Il Disturbo dello Spettro dell'Autismo in età adulta: stato dell'arte e proposte operative per gli psicologi - Gruppo di lavoro - OPRS
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Gruppo di lavoro “Diagnosi ed intervento del Disturbo dello Spettro dell’Autismo (ASD)” (A. Corica) Il Disturbo dello Spettro dell’Autismo in età adulta: stato dell’arte e proposte operative per gli psicologi
Introduzione Questo documento è il risultato dell’attività di riflessione avviato dal gruppo di lavoro “Diagnosi ed intervento del Disturbo dello Spettro dell’Autismo (ASD)” istituito presso l’Ordine degli Psicologi della Regione Siciliana. Esso, a partire dall’esperienza clinica maturata dai componenti del gruppo e dall’analisi degli studi di letteratura, delle buone prassi e delle linee guida attualmente esistenti, intende fornire un contributo al dibattito attualmente in corso sulla diagnosi e sull’intervento in età adulta e sul ruolo dello psicologo in tale contesto. L’obiettivo di questo contributo è quello di poter essere d’aiuto ai colleghi che si apprestano ad occuparsi di un disturbo così complesso e che devono essere in grado di valutare, progettare e coordinare interventi nei quali vengano posti al centro i bisogni della persona con ASD e della sua famiglia. La scelta di focalizzare l’attenzione sugli adulti con ASD nasce dalla constatazione delle carenze presenti nei servizi rivolti a questa fascia di età, sia rispetto alla possibilità di ricevere una valutazione diagnostica, sia in riferimento ad una presa in carico adeguata, a causa della mancanza di percorsi di assistenza standardizzati (NICE, 2012). Per una corretta presa in carico della persona con autismo, infatti, è necessario prevedere un’alleanza che metta insieme ruoli, professionalità, conoscenze, metodologie, tecniche e strategie d’intervento differenti, con il fine di creare ambienti di apprendimento rispettosi, integrati e funzionali alla crescita della persona per tutto l’arco di vita e in tutti i contesti di vita. La presa in carico di una persona con ASD non può essere prerogativa di un’unica professione. Le aree sintomatologiche e le sfide che queste determinano anche in ambito educativo richiedono una collaborazione tra professionisti diversi. All’interno delle equipe multidisciplinari che si occupano di diagnosi e di intervento delle persone con ASD, il ruolo dello psicologo si è consolidato nel corso degli ultimi anni. Dal punto di vista della diagnosi occorre tenere conto che i criteri riguardano i comportamenti dell’individuo e, in particolare, quelli implicati nella comunicazione sociale ed emotiva, nel funzionamento adattivo e neuropsicologico, quindi in tutti quei fattori che contribuiscono a delineare il profilo della persona evidenziando punti di forza, difficoltà e bisogni (NICE, 2012). In merito al trattamento, lo psicologo interviene in diversi ambiti: dalla valutazione funzionale, indispensabile per la definizione del progetto individualizzato, all’analisi funzionale, necessaria per individuare la funzione dei comportamenti problema e definire le strategie di intervento più appropriate. Lo psicologo, inoltre, fornisce consulenza sulle modalità di attuazione del trattamento e sulle strategie di intervento, oltre ad intervenire direttamente con la persona e la sua famiglia (CNOP, 2019). Questo ruolo molteplice viene riconosciuto anche nei documenti di indirizzo internazionali. Il lavoro effettuato all’interno del gruppo ha voluto rimarcare l’importanza di questi aspetti. Pertanto, si tratta di un lavoro di sintesi e di riflessione, che non è esaustivo e non intende in alcun modo sostituirsi a quanto già presente nel panorama scientifico nazionale ed internazionale. L’averlo portato avanti ha consentito ai membri del gruppo di porsi una serie di interrogativi e di ampliare le proprie conoscenze, ma allo stesso tempo di provare ad individuare possibili strategie da sviluppare o implementare. Ci auguriamo che possa aprire ulteriori momenti di confronto e di crescita professionale per i colleghi. I membri del gruppo di lavoro “Diagnosi ed intervento del Disturbo dello Spettro dell’Autismo (ASD)” Ringraziamo le persone con ASD e le loro famiglie per averci permesso di utilizzare le immagini presenti in questo documento 2
Gruppo di lavoro Zingale Marinella – coordinatore del gruppo Psicologa e psicoterapeuta, specializzata in Psicoterapia Familiare e sistemico relazionale. È istruttore MBSR e MB-eating. È Dirigente Psicologo presso l’UOC di Psicologia dell’IRCCS Oasi Maria SS. di Troina. Esperta nella diagnosi ed intervento del Disturbo dello Spettro dell’Autismo, con competenze specifiche sui programmi psico-educativi evolutivi e comportamentali. È docente a contratto presso l’Università della Calabria nei percorsi TFA-sostegno. È stata docente in master universitari ed in corsi ECM su diagnosi ed intervento dell’ASD. È autrice di articoli scientifici e di capitoli di libri inerenti alla diagnosi e all’intervento dei disturbi del neurosviluppo. Giordano Sandra Psicologa e psicoterapeuta, coach e formatrice, lavora presso Neuroteam, spin off dell’Università degli Studi di Palermo, nell’area dei disturbi del neurosviluppo e dell’età adulta, nell’ambito della neurodiversità. È responsabile della sede di Palermo della scuola di specializzazione IPP. Guzzo Maria Gabriella Psicologa e Analista del Comportamento. Ha lavorato come terapista ABA dal 2014. Dal 2017 supervisiona e gestisce 4 sedi di studi di riabilitazione “FacciamoABA” per minori con disturbi dello sviluppo e il CSE “comeAcasa” per adulti autistici. Effettua supervisioni esterne in studi di terapia ABA a Trapani e Catania. È docente in corsi di formazione per insegnanti, operatori specializzati, tecnici del comportamento. Alessandrello Marla Psicologa, vicepresidente della Cooperativa Sociale Aba Community Onlus, coordinatrice e psicologa del Centro Diurno Aba Community di Ragusa. Ha maturato un’esperienza pluriennale sul Disturbo dello Spettro dell'Autismo e una formazione specifica su TEACCH e ABA. Cascino Marika Psicologa Clinica dell’età evolutiva e BCBA (Analista del Comportamento Certificata). Responsabile del "Centro Educativo Balù" di Gela, per bambini e adolescenti con disturbi del neurosviluppo. Lavora come Supervisor ABA presso la Cooperativa Sociale Controvento di Catania, sia nella progettazione educativo-comportamentale di bambini e adolescenti con disturbi dello spettro autistico, sia nel "Progetto Sollievo" della linea 2 dell’ASP di Catania, volto all’avviamento alla residenzialità autonoma di giovani adulti con ASD. Attualmente impegnata anche nel supporto psicologico di pazienti positivi al Covid-19 per l’ASP di Caltanissetta. Ficili Valentina Psicologa e psicoterapeuta, specializzata in psicoterapia sistemico relazionale e familiare. Libero professionista e psicoterapeuta per il supporto Covid, presso Ospedali riuniti Villa Sofia-Cervello. È assistente all’autonomia. Responsabile dell’associazione per le adozioni internazionali “Il mantello” – sede Palermo. Ha conseguito un master in Diagnosi ed intervento dell’autismo e si occupa di persone con Disturbo dello Spettro dell’Autismo. Genitori D’Arrigo Valentina Psicologa e psicoterapeuta, specializzata in psicoterapia sistemico relazionale e familiare. Responsabile dello studio psicopedagogico Parentage e, con l’equipe di riferimento, referente scientifico del B&B etico “La casa di Toti”. 3
