IL LINGUAGGIO DEL CINEMA - MYLAB - LUCA MALAVASI

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IL LINGUAGGIO DEL CINEMA - MYLAB - LUCA MALAVASI
Il linguaggio
  del cinema

            Luca Malavasi

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                                                  Il linguaggio
                                                    del cinema

                                                                Luca Malavasi
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             Copyright 2019 Pearson Italia – Milano, Torino

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             Redazione: Donatella Pepe
             Impaginazione: Andrea Astolfi
             Grafica di copertina: Maurizio Garofalo
             Immagine di copertina: ClassicStock/Alamy Stock Photo
             Ismaela Goss ha collaborato alla stesura dei box e alla realizzazione dei materiali digitali
             Giulia Muggeo ha collaborato alla stesura dei Paragrafi 2.4 e 4.4.3
             Sara Tongiani ha collaborato alla stesura del Paragrafo 4.4.2
             Stampa: TIP.LE.CO – San Bonico (PC)

             Tutti i marchi citati nel testo sono di proprietà dei loro detentori.

             9788891908544

             Printed in Italy

             1ª edizione: Settembre 2019

             Ristampa                            Anno
             00 01 02        03   04             19 20      21    22   23
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            Sommario

                              Introduzione                                    VII
                              Come si usa questo libro                          X
                              Ringraziamenti                                  XII
                              L’autore                                        XII
                              Pearson MyLab                                   XIII

              Capitolo 1 La narrazione                                          1
                        1.1 Studiare la narrazione                              1
                        1.2 Dalla narrazione alla narratività                   5
                              1.2.1 La semiotica generativa                     6
                              1.2.2 Modelli di narrazione                       9
                              1.2.3 Regimi narrativi                           15
                        1.3 Racconto audiovisivo e narratore cinematografico    21
                        1.4 Storia, racconto, narrazione                       25
                        1.5 Racconto e storia                                  27
                              1.5.1 La durata                                  27
                              1.5.2 L’ordine                                   31
                              1.5.3 La frequenza                               36
                        1.6 Racconto e narrazione                              38
                              1.6.1   L’ocularizzazione                        43
                        1.7 Storia e narrazione                                48
                        1.8 Narrazione classica, moderna, postmoderna          55
                            Bibliografia                                        59

              Capitolo 2 L’inquadratura                                        61
                        2.1   Inquadratura, immagine, rappresentazione         61
                        2.2   La scenografia                                    69
                        2.3   Illuminazione e colore                           81
                        2.4   Personaggio, attore, divo                        91
                        2.5   Supporti e tecnologie                            99
                        2.6   Formato, cornice, campo                         105
                        2.7   La costruzione della rappresentazione           115
                        2.8   Estetiche del movimento                         127
                              Bibliografia                                     136
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             VI    Sommario

              Capitolo 3 Il montaggio                                            139
                        3.1   Cinema e montaggio                                 139
                        3.2   Continuità e trasparenza: il découpage narrativo   147
                        3.3   Rotture di tono e continuità intensificata          157
                        3.4   Forme del piano sequenza                           164
                        3.5   Discontinuità d’avanguardia                        170
                              3.5.1 Associazioni plastiche                       172
                              3.5.2 Associazioni ritmiche                        176
                              3.5.3 Associazioni intellettuali                   181
                        3.6 Smontare il cinema: le sgrammaticature moderniste    185
                        3.7 Forme di montaggio interno                           192
                            Bibliografia                                          195

