IL GRAND TOUR OCCASIONE DI CONOSCENZA E DI STUDIO DEL PAESAGGIO E DELLE SUE TRASFORMAZIONI. ALCUNE INDICAZIONI

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IL GRAND TOUR OCCASIONE DI CONOSCENZA E DI STUDIO DEL PAESAGGIO E DELLE SUE TRASFORMAZIONI. ALCUNE INDICAZIONI
IL GRAND TOUR OCCASIONE DI CONOSCENZA E DI STUDIO DEL
    PAESAGGIO E DELLE SUE TRASFORMAZIONI. ALCUNE INDICAZIONI
                          Antonio Bini (*) - Pescara 11 novembre 2010

Tra gli approcci più interessanti e suggestivi allo studio e all’interpretazione del paesaggio
può senz’altro essere compresa la ricerca nell’ambito di quel complesso fenomeno sociale
e culturale che fu il Grand Tour, che vide l’Italia frequentata dalla fine del seicento in poi da
numerosi viaggiatori, letterati, artisti, poeti, ecc. le cui testimonianze costituiscono un
vastissimo patrimonio iconografico, pittorico e letterario conosciuto solo in parte nel nostro
Paese.
I viaggiatori stranieri erano attratti dal “Bel Paese” – concetto poi ripreso e sintetizzato dal
titolo del fortunato saggio di Antonio Stoppani, pubblicato nel 1876.
L’Italia appariva una terra dalla bellezza unica agli occhi dei viaggiatori, in cui lo
straordinario e vastissimo patrimonio storico, archeologico e artistico veniva a combinarsi
armonicamente con l’ambiente naturale e il paesaggio, esaltati al punto da considerare in
nostro Paese il “Giardino d’Europa”.
Sostiene la critica d’arte Didier Bodart che furono soprattutto gli artisti stranieri a
manifestare un sensibile interesse per il paesaggio italiano, sia per un senso di scoperta
che offriva loro il paesaggio, sia come ricordo dei luoghi visitati (1).
Spesso il fascino che suscitava il nostro Paese si trasformava l’Italia in meta e mito.
Il viaggio in Italia costituiva una significativa fase della formazione dei giovani appartenenti
alle famiglie aristocratiche inglesi e francesi. Ma la moda contagiava nobiluomini
benestanti, in grado di staccarsi dalle realtà di appartenenza per lunghi periodi,
accompagnati da servitori e amici (è il caso ad esempio di Michael de Montaigne, da
considerare tra i pionieri del G.T., autore de Le Journal de Voyage de Monsieur de
Montaigne, 1691). Alcuni di essi si facevano ritrarre con lo sfondo di paesaggi
caratterizzati da rovine romane, anticipando quello che sarà l’impiego diffuso del mezzo
fotografico. Per altri ancora le esperienze del viaggio stimolavano – al rientro nella terra
d’origine - il racconto, talvolta rappresentato da raccolte di lettere inviate di volta in volta ad
amici o parenti.
Ma per quanto interessa più direttamente la ricerca sul paesaggio, assumono particolare
rilievo gli imponenti flussi di artisti, di illustratori, di disegnatori e – sul finire dell’ottocento –
di fotografi. In alcuni casi – il pittore o illustratore faceva parte del seguito di
accompagnatori del signore di turno.
Così l’inglese Joseph Addison spiega l’attrazione esercitata dall’Italia nella prefazione del
suo racconto del suo viaggio nella penisola durato un triennio (dal 1701 al 1703):

“Indubbiamente non esiste alcun luogo al mondo, in cui un uomo possa viaggiare e trarre
maggior piacere e beneficio dell’Italia. Il paese di differenzia dagli altri paesi europei per la
sua particolarità e per le sorprendenti bellezze naturali. Ha una grande scuola di musica e
di pittura ed è ricco delle più preziose opere antiche e moderne di scultura e architettura.
Possiede oggetti rari e una vasta collezione di ogni genere di antichità.
Non c’è angolo del paese che non sia famoso nella storia, come una montagna o un
fiume e che non sia stato teatro di qualche azione straordinaria.
Devo confessare che esaminare queste diverse descrizioni quando si sta sul posto e
confrontare l’aspetto naturale del paese con i paesaggi descritti dai poeti non è stato uno
dei divertimenti minori che ho incontrato durante il viaggio.”

Il Grand Tour non si impara a scuola. Si insegna marginalmente in alcuni corsi
universitari, come ad esempio nell’ambito dell’insegnamento di sociologia del turismo,
studiando la storia del turismo moderno, mentre in genere gli interessi sono
prevalentemente letterari o artistici e di fatto ristretti ad élite accademica.
Eppure in questi ultimi anni si assiste a livello locale ad una straordinaria impennata
d’interesse di comunità verso la “ricostruzione” delle proprie radici, in genere circoscritta
alla sola ricerca iconografica del passato di singole città, di singoli paesi e borghi.
A ragione, si può parlare di “effetto vintage”.