Italiano Roberta Psicologa, psicoterapeuta e Analista del Comportamento. Esperta nel trattamento dei disturbi dello spettro dell’autismo e/o altri disturbi del neurosviluppo. Lavora da diversi anni come supervisore ABA presso studi privati nella provincia di Palermo e attualmente svolge anche il ruolo di supervisore di un centro per adulti autistici convenzionato con l’Asp di Caltanissetta. Collabora con il Cidi di Palermo per la formazione di operatori e insegnanti che si occupano di autismo e disabilità. Maggio Roberta Psicologa clinica e Psicoterapeuta ad orientamento cognitivo comportamentale. Lavora presso il Centro Diurno Dedicato per il Disturbo dello Spettro dell’Autismo "Progetto dopo di noi" Barcellona p.g. (ME). Ha maturato un’esperienza specifica sulla Diagnosi e l’intervento nei disturbi dello Spettro dell’Autismo. Ha acquisito una formazione specialistica nella Neuropsicopatologia dell’apprendimento e del comportamento (Master universitario I livello) e in “Didattica e Psicopedagogia per Alunni con Disturbo Autistico”. È Terapista in formazione Esdm. Miceli Luana Psicologa clinica con esperienza maturata sui disturbi dello Spettro dell’Autismo e formazione specifica sull’analisi comportamentale applicata. Coordina uno studio privato in cui vengono applicati interventi riabilitativi rivolti a persone con ASD. Lavora presso Centro Diurno “Le Magnolie” per minori con ASD, a Cefala Diana (Pa). Spalletta Angelica Psicologa clinica, lavora presso il Centro Diurno Dedicato per bambini, adolescenti e adulti della “Soc.Coop.Soc. I Corrieri dell’Oasi – ONLUS” di Enna. Ha frequentato un master Executive Applied Behaviour Analysis e Modelli di intervento comportamentale Intensivo e Precoce con IESCUM, un Workshop e Winter School NET (Natural Environment Teaching), corso RBT, maturando un’esperienza specifica sul trattamento dei disturbi dello Spettro dell’Autismo. Il gruppo si è avvalso della collaborazione della Dott.ssa Giovanna Gambino, Neuropsichiatra Infantile. 4
Indice 1. Il Disturbo dello Spettro Autistico in età adulta: definizione, caratteristiche e comorbilità 6 1.1 La situazione nazionale e regionale 8 2. La diagnosi in età adulta 11 2.1 Procedure diagnostiche 12 2.2 Strumenti di valutazione 13 2.3 Condivisione delle informazioni diagnostiche 15 3. Sessualità, relazioni intime e autismo 17 3.1 Adulti con autismo e percorsi di educazione sessuale 19 4. L’intervento in età adulta 22 4.1 L’intervento e gli studi di letteratura 25 5. Il progetto di vita e l’inserimento lavorativo 29 5.1 Interventi per favorire l’inserimento lavorativo 30 6. La famiglia delle persone con autismo 35 6.1 La famiglia e il “dopo di noi” 38 Bibliografia 40 (A. Rinallo) 5
1. Il Disturbo dello Spettro Autistico in età adulta: definizione, caratteristiche e comorbilità Il Disturbo dello Spettro dell’Autismo (ASD) è una condizione caratterizzata da compromissioni nell’area socio-comunicativa e da pattern di comportamenti, attività e interessi, ristretti e stereotipati (APA, 2013) che nella maggior parte dei casi ha una permanenza lifetime, con un impatto significativo sul funzionamento in età adulta. Risulta, dunque, chiaro che quasi tutti i bambini che hanno ricevuto durante l’infanzia una diagnosi di autismo diventano adolescenti e poi adulti con ASD, sebbene secondo diversi autori, un numero esiguo di persone possa non soddisfare più i criteri per l’autismo nell’età adulta e non mostrare alcun sintomo residuo del disturbo (Shea & Mesibov, 2013; Fuentes et al., 2020). Alcuni studi indicano, tuttavia, che anche in questi individui permangono deficit nell’area sociale, nella pragmatica della comunicazione, nell’attenzione, nelle capacità di autocontrollo e di autoregolazione emotiva (Orinstein et al., 2015; Suh et al., 2016) e tassi più elevati di comorbilità psichiatrica, che interferiscono sull’adattamento. La permanenza del disturbo comporta la necessità di continuare ad assistere la persona adulta con ASD per tutto l’arco della vita, attraverso una presa in carico globale da parte dei Dipartimenti di Salute Mentale, così come accade per altri disturbi psichici e comportamentali ad andamento cronico, e dai servizi sociali nella prospettiva dell’inserimento sociale e lavorativo (START AUTISMO, 2014). Il riconoscimento degli alti costi psicologici e sociali dell’ASD e l’incremento della prevalenza, ha portato, negli ultimi dieci anni, ad un aumento della ricerca incentrata sugli adulti (Murphy et al., 2011; Howlin & Magiati, 2017). Per quanto gli studi internazionali evidenzino stime molto variabili (Chiarotti & Venerosi, 2020), i dati oscillano tra 1 bambino ogni 59 nati (Baio et al., 2018) e più recentemente 1 bambino su 54 (Maenner et al., 2020). In Italia i dati ottenuti da uno studio condotto in Toscana stimano una prevalenza di circa 1 a 87 (Narzisi et al.,2018), che pone gli ASD tra le condizioni non rare e di grande rilevanza sociale e sanitaria (Venerosi, 2020) e giustifica l’interesse scientifico e la necessità di fornire risposte appropriate. La maggior parte delle ricerche sugli adulti ha preso in esame gli esiti evidenziando difficoltà di integrazione sociale, scarse prospettive occupazionali e alti tassi di problemi di salute mentale, sebbene i dati sulle comorbilità psichiatriche in età adulta varino ampiamente e rimanga incerto come molte persone sperimentino gravi problemi di salute mentale. In generale, gli studi e le revisioni sistematiche sugli outcome hanno evidenziato che solo una minoranza di adulti raggiunge livelli di indipendenza adeguati, pochi vivono da soli, intrattengono relazioni affettive e riescono ad ottenere un lavoro a tempo indeterminato. Confrontati con individui con altre disabilità o disturbi del neurosviluppo, gli adulti con ASD risultano più svantaggiati dal punto di vista sociale, educativo ed economico. Alcuni autori hanno evidenziato che pochi individui con un QI infantile inferiore a 70, o che non hanno sviluppato un linguaggio funzionale, riescono da adulti a vivere in modo indipendente, mostrando scarsi livelli di miglioramento nelle abilità sociali e cognitive e ridotte prospettive lavorative e di integrazione sociale (Lord et al., 2015; Woodman et al., 2016). Inoltre, sebbene il livello di funzionamento intellettivo sia considerato un fattore prognostico importante, anche all’interno del normale intervallo di QI, i risultati sono molto variabili e perfino gli individui con ASD di un buon livello di funzionamento rimangono dipendenti dalle proprie famiglie e dai sistemi di supporto, hanno rapporti sociali limitati e tassi di occupazione estremamente bassi (Magiati et al., 2014; Howlin & Magiati, 2017). Un altro predittore che sembra impattare sugli outcome è la gravità della sintomatologia (Howling & Magiati, 2017), mentre il ruolo del genere rimane incerto. I risultati di alcuni studi suggeriscono che le donne con ASD hanno esiti sociali peggiori rispetto agli uomini, soprattutto per quanto riguarda l’occupazione (Taylor et al., 2015)e qualità della vita (Bishop-Fitzpatrick et al., 2017). Kirby e colleghi (2016) non riportano, al contrario, differenze in base al genere sui sintomi dell’autismo, sui problemi comportamentali o sull’ambito sociale. 6
