IL PANNELLO SOLARE FOTOVOLTAICO e IL PANNELLO SOLARE TERMICO NEGLI EDIFICI IN CONDOMINIO

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IL PANNELLO SOLARE FOTOVOLTAICO e IL PANNELLO SOLARE TERMICO NEGLI EDIFICI IN CONDOMINIO
Associazione Nazionale
               Amministratori Condominiali e Immobiliari

IL PANNELLO SOLARE FOTOVOLTAICO
   e IL PANNELLO SOLARE TERMICO
     NEGLI EDIFICI IN CONDOMINIO

                   Centro Studi Nazionale ANACI
                            Direttore Carlo Parodi
    A cura di R. Caratozzolo, G. Masullo, M. Peroni, E. Riccio, G. Samoggia
IL PANNELLO SOLARE FOTOVOLTAICO e IL PANNELLO SOLARE TERMICO NEGLI EDIFICI IN CONDOMINIO
Centro Studi Nazionale ANACI

                                                SOMMARIO

Definizioni                                                                     pag.     3

Le modalità di installazione                                                    pag.     4
                                               (Gianluca Samoggia)

La natura giuridica dell'impianto                                               pag.     5
                                                 (Gianluca Masullo)

Impianto fotovoltaico appartenente a terzi                                      pag.     8
                                                 (Gianluca Masullo)

Impianto quale bene comune ai sensi dell'art. 1117 c.c.                         pag. 10
                                                   (Edoardo Riccio)

Opera realizzata dal singolo condomino                                          pag. 13
                                                    (Matteo Peroni)

Legislazione - aspetti fiscali – riflessi sui condomini                         pag. 17
                                             (Raffaele Caratozzolo)

Fotovoltaico e solare termico                                                                 Pagina 2
IL PANNELLO SOLARE FOTOVOLTAICO e IL PANNELLO SOLARE TERMICO NEGLI EDIFICI IN CONDOMINIO
Centro Studi Nazionale ANACI

                                            DEFINIZIONI

Il pannello solare termico (detto anche collettore solare) è un dispositivo atto alla conversione della
radiazione solare in energia termica ed al suo trasferimento, per esempio, verso un accumulatore
termico per un uso successivo, tipicamente sotto forma di acqua calda, riscaldamento ed in alcuni casi
energia elettrica.

Il pannello solare fotovoltaico serve invece per la produzione di energia elettrica. Un modulo
fotovoltaico è un dispositivo composto da celle fotovoltaiche in grado di convertire l'energia solare
direttamente in energia elettrica mediante effetto fotovoltaico ed è impiegato come generatore di
corrente in un impianto fotovoltaico.

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                                    LE MODALITÀ DI INSTALLAZIONE
                                             Gianluca Samoggia

Le modalità di installazione di pannelli fotovoltaici su un coperto sono le più diverse e seguono solo la
fantasia dell’installatore.
Esistono diversi brevetti che tentano di risolvere in via speditiva il problema, ma tutti hanno forti limiti di
durata e non tengono conto della specificità di ogni tipo di falda.
Oggi infatti esistono tanti modi di posare una copertura sul tetto.
Il problema deriva dal fatto che il fissaggio di un qualsiasi tipo di struttura deve potere garantire:
1 - la perfetta tenuta all’acqua in via ordinaria;
2 - la perfetta tenuta alla neve o al vento in via straordinaria;
3 - il facile smontaggio e rimontaggio in caso di infiltrazioni dal manto, anche quando non derivi dalla
installazione dei pannelli.
Nella sostanza anche il sistema di fissaggio di una struttura sul coperto deve essere attentamente
progettata per risolvere i problemi derivanti da ogni specifica tipologia di manto.
Inoltre, anche quando il fissaggio è correttamente progettato ed eseguito, rimane sempre il problema
della manutenzione del manto sottostante i pannelli, che deve sempre passare attraverso il loro
smontaggio: la presenza dei pannelli infatti di norma per coperti in laterizio non consente l’accesso
rapido al manto e non ne consente quindi la manutenzione ordinaria.
Dal punto di vista della tecnica edile per la corretta manutenzione di manti di copertura in laterizio di
tipo tradizionale quindi, una diffusa presenza di pannelli sul coperto, ne pregiudica in modo grave la
successiva manutenzione e deve pertanto essere sconsigliata.
Nel caso in cui ragioni di carattere economico o ambientale ne volessero comunque prevedere
l’installazione, è indispensabile computare nei costi generali di ammortamento, anche i maggiori costi di
manutenzione che ne derivano

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                                LA NATURA GIURIDICA DELL'IMPIANTO
                                            Gianluca Masullo

Prima di inoltrarci nelle implicazioni che l’argomento affidatomi presenta in ambito condominiale,
appare opportuno affrontare una spinosa e, per certi versi, tediosa questione preliminare, che riguarda
la natura giuridica dell’impianto fotovoltaico e, in genere, di ogni impianto di produzione di energie
rinnovabili.
Il problema è comprendere se tali impianti possano essere ascritti alla categoria dei beni immobili, così
come descritta nei primi due commi dell’art. 812 c.c. o se, invece, essi, non riuscendo a rientrare nella
definizione codicistica dei beni immobili, debbano essere piuttosto ricondotti alla categoria residuale,
tracciata dal terzo comma della norma citata che definisce beni mobili tutti quei beni che non siano
immobili.
È intuitivo che la soluzione di questa problematica presenta risvolti non meramente definitori, ma
determinanti sul piano della possibile, concreta adozione di taluni assetti negoziali o contrattuali
piuttosto che di altri e ripercussioni di ordine fiscale di non poco conto.
Il fatto è che neanche nell’ambito dell’Amministrazione Pubblica si registra uniformità di vedute rispetto
alla configurazione giuridica di tali beni, attesa la diversa e opposta interpretazione fornita, da un lato,
dall’Agenzia del Territorio e dall’altro dall’Agenzia delle Entrate.
La prima ha sostenuto che ai pannelli fotovoltaici, presentando un’evidente analogia funzionale con le
turbine delle centrali idroelettriche, notoriamente qualificate di natura immobiliare, ed inoltre essendo
permanentemente infissi al suolo, dovrebbe riconoscersi de plano la natura immobiliare, ad eccezione
degli impianti di modesta potenza e destinati per consumi domestici, la seconda, per contro, ha
affermato che l’impianto fotovoltaico non costituisce impianto infisso al suolo in quanto normalmente i
moduli che lo compongono possono essere agevolmente rimossi e posizionati in altro luogo
mantenendo inalterata la loro originaria funzionalità.
Il punto è che la formulazione letterale dell’art. 812 c.c. non offre alcun appiglio ai fini del corretto
inquadramento dei beni al vaglio.
Infatti, se è vero che l’incorporazione al suolo costituisce l’elemento qualificante della natura
immobiliare dell’entità incorporata, è altrettanto vero che tale incorporazione potrebbe avvenire anche a
scopo transitorio, né deve seguire tecniche e metodologie particolari di immobilizzazione che la legge
non prevede né disciplina, potendosi concepire una qualsiasi entità materiale anche solo appoggiata al
suolo o infissa ad esso in forza della gravità.
A riguardo appare opportuno citare quanto affermato dalla Corte di legittimità secondo cui “è
costruzione edilizia … la installazione di un prefabbricato non infisso, né incorporato al suolo mediante
fondazioni ma che per forza di gravità si immedesima con il terreno sottostante, inerendovi con
caratteristiche oggettive di stabilità e con capacità di trasformare in modo durevole l’area occupata ed
utilizzata definitivamente a scopo edilizio” (Cass. Pen. 16.5.1988).
A ben vedere ciò che qualifica e determina l’incorporazione è la combinazione funzionale del bene
incorporante in quello che accoglie e materializza l’incorporazione stessa, e cioè nel suolo. In altre
parole, è rilevante la relazione strumentale e funzionale che intercorre tra le due entità incorporante e
incorporata.
Del resto, qualunque entità materiale prima della sua infissione al suolo potrebbe essere considerata
bene mobile e, al tempo stesso, assumere natura immobiliare in un secondo tempo all’esito del
procedimento di infissione.
Inoltre non sembra opportuno conferire particolare attenzione alla valutazione in ordine alla possibilità o
meno di ritenere riutilizzabili in altro luogo i medesimi beni perché in astratto scomponibili (come invece
affermato dall’Agenzia delle Entrate) e ciò perché se tale ragionamento fosse ritenuto probante, esso
condurrebbe a ritenere bene mobile anche la Tour Eiffel.

