Il meglio del cinema italiano nel 2020

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Il meglio del cinema italiano nel 2020
Il meglio del cinema italiano nel 2020
In questo disgraziatissimo e maledetto 2020, con la Pandemia da Covid-19 che ancora non sembra
darci tregua, il comparto culturale (congressi, conferenze, teatri, cinema, musei) è quello che più di
tutti ha sofferto l’immobilismo che ha bloccato il mondo. Il cinema ovviamente ha lavorato a
singhiozzo e si è adattato forzatamente alla moda dello “smart working”, che ormai ha conquistato il
mondo. Lo “smart working” nel caso del cinematografo, ha creato un momento a suo modo
epocale: la maggior parte dei film usciti nel panorama mondiale e nazionale sono approdate sulle
varie piattaforme di streaming online come come Rakuten TV, Infinity TV, Google Play, Chili,
TIMvision, Prime Video, Sky, Netflix o anche YouTube in versione a pagamento.

I cinema sono rimasti aperti, tra restrizioni e condizionamenti molto variegati, almeno fino ai primi
giorni di marzo; per riaprire poi, in estate, ma con una programmazione ridotta; e riprendendo poi,
un certo vigore tra settembre ed ottobre, quando un nuovo DPCM, ne ha previsto la chiusura a
partire dal 26 ottobre, in concomitanza con l’inizio della seconda ondata della pandemia.

In questo contesto molto angosciante e avvilente per tutto il comparto cinematografico, le pellicole
italiane uscite, in qualunque maniera, nella maledetta annata 2020, toccano le 240 unità. Un numero
cospicuo, bisogna dirlo, che testimonia come il nostro cinema, sia in ripresa e goda di una certa
freschezza di idee, non parimente riscontrabile una decina di anni fa, ad esempio.

                   Scopri il nuovo numero: Simply the best
    È indubbio che quest’anno passerà alla storia come l’anno della pandemia. Così come indubbio
                che quest’anno ha portato malessere sociale, psichico ed economico.
          Ma dobbiamo sforzarci di cogliere un bagliore di luce anche in un anno così buio.

Da qui una carrellata dei migliori film italiani dell’annata, tenendo conto di vari fattori, come la
popolarità degli attori impiegati, l’effettivo valore delle pellicole e infine del successo popolare,
estendibile anche in campo internazionale.

TOLO TOLO, di Luca Medici [Checco Zalone]

Al suo quinto film Checco Zalone, debutta alla regia, firmandosi con il suo vero nome di Luca
Medici. Lo fa con il suo copione forse più contestato, di sicuro il più ambizioso, arricchito anche da
una certa vena di critica politica, che lo eleva certamente dai suoi lavori precedenti. Sembra un’era
fa, ma un tempo nel nostro Paese si parlava solo di immigrazione. Checco offre la sua versione:
libera, graffiante, molto più della visione dei democratici del nostro Parlamento. Un film che ha
diviso spettatori e politica, ma che resta la tragicommedia (a fuggire dall’Africa all’Italia stavolta è
un italiano stesso) che nessun altro saprebbe fare. Incassi in calo: dai quasi 66 milioni di lire di
Quo vado, ai 46 dell’attuale film. Tanto basta per risultare campione di incassi annuali ed entrare
quindi nella storia del cinema italiano.

(Qui trovate la nostra recensione completa)
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GLI ANNI PIU’ BELLI, di Gabriele Muccino

Remake dichiarato e in se, strepitoso omaggio a C’eravamo tanto amati, capolavoro di Ettore
Scola, è la storia di tre amici (Pierfrancesco Favino, Kim Rossi Stuart, Claudio Santamaria)
divisi dalla Storia e dalle storie personali; e di una donna (Micaela Ramazzotti) che proprio nel
corso della loro vita si legano e si allontanano. Ne esce una cavalcata (meravigliosamente girata)
dagli anni ’80 a oggi che ci riguarda tutti, nessuno escluso. Con sottofondo di Claudio Baglioni:
«Noi che sognavamo i giorni di domani, per crescere insieme mai lontani», che si lega un po’ alla
frase simbolo del film di Scola, recitata dal grande Nino Manfredi: “Credevamo di cambiare il
mondo e invece è il mondo che ha cambiato noi”. Nelle parti di Vittorio Gassman, Nino Manfredi,
Stefano Satta Flores e Stefania Sandrelli, il quartetto di attori non fa rimpiangere il passato e ci
regala uno squarcio di poesia, che ci riporta ai fasti di un tempo.

(Qui trovate la nostra recensione completa)

FAVOLACCE, dei fratelli D’Innocenzo

Vincitore all’ultima Berlinale dell’Orso d’Argento per la sceneggiatura, il film dei puntuali fratelli
D’Innocenzo, è una commedia familiare di periferia che fonde Pier Paolo Pasolini e Tim Burton, e lo
fa con un linguaggio stilistico, elegante e trasognante, che non può lasciare indifferenti. Disturbante,
divertente, necessario, fresco e innovativo, ha in Elio Germano, il suo punto di forza. Proprio
quell’Elio Germano che può essere considerato davvero l’attore dell’anno.

ODIO L’ESTATE, di Aldo, Giovanni e Giacomo

Odio l’estate è l’ultima fatica del leggendario trio composto da Aldo Baglio, Giovanni Storti e
Giacomo Poretti. Una pellicola che restituisce al trio i fasti del proprio glorioso passato. E questa
volta non si rimane delusi. Odio l’estate ha qualcosa di ognuno dei film storici del trio: ti fa pensare,
ti fa ridere e alla fine lascia una velatura di malinconia. Nel film si ritrova il solito Aldo fanfarone, il
solito Giovanni pignolo e il solito Giacomino perfezionista maniacale con il punto di forza di un
affiatamento collaudato e di un’amicizia sincera che dura da sempre, quasi a voler smentire, una
volta per tutte, i soliti detrattori, che avevano preannunciato o sperato in un disfacimento del trio. E
invece no, Aldo, Giovanni & Giacomo, dopo alcune scialbe prove sono tornati più convinti di prima al
cinema, con una sceneggiatura importante, ben scritta, e con un ritorno al passato.