Altro elemento rilevante da tenere in considerazione sono le comorbilità psichiatriche. Le persone con ASD presentano, infatti, una vulnerabilità a problemi di salute mentale significativamente superiore a quella riportata per la popolazione generale (Davignon et al., 2018; Hudson et al., 2019; Lai et al., 2019; Fombonne et al., 2020; Micai et al., 2021). Tuttavia, a causa del modo in cui questi problemi si manifestano risulta difficile stabilirne la frequenza e stimarne in maniera precisa il rischio, soprattutto nei casi in cui sia presente anche Disabilità Intellettiva (DI). I dati emersi sui tassi di disturbi psichiatrici nell’ASD sono altamente variabili e spesso contraddittori (Howlin & Magiati, 2017). Questo può essere dovuto a molti fattori, tra cui le differenze nel campionamento, la gamma di condizioni selezionate negli studi, le procedure diagnostiche e le misure utilizzate. Gli studi pubblicati che hanno rilevato quest’aspetto in diversi paesi del mondo hanno evidenziato nella popolazione delle persone con ASD problemi di salute mentale da lievi a moderati in una percentuale dal 34 al 94% (Gillberg et al., 2016; Lever & Geurts, 2016; Davignon et al., 2018; Micai et al., 2021) riportando che il 79% delle persone con ASD ha soddisfatto i criteri per un disturbo psichiatrico in comorbilità almeno una volta nella vita. La discrepanza dei dati presenti in letteratura e il disaccordo relativo all’associazione con l’età, comporta la necessità di una ricerca sistematica in questo ambito. Anche la frequenza di associazioni di più disturbi è risultata elevata (Skokauskas & Gallagher, 2012). Le ragioni di questa vulnerabilità psicopatologica sono complesse e consistono in una combinazione di fattori biologici (problemi sensoriali, epilessia, danni cerebrali, condizioni genetiche, disabilità fisiche), psicologici (scarsa autostima, esperienze di discriminazione e abuso, difficoltà nelle strategie di problem solving) e socio-ambientali (stigmatizzazione, pregiudizio, esclusione sociale, bullismo, povertà di reti di supporto), il cui contributo deve essere definito da persona a persona sulla base di un’attenta valutazione multidisciplinare (Underwood et al., 2015). Tra le condizioni comunemente segnalate (Lever & Geurts, 2016; Fombonne et al., 2020) vi sono: ansia e/o depressione, ma ancora una volta i dati riferiti a queste condizioni sono contradditori (le stime dei disturbi depressivi variano dal 20 al 58%, mentre per i disturbi d’ansia dal 22 al 39%); il Disturbo da Deficit di Attenzione Iperattività (ADHD) (10-28%) e il disturbo oppositivo-provocatorio; disturbi da tic (1-50%); Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) (8-28%); disturbi somatoformi e alimentari (6-17%). Due studi (Maddox & White, 2015; Spain et al., 2016) riportano alti tassi di ansia sociale (50-52%). La frequenza di depressione ed ansia appare particolarmente elevata negli adulti senza DI, al contrario di quella di disturbo psicotico, che risulta più alta nei casi di compresenza di Disabilità Intellettiva e ASD (Lugnegård et al., 2011). Le stime relative al disturbo psicotico tendono ad essere in generale relativamente basse (di solito intorno a 2-4%), ma anche in questo caso vi è un’ampia variabilità, dallo 0 al 35% (Chisholm et al., 2015). La maggior parte delle ricerche suggerisce che, rispetto agli uomini, le donne sono a maggior rischio di ansia e disturbi dell’umore (Croen et al., 2015; Lever & Geurts, 2016) e di condizioni come la demenza, la schizofrenia e il disturbo bipolare. Gli uomini tendono ad avere tassi più elevati di DOC e ADHD, mentre in altri casi non è stata individuata alcuna significativa differenza di genere nei tassi complessivi o nei tipi di problemi di salute mentale (Moss et al., 2015; Russell et al., 2016). Gli adulti con autismo sembrano, inoltre, avere una frequenza più elevata di comportamenti autolesionistici e tentativi di suicidio rispetto agli adulti non autistici (Croen et al., 2015). La morte per suicidio sembra essere significativamente alta tra gli individui senza compromissione intellettiva associata, tuttavia ci sono poche informazioni coerenti sull’ipotesi che le ideazioni suicidarie si traducano in tentativi di suicidio (Cassidy et al., 2014; Hedley et al., 2017). Recenti studi in questo settore (Hedley et al., 2018) suggeriscono la necessità di ulteriori ricerche sui fattori associati al suicidio, specialmente in individui ad alto funzionamento e di individuare strumenti e procedure affidabili per identificare gli adulti con ASD a rischio. Problemi fisici e altre condizioni di salute come infezioni, sovrappeso, obesità, epilessia, disturbi gastrointestinali, disturbi del sonno, ipertensione, allergie e diabete sono presenti con una prevalenza maggiore rispetto alla popolazione generale (Vohra et al., 2017; Davignon et al., 2018; Fuentes et al., 2020). 7
Le stime sui disturbi da abuso di sostanze sono contraddittorie e variano, secondo diversi autori (Butwicka et al., 2017; Howlin & Magiati, 2017) dallo 0,7 al 36%, rendendo impossibile stabilire un dato attendibile di prevalenza. La mortalità prematura è particolarmente elevata negli adulti autistici con disabilità intellettiva ed epilessia. In uno studio epidemiologico danese (Schendelet al., 2016) i tassi di mortalità per i giovani adulti con ASD erano il doppio di quelli emersi nella popolazione generale, e simile al rischio rilevato negli individui con disturbi neurologici o disturbi mentali/comportamentali. Cassidy e colleghi (2014) hanno riportato tassi di mortalità oltre il doppio nel gruppo di persone con ASD rispetto a quelle con DI e l’età media della morte era molto più bassa rispetto al gruppo di controllo. Nel complesso, i tassi di mortalità negli uomini e nelle donne erano simili, ma le donne avevano maggiori probabilità di morire a causa di malattie endocrine, malformazioni congenite o suicidio, e gli uomini per malattie del sistema nervoso e cardiocircolatorio. Come riportato da Hirvikoski e colleghi (2016), la causa più comune di morte in individui con DI e ASD era l’epilessia. Sebbene ci sia stata pochissima indagine rispetto all’impatto dell’invecchiamento nell’ASD, alcuni studi (Lever et al., 2015; Salvatore et al., 2016) hanno esplorato le capacità cognitive e i cambiamenti psicologici delle persone con ASD nella tarda età. La ricerca suggerisce che molte abilità cognitive (velocità di elaborazione, attenzione, memoria verbale, flessibilità cognitiva, pianificazione e controllo, e teoria della mente) mostrano modelli di declino analoghi a quelli dell’invecchiamento tipico. Al contrario, gli individui con ASD possono essere meno inclini al calo della memoria visiva e di lavoro rispetto agli anziani nella popolazione