“Non c’è cittadina che non cerchi in soffitta la sua storia”, scrive Jennifer Meletti su La
Repubblica del 7 luglio 2001. Una tendenza che vede pro-loco e associazioni culturali
spesso impegnate nella riscoperta di tracce e testimonianze lasciate dai viaggiatori
stranieri e recuperate da ricercatori locali – talvolta anche grazie alla crescente massa di
informazioni e immagini disponibili in rete.
Paradossalmente il fenomeno è studiato nei paesi che l’hanno generato e negli Stati Uniti
.(2)

Il rinnovato interesse per il magico mondo del Grand Tour si materializza con il crescente
fenomeno delle mostre ed esposizioni d’arte legate in Italia e all’estero.
Tra le più recenti, merita di essere segnalata quella allestita - dal 7 aprile al 10 luglio 2009
- dal Museo D’Orsay di Parigi – con il titolo – “Voir l’Italie et mourir: photographie et
peinture dans l’Italie du XIX siecle”, che riprende la celebre frase attribuita a Goethe
“Vedi Napoli e poi muori” - in cui sono stati esposti dipinti e fotografie dell’Italia
dell’ottocento. Un titolo impegnativo, destinato a far riflettere con nostalgia ai paesaggi
perduti di un tempo, nemmeno tanto lontano, con toni inevitabilmente critici nei confronti
del degrado del patrimonio culturale e paesaggistico del nostro Paese.
Un atto d’amore e forse anche di riconoscenza per l’Italia che fu, ma al tempo stesso una
implicita critica per l’Italia d’oggi. (3) Soprattutto a partire dalla ricostruzione post-bellica,
dagli anni del c.d. “boom economico”, la cementificazione selvaggia, l’industrializzazione
diffusa, l’edilizia legata al turismo (in particolare delle seconde case) e la crescita di
periferie degradate - che investono anche siti archeologici e centri storici - stanno
distruggendo l’immagine stessa dell’Italia, legata al suo straordinario patrimonio culturale,
una volta inscindibile dal paesaggio naturale. (4)
Un nome dell’architettura italiana – Leonardo Benevolo – nel trarre un bilancio di questi
anni, riconosce con amarezza che “I segni di questa fase di sviluppo peseranno per
sempre sul paesaggio italiano”. (5)
Da tempo l’Italia è sempre meno il Bel Paese del passato, mentre addirittura è venuta a
rovesciarsi nel tempo l’immagine della stessa Napoli rispetto a quella dorata e felice della
“Campania Felix” che fu, riprodotta in innumerevoli dipinti, spesso con lo sfondo del
fumante e docile Vesuvio. Da anni la percezione di Napoli, della Campania è piuttosto
legata all’immondizia, al degrado urbano, agli scempi urbanistici, alla dilagante illegalità ed
ai deprimenti scenari di Gomorra.
Un quadro che tende a peggiorare, se si considera il crollo della “Casa dei Gladiatori” a
Pompei, avvenuto lo scorso 6 novembre. Quest’ultima notizia ha allarmato l’opinione
pubblica dei paesi occidentali, con i media che hanno espresso la diffusa preoccupazione
delle capacità del nostro paese di difendere un’eredità storica che è patrimonio culturale
dell’intera umanità.
Il presidente della Repubblica ha parlato di “vergogna per l’Italia”, anche sulla base dei
vasti riflessi internazionali che l’episodio ha assunto.

Tornano più che mai attuali riflessioni dello scrittore Giorgio Bassani, storico presidente di
Italia Nostra – che in occasione di un convegno della rete internazionale della Dante
Alighieri ebbe a sostenere che “il patrimonio artistico e naturale italiano è di tale livello da
appartenere a tutto il mondo, è un patrimonio in qualche modo sacro”. (1981)

