IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ - DIRETTA DA ORESTE CAGNASSO E MAURIZIO IRRERA

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Anno 12 – Numero 3
                         5 febbraio 2014

           NORMATIVA, GIURISPRUDENZA, DOTTRINA E PRASSI

 IL NUOVO DIRITTO
   DELLE SOCIETÀ
D IRETTA   DA   O RESTE C AGNASSO            E   M AURIZIO I RRERA
       C OORDINATA         DA   G ILBERTO G ELOSA

   IN QUESTO NUMERO:
     • Concordato preventivo: fattibilità del piano

     • I rapporti di lavoro nel fallimento

     • Sud America: disciplina in tema di sviluppo sostenibile

                       ItaliaOggi
DIREZIONE SCIENTIFICA
            Oreste Cagnasso – Maurizio Irrera

              COORDINAMENTO SCIENTIFICO
                    Gilberto Gelosa

             La Rivista è pubblicata con il supporto
degli Ordini dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili
                               di:
  Bergamo, Biella, Busto Arsizio, Casale Monferrato,
 Crema, Cremona, Lecco, Mantova, Monza e Brianza,
                           Verbania

               NDS collabora con la rivista:
SEZIONE DI DIRITTO FALLIMENTARE
                               a cura di Luciano Panzani

                           SEZIONE DI DIRITTO INDUSTRIALE
                     a cura di Massimo Travostino e Luca Pecoraro

                           SEZIONE DI DIRITTO TRIBUTARIO
                               a cura di Gilberto Gelosa

                 SEZIONE DI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
                            a cura di Marco Casavecchia

                        SEZIONE DI TRUST E NEGOZI FIDUCIARI
                    a cura di Riccardo Rossotto e Anna Paola Tonelli

                       COMITATO SCIENTIFICO DEI REFEREE
  Carlo Amatucci, Guido Bonfante, Mia Callegari, Oreste Calliano, Maura Campra,
  Matthias Casper, Stefano A. Cerrato, Mario Comba, Maurizio Comoli, Paoloefisio
  Corrias, Emanuele Cusa, Eva Desana, Francesco Fimmanò, Toni M. Fine, Patrizia
Grosso, Javier Juste, Manlio Lubrano di Scorpaniello, Angelo Miglietta, Alberto Musy,
   Gabriele Racugno, Paolo Revigliono, Emanuele Rimini, Marcella Sarale, Giorgio
                                  Schiano di Pepe

                              COMITATO DI INDIRIZZO
  Carlo Luigi Brambilla, Alberto Carrara, Paola Castiglioni, Luigi Gualerzi, Stefano
   Noro, Carlo Pessina, Ernesto Quinto, Mario Rovetti, Michele Stefanoni, Mario
             Tagliaferri, Maria Rachele Vigani, Ermanno Werthhammer

                                      REDAZIONE
                             Maria Di Sarli (coordinatore)
Paola Balzarini, Alessandro Bollettinari, Alessandra Bonfante, Maurizio Bottoni, Mario
  Carena, Marco Sergio Catalano, Alessandra Del Sole, Massimiliano Desalvi, Elena
Fregonara, Giulia Garesio, Sebastiano Garufi, Stefano Graidi, Alessandro Monteverde,
           Enrico Rossi, Cristina Saracino, Marina Spiotta, Maria Venturini

                       Hanno collaborato a questo numero:
    Giuseppe Goffi, Paolo Montalenti, Michele Penzone, Luciano M. Quattrocchio
INDICE

RELAZIONI A CONVEGNI                                                             Page
La fattibilità del piano nel concordato preventivo, tra giurisprudenza della      7
Suprema Corte e nuove clausole generali
di Paolo Montalenti

DIRITTO FALLIMENTARE
Il curatore fallimentare quale datore di lavoro – funzioni e obblighi in caso    15
di cessazione dell’attività produttiva, di esercizio provvisorio, di affitto e
cessione d’azienda, di retrocessione dell’azienda ceduta
di L uciano M. Quattrocchio e Giuseppe Goffi

O SSERVATORIO INTERNAZIONALE
I principi dello sviluppo sostenibile nella legislazione latino – americana,     35
con particolare riferimento al Brasile, e l’importanza della cooperazione
internazionale
di Michele Pezone

SEGNALAZIONI DI DIRITTO COMMERCIALE                                              44
SEGNALAZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO                                               48

                                         IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2014
                                                                                        4
SOMMARIO

STUDI E OPINIONI
LA fattibilità del piano nel concordato preventivo, tra giurisprudenza della
Suprema Corte e nuove clausole generali
L’Autore affronta il problema del controllo giudiz iale della fattibilità del piano nel
concordato preventivo. Segnala alcune ambiguità nella giurisprudenza di Cassazione
e propone una soluzione nel quadro del nuovo sistema di clausole generali del diritto
commerciale. Esclude che il controllo possa riguardare l’entità della soddisfazione
dei diritti dei creditori – giudizio di convenienza ad essi esclusivamente riservato – e
sostiene che la verifica del giudice debba consistere in una valutazione della
ragionevolezza dell’attestazione prognostica e cioè della attendibilità della previsione
prospettica del piano, con un apprezzamento del rischio accettabile di incertezza
previsionale, alla luce dell’accertata veridicità dei dati disponibili.
di Paolo Montalenti

DIRITTO FALLIMENTARE
Il curatore fallimentare quale datore di lavoro – funzioni e obblighi in caso di
cessazione dell’attività produttiva, di esercizio provvisorio, di affitto e cessione
d’azienda, di retrocessione dell’azienda ceduta
Gli Autori esaminano il ruolo del Curatore fallimentare quale datore di lavoro e, in
particolare, le funzioni e gli obblighi in aso di cessazione dell’attività produttiva, di
esercizio provvisorio, di affito e cassione d’azienda, nonché di retrocessione
dell’azienda ceduta.
di L.M. Quattrocchio – G. Goffi

O SSERVATORIO INTERNAZIONALE
I principi dello sviluppo sostenibile nella legislazione latino – americana, con
particolare riferimento al Brasile, e l’importanza della cooperazione
internazionale
L’autore analizza i principi dello sviluppo sostenibile nella legislazione latino –
americana, con particolare riferimento al Brasile, nonché l’importanza che la
cooperazione internazionale assume in tale settore.
di Michele Pezone

                                         IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2014
                                                                                       5
INDEX-ABSTRACT

STUDIES AND O PINIONS                                                            Page
The feasibility of the so-called “composition with creditors procedure”,          7
in the case law of the S upreme Court and according to new general
clauses
The Author examines the issue of the judicial review on the feasibility of the
plan in the so-called “composition with creditors’ procedure”. He reports
some ambiguities in the case law of the Supreme Court and proposes a
solution in the framework of the new system of general clauses of
commercial law. He excludes that such a control may affect the extent of
satisfaction of creditors' rights – such valuation is exclusively reserved to
them - and argues that the review by the courts should consist of an
assessment of the reasonableness of the prognostic attestation of the plan
namely the reliability (as it was foreseeable) of plan, with an appreciation
of the acceptable risk in the light of the truthfulness of data available.
by Paolo Montalenti