(Qui trovate la nostra recensione completa)

FIGLI, di Giuseppe Bonito

Figli, già monologo reso celebre in tv da Valerio Mastandrea, è la commedia all’italiana
dell’annata. Mastandrea è anche il protagonista, insieme a Paola Cortellesi, dell’adattamento
cinematografico. La parabola dei genitori (non giovanissimi) che affrontano le fatiche erculee della
crescita di un secondo figlio è costellata delle tenerezze e delle malinconie della vita di tutti. Ma è
anche un resoconto infallibile della società di oggi: i protagonisti ultraquarantenni sono per primi gli
eterni “figli”, schiacciati dalla generazione precedente.
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HAMMAMET, di Gianni Amelio

Raccontare gli ultimi sei mesi di Bettino Craxi è l’obiettivo, difficile e ambizioso dell’ultimo film di
Gianni Amelio. Sono passati 20 anni dalla sua fine prematura in Tunisia, complesso dire se pochi o
molti per cominciare a guardare con il giusto distacco il discusso leader politico socialista. Ma
Gianni Amelio con la complicità di un Pierfrancesco Favino reso straordinariamente somigliante ci
prova e ci riesce bene; rientrando in quel filone che negli ultimi anni ha visto alcuni dei più
importanti registi italiani affrontare la difficile materia di proporre una serie di personaggi politici
che hanno segnato la storia del Paese: dal dittico cinematografico Loro di Paolo Sorrentino su
Silvio Berlusconi, a Buongiorno, notte di Marco Bellocchio sul rapimento, la detenzione e
l’omicidio di Aldo Moro, senza dimenticare il Giulio Andreotti de Il divo, sempre di Sorrentino.

(Qui trovate la nostra recensione completa)

IL GRANDE PASSO, di Antonio Padovan

Strepitosa commedia lunare, opera seconda del regista veneto Antonio Padovan; che si serve della
classe interpretativa di Stefano Fresi e Giuseppe Battiston e della loro incredibile somiglianza
fisica; Il grande passo è un film ricco di ingredienti, situazioni e personaggi fuori dal comune. Il
tutto ruota, però, attorno ad un unico grande sogno: raggiungere la luna solo con le proprie forze.
Un fratello ostinato, tanto da costruire un vero e proprio razzo spaziale nella sua cascina di
campagna; ed un altro, bonario, accomodante, comprensivo, che ha a cuore le sorti del fratello, che
ha visto pochissimo nella sua vita, ma che è l’unico in grado di comprendere il suo malessere.
Battiston e Fresi spaziano perfettamente tra il toccante e l’esilarante, tra il grottesco e il
surrealismo, regalandoci scampoli di quella che può essere definita la “nuova” coppia del cinema
impegnato. Già perché la pellicola è davvero una spanna sopra la media delle commedie all’italiana
attuali. Il sogno dello spazio e dalla vita extraterrestre sono ben descritti, così come la capacità di
questo film, di far sognare il pubblico, ed infondere positività, strappando risate amare, ma
intelligenti. Il talento dei suoi due protagonisti e un finale davvero sorprendente ed azzeccato,
rendono la pellicola, per chi ama davvero il cinema italiano d’autore, una gemma preziosa.

(Qui trovate la nostra recensione completa)

I PREDATORI, di Pietro Castellitto

La miglior opera prima dell’anno è scritta, diretta e interpretata da Pietro Castellitto, figlio
d’arte del padre Sergio, che con I predatori ha vinto il premio Orizzonti per la sceneggiatura a
Venezia 77. Un’idea di cinema personale ma già molto identitaria, e invidiabile per la sua chiarezza.
C’è uno sguardo generazionale, fulminante e irriverente su questo scontro tra sottomondi (famiglia
popolare, grezza e neofascista, posta in contrapposizione con quella ricca, borghese e radical chic),
che però Pietro sviluppa su toni grotteschi e surreali, elaborando con un’ironia disarmante anche un
certo giustificato complesso edipico. Per un’analisi antropologica degli italiani che vale più di mille
trattati, travestita da filosofic-satira pronta a esplodere come una bomba a orologeria. Un ottimo
debutto, che certamente verrà confermato con l’opera seconda, già in cantiere per il 2021.

VOLEVO NASCONDERMI, di Giorgio Diritti
Il meglio del cinema italiano nel 2020
Ancora Elio Germano, attore italiano dell’anno, senza se e senza ma. Questa volta al servizio del
rigore di Giorgio Diritti. E del “genio e sregolatezza” (psichica: ma lì sta il genio) di Antonio
Ligabue, il più celebre dei nostri pittori naïf. Anche in questo caso, un biopic che biopic non è, bensì
opera pittorica, introspettiva, lieve sugli emarginati di tutti i luoghi e di tutti i tempi. E sui loro
talenti (in)compresi. Immersa in un’Italia di provincia che raramente è stata così concreta, umana,
realistica. Una collaborazione, quella tra Diritti e Germano, capace di generare il meglio del
connubio autore-attore. E che non è ovviamente passato inosservato: al secondo è andato l’Orso
d’Argento per la miglior interpretazione maschile all’ultimo Festival di Berlino.

PADRENOSTRO, di Claudio Noce

Lo scorso 12 settembre sul palco della 77esima edizione del più prestigioso e del più antico
Festival del Cinema, ovvero Venezia, un emozionatissimo Pierfrancesco Favino riceve la Coppa
Volpi, come miglior interprete maschile proprio per il film di Claudio Noce. L’avvenimento si erge
come uno dei momenti più prestigiosi del cinema italiano del nuovo millennio. D’altronde Favino è
ormai il miglior attore italiano degli ultimi vent’anni e l’interpretazione del vicequestore Alfonso
Noce, assassinato nel 1976 per mano dei Nuclei Armati Proletari, negli anni di piombo, è resa con
incredibile bravura e profondità drammatica, davvero senza eguali. Il film di Claudio Noce, sul
proprio padre dell’Alfonso, interpretato da Favino, scava nei meandri del dramma del terrorismo,
che colpì l’Italia e le più giovani generazioni, in quelli che furono definiti i “bui” anni ’70.