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Il celebre paragone è sapientemente svolto dalla Cassazione nella sentenza del 27.10.2009 n. 22690.
Ciò spiega perché la giurisprudenza si è espressa positivamente circa la configurabilità di beni immobili
in riferimento a strutture e impianti di diversa fattura, benché tutti funzionalmente combinati con il suolo
su cui insistevano.
Nello specifico si è asserito che tutti quei manufatti i quali, pur non essendo necessariamente infissi al
suolo o semplicemente aderenti ad esso, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, e cioè in misura
rilevante e non per pura occasionalità - come un traliccio metallico alto oltre trenta metri con annessa
cabina per un impianto di allevamento di trote o per un impianto eolico – siano da qualificarsi come beni
immobili.
La correttezza della predetta affermazione trova piena conferma nella definizione di costruzione
contenuta nell’art. 873 c.c. laddove per costruzione deve intendersi, per conformi opinioni espresse da
dottrina e giurisprudenza, qualsiasi manufatto, ancorchè non completamente interrato, avente i requisiti
della solidità ed immobilizzazione al suolo anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento
fisso ad una preesistente fabbrica.
Ad ulteriore sostegno di quanto affermato si rinvia al disposto dall’art. 3 comma 1 del TU sull’edilizia del
2001 n. 380, che definisce interventi di nuova costruzione:
e) «interventi di nuova costruzione», quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non
rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali:
e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti
all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla
lettera e.6);
e.2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune;
e.3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la
trasformazione in via permanente di suolo inedificato;
e.4) l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di
telecomunicazione;
e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali
roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro,
oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente
temporanee;
Quanto fino ad ora affermato può essere utile per fondare un concetto di “costruzione” che si atteggi
con contenuti diversificati e non assolutistici.
All’uopo è opportuno fare riferimento alla giurisprudenza: il Consiglio di Stato ha affermato, con
sentenza n. 419 del 27 gennaio 2003, che la nozione di costruzione “si configura in presenza di opere
che attuino una trasformazione urbanistico edilizia del territorio… a prescindere che essa avvenga
mediante la realizzazione di opere murarie”;
la Cassazione, con la sentenza 4679/2009, ha sostenuto che la nozione di costruzione “non è limitata
a realizzazioni di tipo strettamente edile ma si estende a qualsiasi manufatto avente caratteristiche di
consistenza e stabilità per le quali non rileva la qualità del materiale adoperato, o qualsiasi opera non
completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo” (nel caso
di specie si trattava di una baracca di zinco costituita da soli pilastri sorreggenti le lamiere, fornita di
copertura ma priva di mura perimetrali).
Questa breve disamina delle pronunce degli organi massimi di giustizia amministrativa e civile porta ad
affermare che la nozione di costruzione e talmente ampia da comprendere entità anche del tutto
diverse fra loro, il cui unico comune denominatore è costituito dalla funzione complessa espletata
dall’entità materiale di volta in volta presa in considerazione con il suolo su cui risulta essere
“immobilizzata”.
Il concetto di “costruzione” pertanto finisce per allargare i margini concettuali entro quali tali istituti sono

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stati relegati, facendo rientrare nel loro ambito applicativo ed oggettivo anche entità materiali che non
costituiscono, come i pannelli fotovoltaici, necessariamente costruzioni dal punto di vista urbanistico ed
edilizio e che possano avere anche una durata limitata nel tempo.
Infatti tutti gli impianti possono essere rimossi ad una certa data senza che restino acquisiti al suolo su
cui insistono e ciò non elimina l’opportuno riferimento ai predetti istituti.
Più in chiaro, se si ritiene di condividere i principi del ragionamento esposto in ordine al concetto di
“costruzione”, non può disconoscersi il fatto che quei principi trovino applicazione anche a fronte di
impianti di modesta potenza e destinati per consumi domestici (cfr. Agenzia del Territorio nella
risoluzione n. 3/T/2008).
Si intende dire che i medesimi principi dovrebbero valere a prescindere dalla potenza sviluppata o della
destinazione impressa (domestica o commerciale) dell’energia erogata, con la conseguenza che questi
impianti anche se considerati pertinenza delle unità immobiliari su cui insistono (si pensi agli impianti
aderenti o integrati nei tetti degli edifici o sui lastrici solari) siano classificati come “costruzione”.
Tutto ciò, ovviamente, vale sul piano teorico e concettuale, senza nessuna pretesa di esaustività in
ordine alla problematica della loro rilevanza sul piano catastale.