BANKRUPTCY LAW
The bankruptcy trustee as an employer. Duties and obligations in the             15
case of termination of production, provisional operation, leasing or sale
of the company, the relegation of the divested business.
The Authors examine the role of the bankruptcy trustee as an employer and,
in particular, the duties and obligations in the cas e of termination of
production, provisional operation, lease and sale of the company, as well as
the relegation of the divested business.
by L.M. Quattrocchio – G. Goffi

INTERNATIONAL OBSERVATORY
The principles of sustainable development in Latin–American law                  35
systems, with particular reference to Brazil, and the importance of
international cooperation
The Author analyses the principles of sustainable development as provided
by Latin–American law systems, with particular reference to Brazil, as well
as the importance of international cooperation in this field.
by Michele Pezone

                                         IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2014
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STUDI E OPINIONI

      LA FATTIBILITÀ DEL PIANO NEL
      CONCORDATO PREVENTIVO, TRA
     GIURISPRUDENZA DELLA SUPREMA
        CORTE E NUOVE CLAUSOLE
               GENERALI*
   L’Autore affronta il problema del controllo giudiziale della fattibilità del piano nel
concordato preventivo. Segnala alcune ambiguità nella giurisprudenza di Cassazione e
  propone una soluzione nel quadro del nuovo sistema di clausole generali del diritto
commerciale. Esclude che il controllo possa riguardare l’entità della soddisfazione dei
    diritti dei creditori – giudizio di convenienza ad essi esclusivamente riservato – e
      sostiene che la verifica del giudice debba consistere in una valutazione della
 ragionevolezza dell’attestazione prognostica e cioè della attendibilità della previsione
    prospettica del piano, con un apprezzamento del rischio accettabile di incertezza
             previsionale, alla luce dell’accertata veridicità dei dati disponibili.

                                  di PAOLO MONTALENTI

1.      Un nuovo contesto normativo
        Il tema affrontato dalle Sezioni Unite (Cass., SS.UU., 23 gennaio 2013, n.
      1
1521), e oggetto di una recente sentenza della Suprema Corte (Cass. 6 novembre 2013,

*
  Questo scritto riprende, in parte, un intervento alla T avola rotonda organizzata dalla rivista
Giurisprudenza commerciale, tenutasi l’8 marzo 2013 presso la Facoltà di Giurisprudenza di
“ Sapienza – Università di Roma” – con relazione introduttiva di JORIO, i cui Atti sono in corso
di pubblicazione sulla Rivista.
1
  La decisione è pubblicata in vari luoghi: vedila in Riv. dir. comm., 2013, II, 189, con nota di
TERRANOVA, La fattibilità del concordato, anche per le puntuali indicazioni bibliografiche e
sulla sentenza e sul tema generale del concordato preventivo, a cui si rinvia; in Giur. comm.,
2013, II, 343, con nota di CENSONI, I limiti del controllo giudiziale sulla “fattibilità” del
concordato preventivo; in Il fallimento, 2013, 149 con commento di FABIANI; in Le Società,
2013, 435, con commento di DE SANT IS; in Giur. it., 2013, 2538, con nota di FAUCEGLIA,
La Cassazione e il concordato preventivo. Adde: VETTORI, Fattibilità giuridica e causa
concreta nel concordato preventivo, in Contratto e impresa, 2013, 1203 ss. Sul concordato
preventivo vedi ex multis JORIO, La riforma fallimentare: pregi e difetti delle nuove regole, in
                                            IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/20014

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STUDI E OPINIONI
                   CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO

  n. 24970)2, si colloca in un contesto normativo caratterizzato – per quanto qui rileva –
  essenzialmente da tre linee direttrici: (i) l’emersione, nel diritto commerciale di nuove
clausole generali “di settore”; (ii) l’affinamento progressivo delle procedure concorsuali
finalizzate al recupero dell’impresa in crisi; (iii) la valorizzazione – nelle procedure
alternative al fallimento – dell’autonomia privata pur nella permanenza del controllo
giurisdizionale.
        In sintonia con l’esperienza di altri ordinamenti si rafforzano gli strumenti mirati
alla conservazione dei valori aziendali, nel quadro di un controllo pubblicistico
attenuato e di un graduato, ma positivo, abbandono del “totem” della eterotutela dei
creditori. Coerentemente con il progressivo superamento del principio romanistico della
responsabilità illimitata (si pensi alla legittimazione piena soltanto nel 2003 della
società unipersonale), si accetta l’idea che anche i creditori corrono il rischio d’impresa
e che il “sacrificio” può essere funzionale non solo ad un recupero dell’impresa sul
mercato ma anche ad una migliore soddisfazione dei diritti di credito.

         2.      Autonomia privata e controllo giurisdizionale “attenuato” nel
concordato pre ventivo
         Da ciò discende la valorizzazione dell’autonomia privata: dal piano attestato agli
accordi di ristrutturazione, dall’eliminazione della quota minima di pagamento dei
crediti chirografari (come condizione per l’ammissione alla procedura di concordato
preventivo) al concordato con continuità aziendale, dal concordato “con riserva” alle
disposizioni in tema di finanziamento e di continuità aziendale, il legislatore ha in parte
recepito tipologie di accordi recuperatori dell’impresa già elaborati dalla prassi ma resi
incerti proprio dall’assenza di una rete normativa di protezione, in parte adeguato il
nostro ordinamento concorsuale agli standard internazionali.
         Permane, se pur arretrato, il controllo giurisdizionale: dall’omologazione ai
provvedimenti inibitori di azioni cautelari o esecutive, dalle autorizzazioni a
finanziamenti e pagamenti all’autorizzazione di atti urgenti di straordinaria
amministrazione, sino, appunto, al controllo sulla relazione del professionista che, nella
procedura di concordato preventivo, attesta «la veridicità dei dati aziendali e la
fattibilità del piano» (ex art. 161, comma 3, l. fall.).
         Controllo il cui contenuto è oggetto della pronuncia delle Sezioni Unite della
Suprema Corte.