L’INCREDIBILE STORIA DELL’ISOLA DELLE ROSE, di Sydney Sibilia

Sydney Sibilia è un regista d’azione, innovativo nel panorama cinematografico italiano. Ha una
poetica rude, ma che lascia il segno, e pone lo sguardo sul rapporto tra libertà individuale e potere
costituito. La storia è di quelle italianissime, anarchiche e poco conosciute: l’avventura sessantottina
quasi inconsapevole di un nerd d’altri tempi, Giorgio Rosa, che fondò uno Stato indipendente al
largo delle acque di Rimini, mettendo in crisi Governo italiano, Consiglio d’Europa e ONU.
Primeggia ancora una volta Elio Germano, ma c’è anche altro che luccica: una Matilda De Angelis
deliziosamente bolognese e delicatamente seducente; e poi Zingaretti e Bentivoglio versione super
caratteristi. Un cast perfetto per plasmare la nuova commedia all’italiana a immagine e humour del
suo intelligente autore.

MISS MARX, di Susanna Nicchiarelli

Un film sulla figlia minore di Karl Marx, Eleanor, la quale porta avanti l’eredità politica del
padre Karl, avvicinando i temi del femminismo e del socialismo, partecipando alle lotte operaie e
combattendo per i diritti delle donne e per l’abolizione del lavoro minorile. La regista Susanna
Nicchiarelli, fa ballare Eleanor (un’ottima Romola Garai) sulle note di un pezzo dei Downtown
Boys come fosse Courtney Love. È proprio quel “punk”, tra le altre intuizioni, a lanciare Miss Marx
oltre il biopic. Attenzione però: non si tratta di un film femminista, ma semplicemente “libero”,
come ha spiegato la Nicchiarelli.

IL GIORNO E LA NOTTE, di Daniele Vicari
Il meglio del cinema italiano nel 2020
Una pellicola che detiene un primato da guinness: il primo “smart film” della storia del
cinema. Le riprese sono cominciate nella Fase 2 e sono state rese possibili dal fatto che gli attori –
in alcuni casi si tratta di coppie nella vita oltre che sulla scena – si riprendono da soli da casa
propria, grazie alla propria attrezzatura tecnica. L’idea non è solo quella di fare un esperimento
cinematografico ma anche quella di tradurre, dal punto di vista creativo, questo particolare
momento storico, caratterizzato da isolamento e restrizioni della libertà, con tutte le conseguenze
del caso, nel bene e nel male. Vicari porta con sé un cast d’eccellenza: Vinicio Marchioni e
Milena Mancini (coppia nella vita, in quarantena insieme alla famiglia), Dario Aita, Elena
Gigliotti, Barbara Esposito, Francesco Acquaroli, Isabella Ragonese, Matteo
Martari, Giordano De Plano. Tutti comunicano tra di loro in video attraverso le varie
piattaforme online, così come gli attori anche il regista è a casa sua e dirige il cast a distanza.

(Qui trovate la nostra recensione completa)

DIVORZIO A LAS VEGAS, di Umberto Riccioni Carteni

Un road movie garbato, divertente, fresco e ben congeniato, che si ispira alle commedie romantiche
americane, con tanto di lieto fine annesso. I protagonisti della storia sono Giampaolo Morelli e
Andrea Delogu, bella, brava e disinibita al suo primo ruolo cinematografico; ben supportati da
Grazia Schiavo, Ricky Memphis e Gianmarco Tognazzi in partecipazione straordinaria. La storia
è piuttosto ben congegnata negli snodi (pur all’interno delle esagerate circostanze comiche), ma
sono soprattutto i dialoghi a fare centro, e a risultare divertenti e romantici: il che è davvero una
rarità nel cinema italiano contemporaneo di commedia.

DNA- DECISAMENTE NON ADATTI, di Lillo & Greg

Lasciato, non a caso per ultimo, Dna- Decisamente non adatti è il più bel film di genere
comico dell’annata: nona fatica della coppia composta da Lillo & Greg, al secolo Pasquale
Petrolo e Claudio Gregori. I due tornano al cinema, dopo tre anni di assenza, con una commedia
decisamente azzeccata: surreale, dissacrante, esplosiva. La loro è un’accoppiata intelligente, che
dopo i tanti successi radiofonici e televisivi, ha saputo farsi spazio anche nel cinematografo. E questa
volta si testano, con risultati eccellenti, per la prima volta anche dall’altra parte della cinepresa. Il
racconto si lascia seguire e i due seguono tutte le regole della commedia popolare italiana,
riuscendo ad inserire la loro vena comica originale, che fa leva su giochi di parole intelligenti e
gustose parodie. Al loro fianco Anna Foglietta, sempre brava e sempre nella parte. Insomma quello
di Dna- Decisamente non adatti è un divertissement, davvero consigliabile, soprattutto in
momenti così difficili, come quelli attuali.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.
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TENET: ovvero l’estrema e contorta sintesi
del Nolan pensiero
Immaginate un film prodotto da David Lynch (Fuoco cammina con me, Strade perdute, Mulholland
Drive), con il soggetto di Michel Gondry (Se mi lasci ti cancello, L’arte del sogno), sceneggiato da
Spike Jonze (Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee), girato da Alejandro Jodorowsky (El
Topo, La montagna sacra) e montato da David Cronenberg (Videodrome, Crash, eXistenZ), ed
adesso immaginate di essere in sala a guardarlo e di “cercare” di capirci qualcosa.

