3 comune alle quattro Convenzioni e dal II Protocollo Aggiuntivo, i quali 32 Amati E., Caccamo V., Costi M., Fronza E., Vallini A., Introduzione al diritto penale internazionale, Giuffrè, 2010 pag 365. 33 Ivi pag. 367. 34 Ivi pag 370. 10
disciplinano i conflitti interni. Unici strumenti che si riferiscono a tali conflitti, stabiliscono le condotte minime che uno Stato deve rispettare, vietare alcune condotte ma non danno vita a nessun obbligo di legiferare. Le condotte proibite cui lo Stato si impegna a reprimere sono la violenza contro la vita e la persona, cattura di ostaggi, offese alla dignità umana, esecuzione di pene capitali senza un giudizio preliminare. Nella pronuncia al caso Tadic i giudici internazionali hanno stabilito che l’art 3 dello Statuto si applica a tutte le violazioni di diritto umanitario, nell’ambito di un conflitto internazionale od interno. Tale articolo ha funzione di clausola generale. L’inclusione dei conflitti interni è uno dei grandi successi conseguiti dallo Statuto. La giurisprudenza internazionale definisce alcune caratteristiche per cui si può parlare di conflitto, è qualificabile come tale indipendentemente dal fatto che sia intervenuto un riconoscimento tra le parti, può nascere come conflitto tra forza governative e gruppi armati oppure tra più gruppi armati organizzati. Infine il conflitto interno può trasformarsi in conflitto internazionale in ragione dell’intervento di uno Stato terzo. 35 Secondo l’art 8 dello Statuto lo Stato ha la libertà di scelta dei mezzi di cui servirsi per il mantenimento della legge e dell’ordine o per mantenere l’integrità territoriale, tuttavia, devono essere legittimi. Gli “Elements of Crimes” stabiliscono un elemento soggettivo dei crimini di guerra, il soggetto deve avere la consapevolezza dei “ dati fattuali” che stabiliscono lo scontro armato e la sua connessione con il contesto. Occorre inoltre un atteggiamento psicologico di accettazione del rischio. IV. Crimini contro l’umanità Con l’Accordo di Londra dell’8 agosto 1945 venne elaborata la nozione di crimini contro l’umanità. Creando la fattispecie si afferma che un governo ha limiti al trattamento dei propri sudditi, sulla stessa via nel dopoguerra si affermano i diritti dell’uomo con la Dichiarazione Universale del 1948 e con la stipulazione del Patto Internazionale sui Diritti civili e politici del 1966. La prima definizione venne proclamata dal Tribunale di Norimberga che definisce crimini contro l’umanità “l’omicidio, lo sterminio, la riduzione in schiavitù, la deportazione e altri atti inumani commessi contro una popolazione civile o persecuzioni per ragioni politiche, razziali o religiose.” 35 Ivi pag. 386 11
La definizione dei crimini contro l’umanità prevista dallo Statuto art 7 si presenta dettagliata, abbraccia una serie di crimini che hanno in comune il fatto di essere gravemente lesivi di interessi fondamentali della persona umana. 36 L`elemento che permette di definire tali offese con il termine “crimini” contro l’umanità è presente nell`art 7 che lo definisce come un attacco generalizzato o sistematico diretto contro una popolazione civile, esso è il suo elemento strutturale. Questi crimini sono lesivi del valore dell’umanità tutelato dalla comunità internazionale.37 Tale elemento è fondamentale perché` permette di distinguerli con i crimini di diritto comune e permette di qualificare l`illecito. Fin dai tempi dello Statuto di Norimberga i Tribunali erano connessi ai crimini di guerra. Dopo lo Statuto l`evoluzione di tale termine portò alla necessità di avere una nozione autonoma. Ammettendo il loro legame con la sovranità non aveva senso legarli allo stato di guerra, essa infatti si presenta a prescindere dallo stato di guerra o di pace. 38 I crimini contro l’umanità si inseriscono in una pratica criminosa diffusa o sistematica diretta contro una popolazione civile, introducendo così in riferimento a tale termine un elemento collettivo e svelando l’unicità del bene leso. Per poter parlare di attacco occorre che vi siano l`elemento collettivo e qualitativo. Con la nozione di “attacco” si definisce una linea di condotta comprendente una serie di atti inumani o violenti diretti contro una popolazione