Giur. comm., 2013, 1697 ss. AMBROSINI, Profili giuridici della crisi d’impresa alla luce della
riforma del 2012, in AMBROSINI, ANDREANI, T RON, Crisi d’impresa e restructuring,
Milano, 2013, 79 ss., anche per compiuti riferimenti.
2
  La decisione è disponibile sul sito www.IlCaso.it

                                            IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2014

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STUDI E OPINIONI
                    CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO

          3.       Le nuove clausole generali nel diritto commerciale
          Al fine di affrontare il tema che ci occupa in un quadro sistematico, è
opportuno sottolineare che il nostro sistema ha registrato, nell’ultimo quindicennio,
                                            3
l’introduzione di nuove clausole generali – a carattere spiccatamente commercialistico
– i cui caratteri sistematicamente innovativi devono essere adeguatamente valorizzati.
         In primo luogo si emancipano realtà complesse e mutevoli, quali sono,
tipicamente, i fenomeni economico-finanziari, dalle “strettoie” delle clausole civilistiche
tradizionali, quali la buona fede, la correttezza o la giusta causa.
         Si pensi alla diligenza degli amministratori parametrata alle «specifiche
competenze» (art. 2392 c.c.), ai «principi di corretta amministrazione» [art. 2403 c.c. e
art. 149, comma 1, lett. b), d.lgs. 24.02.1998, n. 58] ai principi di «corretta gestione
societaria e imprenditoriale» (art. 2497 c.c.), al principio di adeguatezza organizzativa
(art. 2381, comma 3, c.c. e art. 149, comma 1, lett. c., d.lgs. n. 58/1998), al principio di
adeguata e analitica motivazione (art. 2391 e art. 2497-ter c.c.), al principio di
«trasparenza e correttezza sostanziale e procedurale» (art. 2391-bis c.c.), al principio
di fondata prevedibilità (art. 2634 c.c.), al principio di trasparenza informativa (art. 114
ss., d.lgs. n. 58/1998).
         Ciascuna delle nuove clausole richiederebbe una specifica analisi; non pochi
sono, tuttavia, i tratti comuni: l’ipostatizzazione di paradigmi generali di condotta (si
pensi ai principi di corretta amministrazione), la sussunzione in schemi concettuali
sintetici di regole analitiche, polimorfe e plurisettorali di origine aziendalistica (si pensi
agli assetti organizzativi), la trasposizione normativa dell’evoluzione di linee portanti
del diritto societario (si pensi al principio di trasparenza versus regole di astensione
nelle deliberazioni consiliari con interessi di amministratori – art. 2391 c. c. – oppure
con interessi di gruppo – art. 2497-ter).
         E’ un’ulteriore conferma del primato del diritto commerciale sul piano
dell’adeguatezza regolatoria nel diritto vivente rispetto alla funzione ancillare ancorché
                                                         4
“ordinante” delle categorie classiche del diritto civile .

3
  Il tema è, ovviamente, amplissimo e non si pretende certo di trattarlo in pochi cenni. Mi limito
a segnalare, per tutti, tra i contributi più recenti, PATTI, L’interpretazione delle clausole
generali, in Riv. dir. civ., 2013, 263 ss., anche per ampi riferimenti e NIGRO, “Principio” di
ragionevolezza e regime di responsabilità degli amministratori di s.p.a., in Giur. comm., 2013,
I, 457 ss., che affronta il tema specifico con ottimi spunti sistematici meritevoli di sviluppo
proprio alla luce delle nuove clausole generali, di cui è oggi intessuto il diritto commerciale.
4
   Il tema richiederebbe, come è ovvio, un serio approfondimento per sviluppare l’idea che
l’evoluzione del diritto privato è oggi affidata prevalentemente all’area del diritto commerciale,
ferma restando la funzione ordinatrice delle categorie generali. Si veda in argomento, nel quadro
di una riflessione storica e sistematica di alto profilo, LIBERT INI, Diritto civile e diritto
commerciale. Il metodo del diritto commerciale in Italia, in Riv. soc., 2013, 1 ss.

                                              IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2014

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STUDI E OPINIONI
                   CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO

           4.     Fattibilità del piano: profili sistematici alla luce delle nuove clausole
generali
         Due, ulteriori, clausole generali di recente introduzione nell’ordinamento
societario e finanziario meritano particolare attenzione per la contiguità concettuale con
il tema della «fattibilità del piano» nel concordato.
         Si tratta (i) della disposizione sul progetto di fusione nelle operazioni di
leveraged buy-out (art. 2501-bis c.c.) e (ii) della disciplina del prospetto d’offerta al
pubblico di strumenti finanziari comunitari e di prodotti finanziari diversi dalle quote o
azioni di OICR aperti (art. 94, d.lgs. n. 58/1998).
                 Più precisamente l’art. 2501-bis c.c. prevede che nelle fusioni a seguito
di indebitamento – cioè nelle operazioni di leveraged buy-out – «la relazione degli
esperti …. attesta la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione»
relativamente alle «risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni
della società risultante dalla fusione».
         La norma introduce nel nostro ordinamento un principio generale di common
law, cioè il criterio di reasonableness: non è chi non veda la potenziale vis espansiva di
siffatta innovazione sistematica.
         La contiguità con il tema che ci occupa è evidente: (i) la relazione degli esperti;
(ii) l’attestazione; (iii) la ragionevolezza di una indicazione prospettica.
         Analoghe considerazioni possono svolgersi in relazione alla disciplina del
prospetto di offerta di strumenti e prodotti finanziari.
         Il prospetto deve contenere «tutte le informazioni … necessarie… (per)
pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati
economici e sulle prospettive dell’emittente» (art. 94, comma 2, d.lgs. n. 58/1998); in
tema di responsabilità i soggetti coinvolti rispondono – parziariamente (i.e. «ciascuno in
relazione alle parti di propria competenza») – «dei danni subiti dall’investitore che
abbia fatto ragionevole affidamento sulla veridicità e completezza delle informazioni
contenute nel prospetto» (art. 94, comma 8, d.lgs. n. 58/1998).
         Aggiungiamo infine, per contiguità disciplinare diretta, la disposizione di cui
all’art. 182-bis, comma 1, che prevede la relazione di un professionista «sulla veridicità
dei dati e sull’attuabilità dell’accordo …», qui con «particolare riferimento alla sua
idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei».
         La veridicità dei dati aziendali è requisito comune; tra «fattibilità» e «attuabilità»
vi è una sostanziale identità concettuale.

Qualche spunto in MONT ALENT I, Il diritto commerciale dalla separazione dei codici alla
globalizzazione, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2012, 379.