              Capitolo 4 La colonna sonora                                       197
                        4.1   Immagini e suoni                                   197
                        4.2   Estetiche del sincronismo                          204
                        4.3   Estetiche dell’asincronismo                        211
                        4.4   Campo visivo e campo sonoro                        219
                              4.4.1 Il rumore                                    226
                              4.4.2 La musica                                    232
                              4.4.3 La voce                                      244
                              Bibliografia                                        254
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             Introduzione
             Prima di tutto c’è la luce. La luce è all’inizio del cinema, è il cinema, ma è anche all’ori-
             gine del mondo, come raccontano moltissimi miti: la luce sottrae le cose all’ombra, le
             rende leggibili, dona loro una forma e un nome. Poi, il movimento: il cinema come un
             insieme di “pezzi di tempo” che documentano la realtà e, insieme, la ricreano, liberando
             un altro, antichissimo desiderio degli esseri umani, quello di catturare il mistero di chi e
             che cosa siamo, e di renderlo contemplabile. Contemplare queste immagini, tuttavia, non
             significa semplicemente guardare qualcosa, ma porsi di fronte a una composizione: qual-
             cuno ha scelto che cosa far entrare nell’inquadratura e che cosa tenere fuori, e ha posi-
             zionato la macchina da presa in un certo modo – a un certa distanza, a una certa altezza,
             da una certa angolazione. Infine, il montaggio: il passaggio da un punto di vista a un
             altro, la creazione di uno spazio e di un tempo, un’altra forma di movimento; e, soprat-
             tutto, l’invenzione di ciò che non si vede, la memoria dell’occhio.
                 Le frasi precedenti rappresentano la sintesi e la parafrasi della prima parte di The Per-
             sisting Vision: Reading the Language of Cinema, una conferenza (la 42nd Jefferson Lecture
             in the Humanities) tenuta nell’aprile del 2013 da Martin Scorsese al John F. Kennedy
             Center for the Performing Arts, e pubblicata in agosto sulla “New York Review of Books”.
             Regista, cinefilo e “storico” del cinema – Un secolo di cinema – Viaggio nel cinema ame-
             ricano di Martin Scorsese (A Personal Journey with Martin Scorsese Through American
             Movies, 1995) e Il mio viaggio in Italia (1999) –, Scorsese parte dall’inizio, dai fratelli
             Lumière, da Edwin S. Porter e D.W. Griffith, per raccontare la nascita e lo sviluppo del
             linguaggio cinematografico, intrecciando il racconto di quella scoperta al prender forma
             del suo desiderio di consegnarsi alla “malattia” del film, per citare Frank Capra. Un po’
             quello che accade nei due documentari sul cinema statunitense e italiano, in cui la rico-
             struzione storica, spesso puntuale e anzi “da manuale”, è anche autobiografia di uno spet-
             tatore, prima ancora che di un regista; l’obiettivo principale, anzi, sembra coincidere, in
             tutti e tre i casi, proprio con la ricerca dei punti d’origine e di svolta di quella “familiarità
             affascinata con i film” (Raymond Bellour) che ha nutrito, e ancora nutre, Scorsese. Se ne
             trova una variazione fictional, ambientata nella Parigi di inizio Novecento, in Hugo Cabret
             (Hugo, 2011), omaggio favolistico (con ricostruzioni filologicamente corrette) alla storia
             del cinema delle origini e a un suo protagonista, Georges Méliès, ma, soprattutto, storia
             di amori e di stupori per le immagini in movimento: quelli, nuovi e travolgenti, del piccolo
             Hugo, grazie ai quali tiene in vita la memoria del padre e sopporta una vita non proprio
             facile; quelli, antichi ma appassiti, di Méliès, colui che ha trasformato lo schermo in «un
             gabinetto di meraviglie e curiosità magiche», e che grazie a Hugo trovano modo di rin-
             novarsi. «Quando abbiamo fatto Hugo Cabret – spiega Scorsese – siamo tornati indietro
             fino al punto da ricreare la prima proiezione, quando le persone erano così sorprese e
             spaventate dall’immagine di un treno che avanza da saltare all’indietro, convinte che il
             treno le avrebbe colpite».
                 Poi, dopo circa quindici minuti di conferenza, al termine della proiezione di una scena
             tratta da 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey, Stanley Kubrick, 1968),
             arriva il momento del but, che quella prima parte “archeologica” e sentimentale ha pa-
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             VIII   Introduzione