Bene, quello spaesamento, le vertigini, la confusione ed il senso di inadeguatezza che state
sperimentando sono comuni ad altre migliaia di persone che, come voi, sono andate a vedere l’ultimo
“capolavoro” di Christopher Nolan: TENET.

Partiamo dal titolo: TENET, una parola palindroma, ossia che si può leggere da sinistra a destra e
viceversa. Ebbene, Christopher Nolan si è ispirato al famoso “Quadrato del SATOR”, un’iscrizione
latina ricorrente su molte strutture e rovine dell’antichità che rappresenta ancora un enigma per
archeologi e studiosi, tanto che perfino Martin Mystère, il famoso indagatore del mistero creato da
Alfredo Castelli per gli albi a fumetti della Sergio Bonelli, ne ha parlato in un vecchio numero. Sator
tra l’altro è anche il nome di uno dei principali protagonisti della pellicola.

Quindi, già dal titolo il regista angloamericano mette subito le carte in tavola, dichiarandoci che
questo film sarà un mistero difficile da risolvere.
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Ma ciò che Nolan non ci dice è che questo film non è solo difficile, ma quasi impossibile da
comprendere, questo perché, anche se hai un ottimo spunto, scene spettacolari girate in 35mm,
70mm ed addirittura in formato IMAX ed un cast di attori molto bravi, alla fine ciò che fa grande un
film è la storia, la sceneggiatura; come si ripete negli studi di Hollywood: “The star is the story”.

E la storia di Tenet è davvero arzigogolata, complicata, cerebrale, intellettualmente complessa, e
richiede allo spettatore, oltre a buone nozioni di fisica, anche una concentrazione eccessiva per
cercare di capire almeno in parte lo svolgersi della vicenda, che in realtà non si “svolge”, ma si
rivolge, contorce ed aggroviglia di continuo.

Passiamo alla trama, anche se parlare di trama in questo film significa saltare a conclusioni
affrettate: sulla carta è semplice, si tratta di una spy story in stile James Bond dove il protagonista,
un agente della CIA senza nome, il Protagonista (il talentuoso figlio d’arte John David
Washington), viene reclutato per una missione difficilissima di cui non si sa quasi nulla, tranne che
servirà a scongiurare la terza guerra mondiale. In pratica si tratta di fermare un miliardario
terrorista che è venuto in possesso di una tecnologia del futuro che permette di “invertire” l’entropia
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degli oggetti e delle persone e che potenzialmente può distruggere il mondo.

Ad aiutare il protagonista ci sarà un altro agente della CIA, Neil (interpretato da un rinato Robert
Pattinson, già scalpitante per il nuovo Batman) e un distinto uomo a conoscenza dei fatti, tale Sir
Michael Crosby (il sempre bravo ed all’altezza, oltre che attore feticcio di Nolan, Michael Caine),
mentre a contrastarlo troveremo un villain davvero cinico e risoluto, ma anche tormentato, Andrei
Sator (interpretato da un credibile Kenneth Branagh) con una splendida moglie, vittima
terrorizzata dai piani di dominio del marito ma anche doppiogiochista, Kat Sator (perfettamente
impersonata da una splendida e felina Elizabeth Debicki). Le missioni, gli obbiettivi e le vite di
questi individui si scontreranno, si intersecheranno e si confonderanno come in un quadro di Escher,
complicando a dismisura una storia a cui avrebbe sicuramente giovato una maggiore semplicità.

https://www.youtube.com/watch?v=xH463AYuYQE

Non che Nolan non ci avesse, come dire, già “educato” ed “addestrato” ad un cinema
eccessivamente complicato ed intellettualoide. Tutta la sua filmografia, con rare eccezioni, esplora e
mette in scena i paradossi e le teorie scientifiche più estreme e specialistiche. Nel suo primo
lungometraggio, “Memento”, il regista ragiona sulla perdita di memoria e la fondamentale
necessità di ricordare, nel celebrato “Inception” riflette sul mondo onirico e sull’impossibilità per il
cervello di distinguere la realtà da un sogno, in “Interstellar” ci parla di wormhole, viaggi nello
spazio-tempo ed universi a più dimensioni.

Ma tutti e tre i film presi ad esempio avevano ancora una sceneggiatura che procedeva in maniera
lineare, con un inizio ed una fine insomma, mentre Tenet salta a pie’ pari quest’ultimo tributo al
cinema tradizionale per approdare ad una storia che non ha né un reale inizio, né una reale fine, ma
rappresenta un gigantesco loop che confonde ad ogni scena il prima con il dopo, l’inizio con la fine e
il fondamentale paradigma scientifico di causa ed effetto.

In questo film Nolan getta definitivamente via la maschera e si presenta per quello che è sempre
stato: un nerd, anzi un inguaribile geek, che gira i suoi film non per il pubblico, gli spettatori, il
successo, la notorietà, ma innanzitutto per se stesso, per esplorare attraverso di essi i paradossi più
oscuri ed intricati dell’universo in cui, come essere umano, anche lui vive ed opera.

Questo atteggiamento, attenzione, non è un male, il mondo è pieno di superbi registi sperimentali e
videoartisti che hanno abbandonato da tempo e “radicalmente” il cinema narrativo; la differenza è
che questi autori lo hanno dichiarato chiaramente e, a differenza di Nolan, non aspirano ad essere
dei registi mainstream e si “accontentano” di rimanere riferimento per un pubblico interessato,
specialistico e preparato, che frequenta più musei, cineforum e festival che sale cinematografiche.
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hn David Washington in una scena del film

Mi spiego meglio: se vado ad un festival di cinema sperimentale so che film mi devo aspettare, so
che il cinema che vedrò sarà un cinema di visioni, suggestioni e sensazioni. Ma, se vado al cinema,
magari dopo i quattro mesi e passa di chiusura da lockdown, con pochissimi titoli che
“scommettono” sulla riapertura delle sale, quello che, probabilmente, mi aspetto di trovare è, se non
proprio storie leggere e confortanti, almeno “storie” propriamente dette.