civile. Nozione distinta da quella di attacco armato. E` necessario inoltre che l`attacco sia generalizzato e sistematico, che presenti un elemento quantitativo ovvero una molteplicità di vittime. In genere l`elemento generalizzato e sistematico viene valutato in rapporto a situazioni concrete. L`attacco generalizzato o sistematico può essere distinto dal livello di organizzazione dello stesso, il secondo porta con se` necessità di provare la coordinazione dell`attacco, nel primo caso basta dimostrare la commissione di vari atti criminosi. L`attacco può aver come contenuto una componente politica e può essere attuato dallo Stato, da organizzazioni o da privati. L`oggetto del crimine contro l’umanità è rappresentato da qualsiasi popolazione civile, ma solo civili.39 La successiva evoluzione ha portato alla comprensione tra le vittime di 36 Statuto di Roma della Corte penale internazionale. 37 Cassese A., Chiavario M., De Franceso G., Problemi attuali della giustizia penale internazionale, Giappichelli, Torino 2005. 38 ivi pag. 8 39 Ivi pag. 7 12
soldati e dei membri dei gruppi di resistenza o a coloro che occasionalmente avevano preso le armi o avevano cessato di usarle. L`elemento contestuale non caratterizza anche i crimini di genocidio, il bene giuridico identificato con un gruppo è più circoscritto rispetto ai crimini contro l`umanità`. Ne deriva una tutela anticipata rispetto alla norma, il crimine è commesso anche se solo voluto. Esso nella prassi non si manifesta al di fuori del contesto di una pratica diffusa o sistematica di distruzione di un gruppo. Al fine di determinare la responsabilità dell’individuo, per questa tipologia di crimini, è necessario che oggettivamente il soggetto concorra con la consapevolezza di contribuirvi. V. Crimine di genocidio Particolare crimine contro l’umanità, per genocidio si intende “un atto che ha lo scopo di distruggere in tutto o in parte un gruppo etnico, razziale o religioso.” Espressione coniata da Rafael Lemkin nel 1944.40 I Tribunali di Norimberga e Tokyo nel giudicare lo sterminio degli ebrei e altri gruppi etnico religiosi fecero riferimento ai crimini contro l’umanità e alla persecuzione. 41 Questa sottocategoria assunse autonomia grazie alla Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine del genocidio del 1948, che ha anche disposto la punibilità di altri crimini, inoltre ha proibito il genocidio sia in presenza di guerra che in sua assenza; ha riaffermato che dagli atti di genocidio corrisponde sia la responsabilità dell’individuo sia dello Stato, infine ha escluso ogni immunità degli individui organi dello Stato. Tale Convenzione presenta però dei limiti, al suo interno non contempla lo sterminio di gruppi politici o il cosiddetto genocidio culturale, nemmeno la purificazione etnica. Stabilisce inoltre che la punizione deve essere imposta dal Giudice dello Stato sul territorio nel quale è stato commesso o davanti alla Corte Penale Internazionale. L’ elemento soggettivo è rappresentato dall’intenzione di distruggere tutto o in parte un gruppo, definito solitamente dolo speciale, cioè un elemento mentale aggravato, l’individuo ha l’intenzione di distruggere un gruppo in quanto tale. Tale elemento permette di 40 Ivi pag.7. 41 Zappalà S., Ansalone G., 11 settembre 2021 le minacce del prossimo decennio, Franco Angeli, Milano, 2012, pag. 36. 13
distinguere i crimini contro l’umanità che hanno raggio più ampio dal genocidio, quest’ultimo invece ha il solo scopo di annientare un gruppo. Quanto all’elemento oggettivo, i due crimini posso coesistere contemporaneamente, l’uccisione di un gruppo può presentarsi sia come genocidio sia come crimine contro l’umanità. Esso rappresenta il crimine dei crimini in quanto è mosso dalla volontà di negare alle vittime il diritto all’esistenza. VI. Crimini contro la pace Lo Statuto del Tribunale di Norimberga definisce i crimini contro la pace come la “pianificazioni, preparazione, inizio o scatenamento di una guerra di aggressione, o di una guerra in violazione di trattati internazionali; partecipazione in un piano comune o ad una cospirazione a tal fine”. A causa delle difficoltà di definizione di tale termine che si è riscontrata negli ultimi cinquanta