             zientemente preparato: «But the cinema we’re talking about here – Edison, the Lumière
             brothers, Méliès, Porter, all the way through Griffith and on to Kubrick – that’s really al-
             most gone». A partire da questo twist retorico, la seconda parte del discorso di Scorsese
             si sviluppa intrecciando due questioni: da un lato, quella del restauro e della preservazione
             dei film (attività alle quali il regista, da tempo, contribuisce in prima persona attraverso
             la Film Foundation, nata nel 1990, e la World Cinema Foundation, fondata nel 2007),
             dall’altro lato, quella, meno popolare ma più delicata (soprattutto oggi), della visual lite-
             racy, dell’alfabetismo visuale o, come si preferisce in Italia, della “competenza visuale”.
             In sintesi (Oxford Research Encyclopedia of Education): visual literacy come insieme
             delle competenze visuali, delle abilità cognitive e delle strategie analitiche necessarie per
             leggere e attribuire senso alle immagini – tutti i tipi di immagine –, da quelle artistiche a
             quelle scientifiche; ma anche, sottolinea James Elkins (2008), visual literacy come ricorso
             al visivo quale strumento educativo (a patto, naturalmente, di saperlo leggere): l’idea, in
             questo caso, è quella di un’alfabetizzazione al mondo attraverso le immagini.
                 Il but di Scorsese – che deriva buona parte delle sue osservazioni sul sapere visuale e
             sulla sua necessità da un libro di cui ha scritto la prefazione, The Age of the Image. Re-
             defining Literacy in a World of Screens (2013) di Steve Apkon – ha direttamente a che
             fare con la prima accezione, e muove da una considerazione assolutamente condivisibile:
             nella nostra società ipervisuale, in cui viviamo sopraffatti dalle immagini – che ci rag-
             giungono in ogni momento, e da tutte le parti –, «non abbiamo altra scelta se non di trat-
             tarle come linguaggio». Dobbiamo, cioè, «essere in grado di capire che cosa stiamo guar-
             dando e di trovare gli strumenti adatti per ordinarle». Perché non tutte le immagini sono
             la stessa cosa – «non tutte le immagini possono essere consumate come in un fast-food e
             subito dimenticate» –, e la loro differenza dipende anche dal modo in cui plasmano la
             nostra umanità e stimolano la nostra intelligenza.
                 Al tempo stesso, tuttavia, il discorso di Scorsese, proprio perché diviso tra un appello
             alla salvaguardia e alla conservazione del patrimonio filmico – «è giunto il momento di
             trattare ogni film rimasto con la stessa reverenza e lo stesso rispetto che si tributano al
             più antico libro conservato nella Library of Congress» – e un’apologia (funzionale a so-
             stenere il primo argomento) del cinema come arte e linguaggio, finisce per mancare, o
             solo sfiorare, la conclusione “didattica” (culturale, sociale, politica…) cui l’intreccio dei
             due discorsi sembrerebbe condurre quasi naturalmente. Il registro, del resto, è apocalittico
             (“almost gone…”), e porta fatalmente a dividere le acque – cinema versus immagini fast-
             food –, a chiudere i film nei musei (per salvarli) e, come puntualizza il regista verso la
             fine del discorso, a invocare, per le opere cinematografiche, un trattamento svincolato
             dagli standard di valutazione che guidano la contemporaneità (primo tra tutti, la trasfor-
             mazione dei risultati al botteghino in criterio di qualità). Ma così facendo il rischio della
             riserva indiana è dietro l’angolo, con la visual literacy ridotta a un sapere settoriale, non
             diverso, in fondo, dal profluvio di curiosi aggettivi che consentono a un sommelier di
             “capire” un vino, o dalla nomenclatura latina che permette a un micologo di “vedere” un
             fungo nel modo giusto.
                 A partire dall’appassionato discorso di Scorsese si può trarre una conclusione un po’
             diversa e, per certi versi, più urgente e attuale: il senso di tornare oggi sulla questione del
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                                                                                         Introduzione      IX