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                                IMPIANTO FOTOVOLTAICO APPARTENENTE A TERZI
                                              Gianluca Masullo

Nel caso in cui l'impianto non appartenga ai condomini ai sensi dell'art. 1117 c.c., il rapporto tra il terzo
proprietario ed i condomini può essere inquadrato con il diritto (reale) di superficie oppure con il
contratto di locazione.
Il diritto di superficie può essere costituito, come ogni diritto reale, o per atto inter vivos, a titolo oneroso
o gratuito, o per atto mortis causa (testamento), richiedendo in ogni caso la forma scritta ad
substantiam, sotto pena di nullità, e la relativa trascrizione nei registri immobiliari.
Legittimati a costituire il diritto di superficie o di sopraelevazione sono il proprietario o i comproprietari
( art. 1108 c.c. III comma) siano esse persone fisiche o giuridiche, private o pubbliche. Nel caso di beni
di proprietà condominiale la costituzione del diritto di superficie richiede l’unanimità dei consensi.
L’art. 953 c.c. prevede che il diritto di superficie può essere costituito in perpetuo o per un determinato
tempo; in tal caso, allo scadere del termine, il diritto di superficie si estingue ridando forza al principio
dell’accessione per il quale il proprietario del suolo diventa proprietario anche della costruzione.
Il titolare del diritto di superficie può disporre del proprio diritto sia alienandolo mediante contratto, sia
disponendone con testamento, sia costituendo diritti reali di garanzia o godimento, in conformità di
quanto previsto dall’art. 954 c.c..
Sebbene il diritto all’edificazione sia un diritto reale, la giurisprudenza (Cass. Civ. sez II 10/07/1985 n.
4111 e Cass. 21/02/2005 n. 3440) ammette che le parti possano stipulare un contratto non ad effetti
reali ma ad effetti obbligatori, in virtù del quale sorge a vantaggio di un soggetto il diritto di credito a
costruire sul fondo altrui, con conseguenze giuridiche tuttavia diverse e di non poco conto.
Il diritto di costruire, nel contratto ad effetti obbligatori, non è opponibile al terzo acquirente del suolo;
nel contratto ad effetti reali esso è opponibile erga omnes (salvi gli effetti della trascrizione).
Nel contratto ad effetti obbligatori, l’inadempimento del proprietario del suolo, che costruisce in
violazione dell’accordo, obbliga esclusivamente al risarcimento dei danni e non anche alla riduzione in
pristino, come accade invece nel contratto ad effetti reali.
Altra categoria negoziale applicabile alla fattispecie in esame è la locazione ultranovennale, la quale
prevede, al fine di consentire la sottoscrizione da parte dell’amministratore di condominio del relativo
contratto (art. 1108, 3°comma c.c.), una delibera assunta con voto unanime dei presenti.
Il medesimo contratto richiede per la sua stessa validità la forma scritta ad substatiam ex art. 1350 n. 8
e la conseguente trascrizione ex art. 2643 n. 8, per la pubblicità a tutela dei terzi.
Nel caso in cui manchi l’unanimità, la relativa delibera si presenta viziata da nullità, e non da semplice
annullabilità, ex art. 1325 n.1 c.c. e 1418 c.c., in quanto non si ritiene validamente formata la volontà
del contraente condominio; tale nullità può essere fatta valere da parte di chiunque vi abbia interesse
attraverso il procedimento di impugnazione e non è soggetta al termine di impugnazione prescritto
dall’art. 1137 c.c. (Tribunale di Napoli n. 9238 del 19.11.1994).
In tema di contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo inferiore a nove anni la rinuncia
espressa da parte del locatore alla facoltà di diniego del rinnovo alla scadenza dei primi sei anni di
durata, produce l’effetto che il contratto debba intendersi ultranovennale e, come tale, necessitante di
una delibera di approvazione con voto unanime.
Nel caso di locazione ad uso diverso da quello abitativo per un periodo inferiore ai nove anni, tuttavia,
non potendosi parlare di atto di ordinaria amministrazione, e configurando l’installazione di un impianto
fotovoltaico un’innovazione consistente nel mutamento della destinazione del bene comune (es.
lastrico solare), come tale soggetta alla disciplina dell’art. 1120 c.c., la delibera di conferimento del
mandato a sottoscrivere il relativo contratto all’amministratore deve essere adottata con le maggioranze
prescritte dall’art. 1136 c.c. 5° comma (vale a dire maggioranza dei partecipanti al condominio e 2/3 del
valore dell’edificio).

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In mancanza, la delibera è passibile di impugnazione da parte del condomino dissenziente o assente
nel termine fissato dall’art. 1137 c.c., attenendo il vizio contestato alla formazione di una maggioranza
diversa da quella qualificata in relazione all’oggetto, così come prescritta dall’art. 1136, 5° comma, c.c.
(Cass. Sez. Unite 4806/2005).

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                     IMPIANTO QUALE BENE COMUNE AI SENSI DELL'ART. 1117 C.C.
                                               Edoardo Riccio

Innovazione - modificazione
In materia condominiale, costituisce un'innovazione non già qualsiasi modificazione della cosa comune
ma solamente quell'opera destinata ad alterare l'entità materiale del bene operandone la
trasformazione ovvero mutandone la destinazione per effetto della diversa consistenza materiale del
manufatto in seguito all'esecuzione delle opere ovvero per essere lo stesso utilizzato per il
conseguimento di fini diversi da quelli precedenti l'esecuzione delle opere.
L'installazione di pannelli fotovoltaici sul tetto del fabbricato ad uso comune, deve quindi essere
considerata innovazione di cui all'art. 1120 codice civile. Lo stesso dicasi per i pannelli solari termici
(destinati alla produzione di acqua calda sanitaria) di nuova installazione. Diverso, per questi ultimi, il
caso in cui il condominio fosse già in precedenza dotato dell'impianto comune di acqua calda sanitaria.
In quest'ultimo caso, l'articolo 26 comma 1 della Legge 10/1991 prevede che “l'installazione di impianti
solari e di pompe di calore da parte di installatori qualificati, destinati unicamente alla produzione di
acqua calda e di aria negli edifici esistenti e negli spazi liberi privati annessi, è considerata estensione
dell'impianto idrico-sanitario già in opera”. Non sarebbe quindi una innovazione ma una modificazione
di un servizio/impianto già esistente.
Sul punto, nello stesso senso, si era espressa anche la Corte di Cassazione con la sentenza del
05.10.2009 n 21256, secondo la quale: “in tema di condominio negli edifici, la distinzione tra modifica
ed innovazione si ricollega all'entita' e qualita' dell'incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla
destinazione della cosa comune, nel senso che per innovazione in senso tecnico - giuridico deve
intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella
modificazione materiale che ne alteri l'entita' sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le
modificazioni che mirano a potenziare o a rendere piu' comodo il godimento della cosa comune e ne
lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei
condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto”.
Cambiano quindi le maggioranze assembleari necessarie per la deliberazione:
     –    in caso di innovazione trova applicazione l'art. 1136 comma 5 codice civile secondo i lquale le
          deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni previste dal primo comma dell'articolo 1120
          devono essere sempre approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei
          partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'edificio;
     –    in caso di modificazione trova invece applicazione l'art. 1136 commi 2 e 4 codice civile secondo
          i quali sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la
          maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio.