anni, la Corte Penale Internazionale avrà competenza a giudicare tali crimini solo se gli Stati parti ne forniscono definizione completa. Già il Trattato di Versailles e il Patto della Società delle Nazioni cercarono di limitare l’uso della forza armata condannando le guerre d’aggressione. Era giunto il momento di rinunciare alla guerra come strumento di politica nazionale. Concetto ribadito all’art 1 e 2 del Patto in cui si afferma l’obbligo di soluzione pacifica delle controversie internazionali. Nel 1954 le difficoltà nel definire un accordo sul crimine di aggressione interruppe il tentativo di creare un codice dei crimini contro il genere umano. Solo nel 1974 l’Assemblea Generale definisce l’aggressione come uso della forza armata tradizionale da parte di uno Stato nei confronti di un altro ente sovrano. Attualmente l’Assemblea degli Stati parte della Corte Penale Internazionale continua a negoziare su questo tema, cercando una definizione in modo da poter consentire alla Corte di applicare la propria giurisdizione su tali crimini. 42 42 Ivi pag. 44 14
VII. Il caso Cefalonia: processo ad Alfred Stork Il 23, 24 e 25 settembre 1943 avvenne l’eccidio a Cefalonia. Il Tribunale Militare di Roma ha condannato il nazista Alfred Stork all’ergastolo, accusato di aver fucilato almeno 117 italiani nel settembre 1943 in Cefalonia. Il processo è avvenuto dopo settant’ anni dall’uccisione. La vicenda risulta importante in quanto afferma principi giuridici e condanna individui criminosi. Una sentenza virtuale che pone interrogativi e riflessioni. Una manifestazione di necessità di atti di “riparazione” morale e democrazia. I processi hanno in questi casi doppia importanza, di giustizia e di memoria storica. 43 In coerenza con questo processo, si ribadisce il principio già affermato dell’impossibilità di giustificazione da parte dell’imputato, che afferma di aver eseguito un ordine. Il giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale Militare di Roma disponeva del rinvio a giudizio riguardanti Stork Alfred accusato di “concorso in violenza con omicidio continuato commessa da militari nemici in danno di militari italiani prigionieri di guerra”. 44 Durante l’udienza del 19/12/2012 l’imputato non si presentò in aula a causa di una malattia diagnosticata, il difensore chiese così il rinvio. Richiesta rifiutata il Pubblico Ministero che chiese la documentazione. Durante le successive udienze il Tribunale ha escluso alcuni testi e documenti. La decisione e l’esito raggiunto, quale l’ergastolo, stante tutti gli elementi e la particolare complessità dei documenti esaminati, ripercorre gli avvenimenti ed ha un importanza storica notevole. 43 Conferenza “Processo ad Alfred Stork, la verità giudiziaria sulla strage di Cefalonia dopo 70 anni”. 44 Sentenza Tribunale Militare di Roma pag.8 [ultima consultazione:3/7/2015] 15
VIII. L’evoluzione della responsabilità penale internazionale dell’individuo commesse nel corso di guerre civili Le fasi in materia di responsabilità penale internazionale dell’individuo si possono riassumere in tre periodi diversificati. Le prime due fasi la materia registra un momento di stallo, ricco di lacune, invece nella terza fase si ha un inversione di tendenza. L’azione dei Tribunali Penali Internazionali si afferma in modo indipendente dalla normativa statale, dall’altra parte influenza la giurisprudenza nazionale. La prima fase vede per definizione la guerra civile come attacco frontale alla sovranità statale, fase zero anche sulla responsabilità penale dell’individuo, nonostante l’ art 227 del Trattato di Versailles prevede sanzioni per chi avesse commesso un crimine internazionale. Nel 1949 gli Stati sono protesi verso i conflitti armati internazionali, infatti, l’unico articolo 3 comune alle quattro Convenzioni del 1949 è riferimento comune che tratta tale argomento. La tutela della sovranità statale era al centro dell’interesse di garanzia del Diritto Penale Internazionale. L’attenzione dei diritti umani che entra in gioco dopo la seconda guerra mondiale rappresenta un evoluzione, ma quando entra in discussione la sovranità nel bilanciare gli interessi il diritto internazionale oscilla sul primo. Anche i Tribunali