                                             IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2014

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STUDI E OPINIONI
                   CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO

         5.      La pronuncia delle Sezioni Unite: le aporie della causa in concreto
         A questo nuovo contesto sistematico avrebbero dovuto far riferimento le
Sezioni Unite per fissare i principi di diritto in materia di «fattibilità del piano di
concordato», piuttosto che divagare per i sentieri – a mio parere impervi e con incerta
meta – della “causa in concreto”.
        Categoria sterile – a mio parere – perché contrappone concreto ad astratto
laddove sarebbe più proficuo “rileggere” la dottrina della causa alla luce del più ampio
riconoscimento, nell’ordinamento interno e comunitario, dell’autonomia privata, della
meritevolezza dell’interesse e della sussumibilità dei motivi della causa medesima.
        M a sintetizziamo il pensiero della Corte.
        Riconosciuta l’attenuazione dello «stampo pubblicistico» dell’istituto del
concordato preventivo, «adeguatamente valorizzati i profili negoziali»
nell’«individuazione del perimetro di intervento assegnato al giudice», le Sezioni Unite
hanno in primo luogo stabilito che «il piano, proprio perché strumento realizzativo della
proposta, non possa essere disgiunto dal contenuto di quest’ultima, atteso che la
previsione prognostica favorevole del relativo esito è inevitabilmente connessa, da un
punto di vista causale, con la buona riuscita del piano».
        Si precisa – coerentemente – che la fattibilità «non va confusa con la
convenienza» e si introduce la distinzione tra «fattibilità giuridica» e «fattibilità
economica».
        Si precisa poi che «il controllo del giudice non è … destinato … a realizzarsi
soltanto sulla completezza e congruità logica dell’attestato del professionista», ma, per
converso, si afferma che «la fattibilità economica» è un «giudizio prognostico» con
«margini di opinabilità e … possibilità di errore» e implica un «fattore rischio» di cui
devono farsi «esclusivo carico i creditori, una volta che vi sia stata concreta
informazione».

        6.      Segue. Il controllo giurisdizionale sulla fattibilità del piano
        Attraverso il medio logico della «causa concreta» e del permanere di «aspetti
pubblicistici», si ribadisce la legittimazione al controllo della «fattibilità giuridica» e si
perviene a stabilire, conclusivamente, che il controllo del giudice su di essa consiste
nella «delibazione in ordine (i) alla correttezza delle argomentazioni svolte e (ii) delle
motivazioni addotte del professionista a sostegno del formulato giudizio di fattibilità del
piano; … (iii) la coerenza complessiva delle conclusioni; (iv) la (…) possibilità
giuridica ovvero (v) la rilevazione del dato, se emergente “prima facie”, da cui poter
desumere l’inidoneità della proposta a soddisfare in qualche misura i diversi crediti
rappresentati».
        Non rientra, per contro, nell’ambito del controllo del giudice una valutazione
«sulla misura di soddisfacimento percentuale offerta dal debitore ai creditori» né «un
giudizio sulla convenienza economica della soluzione prospettata» e neppure la

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STUDI E OPINIONI
                   CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO

 «valutazione prognostica in ordine alla fattibilità del piano: … a quest’ultima
 valutazione resta del tutto estraneo il giudice»
        In conclusione: il controllo del giudice sulla relazione del professionista
attestatore è «concernente la congruità e la logicità della motivazione, anche sotto il
profilo del collegamento effettivo tra i dati riscontrati e il conseguente giudizio»; il
giudice, per contro, «non può esercitare un controllo sulla prognosi di realizzabilità
dell’attivo nei termini indicati dall’imprenditore, escludendo detta prognosi dalla causa
del concordato.. ed essendo la stessa rimessa alla valutazione dei creditori».

         7.      Le ambiguità della pronuncia delle Sezioni Unite
         La soluzione della Suprema Corte non è perspicua. La distinzione tra “fattibilità
giuridica” e “fattibilità economica” ricorda le ambiguità tra “convenienza” e
“correttezza sostanziale” nel diritto societario (si pensi alle operazioni con parti
correlate).
         Non è affatto chiaro, a ben vedere, come possano conciliarsi l’affermazione, da
un lato, che il controllo «non si esaurisce nella valutazione sulla completezza e
congruità logica dell’attestato del professionista» e l’assunto, dall’altro lato, secondo
cui ogni «valutazione del giudizio prognostico è rimessa ai creditori».
         La contraddizione mi pare evidente.
         La convenienza del piano è certamente rimessa ai creditori, ma il giudizio sulla
fattibilità, sotto un profilo di legalità sostanziale e quindi di correttezza, è pur sempre un
giudizio di ragionevolezza della prognosi, di attendibilità della previsione prospettica, di
fondatezza della verificabilità del programma di recupero dell’impresa, sia pure sulla
base dei dati disponibili e di una delibazione prima facie.
                 Si pensi, ad esempio, ad una relazione sulla fattibilità del piano
subordinata al verificarsi di condizioni (di mercato, finanziarie, di riassetto
organizzativo): pare davvero arduo formulare un giudizio di fattibilità che escluda una
valutazione prospettica sulle probabilità di verificazione delle condizioni a cui il piano è
subordinato; e pare, conseguentemente, contraddittorio ritenere che il giudice non abbia
alcun potere di controllo sulla ragionevolezza delle attestazioni prognostiche.
         In conclusione: il controllo di “attendibilità” del piano non è un controllo sulla
sua convenienza; tuttavia la condivisibile e apprezzabile svolta “privatistica” non può
tradursi – in relazione alla verifica della fattibilità del piano – all’esclusione di ogni
valutazione sulla ragionevole aspettativa alla verificabilità del medesimo.
         Vero è che su piani contigui – penso al concordato con “riserva” – “la svolta” è
posta invece, erroneamente, in discussione da parte della giurisprudenza di merito, ma
vero è anche che, sul tema che qui ci occupa, affermare l’esclusione di ogni controllo
sui profili economici del piano, in termini di ragionevolezza e affidabilità prospettica
delle previsioni, significa ridurre il controllo ad un mero riscontro di coerenza formale,
che proprio le Sezioni Unite dichiarano insufficiente.

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STUDI E OPINIONI
                   CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO

           8.      La sentenza della Cassazione n. 24970/2013
         La recente sentenza della Cassazione n. 24970/2013 non chiarisce del tutto, a
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mio parere, l’ambiguità della pronuncia delle Sezioni Unite .
         La Corte: (i) conferma che «il giudice deve pronunciarsi esercitando un
sindacato che non è “di secondo grado”, non si esercita, cioè, sulla sola completezza e
congruità logica dell’attestazione del professionista di cui all’art. 161, terzo comma,
legge fallim., ma consiste nella verifica diretta del presupposto stesso»; (ii) riprende la
distinzione tra «fattibilità giuridica, intesa come non incompatibilità del piano con
norme inderogabili, e fattibilità economica, intesa come realizzabilità nei fatti del
medesimo»; (iii) afferma che «il sindacato del giudice sulla fattibilità giuridica non ha
particolari limiti; la fattibilità economica, invece, è intrisa di valutazioni prognostiche
fisiologicamente opinabili e comportanti un margine di errore, nel che è insito anche un
margine di rischio, del quale è ragionevole siano arbitri i soli creditori».
         La Corte enuncia il principio di diritto secondo cui «con riferimento alla
fattibilità economica» vi è «un solo profilo su cui si esercita il sindacato officioso del
giudice (fermo il controllo della completezza e correttezza dei dati informativi ...):
quello della verifica della sussistenza o meno di una assoluta, manifesta non attitudine
del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obbiettivi prefissati, ossia a realizzare
la causa concreta del concordato, individuabile caso per caso in riferimento alle
specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi mediante una sia pur
minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole (causa in
astratto)».
         Il principio enunciato rimane, a mio parere, ambiguo.
         Infatti: la soddisfazione dei creditori, ancorché “minimale”, è questione di
convenienza, rimessa quindi, in toto, ai creditori.
         Altro è il tema della realizzabilità del piano – quale che sia la entità ipotizzata
della soddisfazione dei creditori – che non è un problema di causa concreta bensì un
problema di ragionevole affidabilità della valutazione prognostica, di attendibile
possibilità di verificazione del programma recuperatorio, di non “manifesta
irrealizzabilità del piano”, espressione che peraltro si ritrova testualmente nella
pronuncia della Cassazione.
         In conclusione non è la “minimale soddisfazione dei creditori” a dover essere
valutata bensì la non manifesta irrealizzabilità del piano e cioè la ragionevole
attendibilità del progetto di recupero dell’impresa, e quindi dell’attestazione, fermo
restando il margine inevitabile di rischio di ogni giudizio prognostico.