Legge 10 del 1991, articolo 26 comma 2
Diverso invece il caso in cui l'opera sia preceduta da Diagnosi Energetica o Attestato di Certificazione
Energetica.
In questo caso il Legislatore ha introdotto una maggioranza agevolata con la Legge 10/1991 all'articolo
26 comma 2 il quale, testualmente, recita: “Per gli interventi sugli edifici e sugli impianti volti al
contenimento del consumo energetico ed all'utilizzazione delle fonti di energia di cui all'articolo 1,
individuati attraverso un attestato di certificazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da
un tecnico abilitato, le pertinenti decisioni condominiali sono valide se adottate con la maggioranza
semplice delle quote millesimali rappresentate dagli intervenuti in assemblea”.
Ai sensi del richiamato articolo 1 della medesima Legge, tra le altre, sono considerate fonti di energia,
aventi carattere di pubblico interesse e di pubblica utilità: il sole, il vento, l'energia idraulica, le risorse
geotermiche, le maree, il moto ondoso e la trasformazione dei rifiuti organici o di prodotti vegetali. .

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Ai fini della maggioranza assembleare, il legislatore, con l'articolo 26 comma 2 della Legge 10/91, ha
fatto unicamente riferimento alle quote millesimali e non anche alla maggioranza riferita al numero dei
condomini, in deroga al principio del doppio quorum (teste e millesimi).
In prima convocazione, come è noto, l'articolo 1136 comma 1 del codice civile prevede che l'assemblea
sia validamente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore
dell'edificio e i due terzi dei partecipanti al condominio. Poichè l'articolo 26 comma 2 L. 10/91 fa
riferimento alle sole quote millesimali rappresentate dagli intervenuti all'assemblea, ne consegue che, in
prima convocazione, dovendo essere presenti due terzi del valore dell'edificio, la deliberazione potrà
essere validamente assunta qualora favorevoli siano tanti condomini portatori di almeno un terzo più
uno dei millesimi, potendo tali quote appartenere anche ad un solo condomino.
Diverso è invece il caso della seconda convocazione in cui il legislatore ha previsto unicamente un
quorum deliberativo e non un quorum costitutivo (Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1997, n. 850).
Non essendo quindi previsto un quorum minimo affinchè l'assemblea sia validamente costituita,
occorrerà fare unicamente riferimento al quorum necessario per la validità delle deliberazioni
(Cassazione Civile, Sezione II, 26 aprile 1994 n 3952).
Viene quindi ora da chiedersi qual è, in seconda convocazione, il quorum necessario per la validità
delle deliberazioni ai sensi dell'articolo 26 comma 2 L. 10/91.
Il legislatore richiede la maggioranza delle quote millesimali ma non indica un minimo.
Inoltre il termine “assemblea” (che prevede la presenza di più persone) ed il plurale del termine
“intervenuti”, non avendo il legislatore indicato un numero minimo di partecipanti, farebbero ritenere che
debbano essere presenti almeno due condomini.
A questo punto, stante la presenza in assemblea in seconda convocazione di almeno due condomini
ed indipendentemente dal valore delle quote millesimali rappresentate, e' valida la deliberazione
assunta con la maggioranza dei millesimi.

La diagnosi energetica o l'attestato di certificazione energetica
A seguito della modifica apportata dal D. Lgs. 311/2006 all'articolo 26 co. 2 L. 10/1991, le opere che
beneficiano della maggioranza agevolata non sono più espressamente previste dal Legislatore il quale,
invece, ha preferito indicare il fine (contenimento dei consumi energetici) e lo strumento (la diagnosi
energetica o l'attestato di certificazione energetica).
La diagnosi energetica, è la procedura sistematica volta a fornire un'adeguata conoscenza del profilo di
consumo energetico di un edificio o gruppo di edifici, di una attività o impianto industriale o di servizi
pubblici o privati, ad individuare e quantificare le opportunità di risparmio energetico sotto il profilo costi-
benefici e riferire in merito ai risultati.
L'attestato di certificazione energetica, o di rendimento energetico dell'edificio, è il documento redatto
nel rispetto delle norme contenute nel decreto legislativo 192/2005 (e successivi decreti attuativi) o
nelle singole Leggi Regionali che abbiano recepito la direttiva 2002/91/CE, attestante la prestazione
energetica ed eventualmente alcuni parametri energetici caratteristici dell'edificio. Comprende i dati
relativi all'efficienza energetica propri dell'edificio, i valori vigenti a norma di legge e valori di riferimento,
che consentono ai cittadini di valutare e confrontare la prestazione energetica. L'attestato deve essere
corredato da suggerimenti in merito agli interventi più significativi ed economicamente convenienti per il
miglioramento della predetta prestazione.
Tali strumenti individueranno quali interventi siano volti al contenimento dei consumi energetici e
consentiranno all'assemblea di effettuare le proprie valutazioni sotto il profilo costi-benefici.
Uno di questi due documenti, alternativi tra loro, deve esistere già al momento della deliberazione (a
differenza del progetto che può essere redatto in un momento successivo) a pena di invalidità della
delibera stessa (Triola, Il condominio, Giuffrè Editore, 2007, pagina 228).

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Il progetto di cui all'articolo 26 comma 3 Legge 10/1991
Per quanto attiene all'esecuzione di tutto quanto indicato nell'articolo 26, il comma 3 dello stesso
articolo, richiamato anche dall'articolo 28 comma 1, prevede necessariamente la redazione di un
progetto delle opere corredate da una relazione tecnica, sottoscritta dal progettista che ne attesti la
rispondenza alle prescrizioni di legge.
Si profilò il dubbio interpretativo se la delibera, ai fini della sua validità, dovesse essere accompagnata
dal citato progetto corredato dalla relazione tecnica.
Sul punto, la Cassazione, pressochè unanime, ritiene che la delibera condominiale sia valida anche se
non accompagnata dal progetto delle opere corredato dalla relazione tecnica di conformità di cui all'art.
28 comma 1, attenendo tale progetto alla successiva fase di esecuzione della delibera.
Le suddette norme distinguono infatti una fase deliberativa "interna" (attinente ai rapporti tra i
condomini, disciplinati in deroga al disposto dell'art. 1120 c.c.) da una fase esecutiva "esterna" (relativa
ai successivi provvedimenti di competenza della p.a.), e solo per quest'ultima impongono gli
adempimenti in argomento (Cass. civ. sez. II, 20 febbraio 2009, n. 4216, Cass. civ. sez. II, 11 maggio
2006, n. 10871, Cass. civ. sez. II, 18 agosto 2005, n. 16980, Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2002, n.
1166, Cass. civ. sez. II, 25 maggio 2001, n. 7130, Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1999, n. 5117).