generale (Lever et al., 2015; Lever et al., 2016; Salvatore et al., 2016). Barnad-Brak e colleghi (2019) ipotizzano che il rischio di sviluppare la demenza di Alzheimer possa essere ridotto nelle persone con ASD. La comprensione degli aspetti epidemiologici, biologici, psicologici e sociali negli anziani con ASD è essenziale per prepararsi a soddisfare i loro bisogni e dunque diventa fondamentale ampliare la ricerca in questo settore (Piven et al., 2011). Risulta, dunque, evidente che gli individui con ASD devono affrontare diverse sfide nell’età adulta. Al di là di questi fattori intrinseci all’individuo e alle caratteristiche del disturbo, che possono influire sul modo in cui affrontano queste sfide, ci sono altri aspetti da considerare che fanno riferimento al contesto ed in particolare al grado e all’adeguatezza del supporto fornito. I servizi socio-sanitari per gli adulti sono spesso inadeguati e poco supportivi, con conseguente elevati livelli di stress sia per le persone con ASD, sia per le loro famiglie. Ma anche rispetto a questi elementi, siamo ancora ben lontani dall’identificare con precisione i fattori individuali, familiari e ambientali che possano contribuire a migliorare la resilienza e garantire il benessere sociale e psicologico in età adulta. La ricerca sugli outcome in età adulta deve essere una priorità se vogliamo soddisfare le esigenze delle attuali e future generazioni di adulti con ASD. 1.1 La situazione nazionale e regionale L’analisi della situazione nazionale ha evidenziato che nel passaggio dall’età evolutiva all’età adulta, spesso si verifica il fenomeno della “sparizione” della diagnosi e questo rende complessa la presa in carico terapeutica e la progettazione di interventi appropriati per questa fascia di età. Come riportato in un documento pubblicato da Start Autismo (2014), sembra ci sia un interesse minore per gli adulti con autismo e una minore disponibilità dei servizi sanitari in grado di gestire persone adulte con autismo anche per la mancanza di formazione specifica dei professionisti che se ne occupano. In merito alla situazione regionale il Programma Unitario Regionale per l’autismo, pubblicato in GURS n. 32 del 2019, ha provveduto ad una stima del numero di persone con ASD presenti nella Regione Siciliana e dai dati pubblicati, relativi alla popolazione censita dall’Istat al 1° gennaio 2018 (dati estratti il 20 ottobre 2018) emerge quanto segue: Fasce di età N. di persone con ASD QI > 85 71 < QI < 85 QI < 70 18-25 AA 922 291 226 405 8
26-49 AA 377 119 92 166 41-55 AA 225 71 55 99 Dati estrapolati da GURS n. 32 del 2019 Dal punto di vista legislativo, la Regione Siciliana con il D.A. del 2007 recante “Linee guida di organizzazione della rete assistenziale per le persone affette da disturbo autistico” ha regolamentato l’organizzazione e il modello operativo diagnostico e terapeutico dedicato alle persone con ASD. Con D.A n. 14 del 2011 è stato approvato il documento relativo agli “Standard organizzativi di riferimento dei servizi dedicati alle persone affette da disturbo autistico”. Il D.A. n. 1002 del 2015 ha determinato la retta giornaliera nei centri Diurni, mentre con D.A. n. 524 del 2018 è stato istituito il “Tavolo tecnico per il riordino e la riorganizzazione della rete dedicata alle persone affette da disturbi dello spettro autistico”. Nel programma regionale vengono disciplinati i servizi per l’autonomia e l’indipendenza di adulti con autismo e lieve DI evidenziando la necessità di istituire servizi diurni e/o residenziali che favoriscano l’acquisizione e il mantenimento delle competenze e delle autonomie per le persone a basso funzionamento. Per l’alto funzionamento si raccomanda di favorire al massimo l’integrazione e l’inserimento lavorativo. Nel programma, inoltre, viene indicato di favorire la stesura di una corretta diagnosi mediante l’utilizzo di strumenti gold standard e la valutazione adeguata del profilo di funzionamento delle persone con autismo e delle comorbilità. In sintesi Il Disturbo dello Spettro dell’Autismo, nella maggior parte dei casi, è una condizione permanente e le caratteristiche tipiche hanno un impatto significativo sul funzionamento in età adulta. In generale, gli studi e le revisioni sistematiche sugli outcome hanno evidenziato che solo una minoranza di adulti raggiunge livelli di indipendenza adeguati, mentre generalmente si hanno difficoltà di integrazione sociale, scarse prospettive occupazionali e tassi elevati di problemi di salute mentale. I fattori che incidono sugli outcome sono la gravità della sintomatologia, le comorbilità psichiatriche, il livello di competenze linguistiche e cognitive, la disponibilità di servizi e la tipologia di supporto fornito, la rete socio-assistenziale e il contesto familiare. Non ultimo la formazione degli operatori. Quanto detto comporta per i professionisti la necessità di: § conseguire una formazione specifica per essere in grado di riconoscere le caratteristiche del disturbo negli adulti ed individuare i rischi delle condizioni concomitanti (disturbi mentali o fisici) e la loro gestione; § conoscere in maniera approfondita la natura, lo sviluppo e il decorso dell’autismo e il suo impatto sul funzionamento personale, sociale, educativo e lavorativo. Tenuto conto delle stime di prevalenza il gruppo di lavoro ritiene che occorrerebbe promuovere una serie di iniziative a favore dei colleghi che dovranno occuparsi di adulti con ASD: - organizzazione di percorsi formativi specialistici e/o master universitari in collaborazione con i principali centri di riferimento in Sicilia per la diagnosi e l’intervento degli adulti con ASD, allo scopo di formare figure specializzate in questo ambito; - partecipazione dell’Ordine degli Psicologi al tavolo tecnico istituito dall’Assessorato alla Salute della Regione Siciliana; - promozione di attività di sensibilizzazione che accrescano il riconoscimento e la valorizzazione del ruolo dello psicologo nei percorsi di presa in carico delle persone con ASD anche all’interno dei servizi pubblici, affermando la necessità di garantire la continuità del percorso di cura attraverso, laddove ce ne fosse la necessità, assunzioni e stabilizzazioni; - progettazione e realizzazione di uno studio sui principali fattori che possono avere un impatto sul benessere psicologico e migliorare o peggiorare la qualità di vita degli adulti con autismo, in modo da implementare interventi di prevenzione; 9
- promozione del lavoro di rete per facilitare l’accesso delle persone adulte con ASD ai servizi e riferimento costante ai centri e ai servizi pubblici presenti sul territorio. (A. Rinallo) 10