L’itinerari del lungo viaggio degli artisti nella cultura italiana erano quelli legati alla
tradizione classica e comunque portavano a Roma, in cui venivano ad incontrarsi artisti e
letterati provenienti da tutta Europa. Tappe obbligate Venezia, Firenze, Roma, Napoli.
Le rovine dell’antica Roma costituivano un grande richiamo per gli artisti, che erano anche
attratti da motivi paesaggistici rurali, ravvivati con l’introduzione di figure di contadini e
pastori, di scorci di vita quotidiana con donne, di cui vengono spesso sottolineati i
costumi.
il Grand Tour contribuì fortemente allo sviluppo del genere pittorico del paesaggismo.
Ad eccezione di Napoli e di Palermo, il sud – o comunque il Regno di Napoli di cui
facevano parte Abruzzo e Molise – è stato ignorato o assai meno frequentato da
viaggiatori stranieri nel sei e settecento (in questo periodo si registra comunque la
presenza di Richard Colt Hoare, Henry Swinburne, C.U. De Salis Marschlins).
Diverse le cause: l’iniziale fenomeno del G.T. era legato soprattutto alle città importanti –
come quelle prima nominate; la marginalità di Abruzzo e Molise derivava dalla mancanza
di strade carrozzabili, mentre diffuso era il pericolo rappresentato dal brigantaggio,
dall’asprezza delle montagne e dalle stesse condizioni climatiche. (6)
Nell’Ottocento, con l’affermarsi del Romanticismo – che esaltava il carattere spirituale e
sentimentale del rapporto uomo-natura – si guardò con occhi diversi all’Abruzzo, che
divenne meta di archeologi, storici, alpinisti, musicisti, artisti, di cui si conosciamo in
minima parte le tracce lasciate.
Emblematico è il caso della scuola d’arte estiva del maestro danese Kristian Zahrtmann a
Civita d’Antino. Una storia dimenticata con il terremoto del 1915 e il declino del piccolo
paese della Valle Roveto. Eppure sono centinaia le opere - che quei luoghi ispirarono -
esposte in collezioni e musei scandinavi. Soltanto lo scorso anno è stato possibile
allestire – proprio in questa sede - una mostra dal titolo “Il lungo viaggio dal nord” con
opere provenienti da collezioni italiane.
Le stesse opere di Escher e le foto dei suoi viaggi in Abruzzo e Molise nel periodo 1928-
1935 sono state in gran parte “scoperte” recentemente, grazie alla passione e alle ricerche
dell’Associazione CultureTracks.
Resta ancora molto da scoprire di un patrimonio culturale da ricostruire, importante e di
spessore europeo.
Una riflessione va fatta a proposito del paesaggio montano – che tanto attirava gli artisti
stranieri – in quanto disegnato nel tempo dal lavoro spesso impercettibile di generazioni,
che hanno costruito terrazzamenti, sentieri, borghi bellissimi inseriti armonicamente nel
paesaggio abruzzese-molisano: se sulla costa e in pianura il degrado ambientale presenta
aspetti comuni all’Italia nel suo complesso, va segnalato come nei paesi montani da tempo
si manifesta un’altra insidia, l’abbandono e la desertificazione.

L’ABRUZZO ROMANTICO DI EDWARD LEAR

Edward Lear pittore e scrittore inglese (1812-1888) è stato un importante “descrittore”
dell’Italia – dove visse gran parte della sua vita - e dell’Abruzzo in particolare. I suoi viaggi
nella regione – tra il 1843 e il 1844 - ci offrono la possibilità di conoscere la bellezza del
paesaggio abruzzese di un tempo attraverso i suoi disegni e sulla base delle sue
impressioni ed emozioni. Lear ci dà un’opportunità unica per leggere il paesaggio
abruzzese – anche in una prospettiva storica - e riflettere sulle profonde trasformazioni
intervenute fino ad oggi.
Viaggiatore instancabile (l’Italia fu la terra prediletta, anche se i suoi viaggi lo portarono in
Albania, Grecia, Corsica, India, ecc.), preferì avventurarsi nell’Italia minore, privilegiando i
paesi montani e collinari, che visitò muovendosi a cavallo, con l’asino o camminando a
piedi.
Egli è universalmente noto per essere l’inventore del “non sense”, essendo l’autore di una
serie di limericks raccolti e pubblicati sotto il titolo di “The book of non sense”, con
numerose riedizioni giunte fino ai giorni nostri (l’ultima edizione italiana – curata da Einaudi
- risale al 2004). Eppure egli si considerò sempre e soltanto un “landascape painter”
(pittore di paesaggi), e così volle fosse scritto sulla sua tomba, nel cimitero di San Remo. I
suoi disegni ci raccontano il fascino dell’Abruzzo interno, che Lear si sforzò di
rappresentare nella realtà, come egli stesso desidera puntualizzare, pur non mancando
evidenti sfumature romantiche. Solitamente privilegia la vastità del paesaggio naturale -
che domina la scena – rispetto ai borghi e paesi, di cui cerca l’armonica
contestualizzazione nello scenario naturali di colline e montagne. Le donne con i loro
costumi e gli stessi contadini e pastori sono immancabilmente presenti, ma proposti in
scala, come elemento di completamento del contesto rappresentato.
Le immagini vanno coordinate con la lettura del suo racconto di viaggio. Una lettura
piacevole, non solo per lo stile chiaro e scorrevole, ma anche per una certa franchezza
nelle considerazioni – circostanza – quest’ultima – che permette al lettore di oggi di
immergersi senza i paludamenti retorici o “diplomatici” che caratterizzano analoghi
racconti.
Questo è stato il battistrada che ho voluto seguire nel progettare e realizzare il video
“Viaggio nell’Abruzzo romantico di Edward Lear” (ed. Mediacom), che la sezione di
Italia Nostra di Pescara mette a disposizione delle scuole aderenti al progetto sul
paesaggio.
Un ulteriore spunto per la ricerca sul territorio riguarda i palazzi e residenze di campagna
in cui Lear fu ospite o che semplicemente ebbe modo di visitare. Famiglie illuminate, con
personaggi colti e ospitali, cui si deve il merito di aver favorito lo stesso viaggio dell’artista
inglese, contribuendo ad accrescere la visione positiva dell’Abruzzo (nel successivo
viaggio in Calabria, Lear sarà portato continuamente a rimpiangere l’ospitalità abruzzese,
mentre assai poco lusinghieri – con la solita schiettezza – erano i giudizi sulle famiglie
calabresi di analogo livello sociale).
Le sue descrizioni ci permettono di “vivere” la vita di queste importanti famiglie nel loro
pieno splendore, mentre oggi questi splendidi palazzi – salvo poche eccezioni - sono in
decadenza o peggio ancora in abbandono.
I viaggi in Italia e quindi in Abruzzo sono stati recentemente ripensati per una guida
culturale sulle tracce del grande artista inglese, a dimostrazione della sua importanza e
attualità (cfr. M. Montgomery, Lear’s Italy, Cadogan, London, 2005).