5
  Diversamente NARDECCHIA, Fattibilità economica del concordato: non decide il giudice, in
Il Sole 24 Ore, 20 gennaio 2014, 33 secondo cui «la pronuncia chiarisce alcuni importanti
profili applicativi».

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STUDI E OPINIONI
                   CONCORDATO PREVENTIVO: FATTIBILITÀ DEL PIANO

         9.      La valutazione del rischio nel giudizio di fattibilità
         Come emerge anche dalla sentenza delle Sezioni Unite, se pure incidenter, il
requisito di fattibilità è «la possibilità di realizzazione della proposta nei termini
prospettati» cioè «la probabilità di successo del piano».
        Questo è il tema cruciale: si tratta cioè di interrogarsi – come è stato messo bene
                                                     6
in luce recentemente dalla dottrina aziendalistica – sulle tecniche di valutazione del
rischio che può oscillare nel range ricompreso tra “worst case” e “medio probabile”. E’
il tema da esplorare per uscire dal rischio ... di concettualismo.

        10.     Conclusioni: un richiamo alle clausole generali
        In conclusione, il problema del controllo giurisdizionale sulla fattibilità del piano
dovrebbe trovare soluzione, piuttosto che attraverso il ricorso al concetto di “causa in
concreto” e all’incerta distinzione tra “fattibilità giuridica” e “fattibilità economica”,
mediante l’applicazione di un criterio sistematico ricavato da una sintesi di tratti comuni
ricavabili dalle nuove clausole generali del diritto commerciale.
        Il giudizio sulla fattibilità del piano consiste – a mio parere – in un giudizio sulla
correttezza sostanziale della relazione, è un giudizio sulla ragionevolezza della
previsione di recupero, è un giudizio sulla completezza delle informazioni, è un giudizio
sull’adeguatezza motivazionale.
        Ciò non significa – in alcun modo – sostituire il giudice ai creditori nella
valutazione di convenienza, e quindi di apprezzamento nel merito della appetibilità della
proposta, ed anche, di conseguenza, della entità della soddisfazione dei creditori, bensì
attribuire al giudice una valutazione della fondatezza, sia pure prospettica e
probabilistica del piano, sulla base dei dati esposti, purché veridici, sì da escludere piani
pur dotati di qualche coerenza interna ma sostanzialmente inattendibili o perché
puramente ottativi o perché condizionati ad incognite eccessive o perché basati su
previsioni astratte e non collegate al concreto contesto economico del caso di specie.
        Ciò implica anche la valutazione di accettabilità del rischio: tema tecnico ma
cruciale ed ancora meritevole di approfondimento.
        In conclusione: il ricorso alla concretezza delle nuove clausole generali anziché
all’astrattezza del concetto di causa in concreto appare lo strumento metodologico più
appropriato.

6
  Cfr. RANALLI, Il controllo del professionista attestatore: elementi di criticità, in Il
Fallimento, 2013, 1373 ss.

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DIRITTO FALLIMENTARE
                              (A CURA DI LUCIANO PANZANI)

IL CURATORE FALLIMENTARE QUALE
   DATORE DI LAVORO - FUNZIONI E
  OBBLIGHI IN CASO DI CESSAZIONE
   DELL’ATTIVITÀ PRODUTTIVA, DI
ESERCIZIO PROVVISORIO, DI AFFITTO
     E CESSIONE D’AZIENDA, DI
   RETROCESSIONE DELL’AZIENDA
              CEDUTA
  Gli Autori esaminano il ruolo del Curatore fallimentare quale datore di lavoro e, in
  particolare, le funzioni e gli obblighi in aso di cessazione dell’attività produttiva, di
      esercizio provvisorio, di affito e cassione d’azienda, nonché di retrocessione
                                    dell’azienda ceduta.

                          di L.M. Q UATTROCCHIO – G. GOFFI

        1 Il fallimento e la sorte dei rapporti di lavoro
        1.1 Il contesto normativo
        Come stabilito dall’art. 2119 c.c., il fallimento non determina automaticamente la
risoluzione del rapporto di lavoro. Il licenziamento inoltre richiede la forma scritta; quindi
l’interruzione dell’attività prima del fallimento non determina una sorta di licenziamento
implicito; d’altronde, il licenziamento non disciplinare deve essere intimato neces-
sariamente per iscritto, pena l’inefficacia dello stesso.
        Secondo costante giurisprudenza, in particolare, la forma scritta del
licenziamento è richiesta ad substantiam, in base all’art. 2 della Legge n. 604 del 1966,
anche dopo la riformulazione di questa norma operata con la Legge n. 108 del 1990. Il
citato art. 2, infatti, recita testualmente: “Il datore di lavoro, imprenditore o non impren-
ditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro. Il prestatore
di lavoro può chiedere, entro quindici giorni dalla comunicazione, i motivi che hanno
determinato il recesso: in tal caso il datore di lavoro deve, nei sette giorni dalla