2. La diagnosi in età adulta La diagnosi di autismo viene attualmente effettuata in base ai criteri del DSM-5 (APA, 2013) o dell’ICD10 (WHO, 1992) ed in entrambi i casi occorre rilevare le alterazioni o i deficit relativi alla comunicazione e/o interazione sociale e la presenza di difficoltà sensoriali e interessi ristretti e comportamenti stereotipati. Se il processo diagnostico è già complesso in età evolutiva, lo diviene ancora di più negli adulti. Nel passaggio dall’età evolutiva all’età adulta e dai servizi di neuropsichiatria infantile a quelli di psichiatria, si assiste spesso ad una perdita di specificità diagnostica che determina la difficoltà di implementare trattamenti adeguati e di progettare interventi per il “dopo di noi”. Spesso, infatti, le caratteristiche autistiche vengono inquadrate in altre categorie diagnostiche, di cui le più frequenti risultano essere la disabilità intellettiva, la psicosi e i disturbi di personalità. È probabile che i casi di ASD possano essere meno riconosciuti, a causa di una minore sensibilità da parte dei clinici, in particolare nelle situazioni in cui le caratteristiche autistiche sono mascherate dalla presenza di comorbilità psichiatriche e da una presentazione più sfumata dei comportamenti di tipo autistico (Bezemer et al., 2021). La presenza di un livello di funzionamento intellettivo sopra la media, un ambiente ottimale e la capacità di mimetizzare i comportamenti in base a meccanismi di mascheramento, la compensazione e l’assimilazione (Hull et al., 2017) rendono difficile l’identificazione della sintomatologia autistica. Tuttavia, il mancato riconoscimento può condurre a problemi secondari, come ad esempio ansia, depressione e stress, e interferire in modo significativo sulla qualità di vita. Oltre alla possibilità di non ricevere una diagnosi corretta, è opportuno sottolineare che i percorsi di vita delle persone con ASD possono variare in relazione alla sintomatologia prevalente, agli stili di relazione, alla comorbilità con altri disturbi, alle capacità di adattamento e, non ultimo, al livello di funzionamento intellettivo. Pertanto, alcuni individui con funzionamento intellettivo nella norma potrebbero giungere in età adulta senza avere mai ricevuto una diagnosi, in quanto sono riusciti a compensare autonomamente le difficoltà dell’area sociale (Happe et al., 2016; Leedham, 2019). Possono quindi arrivare ad una consultazione psichiatrica quando, in seguito a cambiamenti insorti nei periodi di transizione o come risposta a situazioni o eventi particolarmente stressanti, sperimentano condizioni di maggiore fragilità, che possono portare all’insorgenza di disturbi d’ansia o dell’umore, o a momenti di scompenso psicotico, talora reattivi al profondo deficit di cognizione sociale e all’impatto che questo ha sulle capacità di decodifica delle condizioni e delle richieste ambientali. In altri casi si può arrivare ad una diagnosi di autismo in modo indiretto, ossia in seguito ad un consulto effettuato per le difficoltà presentate dai propri figli (Crane et al., 2019). Ricevere una diagnosi di autismo può avere un impatto significativo sulla vita della persona, ma anche su quella dei suoi familiari, in quanto può portare ad una maggiore consapevolezza di sé e ad un riconoscimento dei bisogni personali e condurre verso una maggiore comprensione di alcune peculiarità. Gli studi hanno evidenziato che gli adulti che ricevono una diagnosi spesso riportano sentimenti di sollievo nel trovare una spiegazione al fatto di “sentirsi diversi” (Hearst, 2019; Williams, 2019; Crane et al., 2021). La diagnosi può, inoltre, consentire l’accesso a supporti e servizi appropriati. Diversi autori hanno però evidenziato che esistono numerose barriere per l’accesso ad una diagnosi formale di ASD in età adulta, tra cui lunghe liste di attesa e il timore di non essere creduti dai professionisti (Lewis, 2017), barriere che possono essere più consistenti per alcuni gruppi di persone con autismo tra cui le donne (Bargiela et al., 2016), le minoranze etniche (Zuckerman et al., 2014) e gli individui ad alto funzionamento con caratteristiche più sfumate e meno facili da identificare (Unigwe et al., 2017; Crane et al., 2019). C’è una crescente consapevolezza che molte donne con autismo rimangono non diagnosticate spesso a causa della convinzione che l’ASD si manifesti principalmente negli individui di sesso maschile e per una manifestazione più atipica e/o mascherata della sintomatologia. Il sotto-riconoscimento e la sotto- diagnosi dell’autismo nelle donne potrebbero spiegare in parte le differenze nella prevalenza riportata negli studi epidemiologici (Lord et al., 2022). 11
È stato evidenziato che le ragazze cercano di socializzare e, talvolta, riescono ad intrattenere rapporti amicali in piccoli gruppi, presentano maggiori capacità empatiche e maggiore sensibilità rispetto agli uomini con ASD ed anche gli interessi speciali hanno un contenuto più sociale e meno stereotipato (Fuentes et al., 2020). Sono stati, comunque, segnalati difficoltà di conversazione sociale su argomenti di interesse comune, atipie sensoriali, disturbi nell’alimentazione, logorrea o graforrea, difficoltà di switching dell’attenzione. La diagnosi di autismo nelle donne diventa un percorso complesso e, spesso, può condurre a diagnosi scorrette (per es. disturbo borderline di personalità), anche a causa dei deficit di espressione e di introspezione che impediscono a queste persone di riportare in modo corretto le proprie difficoltà e i propri vissuti. Pertanto, è importante che i professionisti non respingano immediatamente una diagnosi di autismo nelle donne, anche se i sintomi sono sottosoglia, ma che effettuino un’indagine clinica più mirata e dettagliata. D’altro canto, l’assenza di diagnosi o il ritardo nell’individuazione dell’autismo, la mancanza di supporti appropriati e lo stress legato al cercare di apparire normale, aumenta il rischio di problemi emotivi o altri disturbi psicopatologici, inclusi i disturbi alimentari. Va, inoltre, considerato che l’ingenuità nelle relazioni sociali le espone a fenomeni di bullismo, alla vittimizzazione e all’aggressione o all’abuso sessuale. 2.1 Procedure diagnostiche Il percorso diagnostico è un processo complesso che richiede di integrare più fonti: osservazioni cliniche, utilizzo di test diagnostici affidabili, informazioni fornite dai genitori o altri caregiver, dal partner, e, dove possibile, autovalutazioni (CNOP, 2019). Inoltre, possono essere utilizzate prove documentali del comportamento attuale, di quello passato e, in generale, una storia dello sviluppo (NICE, 2012; 2021). L’affidamento a più fonti consente di garantire che tutte le informazioni pertinenti siano incluse e contribuisce ad una maggiore affidabilità e validità della diagnosi che al momento si basa su parametri esclusivamente comportamentali. La valutazione dovrebbe essere personalizzata (Lord et al., 2022) ed effettuata da professionisti formati e competenti che operano all’interno di un’equipe pluridisciplinare Le linee guida sulla diagnosi dell’autismo richiedono una valutazione completa e, nel caso di adulti senza DI, la valutazione consiste in un esame che indaghi caratteristiche dell’autismo e possibili comorbilità. Anche in questo caso, se possibile, occorre una ricostruzione anamnestica con il caregiver principale, oppure un altro individuo (partner, amico). La raccolta anamnestica dettagliata sulla storia dello sviluppo è il primo passaggio fondamentale per evidenziare la presenza di atipie riconducibili allo spettro o ad altri disturbi che potrebbero giustificare le difficoltà in atto presenti. Inoltre, bisogna raccogliere informazioni sulla presenza di eventuali disturbi fisici o neurologici (es. epilessia), problemi di integrazione sensoriale, altre condizioni del neurosviluppo, o altri disturbi mentali (es. schizofrenia, depressione o altri disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo), difficoltà di comunicazione (ad esempio, problemi di linguaggio e mutismo selettivo). Le linee guida NICE UK(2012; 2021) elencano un numero di segni, riportati nella tabella 1, che suggeriscono l’autismo in età adulta. 12