E forse a sfavore di Tenet, gioca proprio il momento storico che stiamo vivendo. Diciamoci la verità,
finalmente possiamo tornare in sala a guardare un film sul grande schermo, affamati come non mai
di storie che ci facciano sognare, e Nolan è lì a giocarci questo brutto tiro con un film così
complicato e celebrale, perché?

Che fine ha fatto il regista della mitica trilogia del Cavaliere Oscuro, del bellissimo The Prestige o
dei complicati, ma ancora comprensibili e abbastanza lineari, film già citati?

Pensate che stia esagerando?

Non credete che questo film sia così contorto?
Allora vi propongo un semplice test: andate a vederlo, o, se lo avete già fatto, cercate di spoilerarlo a
qualcuno dei vostri amici che non lo hanno ancora visto.

Ci siete riusciti?
Ecco, forse questa impossibilità di raccontare un film irraccontabile è il più grande risultato di
questa strana pellicola. Ciò che fino ad oggi era appannaggio unicamente di film sperimentali, film
d’artista e della videoarte, da adesso, grazie a Christopher Nolan, potrebbe aprirsi al consumo di
massa.
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Ma ne siamo proprio sicuri?
Personalmente ho un’altra opinione a riguardo: sono un cinefilo appassionato, oltre che assiduo
frequentatore di rassegne e festival di cinema sperimentale e videoarte; spesso, scherzando con gli
amici, dico loro che ho visto film che neanche i registi che li hanno girati sono riusciti a vedere; sono
altresì uno spettatore onnivoro che guarda davvero di tutto e scrivo e recensisco film da oltre 15
anni, fin da quando ero praticante giornalista per un settimanale di provincia. Avrò visto fino ad ora,
a 47 anni suonati, almeno 5000 film (non tutti in sala ovviamente) dei più disparati generi, quindi
non mi ritengo uno spettatore di “primo pelo” ma, quantomeno, se non uno spettatore esperto,
almeno uno smaliziato, e nonostante questa confidenza con il mezzo ed il linguaggio cinematografico
ho avuto molte, troppe difficoltà a seguire l’intricata trama di questo film.
Allora, mi chiedo, cosa avranno capito la maggior parte degli spettatori con una conoscenza
cinematografica meno allenata e smaliziata della mia andando a vedere questo film?

La risposta, o meglio le risposte, possono essere varie: magari in molti avranno rimpianto la trilogia
di Ritorno al Futuro di Zemeckis, che pure parlava di paradossi spazio temporali con grande rigore
scientifico, senza complicare eccessivamente la trama del film, anzi alleggerendo il tutto con i toni
della commedia brillante.

Altri avranno rimpianto la visionarietà, la messa in scena magistrale e la non linearità narrativa di
autori come Orson Welles di “Quarto potere” e di Stanley Kubrick di “2001 Odissea nello spazio”.

Infine, altri ancora avranno pensato di tracciare delle similitudini con le notevoli, cervellotiche,
complesse ma irresistibili pellicole di registi come David Lynch, Michel Gondry e Spike Jonze,
concludendo però che essere confusi non vuole dire diventare artisti surreali, essere eccessivamente
complicati non vuol dire diventare autori geniali ed essere arzigogolati non ti fa diventare per forza
un regista visionario.

Insomma Tenet, come molti altri film di Nolan, attinge a piene mani al patrimonio cinematografico
preesistente, saccheggia grandi classici del cinema e imita, alle volte pedissequamente, grandi
autori e maestri insuperati della settima arte, restituendoci un frankenstein cinematografico
incompleto, abnorme e mostruoso, e probabilmente l’autore avrebbe dovuto pensarci bene prima di
infondergli la vita.

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una scena del film

Perché, se è vero che Nolan ammette con grande onestà intellettuale i suoi intenti all’inizio del film,
quando Neil spiega il funzionamento dell’inversione dell’entropia al Protagonista, dicendogli: “Non
cercare di capirlo, sentilo”, noi comuni spettatori, uscendo dalla sala sbigottiti, confusi ed anche
un poco arrabbiati ci chiediamo: “Ok, va bene, non ho capito granché e forse è colpa mia, ma
come mai, anche se mi sto sforzando, non riesco a sentire assolutamente nulla?”, e,
tornando a casa, l’unica cosa che vogliamo davvero, l’unico desiderio, è recuperare, magari con una
provvidenziale inversione dell’entropia, le 2 ore e mezza di tempo che abbiamo speso cercando di
comprendere il senso di un film impossibile.

Peccato che noi, comuni mortali, non abbiamo 200 milioni di dollari di budget (il più alto mai
avuto dal regista) e una troupe di 250 persone a disposizione con cui giocare al “creatore di
mondi alternativi”, e dobbiamo accontentarci di un tempo che scorre solo in avanti e della forse
banale, ma consolidata certezza della causa a cui segue l’effetto.

Con questa amara consapevolezza e con buona pace di Tenet, dell’inversione temporale e del Nolan
pensiero, tristemente dobbiamo concludere che niente e nessuno ci ridarà le 2 ore e mezza che
abbiamo irrimediabilmente perduto.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

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Il grande passo - Il film
Più di qualche mese fa, proprio in un articolo pubblicato su questa rivista, elogiavo un film che di lì a
qualche mese (si parlava di marzo 2020) sarebbe apparso nelle sale. Come per tutte le altre
pellicole, che sarebbero uscite tra il tardo inverno e la “prima” primavera, questo film è stato
bloccato dall’emergenza sanitaria del Covid-19, che ha scosso il mondo. Tante di queste pellicole ci
riproveranno ad uscire in sala a settembre e ottobre; e altre ancora hanno già tentato di “risalire la
corrente”, nel mese di agosto. Quel film di cui parlo sopra è Il grande passo, il quale lo scorso
ottobre al prestigioso Torino Film Festival, ottenne scroscianti applausi, fino a consentire
a Stefano Fresi e Giuseppe Battiston di aggiudicarsi il premio ex-aequo come migliori interpreti
maschili.