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DIRITTO FALLIMENTARE
                            FALLIMENTO: RAPPORTI DI LAVORO

richiesta, comunicarli per iscritto. Il licenziamento intimato senza l’osservanza delle
disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è inefficace”.
        Il licenziamento produce i suoi effetti quando giunge a conoscenza del lavoratore.
In particolare, il menzionato art. 2 esige che lo scritto, da utilizzare come strumento di
comunicazione, non solo sia espressamente diretto all’interessato, ma sia anche a lui
consegnato; con la conseguenza che è inidonea a realizzare la comunicazione scritta
richiesta dalla legge la conoscenza che il lavoratore abbia avuto altrimenti del
licenziamento.
        Lo scritto con cui è intimato il licenziamento potrebbe non contenere alcun
riferimento ai motivi del provvedimento datoriale. In questo caso il lavoratore potrebbe
richiedere – nel termine di quindici giorni – i motivi del licenziamento; richiesta cui
il datore di lavoro dovrebbe rispondere entro i successivi sette giorni, pena l’inefficacia
del provvedimento. Anche la comunicazione dei motivi deve, a pena di inefficacia,
rivestire la forma scritta.
        Quanto agli effetti del fallimento sul rapporto di lavoro, quest’ultimo – per effetto
del fallimento – entra in uno stato di quiescenza, che può essere superato dal curatore
con la decisione di subentrare nel contratto o di sciogliersi. Proprio questa condizione di
quiescenza comporta, quale effetto, che dopo il fallimento non maturano
automaticamente ulteriori retribuzioni a carico del fallito. Peraltro, il lavoratore può
mettere in mora il curatore, chiedendo che decida, e, trascorso il termine assegnato dal
giudice, il rapporto si intende risolto. La sospensione è da ritenersi efficace anche con
riferimento all’obbligo contributivo: infatti, sebbene il rapporto di lavoro resti
formalmente in essere sino al licenziamento, l’orientamento giurisprudenziale sancito
dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con sentenza n. 7473 del 14 maggio 2012
indica come l’impossibilità a prestare attività lavorativa in presenza di cessazione
dell’attività, determini la decadenza dall’obbligo retributivo e conseguentemente da
quello contributivo nei confronti dell’istituto previdenziale. E’ inoltre ritenuta irrilevante
l’eventuale ammissione di crediti di lavoro al passivo del fallimento.
        Se il curatore decide di sciogliersi dal contratto, è dovuta l’indennità di preavviso.
Prima della riforma, la diffusa opinione che essa dovesse essere ammessa al passivo in
privilegio trovava un fondamento nella dizione dell’art. 111 L.F. previgente, che
riconosceva la prededuzione solo per i debiti “contratti per l’amministrazione del
fallimento e per la continuazione dell’esercizio provvisorio”; analogamente oggi, pur
tenuto conto che la categoria dei crediti prededucibili è stata ampliata, perché essa
comprende (art. 111 L.F., n. 3) tutti i crediti sorti in occasione o in funzione delle
procedure concorsuali, la prededuzione dell’indennità di preavviso sorta per effetto di
licenziamento ad opera del curatore pare non possa essere ragionevolmente prospettata.

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DIRITTO FALLIMENTARE
                            FALLIMENTO: RAPPORTI DI LAVORO

        1.2 S cioglimento ad opera del curatore
        L’art. 72, 4° comma, L.F., stabilisce che lo scioglimento del contratto ad opera del
curatore non dà diritto a risarcimento del danno. Con riguardo al rapporto di lavoro questa
previsione fa sorgere problemi per i casi in cui la risoluzione dovesse reputarsi illegittima
secondo la legge comune, perché sia l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori sia l’art. 8 della
Legge n. 604 del 1966 qualificano le indennità dovute come risarcimento del danno. Pare,
peraltro, ragionevole ritenere che la norma non si applichi quando il curatore eserciti legit-
timamente la facoltà di sciogliersi; per questi casi la legge esenta il fallimento da
responsabilità risarcitorie che invece sarebbero spettate a chi, allo stesso modo, si fosse
reso inadempiente fuori dal fallimento. Nel caso dei rapporti di lavoro, il curatore che
licenzia perché l’impresa non può più essere utilmente proseguita è certamente nel suo
pieno diritto, e pertanto nulla è dovuto al lavoratore licenziato; ma se l’impresa prosegue e
il licenziamento risulta ingiustificato secondo la legge comune, pare ragionevole ritenere
che non ci sia modo di sottrarre anche il fallimento alla piena responsabilità.

       1.3 Subingresso del curatore
       Per contro, il nuovo art. 74 L.F. introduce un principio nuovo, che vale per tutti i
contratti di durata, e quindi forse anche per quelli di lavoro; in particolare, se il curatore
subentra nel contratto, allora potrebbe essere chiamato a pagare integralmente il prezzo
dei servizi già erogati, cosicché i crediti maturati prima del fallimento sarebbero
trasformati in crediti prededuttivi.

       1.4 Conseguenze patrimoniali del licenziamento
       Nel caso in cui venga accertata l’illegittimità del licenziamento intimato dal datore
di lavoro prima del fallimento, non può essere chiesta l’ammissione al passivo delle
quindici mensilità sostitutive alla reintegrazione, perché il rapporto di lavoro resta
quiescente nei confronti del curatore; quindi non esiste un diritto alla reintegra del
lavoratore nei confronti del fallimento e neppure il diritto all’obbligazione alternativa.
       Viceversa se fosse illegittimo il licenziamento intimato dal curatore, ad esempio
perché è stato disposto l’esercizio provvisorio e il posto di lavoro non è stato soppresso,
è dovuta la reintegra, e il lavoratore può richiedere il soddisfacimento in preduzione del
proprio credito di quindici mensilità.

          1.5 Effetti del fallimento sulle cause di lavoro
          Una questione da sempre controversa è quella relativa alla sorte delle cause di
lavoro.
      Il problema nasce dal fatto che il fallimento non comporta la risoluzione
automatica del rapporto di lavoro; per sciogliersi da esso è sempre necessaria una

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DIRITTO FALLIMENTARE
                            FALLIMENTO: RAPPORTI DI LAVORO

manifestazione di volontà del curatore. Inoltre, nel caso in cui l’attività di impresa
prosegua anche oltre il fallimento, può darsi che continui anche il rapporto di lavoro.
        L’art. 24 L.F. detta una regola generale sulla competenza, che si riferisce a tutte le
cause che derivano dal fallimento. Ci si potrebbe chiedere se esistano cause di lavoro che
“derivano dal fallimento” nel senso indicato da tale norma. Pare ragionevole ritenere che
tali siano le cause che sorgono dall’esercizio provvisorio, o cause che derivano
dall’esercizio del potere del curatore di sciogliersi dal contratto (art. 72 L.F.). L’art. 104,
ultimo comma, L.F. aggiunge un’ipotesi ulteriore, per il caso dei rapporti pendenti al
momento della retrocessione dell’azienda.
        Pertanto, se il rapporto continua con il curatore, o se si contesta il recesso dello
stesso, le cause che ne possono derivare rientrano nella regola di competenza stabilita
dall’art. 24 L.F.; con una deroga alla competenza del giudice del lavoro, la quale non
incide in alcun modo sulla procedura da applicare, che resta quella di lavoro.