             linguaggio del cinema e, anzi, del cinema come linguaggio – questione per certi versi old
             fashion, come vorrebbe tutta una fronda di studiosi americani –, non risiede tanto nella
             necessità di ristabilire, in tempi in cui il territorio dell’Immagine in movimento si è fatto
             confusamente plurale e indistinto, qualche tipo di priorità culturale; significa molto più
             laicamente, sostenere, a partire dal cinema (dal suo esempio), la necessità di guardare
             all’alfabetismo visuale come a una condizione basilare, “civile”, del vivere contempora-
             neo, piuttosto che come a una pratica per addetti ai lavori, indirizzata a garantire un pieno
             godimento estetico del film. Non c’è quotidiano che, a cadenza regolare, non pubblichi
             un aggiornamento (in genere drammatico) sull’analfabetismo di ritorno e, più esattamen-
             te, sulla diffusione di quello “funzionale”; oggi, in Italia, quasi il 70% delle persone –
             pur sapendo bene o male leggere e far di conto – non è in grado di comprendere fino in
             fondo un testo scritto o un discorso orale di media difficoltà. Raramente – anzi, mai – si
             pone invece la questione dell’analfabetismo visuale, e anche il recente dibattito sulle fake
             news non ha fatto altro che rivelare una diffusa, radicale incapacità di porre e affrontare
             in modo non ingenuo il problema delle immagini – di come funzionano le immagini.
                  A partire dal cinema, e dal suo esempio, dunque: e non perché lì ci sono l’arte e il
             bello e il “classico”, ma perché lì, grazie a più di un secolo di “discorsi”, hanno preso
             forma le convenzioni, i codici di comportamento e i modi d’uso che, ancora oggi, regolano
             il funzionamento delle immagini in movimento (poco importa se impiegate per raccontare
             una storia o per sostenere la campagna elettorale di un politico), comprese quelle fast-food,
             e perché della nostra cultura (non solo visuale) il cinema e il suo linguaggio sono stati ar-
             tefici fondamentali. Basterebbe pensare a come il principio creativo del montaggio, ben
             più antico dei film (e che per Ejzenštejn rappresenta il fondamento di tutte le arti), si sia
             rivelato fino in fondo proprio grazie al cinema, per poi imporsi come logica creativa e
             cognitiva della nostra società. O a come il cinema, attraverso le tante direzioni in cui ha
             saputo declinare l’idea di rappresentazione, ci abbia insegnato a pensare criticamente il
             farsi immagine della realtà, tra testimonianza e metamorfosi; o, ancora, a come esso abbia
             saputo intrecciare in forme spesso inattese materie sensibili diversissime – il visivo, il so-
             noro, il verbale, il gestuale ecc. –, ridisegnandone, attraverso questi incontri, le specificità,
             le storie e le regole, fino a sagomare le procedure di funzionamento e anzi l’“anima” dei
             nuovi media. E a proposito di rivoluzione digitale, si può ricordare come essa non abbia
             semplicemente provocato un “salto” di paradigma: il cinema l’ha accompagnata e, insie-
             me, interpretata e rivelata, manifestando una volta di più, del proprio linguaggio, la natura
             di strumento di pensiero (per immagini, delle immagini).
                  Questo libro nasce da qui, dalla convinzione che studiare il linguaggio del cinema non
             significhi occuparsi dell’aspetto particolare di un medium in particolare – dando per ri-
             solta, e anzi fortunatamente superata, la questione della “linguisticità”, su cui la teoria e
             l’estetica hanno a lungo dibattuto (per una sintesi, si rimanda a Casetti, Malavasi 2003).
             Tanto più oggi, studiare il linguaggio del cinema significa, al contrario, alfabetizzarsi nei
             confronti di tutte le rappresentazioni audiovisive – spettacolari e giornalistiche, artistiche
             e scientifiche, realistiche e fantastiche ecc. –, perché quello del cinema è il linguaggio
             “naturale” delle immagini in movimento, il primo che esse hanno imparato a parlare e
             quello da cui sono derivati tutti gli altri. Un patrimonio di forme, modelli, regole, strategie,
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            X      Come si usa questo libro