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                                OPERA REALIZZATA DAL SINGOLO CONDOMINO
                                                  Matteo Peroni

L’installazione dei medesimi impianti da parte del singolo condomino, a sue spese ed al servizio della
sua unità esclusiva, nelle parti comuni merita un’analisi approfondita che parta dai principi generali in
materia di opere realizzate da un condomino nelle parti comuni. Tale ambito è soggetto alla disciplina di
tre articoli del codice civile: art. 1102 c.c., art. 1134 c.c. e comma 2 dell’art. 1120 c.c..
L’art. 1102 c.c. prevede che ogni partecipante del condominio possa servirsi della cosa comune
rispettando due condizioni: non deve alterarne la destinazione e non può impedirne il pari utilizzo agli
altri partecipanti. Nel rispetto di tali condizioni il condomino può modificare a proprie spese la cosa
comune per averne il miglior godimento. L’art. 1134 c.c. esclude, salvo il caso di urgenza, il rimborso
delle spese sostenute per le cose comuni dal condomino che ha operato senza autorizzazione
dell’amministratore o dell’assemblea; infine l’art. 1120 c.c. secondo comma, vieta le innovazioni che
possano arrecare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che rendano talune parti
dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.
Le norme qui richiamate pongono una serie di limiti entro i quali deve muoversi il soggetto che voglia
porre in essere delle opere all’interno delle parti comuni; è quindi opportuno esaminare più nello
specifico tali limiti.

     1. Divieto di alterare la destinazione della cosa comune.
La destinazione deve essere determinata attraverso elementi economici, quali gli interessi collettivi
appagabili con l’uso della cosa, giuridici, quali le norme tutelanti quegli interessi, e di fatto, quali le
caratteristiche della cosa1; tali elementi devono essere valutati in relazione all’attuale destinazione della
cosa comune2. In altre parole la destinazione è l’entità sostanziale della cosa 3 e può risultare
obiettivamente dalla consistenza e dalla natura della cosa comune (ad esempio, androne: destinazione
del passaggio per accedere alle proprietà esclusive; ingresso carraio: destinazione al passaggio anche
di veicoli) oppure è una conseguenza diretta della volontà dei condomini (ad esempio un locale al piano
sotterraneo con destinazione a stenditoio o lavatoio per decisione dell’assemblea) 4.

     2. Divieto di impedire il pari utilizzo agli altri partecipanti.
Secondo limite riguarda la possibilità garantita agli altri condomini di poter esercitare un pari utilizzo:
non deve esser loro impedito di effettuare opere analoghe od analoghe modificazioni; a tal fine il pari
uso non deve essere inteso quale uso identico, ma devono essere valutate sia le concorrenti
utilizzazioni attuali, sia quelle meramente potenziali 5 che potrebbero essere esercitate in futuro dagli
altri condomini. Nel caso di posa in un cavedio interno di una tubazione da parte di uno dei condomini
dovranno essere garantite le analoghe pose da parte di locali che si affacciano sul medesimo cavedio;
rimangono invece esclusi da tale valutazione i locali che si affacciano su un cavedio differente. L’uso è
vietato anche quando determini uno scadimento della cosa ad uno stato deteriore 6.

     3. Divieto di non alterazione del decoro architettonico.
Il rispetto di tale principio ben può essere riassunto nella seguente massima della Corte di Cassazione:
“il decoro architettonico di un edificio, che in misura più o meno rilevante ed ampia sussiste per tutti gli

1
    Cassazione civile, sentenza n. 4397 del 1976
2
    Cassazione civile, sentenza n. 4195 del 1984
3
    Cassazione civile, sentenza n. 1046 del 1998
4
    Tamborrino, Come si amministra un condominio, 2011
5
    Cassazione civile, sentenza n. 5753 del 2007
6
    Cassazione civile, sentenza n. 7752 del 1995

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edifici, e anche per quelli di carattere popolare, risulta dall’insieme delle linee e dei motivi architettonici
e ornamentali che costituiscono le note uniformi dominanti ed imprimono alle varie parti dell’edificio
stesso nel suo insieme, dal punto di vista estetico, una determinata fisionomia, unitaria ed armonica, e
dal punto di vista architettonico una certa dignità più o meno pregiata e più o meno apprezzabile. Esso
è opera particolare di colui che ha costruito l’edificio e di colui che ha redatto il progetto, ma una volta
ultimata la costruzione costituisce un bene cui sono direttamente interessati tutti i condomini e che
concorre a determinare il valore sia delle proprietà individuali che di quella collettiva sulle parti
comuni”7. Nell’analisi di tali criteri si dovrà tenere conto anche di tutte le variazioni eventualmente
apportate all’immobile nel corso del tempo. Il concetto di linee architettoniche non è statico, ma
dinamico e si evolve in relazione alle modificazioni che nel corso degli anni i condomini apportano alle
parti private ed alle parti comuni. Laddove dette modifiche siano in linea con l’impostazione
architettonica originaria, l’armonia iniziale sarà mantenuta e migliorata nel tempo. Se invece i vari
interventi non sono coordinati e non tengono conto del disegno costruttivo di base si avrà una crescita
disomogenea e disordinata che genererà un fabbricato senza più una linea di riferimento.
Applicando tali principi al caso del singolo proprietario che voglia procedere alla posa di un pannello
solare o di un pannello fotovoltaico, possiamo formulare le seguenti osservazioni.
1) Per quanto riguarda il divieto di alterazione della cosa comune le opere realizzate non potranno
alterare la funzione propria della parte di fabbricato ove tali manufatti vengano posizionati. In ordine a
tale criterio la Corte di Cassazione ha affermato che “al singolo condomino è consentito servirsi in
modo esclusivo di parti comuni dell’edificio soltanto alla duplice condizione che il bene, nelle parti
residue, sia sufficiente a soddisfare anche le potenziali, analoghe esigenze dei rimanenti partecipanti
alla comunione e che lo stesso, ove tutte le predette esigenze risultino soddisfatte, non perda la sua
normale ed originaria destinazione, per il cui mutamento è necessaria l’unanimità dei consensi (Cass.
nn. 1062/11, 13752/06, 972/06 e 1737/05). Nello specifico la sentenza impugnata ha valutato, per di
più in maniera affatto generica quanto alla parità dell’uso, unicamente la prima delle due condizioni
anzi dette, ossia la potenziale fruizione del vano scala da parte degli altri partecipanti al condominio per
le loro esigenze, date le modeste dimensioni del manufatto installato, senza accertare se l’allocazione
(non di una sola, ma) di tante caldaie quanti i condomini non sia solo e non tanto materialmente
possibile, ma anche compatibile con l’originaria destinazione del vano scala comune, che nasce per
diversa finalità di dare accesso alle proprietà individuali”8. Si ritiene che la posa di pannelli solari sul
tetto di un edificio non possa essere considerata alterazione della cosa comune in quanto la funzione
principale del tetto – copertura – rimane invariata; è infatti dato di comune conoscenza che
l’applicazione sulla copertura del fabbricato di un pannello solare, come altresì di un’antenna, non viene
minimamente a modificare la funzione primaria del tetto.
Diverso sarà il caso in cui lo spazio occupato sia un lastrico solare comune utilizzato in altro modo dai
condomini; la Suprema Corte9 – affrontando l’ipotesi di un condomino che aveva realizzato nel suo
appartamento un caminetto la cui canna fumaria transitava nel lastrico solare comune – ha stabilito
l’illegittimità dell’opera in quanto: “trattandosi di un uso ablatorio parziale, ma ugualmente vietato del
bene comune, la installazione del camino, limitatamente alla parte aggettante sul lastrico solare,
comporterebbe l’alterazione della sua destinazione a stenditoio anche per le inevitabili immissioni di
calore, fumo, ecc…”. Applicando tale principio, per altro ribadito in più pronunce, dobbiamo dedurre che
per occupare un lastrico solare di uso comune con pannelli fotovoltaici di uno o più condomini sia
necessaria l’unanimità dei consensi costituendo tale opera modifica della destinazione d’uso di uno
spazio comune che perde il suo originario utilizzo.