        2. Tutela dei crediti dei lavoratori nel fallimento
        2.1 Contesto normativo
        La Comunità europea ha inteso garantire ai lavoratori subordinati una tutela
minima in caso di insolvenza del datore di lavoro. A tal fine con la direttiva 987/80 del 20
ottobre 1980 ha creato un meccanismo di tutela basato sulla creazione di specifici
organismi di garanzia, che si sostituiscono al datore di lavoro per il pagamento di taluni
crediti dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza di quest’ultimo.
        L’Italia in attuazione di detta direttiva ha adottato due provvedimenti legislativi:
        • la Legge 29 maggio 1982, n. 297 (istitutiva del fondo di garanzia per il tratta-
             mento di fine rapporto)
        • il D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, con il quale la garanzia è stata estesa anche
             alle ultime retribuzioni (artt. 1 e 2).
        La disciplina del fondo di garanzia è stata integrata dal D.Lgs. 19 agosto 2005, n.
186, adottato in attuazione della direttiva del Consiglio dell’Unione europea 2002/74/CE
del 23.9.2002, che ha regolamentato le cc.dd. “situazioni trasnazionali”.

        2.3 Fondo di garanzia. S oggetti inclusi e soggetti esclusi
        Possono richiedere l’intervento del fondo tutti i lavoratori dipendenti da datori di
lavoro tenuti al versamento all’INPS del contributo che alimenta la Gestione. Sono,
invece, esclusi i giornalisti, in quanto la prestazione è assicurata dall’INPGI.

        2.5 Trattamento di fine rapporto
        Se il datore di lavoro è soggetto alle procedure concorsuali i requisiti
dell’intervento del Fondo di garanzia sono:
        • la cessazione del rapporto di lavoro subordinato;
        • l’apertura di una procedura concorsuale;
                                             IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2014

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DIRITTO FALLIMENTARE
                            FALLIMENTO: RAPPORTI DI LAVORO

       • l’esistenza del credito per TFR rimasto insoluto.
       La domanda di intervento del fondo deve essere presentata dal lavoratore o dai
suoi eredi alla sede dell’INPS nella cui competenza territoriale l’assicurato ha la propria
residenza.
       La domanda può essere presentata dal 15° giorno successivo al deposito dello
stato passivo reso esecutivo ai sensi degli artt. 97 e 209 L.F.; in caso di domanda di
ammissione tardiva del credito, dal giorno successivo al decreto di ammissione al
passivo o dopo la sentenza che decide dell’eventuale contestazione.

        Poiché il trattamento di fine rapporto è parte della retribuzione che viene
accantonata e diviene esigibile solo all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, ne
consegue che potrà formare oggetto di domanda di ammissione al passivo del fallimento
soltanto al momento della cessazione del rapporto stesso.
        Quando i crediti per competenze maturate e per TFR sono stati ammessi al
passivo, i dipendenti possono chiedere al fondo di garanzia l’anticipazione di quanto
vantato a titolo di TFR e relativi accessori.
        E’ evidente che il pagamento di queste spettanze da parte del fondo di garanzia
sottrae i crediti al rischio di eventuale incapienza in sede di riparto fallimentare e ne
consente l’anticipata riscossione.
        L’INPS, dopo aver corrisposto gli importi di cui sopra ai lavoratori, deve
presentare al Tribunale apposita istanza per surrogarsi ai crediti dei dipendenti
precedentemente ammessi al passivo.
        Il termine di prescrizione entro il quale con la domanda di liquidazione del TFR a
carico del fondo di garanzia deve essere esercitato il relativo diritto è quinquennale. Di
conseguenza nell’istruttoria delle domande dovrà essere preliminarmente verificato che
tra la data di cessazione del rapporto di lavoro e la data di deposito della domanda di
ammissione al passivo non siano trascorsi più di cinque anni, salve eventuali interruzioni
della prescrizione fatte nei confronti del datore di lavoro.
        L’Istituto è tenuto a liquidare il TFR a carico del fondo di garanzia nel termine di
sessanta giorni decorrenti dalla data di presentazione della domanda completa di tutta la
documentazione.
        Gli oneri accessori (interessi e rivalutazione monetaria) sul TFR, ancorché non
ammessi al passivo del datore di lavoro, devono essere corrisposti dalla data di
cessazione del rapporto di lavoro sino alla data di effettivo soddisfacimento; e ciò poiché
il credito dei lavoratori verso il fondo conserva la propria natura retributiva e privatistica
e, come tale, è produttivo di interessi e rivalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 429
c.p.c.
        2.6 Il TFR al Fondo di Tesoreria
        La Legge Finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006), all’art. 1, commi 755 ss., ha
istituito “il Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei

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DIRITTO FALLIMENTARE
                            FALLIMENTO: RAPPORTI DI LAVORO

trattamenti di fine rapporto di cui all’articolo 2120 c.c.” nell’ambito della disciplina
della previdenza complementare, le cui modalità di gestione, accantonamento e
liquidazione sono contenute nella Circolare INPS n. 70 del 30 aprile 2007.
        Dal gennaio 2007 il lavoratore deve scegliere se destinare il TFR maturato e di
quello in corso di maturazione presso un fondo pensione – modificandone così la natura
di capitale accantonato per la liquidazione alla cessazione del rapporto di lavoro in
prestazione con finalità previdenziali – ovvero la conservazione presso il datore di
lavoro. Nel caso in cui il lavoratore non esprima la scelta, il TFR viene conservato
presso il datore di lavoro.
        Se la scelta ricade sul mantenimento del TFR presso il datore di lavoro, per i
dipendenti delle imprese con meno di cinquanta dipendenti esso resta nelle casse
aziendali, mentre per i dipendenti di imprese con un numero di lavoratori superiore a
quarantanove, deve essere versato dall’impresa al Fondo di tesoreria gestito dall’INPS.
Il TFR accantonato presso il Fondo di tesoreria può essere ritirato alla cessazione del
rapporto di lavoro secondo quanto disposto dell’articolo 2120 c.c..
        L’accantonamento del TFR al Fondo di tesoreria assume comunque natura di
contribuzione previdenziale dovuta obbligatoriamente dal datore di lavoro. Ne deriva
pertanto una sostanziale equivalenza con la contribuzione obbligatoria; di conseguenza,
rientrando il fondo fra quelli che operano analogamente ad una gestione previdenziale, è
applicabile il principio generale di automaticità delle prestazioni di cui all’art. 2116 c.c.,
secondo cui “le prestazioni indicate nell’articolo 2114 sono dovute al prestatore di
lavoro, anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti
alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi
speciali. Nei casi in cui, secondo tali disposizioni, le istituzioni di previdenza e di
assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in
tutto o in parte le prestazioni dovute, l’imprenditore è responsabile del danno che ne
deriva al prestatore di lavoro”.
        Le modalità di pagamento della quota versata al Fondo di tesoreria prevedono
che vi sia il pagamento diretto da parte del datore di lavoro in favore del dipendente con
compensazione della somma sulla contribuzione dovuta nel mese in cui avviene la
liquidazione. Nel caso in cui il datore di lavoro non abbia capienza, a fronte del rilascio
della dichiarazione di incapienza, è il Fondo di tesoreria a corrispondere tale somma al
lavoratore.
        In ipotesi di fallimento e incapienza dell’impresa fallita, considerato il principio
di automaticità delle prestazioni poc’anzi accennato ed al quale si può ricondurre il
Fondo di tesoreria, quest’ultimo – a seguito del rilascio da parte del curatore della
dichiarazione di incapienza ed intervenuta la cessazione del rapporto di lavoro – deve
procedere all’accertamento delle somme dovute ed alla successiva corresponsione del
relativo importo al lavoratore.