            consuetudini in perenne movimento, che questo libro analizza (anche in termini storici)
            intrecciando essenzialmente due prospettive metodologiche: da un lato, una prospettiva
            narratologica – con le sue fughe e i suoi ritorni nella semiotica e nella teoria dell’enun-
            ciazione –, grazie alla quale lo studio del cinema come linguaggio e del film come testo
            si è dotato, storicamente, di strumenti e indirizzi di ricerca ancora validi; dall’altro lato,
            un prospettiva fenomenologica, che mette apertamente in gioco la questione della perce-
            zione e, di conseguenza, del confronto tra modelli di senso ed esperienza, tra scrittura e
            vita, tra visione e sguardo. Del resto, ieri come oggi, il cinema si fa linguaggio attraverso
            una costante negoziazione di senso e significazione, come direbbe Christian Metz, tra
            “resistenza” dell’immagine-traccia e manipolazione, tra una linguisticità immanente, an-
            teriore, preesistente (quella del mondo naturale) e una linguisticità del medium, che si
            traduce in cine-lingua anche allo scopo di contrastare l’essere già e sempre linguaggio
            del visivo; come puntualizza Lotman: «L’artista deve affrontare le dimensioni del mondo
            reale e sconfiggerle usando le risorse della cinematografia stessa» (Lotman 1994, p. 131).
            Sconfiggerle, anche, per comprenderle.

            Come si usa questo libro
            Può sembrare curioso, e in effetti lo è, ma l’avvento del digitale non sembra aver smosso
            granché l’orizzonte dell’editoria cinematografica (fa parziale eccezione il territorio della
            critica, grazie alla nascita dei “video saggi”). Come si faceva in tempi analogici, i libri
            di cinema e, in particolare, quelli dedicati all’analisi del film, continuano a presentarsi
            come ponderosi manuali pieni di parole, abbelliti da un numero variabile di piccole fo-
            tografie (perlopiù in bianco e nero, indipendentemente dai colori originali) e di qualche
            timido prolungamento digitale, più che altro in ossequio alla moda (scolastica) del vo-
            lume “misto”. Questo libro, al contrario, nasce dalla volontà di approfittare fino in fondo
            delle possibilità e degli strumenti messi a disposizione dagli “ambienti” e dalla tecnolo-
            gia digitali, per offrire non un “racconto” a posteriori, o in absentia, di come funziona
            il linguaggio del cinema, ma una sua descrizione e una sua analisi fondate sul dialogo
            diretto con i film; per certi versi, esso traduce e perfeziona il modo in cui, in questi anni,
            grazie alle tecnologie digitali, ho insegnato la storia del cinema e l’analisi del film al-
            l’interno di un’aula universitaria: accompagnando la spiegazione con decine di clip
            “esemplari” tagliate dai film più diversi e caricate su una chiavetta USB (o una pagina
            Vimeo). Il cuore del progetto è dunque rappresentato dalla piattaforma MyLab in cui,
            attraverso più di duecento video (scene o sequenze appositamente selezionate da altret-
            tanti film, più qualche piccolo montaggio originale, resosi necessario per illustrare al-
            cune questioni sintattiche), tutti i più diversi aspetti del linguaggio cinematografico sono
            immediatamente esemplificati e accompagnati da una parte testuale di introduzione e
            da un commento.
                 Questa piattaforma non rappresenta, tuttavia, il riversamento digitale del libro carta-
            ceo. A questa seconda consuetudine – che caratterizza in realtà molta editoria, non solo
            quella cinematografica – si è preferito sostituire un dialogo tra formati comunicativi.
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                                                                          Come si usa questo libro       XI