2) Centrale appare l’analisi relativa alla necessità di garantire agli altri partecipanti il pari utilizzo, anche
se in via meramente potenziale. L’esame della giurisprudenza in altri ambiti (parcheggi, insegne …)
sottolinea la necessità che lo spazio utilizzabile debba essere idealmente ripartito tra i vari
comproprietari secondo i principi del pari uso.

7
    Cassazione civile, sentenza n. 1472 del 1965
8
    Cassazione civile, sentenza n. 19205 del 2011
9
    Cassazione civile, sentenza n. 5465 del 1986

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       Sul punto richiamiamo alcune pronunce di giurisprudenza per illustrare meglio il concetto e
capirne i limiti:
     -    La Suprema Corte ha ritenuto lecita l’installazione di insegne pubblicitarie sul muro comune
          quando tale apposizione non impedisca agli altri condomini di fare parimenti uso del muro 10,
          pertanto mantenendo uno spazio sufficiente per tutti;
     -    Il condomino dell’ultimo piano non può demolire il tetto comune per sostituirlo con una terrazza
          in uso esclusivo in quanto la nuova opera: “… pur non eliminando l’assolvimento della funzione
          originariamente svolta dal tetto stesso, imprime al nuovo manufatto, per le sue caratteristiche
          strutturali e per i suoi annessi, anche una destinazione ad uso esclusivo dell’autore dell’opera,
          e costituisce alterazione della destinazione della cosa comune …”11.
     -    Ipotesi differente è quella affrontata dalla Suprema Corte con la sentenza 17099 del 2006 la
          quale ha riconosciuto la legittimità delle modifiche del tetto comune – apportate a proprie spese
          dal singolo condomino – al fine di conseguire un’utilità maggiore e più intensa del bene
          comune. Il caso riguardava la realizzazione di alcuni abbaini da parte del proprietario dei locali
          posti all’ultimo piano; la corte ha ritenuto non alterata la funzione di copertura del fabbricato nè
          violato il diritto al pari utilizzo degli altri condomini: gli abbaini possono essere realizzati solo dai
          proprietari dell’ultimo piano.
     -    La Corte d’Appello di Salerno, il 13 maggio 1983, ha ritenuto che l’installazione di pannelli solari
          dalle dimensioni ingombranti sulla copertura dell’edificio condominiale da parte di un singolo
          condomino riduce la possibilità di utilizzazione usuale della cosa comune alterando il rapporto
          di equilibrio tra le facoltà di utilizzazione attuali e potenziali degli altri condomini 12;
L’installazione del manufatto e la ripartizione degli spazi dovrà pertanto contemperare gli opposti e
complessivi interessi dei condomini; tale operazione non è sempre facile anche in relazione agli aspetti
tecnici. Ad esempio si dovrà tenere conto del fatto che per ottenere il massimo del rendimento dai
pannelli fotovoltaici è necessario orientare l’impianto verso sud con un’inclinazione rispetto
all’orizzontale di circa 30°.

3) Ultimo requisito riguarda il rispetto del decoro architettonico del fabbricato: “ …è noto, peraltro, che
l’indagine volta a stabilire se una innovazione determini o meno l’alterazione del decoro architettonico
di un determinato fabbricato, deve essere condotta tenendo conto delle peculiarità del caso concreto; e
che, ai fini considerati, è necessario che l’alterazione del decoro architettonico sia apprezzabile e si
traduca in un pregiudizio economico che comporti un deprezzamento sia dell’intero fabbricato che delle
singole porzioni in esso comprese …”13. Conseguentemente la conformazione e la posa degli impianti
fotovoltaici dovrà rispettare le linee architettoniche del fabbricato, sempre che le medesime non siano
già state alterate da interventi precedenti che ne abbiano fatto venire meno l’unitarietà e l’armonia.
A tal proposito riportiamo un estratto della sentenza n. 48/2012 Tar Veneto con la quale si autorizza la
posa di pannelli fotovoltaici su di una villetta monofamiliare: “Il parere sfavorevole e vincolante della
Soprintendenza appare viziato da travisamento e difetto di motivazione ed è evidentemente fondato –
come osservato dai ricorrenti – sul postulato che la presenza dei pannelli fotovoltaici costituisca
comunque un degrado per l’ambiente circostante, quale che siano le modalità di installazione e le loro
dimensioni; ciò che, viceversa, secondo ragionevolezza ed esperienza, non si può affermare per la
gran parte degli stessi – ormai diffusamente presenti sul territorio, e largamente incentivati dalle leggi
statali e regionali – e comunque per l’impianto de quo. (…) la presenza dei pannelli fotovoltaici
appoggiati sul tetto di una qualsiasi abitazione, e formanti corpo con esso, è insignificante in un siffatto
contesto, tanto più considerata l’ampia ed acquisita presenza sul territorio regionale di impianti simili, di
contenute analoghe dimensioni, tali da essere ormai divenuti un elemento architettonico
sostanzialmente insignificante”. La sentenza è significativa perché correttamente prende atto
10
     Cassazione civile, sentenza n. 1046 del 1998
11
     Cassazione civile, sentenza n. 4466 del 1997
12
     Giur. It., 1984, 618
13
     Cassazione civile, sentenza n. 15319 del 2011