Tab. 1 Sintomi dell’autismo negli adulti Adulti con QI più alto Uno o più dei seguenti: - difficoltà persistenti nell’interazione sociale - difficoltà persistenti nella comunicazione sociale - comportamenti stereotipati (rigidi e ripetitivi), resistenza al cambiamento o interessi ristretti e Uno o più dei seguenti: - problemi nell’ottenere o mantenere un impiego o un’istruzione - difficoltà ad avviare o mantenere relazioni sociali - contatti precedenti o attuali con servizi di salute mentale o disabilità di apprendimento - una storia di una condizione relativa a un disturbo del neurosviluppo (inclusi disturbi dell’apprendimento e disturbo da deficit di attenzione/iperattività) o di altro disturbo mentale Adulti con DI da moderata o grave (utilizzando le informazioni di un membro della famiglia o di un accompagnatore) Due o più dei seguenti: - difficoltà nell'interazione sociale reciproca, tra cui: § interazione limitata con gli altri (ad esempio, essere distaccato, indifferente o mostrare modalità inusuali di interesse) § interazione limitata alla soddisfazione dei bisogni § modalità di interazione ingenua o unilaterale § mancanza di responsività sociale verso gli altri § poco o nessun cambiamento nel comportamento in risposta a diverse situazioni sociali § limitate capacità di empatia - routine rigide e resistenza al cambiamento - attività ripetitive marcate (ad esempio, dondolarsi o battere le dita) soprattutto quando si è sotto stress o quando si esprimono emozioni 2.2 Strumenti di valutazione Il protocollo di valutazione standard dovrebbe includere l’Autism Diagnostic Observation Schedule-Second Edition (ADOS-2; Lord et al., 2012; ed. it. Colombi, Tancredi, Persico e Faggioli) e l’Autism Diagnostic Interview-Revised (ADI-R; Rutter et al., 2005; ed. it. Faggioli, Saccani, Persico, Tancredi, Parrini e Igliozzi), insieme con una misura del funzionamento intellettivo e del comportamento adattivo. La valutazione tradizionale lascia spesso poco spazio all’esame neuropsicologico di domini cognitivi specifici come memoria, attenzione e funzioni esecutive (Bracconier & Siper, 2021). Nell’effettuare la valutazione occorre tenere conto di una serie di fattori che potrebbero interferire sulle performance. Pertanto, potrebbe essere utile adattare/modificare l’ambiente, riducendo gli elementi disturbanti e prevedere pause o più sedute di valutazione. Per maggiori dettagli si rimanda alle linee guida 142 (NICE, 2012). Per la diagnosi definitiva in età adulta, il riferimento principale sembra essere il giudizio clinico (CNOP, 2019), poichè la validità dei test gold standard per la diagnosi di autismo ADOS-2 e ADIR, comunemente usati nell’età evolutiva, è ancora oggetto di discussione, soprattutto in presenza di DI e/o di altri disturbi associati. Come evidenziato in alcune rassegne, inoltre, entrambi gli strumenti richiedono una formazione specifica e il loro utilizzo nella pratica clinica con gli adulti presenta alcune limitazioni: attendibilità/reperibilità del caregiver, materiale non sempre appropriato per tutti gli individui in base all’età, tempo necessario per la loro applicazione (Zingale, 2017). Nei setting clinici, quindi, non sempre è possibile avvalersi di strumenti che risultano dispendiosi e possono richiedere molte ore per essere completati. In alternativa potrebbero essere utilizzati altri strumenti (Keller et at., 2015; Zingale, 2017; CNOP, 2019). Negli adulti senza compromissione intellettiva o 13
con DI digrado lieve, lo screening diagnostico può essere supportato dall’Autism-Spectrum Quotient-10 (AQ-10; Allison et al., 2012), dall’AQ (Baron-Cohenet al., 2001) e dall’EQ (Baron- Cohen & Wheelwright, 2004) o dalla Ritvo Autism Asperger’s Diagnostic Scale – Revised (RAADS-R; Ritvo et al., 2010; ed. it. a cura di Moscone e Vagni, 2013). Altri questionari che possono essere utilizzati a supporto della diagnosi sono la Social Responsiveness Scale versione per adulti (SRS-A; Constantino & Todd 2005) e il Social Communication Questionnaire (SCQ; Rutter et al. 2003). Uno strumento rapido che integra osservazione diretta e colloquio è la Childhood Autism Rating Scale – seconda edizione (CARS 2; Schopler et al., 2010; ed. it. Militerni, Nardocci, Faggioli e Arduino, 2014) che valuta le interazioni sociali, la comunicazione verbale e i comportamenti in persone con autismo a partire dai 24 mesi fino all’età adulta. Nel caso di adulti con DI da moderata a grave si può invece ricorrere allo STA-DI (Kraijer et al., 2006), al DIBAS-R (Heinrich et al., 2018) o al SPAIDD-ASD (Fruscoloni et al., 2017). Se la somministrazione di questi test dovesse evidenziare valori oltre i cut off previsti, sarà necessario un approfondimento con strumenti diagnostici più precisi, effettuato da un’equipe di professionisti specializzati nella diagnosi degli adulti con ASD. La compromissione del funzionamento intellettivo è ampiamente riconosciuta come una caratteristica comune dell’ASD, nonché un predittore di risultati a lungo termine (Bishop et al., 2015).Una stima affidabile dell’abilità intellettiva globale nell’ASD risulta, inoltre, importante perché è fondamentale per qualsiasi ulteriore valutazione neuropsicologica e fornisce indicazioni per la selezione del tipo di intervento più appropriato. Una sottostima dell’intelligenza può stigmatizzare ulteriormente le persone con ASD e può influire negativamente sulle loro possibilità di inserimento nella vita quotidiana, con particolare riferimento al successo scolastico e all’occupazione lavorativa. La valutazione dell’intelligenza, tuttavia, per quanto necessaria, non è un processo lineare e semplice e i risultati degli studi hanno dimostrato che nelle persone con ASD il livello di funzionamento intellettivo varia a seconda del tipo di strumento utilizzato (Nader et al., 2016). Si sottolinea, dunque, la necessità per i clinici di capire quali sono gli strumenti più adatti per valutare il QI negli individui autistici al variare dei livelli di abilità (Bracconier & Siper, 2021). Le scale di intelligenza Wechsler sono i test di intelligenza più frequentemente utilizzati nel mondo. La quarta edizione della scala Wechsler per adulti (WAIS-IV: Wechsler Adult Intelligence Scale - Fourth Edition; Wechsler, 2008; Ed. It. a cura di Orsini e Pezzuti, 2013) consente di valutare diversi aspetti del funzionamento cognitivo di una persona. L’applicazione delle scale Wechsler alle persone con HFA ha messo in evidenza un profilo caratteristico con punti di forza nelle abilità visuo-percettive e punti di debolezza