             Se la piattaforma, in virtù della sua natura intermediale, è stata pensata anzitutto come il
             luogo ideale cui affidare un’organizzazione “navigabile” e un’analisi ipertestuale della
             nomenclatura relativa al linguaggio cinematografico, il libro cartaceo – per quanto an-
             ch’esso fondato su una costante esemplificazione – contiene piuttosto un approfondimen-
             to di tipo storico, teorico ed estetico di queste stesse nozioni: se ne descrivono lo sviluppo,
             il prendere e il mutare forma sullo sfondo della storia del cinema, la fortuna e la crisi, la
             normalizzazione e gli usi eccentrici. Ma al libro cartaceo è affidata anche una ricorrente
             problematizzazione dell’idea stessa di linguaggio cinematografico, nonché una discus-
             sione delle metodologie di analisi che, nel corso del tempo, si sono incaricate di definirlo
             e studiarlo. Idealmente, dunque, libro e piattaforma non si sommano né si affiancano,
             ma, piuttosto, si sovrappongono, e questo movimento verticale, dalla teoria al “corpo”
             del film, dalla riflessione estetica allo studio di caso, è agevolato sia da una continuità
             strutturale tra i due supporti – a livello di capitoli e, molto spesso, anche di paragrafi –,
             sia da un sistema di parole chiave (evidenziate in grassetto) che, nel libro, rimandano a
             un approfondimento e a un’esemplificazione all’interno della piattaforma.
                 Due ultime notazioni: in alcuni casi, una stessa questione o uno stesso contenuto –
             per esempio, il montaggio intellettuale e il jump cut – sono analizzati sia nel libro sia
             nella piattaforma a partire dagli stessi materiali – nella fattispecie, Ottobre (Oktjabr,
             Sergej M. Ejzenštejn, 1927) e Fino all’ultimo respiro (À bout de souffle, Jean-Luc Go-
             dard, 1960). In altri casi, invece, per ragioni argomentative o al più semplice scopo di
             moltiplicare gli esempi e le analisi, il libro si sofferma in dettaglio su scene non presenti
             nella piattaforma. Anche in questo caso, tuttavia, il lettore non sarà costretto a lavorare
             di immaginazione, o a impegnarsi in un recupero più o meno agile del film in questione:
             ogni capitolo della piattaforma contiene infatti una Video Library di questi esempi.
                 Nel Paragrafo 4.4.3 si discute, in termini piuttosto critici, della pratica “barbarica”
             (Robert Bresson) del doppiaggio, molto amata dall’industria del cinema italiano e resa
             ancor più colpevole da una distribuzione che non consente allo spettatore di poter scegliere
             tra versioni doppiate e versioni in lingua originale (ma la situazione, come si dice in quelle
             pagine, sta finalmente cambiando, anche se a un ritmo ancora insoddisfacente). Potrebbe
             dunque sembrare un paradosso la decisione di ricorrere, nella piattaforma, alle versioni
             doppiate dei film: la scelta è in realtà dettata da ragioni di comodità didattica, e dalla con-
             sapevolezza di una possibile fruizione dei contenuti digitali su dispositivi portatili, dotati
             di schermi di piccole dimensioni, che renderebbero la visualizzazione e la lettura dei sot-
             totitoli problematica. Fanno (inevitabile) eccezione solo alcune scene del capitolo dedicato
             al sonoro: in questo caso, infatti, il doppiaggio, al di là della questione della voce, finisce
             molto spesso per appiattire la complessità sonora del film. Così, per esempio, nella ver-
             sione italiana tutta la ricchezza “polifonica” della prima scena de I compari (McCabe &
             Mrs. Miller, Robert Altman, 1971) – analizzata nel Paragrafo 4.2 – si perde completa-
             mente, livellata da un maldestro (e colpevole) missaggio che porta in primo piano e “ri-
             pulisce” le parole del protagonista. In tutti i casi, si tratta di brevi frammenti: a chi deci-
             desse di far seguire alla visione “strumentale” di una singola scena quella del film com-
             pleto, si raccomanda naturalmente la versione in lingua originale. L’alfabetizzazione
             visuale passa anche da qui: dal rispetto delle immagini.
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             XII    Bibliografia

             Bibliografia
             Bellour, R., L’analisi del film, Kaplan, Torino, 2005 (ed. or. 1995).
             Casetti, F., Malavasi, L., Linguaggio del cinema, Enciclopedia del cinema, Treccani, Roma,
                2003 http://www.treccani.it/enciclopedia/linguaggio-del-cinema_%28Enciclopedia-
                del-Cinema%29/
             Elkins, J., (ed.), Visual Literacy, Routledge, New York-London, 2008.
             Lotman, J.M., Semiotica del cinema, Edizioni del Prisma, Catania, 1994 (ed. or. 1973).
             Metz, C., Semiologia del cinema, Garzanti, Milano, 1989 (ed. or. 1968).
             Scorsese, M., The Persisting Vision: Reading the Language of Cinema, “The New York
                Review of Books”, vol. 60, n. 15, August 15, 2013.