Che dire del film. Che è una strepitosa commedia lunare, opera seconda del regista veneto Antonio
Padovan; che si serve della classe interpretativa di Stefano Fresi e Giuseppe Battiston e della loro
incredibile somiglianza fisica; che è un film ricco di ingredienti, situazioni e personaggi fuori dal
comune. Il tutto ruota, però, attorno ad un unico grande sogno: raggiungere la luna solo con le
proprie forze. Un fratello ostinato, tanto da costruire un vero e proprio razzo spaziale nella sua
cascina di campagna; ed un altro, bonario, accomodante, comprensivo, che ha a cuore le sorti del
fratello, che ha visto pochissimo nella sua vita, ma che è l’unico in grado di comprendere il suo
malessere.

Battiston e Fresi spaziano perfettamente tra il toccante e l’esilarante, tra il grottesco e il
surrealismo, regalandoci scampoli di quella che può essere definita la “nuova” coppia del cinema
impegnato. Già perché la pellicola è davvero una spanna sopra la media delle commedie all’italiana
attuali. Il sogno dello spazio e dalla vita extraterrestre sono ben descritti, così come la capacità di
questo film, di far sognare il pubblico, ed infondere positività, strappando risate amare, ma
intelligenti. Il talento dei suoi due protagonisti e un finale davvero sorprendente ed azzeccato,
rendono la pellicola, per chi ama davvero il cinema italiano d’autore, una gemma preziosa.

Insomma, Il grande passo è un film generoso. Generoso con i suoi personaggi e generoso nel suo
elogio ai ‘sognatori’ che appena si mettono a parlare della Luna innalzano la prosa del quotidiano a
un grado di rarefazione lirica toccante. Padovan non dimentica di mostrare il biasimo di cui sono
bersaglio i visionari senza pigiare mai sul tasto della ‘cattiveria’, donandoci uno squarcio di poetica
surreale, di magnetica attrazione. Un film impegnato che per la prima volta, mette insieme due
artisti che hanno fatto la gavetta e che sanno quanto il successo può essere effimero senza talento e
che sanno che in fondo ogni artista guarda alla “Luna”, come fonte di sogni e di speranze.

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Ecco i vincitori dei Nastri d'Argento 2020
Si è svolta il 6 luglio, presso il Museo MAXXI di Roma, la cerimonia dei Nastri d’Argento, il
premio del cinema italiano assegnato dal Sindacato nazionale giornalisti cinematografici
italiani (SNGCI), un’edizione all’insegna del ricordo del grande maestro compositore e musicista
Ennio Morricone, scomparso lo stesso giorno.

Molti artisti presenti hanno dedicato un pensiero all’icona della musica da film, che ha lasciato nel
mondo colonne sonore di sconfinata bellezza e che ha permesso al nostro paese di avere numerosi
importanti riconoscimenti.

Ci aspettavamo una cerimonia nel rispetto delle norme di sicurezza e così è stato, non ci
aspettavamo però una cerimonia molto poco coinvolgente: il periodo non è dei migliori e la ripresa è
difficile, ma proprio per questo motivo, quel che era possibile fare si sarebbe dovuto fare con molto
più trasporto ed emozione. Paradossalmente la cerimonia dei David di Donatello dell’8 maggio
scorso, svolta in piena pandemia e alla presenza del solo presentatore, si è rivelata essere molto più
sentita e brillante. Scenografia e musica quasi inesistenti, sembrava tutto molto improvvisato e
preparato con superficialità; fuori luogo sarebbero stati sicuramente i lustrini delle scorse edizioni,
ma dell’emozione avevamo davvero bisogno e qualche piccola attenzione in più avrebbe decisamente
aiutato. La situazione è stata aggravata dallo spoiler già dalla mattina di tutti i vincitori, su
numerose testate giornalistiche e su profili social, che sicuramente ha smontato il brivido dell’attesa,
rendendo ancor più piatta la serata.

Mettendo da parte la cerimonia in sé, per fortuna ci hanno pensato i vincitori e il valore delle opere
a trasmetterci l’arte e la bellezza che tanto serve al nostro paese in un momento decisivo come
questo.

Di seguito i vincitori:

Miglior film
Favolacce

Migliore regia
Matteo Garrone – Pinocchio
Miglior regista esordiente
Marco D’Amore – L’Immortale

Miglior commedia
Figli di Giuseppe Bonito

Miglior produttore
Agostino, Giuseppe e Mariagrazia Saccà – Favolacce e Hammamet

Miglior attore protagonista
Pierfrancesco Favino – Hammamet

Miglior attrice protagonista
Jasmine Trinca – La Dea Fortuna

Miglior attore non protagonista
Roberto Benigni – Pinocchio

Miglior attrice non protagonista
Valeria Golino – 5 è il numero perfetto, Ritratto della giovane in fiamme

Miglior attore di commedia
Valerio Mastandrea – Figli

Miglior attrice di commedia
Paola Cortellesi – Figli

Miglior soggetto
Il Signor Diavolo di Pupi, Antonio e Tommaso Avati

Miglior sceneggiatura
Favolacce – Damiano e Fabio D’Innocenzo

Migliore fotografia
Paolo Carnera – Favolacce

Migliore scenografia
Dimitri Capuani – Pinocchio

Miglior montaggio
Marco Spoletini – Pinocchio, Villetta con ospiti

Migliori costumi
Massimo Cantini Parrini – Pinocchio, Favolacce

Miglior sonoro
Maricetta Lombardo – Pinocchio
Migliore colonna sonora (ex aequo)
Brunori Sas – Odio l’estate

Pasquale Catalano – La Dea Fortuna

Miglior canzone originale
Che vita meravigliosa di Diodato – La Dea Fortuna

Oltre a questi, una lunga lista di premi speciali, assegnati dal Direttivo con il Consiglio Nazionale:

Film dell’anno a “Volevo nascondermi” del regista Giorgio Diritti; Nastro alla carriera all’attore
Toni Servillo; Nastro europeo al regista Pedro Almodovar per il film “Dolor y Gloria”; Nastro
d’oro al direttore della fotografia Vittorio Storaro per “Un giorno di pioggia a New York”;
Premio speciale a “La famosa invasione degli orsi in Sicilia” del regista e illustratore Lorenzo
Mattotti; Nastro della legalità al film “Aspromonte” di Mimmo Calopresti; Miglior casting
director a Davide Zurolo per “L’Immortale”; Premi Guglielmo Biraghi all’attore Giulio Pranno
per “Tutto il mio folle amore” e Menzione speciale all’attore Federico Ielapi per “Pinocchio”;
Premio Graziella Bonacchi all’attrice Barbara Chichiarelli per “Favolacce”; Miglior cameo
dell’anno alla scrittrice Barbara Alberti per il ruolo nel film “La Dea Fortuna”; Premio Nino
Manfredi all’attore Claudio Santamaria per il ruolo di padre in “Tutto il mio folle amore” e “Gli
anni più belli”; Premio Nastri SIAE per la sceneggiatura del film “Buio” ad Emanuela Rossi;
Premio Nuovo IMAIE per il doppiaggio a Stefano De Sando, Claudia Catani ed Emanuela
Rossi.

Vincitori indiscussi risultano così essere i film “Favolacce” dei fratelli D’Innocenzo e “Pinocchio” di
Matteo Garrone, che pare non abbiano però esaltato tutto il pubblico, come magari ha fatto “La Dea
Fortuna” di Ferzan Ozpetek, che qui ha trionfato con il Nastro alla Miglior attrice protagonista per
Jasmine Trinca, il Miglior cameo, la Miglior colonna sonora e il terzo importante premio dell’anno
al cantautore Diodato che, dopo il Festival di Sanremo, si è aggiudicato grazie al brano “Che vita
meravigliosa”, anche il David di Donatello ed il Nastro d’Argento come Miglior canzone originale.
Poche sono state le parole durante la serata, dedicate alle maestranze del cinema in estrema
difficoltà, agli esercenti e a tutti gli operatori del cinema e del teatro, ma restiamo convinti che, in
questa estate strana, il cinema (all’aperto e in sicurezza) possa essere una delle valide alternative
per trascorrere il tempo in modo rilassante e costruttivo e per questo motivo speriamo che in Italia si
punti sempre più, anche economicamente, su prodotti di qualità, su giovani talenti, sulla
sperimentazione e la creatività per poter adoperare il meraviglioso strumento del cinema per creare
un futuro sempre più splendente e fruttuoso.

Si avvicina l'attesa edizione 2020 dei
Nastri d'Argento del cinema italiano
Periodo non facile anche per il cinema, ormai lo diciamo da un po’, ma questo non ha mai fermato la
sua voglia di ripartire e di riprendersi i suoi spazi. Così assistiamo, in questa strana estate 2020,
alla creazione di nuove aree di cinema all’aperto, a nuove modalità di fruizione del prodotto film e
alla trasformazione di formule collaudate per conformarsi alle necessarie regole di sicurezza. In
questo scenario si inseriscono premi, festival e anche la cerimonia dei Nastri d’Argento, il più
antico premio cinematografico italiano, assegnato ogni anno dal Sindacato nazionale giornalisti
cinematografici italiani (SNGCI), dal 1946; quest’anno la cerimonia, spostata al Museo MAXXI
di Roma, si svolgerà in presenza il 6 luglio.

Sarà un’edizione necessariamente diversa dalle altre; la diretta, che andrà in onda su Rai Movie, si
svolgerà sicuramente nel rispetto delle norme di sicurezza e adotterà inevitabilmente un registro
meno sfavillante e più pacato rispetto alle scorse edizioni, ma quello che possiamo dire è
sicuramente che il nostro paese ha bisogno di tornare a sognare e di conseguenza ha bisogno del
cinema per farlo, qualsiasi forma esso adotti. Il pensiero va automaticamente ad un altro premio
cinematografico importante, svolto in piena pandemia, il David di Donatello, che l’8 maggio scorso,
in presenza solo del presentatore Carlo Conti, ha avuto luogo con una cerimonia, sicuramente
sottotono, ma che è ugualmente riuscita a regalare momenti d’emozione agli attori e professionisti
protagonisti e anche al pubblico a casa. Diversi saranno, per fortuna, i Nastri d’Argento che si
svolgeranno in presenza a Roma, ma ciò che resta uguale è l’esigenza che abbiamo di andare avanti
e di riappropriarci di una sorta di normalità che ci faceva sentire tranquilli, quella parte di normalità
sana, che produce bellezza, arte e cultura.

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   periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come
     Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand
                         incentrata su valori diversi rispetto al recente passato.

In attesa del 6 luglio, qui i film, gli attori ed i professionisti del settore candidati
all’ambito premio:
Miglior film

Gli anni più belli
Hammamet
La Dea Fortuna
Favolacce
Pinocchio

Migliore regia
Gianni Amelio – Hammamet
Pupi Avati – Il Signor Diavolo
Cristina Comencini – Tornare
Fratelli D’Innocenzo – Favolacce
Matteo Garrone – Pinocchio
Pietro Marcello – Martin Eden
Mario Martone – Il sindaco del rione Sanità
Gabriele Muccino – Gli anni più belli
Ferzan Ozpetek – La Dea Fortuna
Gabriele Salvatores – Tutto il mio folle amore

Miglior regista esordiente
Stefano Cipani – Mio fratello rincorre i dinosauri
Marco D’Amore – L’Immortale
Roberto De Feo – The Nest
Ginevra Elkann – Magari
Carlo Sironi – Sole
Igor Tuveri (IGORT) – 5 è il numero perfetto

Miglior commedia
Figli di Giuseppe Bonito
Il Primo Natale di Salvo Ficarra e Valentino Picone
Lontano lontano di Gianni Di Gregorio
Odio l’estate di Massimo Venier
Tolo Tolo di Luca Medici