nella comprensione verbale e nella velocità di elaborazione. In presenza di profili disomogenei con una variabilità significativa tra i quattro indici, non dovrebbe essere diagnostica una DI in comorbilità (Zwick, 2017). Dunque, la valutazione del profilo, delle funzioni cognitive e dei processi sottostanti attraverso un esame attento delle prestazioni ai vari subtest risulta fondamentale rispetto alla misurazione del QI, in modo da determinare quali supporti fornire all’individuo personalizzando l’intervento sui bisogni, al fine di ridurre situazioni stressanti. Per tale motivo, accanto alla valutazione intellettiva è bene effettuare una valutazione neuropsicologica delle principali funzioni cognitive: attenzione, memoria, funzioni esecutive, prassie e cognizione sociale. Per tale scopo potranno essere utilizzati alcuni dei principali strumenti noti per i quali è possibile consultare la letteratura scientifica in merito ai risultati delle applicazioni negli adulti con ASD, per es. Wisconsin Card Sorting Test (WCST); Corsi Block Tapping Test; Brief 2; Torre di Londra; Test della fluenza; Stroop test; Figura complessa di Rey, Visual Motor Integration test (VMI); Wechsler Memory Scale—Fourth Edition (WMS-V); ENB 2 (Esame neuropsicologico breve 15-96). Per gli adulti con autismo con limitate capacità cognitive e/o linguistiche per i quali non è possibile ricorrere all’uso della WAIS-IV, possono essere usati test di intelligenza non verbale come: le Matrici Progressive Standard (bambini, adolescenti e adulti da 12 a 80 anni); le Matrici Progressive Avanzate (Adolescenti e adulti con abilità superiori; ed it. Di Fabio e Clarotti, 2007); il Comprehensive Test of Nonverbal Intelligence (CTONI-2; Hammill et al., 2009; Orsini & Pezzuti, 14
2016); la Leiter International Performance Scale-3 (Roid, Miller et al., 2013; ed.it. Cornoldi et al., 2016). Un altro aspetto determinante della valutazione dovrebbe riguardare il funzionamento adattivo che risulta spesso compromesso non solo nelle persone a basso funzionamento, ma anche in quelle con un livello di QI nella media. Per tale scopo potranno essere usate la Vineland Adaptive Behavior Scales II – Second Edition (Sparrow et al., 2005, adattamento italiano di Balboni et al., 2016) e l’ABAS-II (Harrison &Oakland, 2003), sebbene l’adattamento italiano a cura di Ferri e colleghi (2014) copra fino ai 18 anni. Uno strumento utile per la pianificazione dell’intervento è il Teacch Transition Assessment Profile (TTAP; Mesibov et al., 2007; Ed. it. a cura di Faggioli et al., 2010) che valuta il livello di un individuo nelle aree di sviluppo fondamentali per un buon funzionamento nei diversi contesti: familiare, scolastico, lavorativo. Come raccomandato nelle linee guida NICE (2012; 2021), in presenza di comportamenti problema, occorre effettuare un’analisi funzionale, inclusa l’identificazione e la valutazione di eventuali fattori che possono innescare o mantenere il comportamento, come: disturbi fisici; caratteristiche dell’ambiente sociale (comprese le relazioni con la famiglia, il partner, gli accompagnatori e gli amici); elementi dell’ambiente fisico, compresi i fattori sensoriali; disturbi mentali coesistenti (inclusi depressione, disturbi d’ansia e psicosi); problemi di comunicazione; cambiamenti di routine o circostanze personali. Insieme a questa valutazione andrebbero completate anche le valutazioni di quadri psicopatologici in comorbidità, quali ad esempio disturbi depressivi e ansiosi, DOC, uso di sostanze, disturbi di attenzione, DSA, DCA, ma anche forme psicotiche e bipolari, nonché disturbi di personalità, i cui sintomi spesso si sovrappongono a quelli dell’autismo. È importante specificare che se si adottano test che utilizzano la comprensione e interpretazione del testo, soprattutto nell’alto funzionamento, come il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI-2; Hathaway & Mckinley, 1989), si possono ottenere falsi positivi per forme psicotiche, non riuscendo ad individuare invece l’autismo. La stessa cautela va adottata anche nel caso di utilizzo di test self report. Il lavoro in equipe multidisciplinare, nonché l’utilizzo di più strumenti testologici unitamente ad una anamnesi accurata individuale e familiare, con colloqui psicologici di approfondimento, può contribuire in maniera efficace a diminuire questo rischio. 2.3 Condivisione delle informazioni diagnostiche Concluso il percorso diagnostico, la vera difficoltà è rappresentata dal tipo di supporto ricevuto che nella maggior parte dei casi è insufficiente o inesistente (Crane et al., 2018). Ricevere una diagnosi di autismo può essere uno dei più importanti eventi nella vita di un individuo e della sua famiglia, e il modo in cui vengono trasmesse le informazioni diagnostiche può avere effetti profondi e a lungo termine. Tutte le famiglie meritano una spiegazione completa di come è stata raggiunta la diagnosi e quali possono essere le implicazioni in termini di disposizioni future e di sostegno. Se, per qualsiasi motivo, non è possibile arrivare a una precisa diagnosi (o la conclusione è che l’individuo non ha l’autismo), anche questo deve essere spiegato. Le informazioni devono essere fornite in modo chiaro e preciso, utilizzando un linguaggio adeguato al contesto sociale ed educativo della famiglia. È particolarmente importante che i clinici tengano presente che, non di rado, uno o più membri della famiglia può condividere le stesse caratteristiche dell’autismo, quindi la comunicazione deve tenerne conto. È fondamentale riconoscere l’impatto emotivo che la diagnosi può avere sulla famiglia e sull’individuo e trasmettere la diagnosi con empatia (NICE, 2012; 2021). Molte famiglie trovano difficile capire completamente o elaborare le informazioni che vengono date al momento della diagnosi. Pertanto, hanno bisogno di adeguate opportunità per porre domande e chiarire eventuali dubbi rispetto alla condizione del proprio figlio. È necessario fornire una relazione dettagliata che contenga le conclusioni della valutazione. La relazione scritta consentirà 15