Militari internazionali di Norimberga e di Tokyo diedero attenzione ai crimini commessi duranti i conflitti armati internazionali, contro l’umanità solo se connessi alla guerra di aggressione e rientranti nelle competenze dei tribunali nei confronti dei combattenti e di civili dello Stato nemico. Non a caso il Consiglio di Sicurezza interviene per dirimere le crisi a prescindere dal conflitto, a tutela delle violazioni massicce dei diritti dell’uomo. La Giustizia Penale Internazionale nei riguardi dei crimini commessi nel corso di conflitti armati interni può essere analizzata secondo due direttrici, la prima riguarda i crimini di guerra che siano connessi a conflitti armati interni (con la fine della guerra fredda aumentano le guerre civili), la seconda riguarda i crimini contro l’umanità che possono avvenire a prescindere da un conflitto armato, con la fine della guerra fredda l’allarme internazionale riguarda le violazioni massicce e sistematiche dei diritti dell’uomo a prescindere dal contesto in cui hanno luogo. I Tribunali Internazionali hanno rafforzato le norme riguardanti la responsabilità penale internazionale dell’individuo, inoltre dettano un regime che disciplina anche i rapporti tra gli Stati. I Tribunali Penali Internazionali rafforzano il diritto umanitario ma esclusivamente nei confronti dei conflitti armati internazionali, perché le Convenzioni di Ginevra ed i successivi Protocolli prevedono la responsabilità penale e prevedono una garanzia. Riferendosi ai 16
conflitti interni oggi i Tribunali Penali Internazionali possono attivarsi maggiormente perché prevedono garanzie non previste prima dall’art 3 comune e dai Protocolli successivi. La giurisprudenza penale internazionale ha avuto carattere decisivo tra le norme applicabili ai conflitti interni, si pensi alla sentenza Tadic del 1945. Il Tribunale Penale Internazionale in questo caso si domandò se avesse giurisdizione in materia di conflitti armati interni, trovando risposta nell’art 2 della Convenzione di Ginevra, che richiama espressamente i conflitti armati internazionali. Giungendo all’art 3 il Tribunale fa riferimento a una clausola generale mettendo al centro il diritto penale consuetudinario. La crisi della consuetudine non vale per il Diritto Consuetudinario Umanitario. Con il termine guerra civile, il Tribunale Penale Internazionale e il suo articolo 8 definisce i crimini di guerra come parte di crimini.45 Lo Statuto di Roma inserisce una soglia e anche l’onere di stabilirla alla Corte. Tale soglia non è presente nell’art 3 comune, ciò risponde a una logica riportata anche dall’art 5 dello stesso. I Tribunali di Norimberga e Tokyo hanno introdotto per la prima volta il principio di responsabilità penale individuale per crimini internazionali. Fino a quel momento erano sanzionabili gli Stati. Alla luce dello Statuto di Roma l’oggetto del Diritto Penale Internazionale è la condotta dell’individuo, lo Stato rimane a capo di responsabilità dettate dal Diritto Internazionale. 46 Il principio di responsabilità penale individuale è sancita dall’art 25 dello Statuto di Roma con esclusione della responsabilità penale degli enti. Il comma 2 specifica che “Chiunque commette un reato sottoposto alla giurisdizione della Corte è individualmente responsabile e può essere punito secondo il presente Statuto.” Nel successivo comma 3, lo Statuto elenca le modalità con cui può commettere un reato, si ritiene responsabile di un crimine un individuo che “commette un crimine a titolo individuale o insieme a un'altra persona o tramite un'altra persona, a prescindere se quest’ultima è o meno penalmente responsabile”. Vengono disciplinate anche forme di partecipazione, è punibile la condotta di chi ordina, sollecita o incoraggia la perpetrazione di un crimine o chi fornisce il suo aiuto, la sua partecipazione o ogni altra forma di assistenza. La lettera d) specifica ogni tipo di modo di perpetrazione o tentativo di 45 F. Graziani, Conferenza presso il Casd, Conflitti armati e regionalizzazione delle guerre civili. 46 Amati E., Caccamo V., Costi M., Fronza E., Vallini A., Introduzione al diritto penale internazionale, Giuffrè, 2010. 17
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