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Per un primo orientamento in questa vastissima materia si segnala la meritoria e
imponente azione promossa dal Centro Universitario Internazionale di Studi sul Viaggio
Adriatico (CISVA), che ha realizzato una biblioteca digitale presente nel sito
www.viaggioadriatico.it, che offre gratuitamente la possibilità di consultare anche
numerose opere tradotte in lingua italiana, tra cui il racconto di viaggio di Edward Lear
(traduzione a cura di Chiara Magni). Si segnala anche l’utile lavoro di ricognizione e
schedatura presente nel sito regionale - http://www.regione.abruzzo.it/xcultura/ - che
prevede una apposita area dedicata ai “viaggiatori stranieri”. La straordinaria stagione
della scuola di Kristian Zahrtmann a Civita d’Antino, frequentata sul finire dell’Ottocento da
decine di artisti provenienti dall’intera Scandinavia è ricostruita nel libro di A. Bini, “L’Italian
dream di Kristian Zahrtmann”, ed. Menabò/D’Abruzzo, 2009. E’ anche consigliabile
consultare l’interessante sito www.civitadantino.com –
Note

1) Didier Bonart, presentazione del catalogo “Il Paesaggio italiano nel disegno dal XVI al XVIII
   secolo”, ed. Staderini, 1974, Roma;
2) Jeremy Black, Italy and Grand Tour,Yale University Press, 2003;
3) Tra le mostre recentemente allestite, si segnalano tre distinti eventi organizzati dal Getty
   Museum di           Los Angeles su “Naples and Vesuvius on the Grand Tour”, “Roma on the
   Grand Tour” e “”Drawing Italy in the age of the Grand Tour” – in cui sono state presentate
   anche nuove acquisizioni del célèbre museo Americano; Con la mostra “Visioni del Grand
   Tour dall’Ermitage: paesaggi e gente d’Italia nelle collezioni russe” – Roma 19.11.2008-
   22.2.2010 – sono “tornate” in Italia per alcune settimane opere di artisti olandesi, francesi,
   italiani, ecc. acquistate da aristocratici viaggiatori russi in Italia;
4) saggi recenti che denunciano il degrado del patrimonio culturale e ambientale si segnalano:
   V. Sgarbi, Un Paese sfigurato: viaggio attraverso gli scempi d’Italia, ed. Rizzoli, 2003; R.
   Ippolito, Il Bel Paese Maltrattato: viaggio tra le offese ai tesori d’Italia, ed. Bompiani, 2010;
5) L.Benevolo, L’Italia da costruire: un programma per il territorio, ed. Laterza, Bari, 1996,
   pag.VIII;
6) cfr. A. Viola, Perduta per tutti: Abruzzo e Molise nella letteratura inglese e americana
   dell’ottocento, ed. Fabiani, Sambuceto, 2005; M. Bignardi, Viaggiatori in Molise, Electa,
   Napoli, 2001; L. Piccioni, Storia del turismo in Abruzzo (1789-1910), ed. Polla, 2000; A. Bini,
   Non solo orsi, lupi e briganti, in AA.VV., Oltre la Bit, a cura della Provincia dell’Aquila,
   Sulmona, 2003;

       Antonio Bini, già dirigente del Servizio Sviluppo del Turismo della Regione Abruzzo e dirigente del
       Ministero della P.I. Studioso di problemi connessi alla valorizzazione culturale del territorio –
       unosemper@libero.it
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