loro di condividere i risultati e le raccomandazioni chiave con i servizi che saranno successivamente incaricati di fornire gli interventi, così come con i familiari interessati. In sintesi Anche per le persone adulte risulta indispensabile formulare una diagnosi corretta, basata su criteri il più possibile omogenei che facciano riferimento ai manuali diagnostici attualmente in uso (ICD- 10; DSM 5). Rispetto alla diagnosi di ASD, il ruolo dello psicologo all’interno delle equipe multidisciplinari si è consolidato nel corso degli anni e molti degli strumenti di supporto alla diagnosi hanno visto il ruolo centrale di psicologi nella loro messa a punto e validazione (CNOP, 2019). La valutazione richiede competenze specifiche sulle caratteristiche di questo disturbo, nonché una competenza sulla psicologia clinica e dello sviluppo, nella diagnosi differenziale e un’attenzione particolare al setting in cui si realizza. La diagnosi dovrà essere supportata da strumenti standardizzati gold standard (es. ADOS-2; ADI-R) o da altri con buone proprietà psicometriche (es. CARS 2) o anche da strumenti di screening (es. RAADS-R), purché integrati con un’adeguata valutazione dello stato attuale della persona e della sua storia clinica. La valutazione dovrà includere un’accurata descrizione del profilo di funzionamento della persona a partire dall’abilità intellettiva generale, mediante applicazione di test specifici (es. WAIS-IV; Leiter 3; CPM di Raven), una valutazione del funzionamento adattivo (es. Vineland II; ABAS II), nonché delle componenti neuropsicologiche e delle principali comorbilità psicopatologiche. Tuttavia, molti adulti hanno difficoltà ad accedere a una valutazione diagnostica. Anche se riescono ad ottenere una diagnosi possono non ricevere alcun supporto di follow-up a causa dell’assenza di servizi adeguati o di un percorso di cura concordato (NICE, 2012; 2021). Fattori che possono favorire il processo diagnostico: § conoscenza approfondita delle caratteristiche autistiche e delle manifestazioni sintomatologiche nelle diverse fasi del ciclo di vita, con particolare riferimento all’età adulta, nei diversi livelli di funzionamento e in base al genere. Questo comporta per il professionista un aggiornamento costante mediante attento esame della letteratura scientifica, corsi di formazione specifica e conoscenza dei principali strumenti diagnostici, disponibilità al confronto e al lavoro in equipe; § la carenza di supporto post-diagnostico evidenziato dagli studi, che in alcuni casi è aggravato dalla mancanza di un adeguato sostegno familiare, mette in evidenza la necessità di impegnarsi nella creazione di servizi di supporto, mediante gruppi psico-educativi, soprattutto in considerazione delle difficoltà che le persone con autismo devono affrontare in età adulta: occupazione e partecipazione sociale, problemi di salute mentale. Lo scopo del supporto dovrebbe essere di consentire alle persone che hanno ricevuto una diagnosi di conoscere e scoprire l’autismo, elaborare l’impatto emotivo della diagnosi, sviluppare strategie di coping per capitalizzare i punti di forza e mitigare le sfide associate all’autismo, sviluppare abilità sociali; § gruppi post-diagnostici di auto e mutuo aiuto per adulti con autismo che, come riportato in uno studio recente (Crane et al., 2021), potrebbero consentire di sviluppare una maggiore capacità empatica e sentimenti di fiducia rispetto alla possibilità di inclusione sociale e una maggiore comprensione su come il disturbo possa manifestarsi negli altri. 16
3. Sessualità, relazioni intime e autismo La sessualità è un aspetto complesso della vita della persona che coinvolge i suoi comportamenti, i pensieri, le fantasie, i desideri, le credenze, ed infine offre delle opportunità di connessione interpersonale, promuovendone il benessere (WHO, 2006; Diamond & Huebener, 2012; Dewinter et al., 2020). Inoltre, la possibilità di esprimere e vivere pienamente la propria sessualità è un diritto umano fondamentale (WHO, 2006). L’OMS la descrive come una dimensione che riguarda tutti gli esseri umani nel corso della vita, frutto dell’interazione di fattori biologici, psicologici, economici, sociali, culturali, etici e religiosi. Negli ultimi anni il numero di studi scientifici relativi alla sessualità e alle relazioni intime nelle persone autistiche è cresciuto notevolmente grazie alla crescente consapevolezza che rappresentano una parte importante della vita e del benessere delle persone con ASD (Pecora et al., 2017; Dewinter et al., 2020). Nonostante ciò, risultano ancora limitate le informazioni relative a questioni come traiettorie di sviluppo della sessualità, relazioni intime e soddisfazione sessuale, orientamento sessuale e accesso a servizi adeguati alla promozione della salute sessuale e riproduttiva delle persone con ASD (Kellaher, 2015; van der Miesen et al., 2016; Hancock et al., 2017). Gruppi di advocacy, comitati e focus group delle parti interessate hanno evidenziato la necessità di ulteriori ricerche su autismo e sessualità (Warner et al., 2018; Koffer Miller et al., 2018; Dewinter et al., 2020; Strang et al., 2020). Sebbene in base a quanto riportato dai genitori di persone con ASD, queste si impegnano meno dei loro coetanei a sviluppo tipico in comportamenti sessuali appropriati, la letteratura dimostra che gli individui con ASD, soprattutto quelli con un buon livello di funzionamento, riferiscono di intrattenere comportamenti sessuali e rapporti intimi (Ousley & Mesibov, 1991; Byers et al., 2012; Dewinter et al., 2013). Come sottolineato da Dekker e colleghi (2017), i genitori potrebbero sottostimare questo aspetto a causa del fatto che la maggior parte di questi comportamenti viene messa in atto in privato, ma anche perché i genitori tendono a presumere che la sessualità sia un aspetto inesistente o irrilevante per i propri figli. Dai lavori reperibili in letteratura sull’argomento, emerge che la maggior parte degli adolescenti e dagli adulti con ASD, senza disabilità intellettiva, dichiara di vivere esperienze sessuali (Byers & Nichols, 2014; Strunz et al., 2017). L’età media del primo rapporto sessuale sembra essere di 22 anni (Henault, 2006). La visione della sessualità come processo fisiologico naturale è recente e contrasta con le opinioni precedenti che evidenziavano uno scarso interesse per le relazioni sociali, affettive e sessuali nelle persone con ASD. Prevaleva, inoltre, la tendenza a considerare i comportamenti sessuali come stereotipie (Dewey & Everard, 1974; De Myers, 1979). I risultati degli studi in questo settore hanno mostrato che le persone con ASD mostrano una frequenza di comportamenti sessuali pari a quella dei coetanei a sviluppo tipico. Inoltre, manifestano allo stesso modo delle persone con sviluppo tipico, il desiderio di intraprendere relazioni affettive ed intime con un partner (Byers et al., 2012; Dewinter et al., 2015; Dewinter et al., 2016). Una revisione sistematica della letteratura ha evidenziato che la sessualità e le relazioni sentimentali sono importanti per gli individui con HFA che mostrano un interesse comparabile a quello dei coetanei rispetto ai cambiamenti che si verificano durante la pubertà (Pecora et al., 2016) ed esprimono chiaramente il desiderio di avere un rapporto romantico/sessuale (Hancock et al., 2017; Strunz et al., 2017). Questi dati sono stati confermati da studi che hanno usato forme dirette di valutazione con adolescenti e adulti con ASD (Dewinter et al., 2015; Dekker et al., 2017). Tuttavia, come riportato dai genitori, possono sperimentare maggiori difficoltà di adattamento ai cambiamenti fisici della pubertà, e sono quindi più suscettibili a sviluppare ansia, sentimenti di angoscia e solitudine rispetto ai coetanei (Henault, 2006; Hellemans et al., 2007). Inoltre, le ridotte competenze socio-emotive possono comportare problemi significativi nell’espressione appropriata delle pulsioni e nella possibilità di intraprendere relazioni affettive (Stokes et al., 2007). Alcuni studi hanno evidenziato che queste difficoltà vengono sperimentate maggiormente dalle donne (Attwood, 2009). 17
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