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DIRITTO FALLIMENTARE
                           FALLIMENTO: RAPPORTI DI LAVORO

        Giacché sussiste l’intervento diretto del Fondo di tesoreria in caso di incapienza
della procedura, è l’INPS - anziché il lavoratore - il soggetto legittimato a chiedere
l’ammissione del credito al passivo del fallimento per l’omissione dell’obbligo del
versamento contributivo della quota di TFR maturato.
        Lo stato passivo del fallimento – per le imprese con obbligo di versamento delle
quote di TFR maturate da gennaio 2007 al Fondo di tesoreria – deve pertanto recare il
solo TFR maturato sino al 31 dicembre 2006, mentre deve essere esclusa la somma
eventualmente richiesta per il periodo successivo, che viene liquidato – in caso di
incapienza – direttamente dal Fondo di tesoreria.
        Resta da chiarire se al curatore faccia capo, oltre alla dichiarazione di
incapienza, la predisposizione della domanda di liquidazione diretta da parte del Fondo
con oneri a carico della procedura; o se, invece, richiamando sempre il principio
dell’automaticità delle prestazioni, il Fondo non si tenuto a provvedere con la sola
richiesta inoltrata da parte del lavoratore.

        2.7 TFR destinato a Fondi di previdenza complementare
        Quando il lavoratore decide di destinare il TFR ad un fondo di previdenza
complementare, il credito corrispondente deve essere fatto valere in sede concorsuale.
Questo perché, come detto in precedenza, la destinazione del TFR al fondo di
previdenza complementare comporta che il TFR modifichi la propria natura da capitale
accantonato e riscuotibile alla cessazione del rapporto di lavoro in quella di
contribuzione ai fini pensionistici. L’art. 5 del D.Lgs. n. 80 del 1992, in caso di
insolvenza e procedure concorsuali, consente l’accesso al fondo garanzia anche per il
TFR destinato a forme previdenziali, a condizione che il credito e l’omissione
contributiva da parte del datore di lavoro siano ammessi al passivo della procedura.
        Nel caso in cui il datore di lavoro non sia soggetto fallibile o la procedura venga
chiusa ai sensi dell’art. 102 L.F., il lavoratore può richiedere l’intervento del fondo con
l’accertamento giudiziale del mancato versamento dei contributi alla previdenza
complementare.
        La domanda di intervento del fondo garanzia si realizza con la compilazione e la
consegna del modello previsto dall’INPS, denominato PPC-CUR.
        L’ammissione del credito al passivo della procedura apre inoltre un interrogativo
in relazione alla natura del credito ed al grado di privilegio con il quale debba essere
ammesso. La giurisprudenza prevalente (cfr. Cass. 23 dicembre 1998, n. 12821, e Cass
11 luglio 2006, n. 15676) è orientata nel senso dell’applicazione dell’art. 2754 c.c.. La
questione è, peraltro, meritevole di attenzione anche alla luce dell’opposta tesi che
riconoscerebbe il privilegio ex art. 2751-bis, n. 1, c.c., considerando la quota di TFR
versata al fondo alla stregua di una retribuzione differita.

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DIRITTO FALLIMENTARE
                           FALLIMENTO: RAPPORTI DI LAVORO

        2.8 Crediti di lavoro diversi dal trattamento di fine rapporto
        Il D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80 ha esteso la garanzia del fondo anche ai crediti
di lavoro diversi dal trattamento di fine rapporto. Precisamente il fondo garantisce i
crediti retributivi inerenti agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro purché rientrino nei
dodici mesi che precedono:
        • la data della domanda diretta all’apertura della procedura concorsuale a carico
             del datore di lavoro, se il lavoratore ha cessato il proprio rapporto prima
             dell’apertura della procedura stessa.
        • la data del provvedimento di messa in liquidazione, di cessazione
             dell’esercizio provvisorio, di revoca dell’autorizzazione alla continuazione
             all’esercizio di impresa, per i lavoratori che dopo l’apertura di una procedura
             concorsuale abbiano effettivamente continuato a prestare attività lavorativa.
        Se la cessazione del rapporto di lavoro è intervenuta durante la continuazione
dell’attività dell’impresa, i dodici mesi dovranno essere calcolati a partire dalla data di
licenziamento o di dimissioni del lavoratore.
        I crediti che possono essere corrisposti a carico del fondo sono quelli inerenti agli
ultimi tre mesi del rapporto di lavoro pari all’arco di tempo compreso tra la data di
cessazione del rapporto di lavoro e la stessa data del terzo mese precedente.
        Possono essere posti a carico del fondo solo i crediti di lavoro (diversi dal TFR)
maturati nell’ultimo trimestre ed aventi natura di retribuzione propriamente detta,
compresi i ratei di tredicesima e di altre mensilità aggiuntiva, nonché le somme dovute dal
datore di lavoro a titolo di prestazioni di malattia e maternità; devono invece essere
escluse l’indennità di preavviso, l’indennità per ferie non godute, l’indennità di malattia a
carico dell’INPS che il datore di lavoro avrebbe dovuto anticipare.
        La garanzia prestata dal fondo per i crediti di lavoro in questione è limitata ad una
somma pari a tre volte la misura massima del trattamento straordinario di integrazione
salariale mensile al netto delle trattenute assistenziali e previdenziali.
        La domanda di ammissione al passivo produce gli effetti della domanda
giudiziale, interrompendo la prescrizione per tutto il corso del fallimento. Pertanto, a
condizione che il lavoratore abbia presentato domanda di ammissione al passivo per il
proprio credito nel termine di cinque anni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro,
lo stesso potrà richiedere l’intervento del fondo entro un anno dalla chiusura della
procedura.

         2.7 Ipotesi del mancato accertamento del passivo.
         In occasione della riforma della legge fallimentare è stata introdotta una
disposizione da cui sembra possa derivare una limitazione non trascurabile alla tutela dei
diritti dei lavoratori: l’art. 102, 1° comma, L.F., modificato, ma non in modo sostanziale,
dal D.Lgs. n. 196 del 2007 (art. 6, comma 6). Esso prevede che il Tribunale, qualora
risulti che non può essere acquisito attivo da distribuire ad alcuno dei creditori che
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