             Ringraziamenti
             Desidero ringraziare Pier Maria Bocchi, Barbara Grespi, Sara Martin e Federica Villa per
             aver letto alcune parti di questo libro via via che esso prendeva forma: i loro commenti
             si sono rivelati fondamentali per migliorarlo. Grazie anche a Claudio Cipelletti, Francesco
             Pitassio, Alex Poltronieri, Alberto Scandola, Danila Parodi (Museo Biblioteca dell’Attore,
             Genova), Antonio Somaini per la preziosa condivisione di materiali e informazioni. Grazie
             a Elisa Delfino per aver scovato l’immagine di copertina: quegli “uomini con la macchina
             da presa” raccontano benissimo dell’avventura spesso incerta, faticosa, sorprendente che
             è il cinema.

             L’autore
             Luca Malavasi insegna Storia e critica del cinema, Critica cinematografica ed Elementi
             di cultura visuale presso l’Università degli Studi di Genova. Si occupa prevalentemente
             di teoria dell’immagine e di storia e forme del cinema contemporaneo. È membro del co-
             mitato direttivo della rivista “La Valle dell’Eden” e redattore di “Cineforum”. Tra le sue
             pubblicazioni: Mulholland Drive (Lindau, 2008), Realismo e tecnologia. Caratteri del
             cinema contemporaneo (Kaplan, 2013), Il cinema. Percorsi storici e questioni teoriche
             (con G. Carluccio, F. Villa, Carocci, 2015), Postmoderno e cinema. Nuove prospettive
             d’analisi (Carocci, 2017).
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             Pearson MyLab

             L’attività didattica e di apprendimento del corso è proposta all’interno di un ambiente di-
             gitale per lo studio, che ha l’obiettivo di completare il libro offrendo risorse didattiche
             fruibili in modo autonomo o per assegnazione del docente.
                 Il codice presente sulla copertina di questo libro consente l’accesso per 18 mesi a
             MyLab, una piattaforma digitale interattiva specificamente pensata per accompagnare e
             verificare i progressi durante lo studio.

             MyLab offre la possibilità di accedere al manuale online: l’edizione digitale del testo
             arricchita da funzionalità che permettono di personalizzarne la fruizione, attivare la lettura
             audio digitalizzata, inserire segnalibri anche su tablet e smartphone.

             La piattaforma digitale MyLab integra e monitora il percorso individuale di studio con
             attività formative e valutative dettagliate nella pagina di catalogo dedicata al libro, con-
             sultabile all’indirizzo link.pearson.it/4A2D7EF6 o tramite QR code.
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            Sommario delle parti online
            La piattaforma MyLab integra il manuale con risorse dedicate che presentano estratti vi-
            deo accompagnati da un’analisi puntuale degli argomenti presentati nel testo, e una
            VideoLibrary contenente le scene analizzate in dettaglio nel manuale. È disponibile, inol-
            tre, un ricco apparato esercitativo per l’autovalutazione. Le risorse sono organizzate se-
            condo l’indice che segue:
            1. La narrazione
                1.1 La durata
                1.2 L’ordine
                1.3 La frequenza
                1.4 La focalizzazione
                1.5 L’ocularizzazione
                1.6 Il narratore
            2. L’inquadratura
                2.1 La scenografia
                2.2 L’illuminazione e il colore
                2.3 L’attore
                2.4 I supporti
                2.5 Il formato
                2.6 Il décadrage
                2.7 Campo e fuori campo
                2.8 La messa a fuoco
                2.9 Gli obiettivi
                2.10 Le grandezze scalari
                2.11 L’altezza
                2.12 L’angolazione
                2.13 L’inclinazione
                2.14 I movimenti della macchina da presa
            3. Il montaggio
                3.1 Continuità e trasparenza: il découpage narrativo
                3.2 Il piano sequenza
                3.3 Discontinuità d’avanguardia
                3.4 Il montaggio del cinema moderno
                3.5 Il montaggio interno
            4. Il sonoro
                4.1 I raccordi sonori
                4.2 Campo visivo e campo sonoro
                4.3 Le frontiere tra i suoni
                4.4 L’auricolarizzazione
                4.5 Il rumore
                4.6 La musica
                4.7 La voce
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