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dell’evoluzione dei tempi e del pensiero corrente: gli odierni canoni estetici sono diversi rispetto a
vent’anni fa e conseguentemente la magistratura non può non prenderne atto ed adeguare i suoi
orientamenti.
E’ opportuno ricordare che il regolamento contrattuale 14 potrebbe disporre specifiche prescrizioni in
relazione all’uso del tetto o degli altri spazi comuni o vincoli quali l’obbligo di preventivo assenso
dell’assemblea per la modificazione delle parti comuni.
Potrebbe anche entrare nel merito specifico dell’installazione di pannelli solari prevedendo, ad
esempio, che possano essere installate solo delle apparecchiature a servizio delle parti comuni.
Riteniamo che le norme citate ed i principi giurisprudenziali sostengano il principio secondo cui a tutti i
condomini debba essere garantito il pari utilizzo degli spazi comuni; in altre parole, ad ognuno
dovrebbe essere garantita la superficie necessaria a soddisfare le esigenze energetiche dei propri
locali.
In relazione alla ripartizione di utilizzo del bene comune è opportuno richiamare la statuizione del
Supremo Collegio15 che ha affermato: “deve ritenersi che il rispetto del principio generale di cui all’art.
1102 c.c., e delle conseguenti regole, dettate dall’art. 1120 c.c., in tema di innovazioni di beni
condominiali, nei casi in cui parti del bene comune siano di fatto destinate ad uso e comodità esclusiva
di singoli condomini, imponga al giudice di merito un’indagine diretta all’accertamento di due condizioni:
a) che il bene, nelle parti residuerà sufficiente a soddisfare anche le potenziali analoghe esigenze dei
rimanenti partecipanti alla comunione; b) che lo stesso, ove tutte tali esigenze venissero soddisfatte,
non perderebbe la sua normale ed originaria destinazione, al qual fine sarebbe necessaria l’unanimità
dei consensi dei partecipanti …”.
Tali valutazioni dovranno essere quindi calcolate attraverso un’apposita analisi tecnica dalla quale
potrebbe anche emergere l’impossibilità di installare più apparecchiature essendo lo spazio riservato a
ciascuno troppo limitato per consentirne un efficace utilizzo; in quest’ipotesi, essendo impossibile
applicare al caso specifico i criteri dell’uso turnario del bene, il condominio potrebbe locare lo spazio o
decidere di installare un unico impianto a servizio delle parti comuni.

14
      “La norma dell’art. 1102 c.c. è derogabile per regolamento condominiale avente efficacia contrattuale in quanto
     sottoscritto da tutti i condomini, ma tale deroga deve risultare in modo espresso”, Cassazione civile, sentenza n.
     11268/98
15
      Cassazione civile, sentenza n. 13752 del 14.06.2006

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                       LEGISLAZIONE - ASPETTI FISCALI – RIFLESSI SUI CONDOMINI
                                           Raffaele Caratozzolo

La norma principale, da cui sono derivate tutte le altre in attuazione ad essa, è la Direttiva Comunitaria
n. 2001/77/Ce del 27/09/2001, e che viene ritenuta la promotrice delle fonti rinnovabili atte a produrre
energia.
Il fotovoltaico, unitamente al solare termico, è appunto una fonte rinnovabile, cioè una modalità diversa
dal tradizionale sistema, di trasformare le radiazioni solari in energia elettrica. Tale modalità diversa è
stata “sponsorizzata” e avallata dalla Comunità Europea tanto da indurla a sollecitare i vari Stati
membri a legiferare in modo da favorire il ricorso a tale nuovo modo di produrre energia.
In Italia il primo provvedimento in attuazione alla Direttiva Europea è stato il D.Lgs 29 dicembre 2003 n.
387 fino ad arrivare al D.M. 19 febbraio 2007 che ha disciplinato la c.d. “tariffa incentivante”.
Non sono mancate le circolari e risoluzioni varie che di seguito si riassumono: le Circolari 46/E del
19/7/2007 – 32/E del 6/7/2009 - 66/E del 6/12/2007 - le Risoluzioni 269/E del 27/9/2007 – 22/E del
28/1/2008 – 61/E del 22/2/2008 – 474/E del 5/12/2008- 13/E del 20/1/2009 – 20/E del 27/1/2009 –
112/E del 28/4/2009 –
L’ unico referente per la gestione dell’ intero sistema in oggetto e a cui si fa riferimento sia per la
gestione dei servizi connessi, alla promozione delle fonti rinnovabili, alla tariffa incentivante è il GSE
Spa (Gestore dei Servizi Elettrici).
Gli incentivi che sono stati dati al sistema non sono finalizzati a contribuire alla spesa per installazione
dei nuovi sistemi, bensì prevedono sia una tariffa c.d. “incentivante” e sia un corrispettivo per l’ energia
prodotta in eccesso ai propri bisogni domestici. Ovviamente la misura di tali incentivi, soprattutto
attraverso la tariffa incentivante, non abbattono i costi di installazione, ma consentono, con il tempo, di
compensare gli ammortamenti periodici del manufatto. Proprio in considerazione di tale fattore, la
durata dell’ applicazione della tariffa incentivante è fissata in 20 anni e, rimanendo fissa nel tempo, non
risente in alcun modo di adeguamenti, fosse solo per ISTAT, legati a qualche parametro ed è riferita
solo all’ energia prodotta nell’ anno.
Abbiamo detto che l’ incentivo, oltre all’ applicazione di una tariffa agevolativa , detta appunto
incentivante, può essere accordato anche per l’ energia prodotta in eccesso ai propri bisogni familiari; e
ciò potrà avvenire sia attraverso un “corrispettivo” pagato dal GSE per l’ acquisto, da parte di quest’
ultimo, dell’ energia disponibile dopo il proprio utilizzo, sia attraverso il c.d. “scambio sul posto” o, per
chi ama le sigle, “SSP”.
Le finalità sono diverse tra loro e dipendono sia dalla volontà di colui che produce l’ energia attraverso il
nuovo sistema di fotovoltaico, sia dalla potenza dell’ impianto stesso. Si ha vendita di energia, quando,
il produttore (singolo, condominio, impresa, lavoratore autonomo) avendo installato il sistema di
fotovoltaico, produce una energia elettrica superiore alle reali necessità proprie, del condominio, della
impesa o lavoratore autonomo stesso, mettendo in vendita l’ eccedenza di tale energia. L’ ente
acquirente, sempre il GSE Spa, acquista tale esubero di energia e paga il corrispettivo pattuito al
produttore di quell’ energia .
Con lo SSP (scambio sul posto), il produttore di quell’ energia, in esubero rispetto alle proprie esigenze,
l’ accantona in un “conto personale” e, ovviamente virtuale, per usufruirne non appena ne ha bisogno.
Tale opzione vale solo per impianti di potenza non superiori a 200KW, limite permesso dalla legge
finanziaria del 2008 che ha elevato quello originario di 20KW, quindi con decorrenza dall’ anno
successivo 2009. In pratica l’ esubero di energia viene “accantonata” e utilizzata al bisogno.
Quest’ ultima agevolazione ( o modalità di utilizzo dell’ agevolazione) è variata nel tempo, distinguendo
il periodo fino al 31/12/2008 da quello successivo. Nel primo periodo (fino al 31/12/2008, il produttore di
quell’ energia prodotta in eccesso e accantonata a suo nome, la prelevava al bisogno ed essendo
comunque energia propria non la pagava, o meglio scalava dal relativo costo il suo credito formatosi all’
atto dell’ accantonamento. Dall’ 1/1/2009, pur prelevando l’ energia dal suo “deposito”, il consumatore

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paga questa energia e il GSE Spa, rimborsa un contributo a compensazione di quel costo che,
altrimenti, non avrebbe dovuto sostenere; il tutto ovviamente nei limiti di quella energia prodotta in
eccesso.