Miglior produttore
Marco Belardi e Paolo Del Brocco – Gli anni più belli
Agostino, Giuseppe e Mariagrazia Saccà – Favolacce e Hammamet
Attilio De Razza e Giampaolo Letta – Il primo Natale
Luca Barbareschi e Paolo Del Brocco – L’ufficiale e la spia
Matteo Garrone e Paolo Del Brocco – Pinocchio

Miglior attore protagonista
Stefano Accorsi, Edoardo Leo – La Dea Fortuna
Pierfrancesco Favino – Hammamet
Luca Marinelli – Martin Eden
Francesco Di Leva – Il sindaco del rione Sanità
Kim Rossi Stuart – Gli anni più belli

Miglior attrice protagonista
Giovanna Mezzogiorno – Tornare
Micaela Ramazzotti – Gli anni più belli
Lunetta Savino – Rosa
Lucia Sardo – Picciridda
Jasmine Trinca – La Dea Fortuna

Miglior attore non protagonista
Roberto Benigni – Pinocchio
Carlo Buccirosso – 5 è il numero perfetto
Carlo Cecchi – Martin Eden
Massimiliano Gallo e Roberto De Francesco – Il sindaco del rione Sanità
Massimo Popolizio – Il primo Natale, Il ladro di giorni

Miglior attrice non protagonista
Barbara Chichiarelli – Favolacce
Matilde Gioli – Gli uomini d’oro
Valeria Golino – 5 è il numero perfetto, Ritratto della giovane in fiamme
Benedetta Porcaroli – 18 Regali
Alba Rohrwacher – Magari

Miglior attore di commedia
Luca Argentero – Brave ragazze
Giorgio Colangeli – Lontano lontano
Valerio Mastandrea – Figli
Giampaolo Morelli – 7 ore per farti innamorare
Gianmarco Tognazzi – Sono solo fantasmi

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Tolo Tolo
Paola Cortellesi – Figli
Anna Foglietta – D.N.A. – Decisamente Non Adatti
Lucia Mascino – Odio l’estate
Serena Rossi – Brave ragazze, 7 ore per farti innamorare

Miglior soggetto
Bar Giuseppe di Giulio Base
Buio di Emanuela Rossi
Il grande salto di Daniele Costantini
Il Signor Diavolo di Pupi, Antonio e Tommaso Avati
L’uomo del labirinto di Donato Carrisi

Miglior sceneggiatura
Favolacce – Damiano e Fabio D’Innocenzo
Il sindaco del rione Sanità – Mario Martone, Ippolita Di Majo
La Dea Fortuna – Gianni Romoli, Silvia Ranfagni, Ferzan Ozpetek
Martin Eden – Pietro Marcello, Maurizio Braucci
Tutto il mio folle amore – Umberto Contarello, Sara Mosetti

Migliore fotografia
Luan Amelio – Hammamet
Paolo Carnera – Favolacce
Daniele Ciprì – Il primo Natale
Daria D’Antonio – Tornare, Il ladro di giorni
Italo Petriccione – Tutto il mio folle amore

Migliore scenografia
Dimitri Capuani – Pinocchio
Emita Frigato, Paola Peraro, Paolo Bonfini – Favolacce
Giuliano Pannuti – Il Signor Diavolo
Luca Servino – Martin Eden
Tonino Zera – L’uomo del labirinto

Miglior montaggio
Esmeralda Calabria – Favolacce
Marco Spoletini – Pinocchio, Villetta con ospiti
Jacopo Quadri – Il sindaco del rione Sanità
Patrizio Marone – L’Immortale
Claudio Di Mauro – Gli anni più belli, 18 Regali

Migliori costumi
Massimo Cantini Parrini – Pinocchio, Favolacce
Cristina Francioni – Il primo Natale
Alessandro Lai – Tornare
Andrea Cavalletto – Martin Eden
Nicoletta Taranta – 5 è il numero perfetto

Miglior sonoro
Maurizio Argentieri – Il sindaco del rione sanità, Tornare
Gianluca Costamagna – L’Immortale
Denny De Angelis – Martin Eden
Maricetta Lombardo – Pinocchio
Gilberto Martinelli – Tutto il mio amore folle

Migliore colonna sonora
Brunori Sas – Odio l’estate
Pasquale Catalano – La Dea Fortuna
Dario Marianelli – Pinocchio
Mauro Pagani – Tutto il mio amore folle
Nicola Piovani – Gli anni più belli

Miglior canzone originale
Che vita meravigliosa di Diodato – La Dea Fortuna
Gli anni più belli di Claudio Baglioni – Gli anni più belli
Il ladro di giorni di Alessandro Nelson Garofalo, cantata da Nero Nelson e Claudio Gnut – Il ladro di
giorni
Rione Sanità di Ralph P. – Il sindaco del rione Sanità
Un errore di distrazione di Brunori Sas – L’ospite
We come from Napoli di Liberato, con Gaika e Robert Del Naja – Ultras

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zati da pubblico e critica, come “La Dea Fortuna” di Ferzan Ozpetek, “Gli anni più belli” di Gabriele
Muccino, “Hammamet” di Gianni Amelio e “Favolacce” dei fratelli D’Innocenzo. Due importanti
premi saranno assegnati: il Nastro alla Carriera al bravissimo attore napoletano Toni Servillo e il
Nastro dell’Anno al film “Volevo nascondermi” del regista Giorgio Diritti, che narra la storia del
pittore Ligabue, interpretato da un eccellente Elio Germano.

Mesi di ripartenza questi per l’Italia e per il cinema italiano, diamo anche noi il nostro contributo,
quindi, popolando le arene estive e andando a recuperare opere di grande valore che non abbiamo
visto, riprendendoci così, con le dovute accortezze, anche un po’ di socialità che è
momentaneamente venuta meno, e quale miglior scusa per farlo, se non quella della visione di un bel
film.

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