FOTOVOLTAICO e FISCO
E’ chiaro, a questo punto, come l’ aspetto fiscale entra di prepotenza nel contesto di pagamenti,
rimborsi e contributi in quanto non si tratta più di utilizzare un proprio bene (energia prodotto in
eccedenza e accantonata a proprio nome) , bensì di vendita di energia, di riacquisto di energia, di
erogazione di contributo, di rimborso di somme.
Parliamo quindi di IVA per acquisto e vendita di energia, di Imposte e tasse per i corrispettivi riscossi, di
ritenute di acconto sui corrispettivi pagati ecc. ecc. Ovviamente con le dovute distinzioni tra persone
fisiche (e condomini) non titolari di imprese, e altri soggetti passivi di imposta.

IVA – Imposta sul Valore Aggiunto
L’ imposta in oggetto grava sulla realizzazione dell’ impianto fotovoltaico ed è pari al 10%. Superfluo
ricordare che l’ IVA è detraibile solo per gli esercenti attività di impresa o di arti e professioni, mentre
per le persone fisiche, condomini, non essendo questi soggetti di imposta, è preclusa ogni detrazione
dell’ imposta stessa. L’ IVA del 10% è indipendente dalla applicazione della tariffa incentivante, in
quanto si riferisce ad un bene strumentale.
Viceversa e in relazione alla “tariffa incentivante” L’ IVA non rientra nel campo di applicazione dell’
Imposta (art. 2, comma 3 lett. A) del DPR 633/72 e successive modifiche e integrazioni) in quanto la
relativa somma non viene considerato un corrispettivo a fronte di un acquisto/vendita, bensì è inteso
come un contributo a fondo perduto e senza alcuna qualificazione di “controvalore” dell’ energia
prodotta/venduta e/o riutilizzata. Tale esclusione dall’ ambito IVA della tariffa incentivante vale sia per
le persone fisiche, condomini o enti non commerciali, sia per le imprese o esercenti arti e professioni
nell’ esercizio delle loro attività.

IRPEF – IRES – IRAP
Essendo queste, imposte su reddito di attività commerciali, artigianali o professionali, il contributo ha
rilevanza agli effetti di ricavi e come tale, producono reddito. Proprio perché si è nell’ ambito di esercizio
di imprese, l’ Ente erogante (GSE Spa) dovrà trattenere una ritenuta di acconto che, attualmente, è pari
al 4% (art. 28 del DPR 600/73).

I.C.I. - IMU
Occorre porre particolare attenzione agli impianti integrati o fissati al suolo in quanto, essendo
considerati “immobili”, scontavano l’ Imposta Comunale sugli Immobili e scontano dal 2012 anche l’
Imposta Municipale Unica.
La differenza tra l’ impianto fisso a terra e quello integrato è dato dalla accatastabilità o meno di essi.
Gli impianti fissi al suolo, viceversa, sono considerati veri “immobili” e come tali accatastabili alla
categoria D1 con relativa Rendita. Il moltiplicatore IMU per la categoria D (esclusi i D5) è 60. I secondi
non sono accatastabili ma, aumentando il valore dell’ immobile, fanno variare di conseguenza anche la
Rendita Catastale: L’ ICI/IMU quindi, entra indirettamente in quanto varia l’ imponibile su cui calcolare l’
imposta.
Per dovere di informazione la circolare 46/E del 19/7/2007 escludeva dalla qualificazione di impianti
fissi anche quelli a suolo, ritenendo che, essendo composti da tanti elementi, questi potevano essere
spostati agevolmente. Nel tempo si sono succeduti pareri diversi, fino ad arrivare ai giorni d’ oggi dove,
gli impianti fissi al suolo, per essere considerati immobili, devono avere delle caratteristiche particolari
(tipo ancoraggi non amovibili agevolmente o tali, il cui asporto, altera la caratteristica sia del manufatto

Fotovoltaico e solare termico                                                                           Pagina 18
Centro Studi Nazionale ANACI

e sia del suolo. E certamente un elemento a favore di tale qualificazione e conseguenze
assoggettabilità a ICI/IMU è l’ accatastamento nella categoria D1.

SINTESI
E’ chiaro quindi che la fiscalità relativa al fotovoltaico riguarda principalmente i soggetti esercenti attività
di impresa o di lavoro autonomo in quanto soggetti passivi di imposta. Questi, all’ interno della loro
contabilità potranno detrarre l’ IVA pagata, dovranno evidenziare la tariffa incentivante come reddito di
impresa e, se ricorrente, dovranno subire la ritenuta di acconto. Per loro un impianto di fotovoltaico è un
bene strumentale ammortizzabile annualmente (aliquota 9%), la cui quota di ammortamento periodico
rappresenta un costo, mentre l’ introito dalla vendita o riscossione di tariffa incentivante è qualificato
quale elemento positivo e quindi ricavo.
Per un soggetto privato o per un condominio e per esso il suo Amministratore, la disciplina fiscale non è
rilevante nella quasi totalità dei casi. Gli acquisti non rappresentano costi, i contributi o le tariffe
incentivanti non rappresentano un ricavo, non si subiranno le ritenute di acconto, il tutto in quanto non
soggetti passivi di imposte.
Però si è detto a proposito della estraneità delle problematiche fiscali che esse non riguardano nella
quali totalità dei casi e non in tutti casi. La terminologia usata non è a caso, ma specificatamente voluta,
in quanto anche nell’ ambito privato e condominiale, il fisco può entrarci con risvolti particolari e
meritevoli di attenzione per evitare sanzioni.
Nel caso in cui l’ energia prodotta è sufficiente al fabbisogno del singolo (persona fisica) o della
collettività (condominio) il problema non sorge; viceversa, quando l’ energia prodotta è in eccesso
rispetto al fabbisogno e questa viene “venduta” al Gestore, pur essendo al di fuori di una attività
commerciale, il corrispettivo ricavato è considerato “REDDITO DIVERSO” (derivante da attività
commerciale esercitata non abitualmente) i sensi dell’ art. 67 comma 1 lett. I del TUIR.
La qualificazione di quei proventi quali “redditi diversi” impone l’ inserimento nella dichiarazione dei
redditi di ogni condomino, di una somma pari al corrispondente importo riscosso, ovviamente ripartito
per millesimi di proprietà. Il compito di tale ripartizione, se in condominio, ovviamente spetta
all’Amministratore con una apposita dichiarazione da consegnare entro il 28 febbraio di ogni anno
successivo a quello in cui si è verificato l’ incasso.
Si evidenzia la circolare 46/E del 19/7/2007 quale valida guida alle norme sinteticamente illustrate e da
cui estrapolare ulteriori riferimenti legislativi per eventuali approfondimenti.

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