Il direttore d'orchestra - Conservatorio Niccolò Paganini

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Le professioni musicali
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                           Il direttore d’orchestra

L'orchestra
Le prime esperienze
Se è vero che nell'antichità e nel Medioevo agivano in particolari occasioni (feste,
balli, cerimonie nelle corti) gruppi strumentali, possiamo cominciare effettiva-
mente a parlare di Orchestra con il Cinquecento, epoca in cui la musica strumen-
tale iniziò a svilupparsi secondo criteri anche autonomi rispetto a quella vocale.
Si assisteva, allora, ad una produzione che da un lato privilegiava la letteratura
autonoma di strumenti atti alla produzione polivoca (organo, clavicembalo, liuto),
dall’altro favoriva il formarsi di gruppi quanto mai eterogenei, sulla base delle
effettive disponibilità ambientali e delle circostanze.
Il termine Concerto oltre a indicare una forma inizialmente vocale e strumentale
(i Cento concerti ecclesiastici di Ludovico Grossi da Viadana, ad esempio)
significò anche quello di raggruppamento di strumenti.
La eterogeneità dei “Concerti” durò a lungo. Ancora nel 1607 per il suo Orfeo
Monteverdi prevedeva un organico quanto mai variabile e nutrito: 2 gravicembali
2 contrabbassi di viola, 10 viole da brazzo , 1 arpa doppia, 2 violini piccoli alla
francese, 3 chitarroni, 2 organi, di legno, 2 viole basse, 5 tromboni, 1 regale, 2
cornetti, 1 flautino alla vigesima seconda, 1 clarino, 4 trombe sordine, arpe, cete-
roni, flautini. Parrebbe una accozzaglia di strumenti. In realtà il compositore non
li usava tutti insieme, ma all’interno privilegiava diverse formazioni minori.
Lo stesso Monteverdi, nel Combattimento di Tancredi e Clorinda faceva invece
ricorso ad un concerto a 4 parti di viole che si proponeva come un esempio inte-
ressante di orchestra d’archi con tanto di effetti speciali come il tremolo e il pizzi-
cato.
E nel 1634 Stefano Landi nel Sant’Alessio riuniva un complesso formato da violi-
ni I, violini II, violini III, violone (oltre a strumenti per il b.c. come arpe, liuti,
tiorbe, lira e clavicembalo). Prendeva insomma corpo l’orchestra d’archi che sa-
rebbe stata la base del primo Barocco.

L’orchestra barocca
L’Orchestra barocca, nei primi decenni del Settecento può essere formata (non
sempre tutti gli strumenti sottoelencati sono presenti) da:

2 oboi, 1 oboe d’amore, 1 oboe da caccia, 1 fagotto
2 corni, 2 trombe
2 timpani - 1 clavicembalo
6 violini, 3 viole, 2 violoncelli, 1 contrabbasso

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L’Orchestra classica

Nel periodo classico (intorno alla fine del Settecento) l’Orchestra è formata da:

2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti
2 corni, 2 trombe
2 timpani
14 violini, 6 viole, 4 violoncelli, 2 contrabbassi

Anche in questo caso l’organico soprariportato va inteso in senso generale.
Ad esempio, nella Sinfonia in sol minore K 550, Mozart rinunciò alle trombe.
E Beethoven nella Sinfonia n.3 aggiunse un corno, nella n.5 inserì l’ottavino, il
controfagotto e tre tromboni (con conseguente ampliamento degli archi) e nella
Nona concepì un organico assai più ampio, comprendente:

1 ottavino, 2 flauti, 2 oboi
2 clarinetti, 2 fagotti, 1 controfagotto
2 corni in re e in sib basso
4 corni, 2 trombe, 3 tromboni
timpani, triangolo, piatti, grancassa
archi
soli e coro

L’orchestra romantica

L’organico-tipo di un’orchestra di metà Ottocento è:
1 ottavino, 3 flauti, 3 oboi, 1 corno inglese
3 clarinetti, 1 clarinetto basso
3 fagotti, 1 controfagotto
4 corni, 4 tube wagneriane
4 trombe, 4 tromboni, 1 tuba
1 tam-tam, 1 campane tubolari, 2 piatti, 1 glockenspiel, 1 xilofono

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1 grancassa, 1 tamburo militare, 2 timpani
2 arpe, 30 violini, 12 viole, 10 violoncelli, 8 contrabbassi

Anche in questo caso l’organico va assunto come possibile, ma non obbligatorio.
Schumann, ad esempio nella sua Sinfonia n.3 utilizzò:
2 flauti, 2 oboi
2 clarinetti, 2 fagotti
4 corni, 2 trombe, 3 tromboni
timpani
archi

E nel 1837 nel suo Requiem, Berlioz ampliò sensibilmente l’organico:
210 voci
4 flauti, 2 oboi, 4 clarinetti, 12 corni
8 paia di timpani, grancassa, tam-tam, piatti - 108 archi
Nel Tuba mirum, disposti ai quattro angoli della sala, intervennero 4 gruppi:
4 cornette, 4 tromboni, 2 tube a nord
4 trombe, 4 tromboni a est e a ovest
4 trombe, 4 tromboni, 8 oficleidi a sud

Prima del podio
I più antichi antenati del direttore d’orchestra possono essere individuati nel cori-
feo che guidava i cori nelle tragedie greche e nel primicerio medioevale che ba-
sandosi sulla chironomia guidava le Scholae cantorum nell’esecuzione del canto
gregoriano.
Nel Cinquecento i complessi corali e i concerti strumentali erano guidati in gene-
re dal praecentor o dal «maestro dei concerti»: ricorreva a movimenti della mano
oppure a percussioni con una verga sul leggio o con il piede a terra.
La battuta “rumorosa” (ovvero con il piede a terra) era usata soprattutto nella
musica strumentale. E rimase in uso anche in epoca successiva, pur con qualche
modifica. Lully (1632-1687) , ad esempio, dirigeva battendo a terra un grosso ba-
stone. Si racconta che un giorno eseguendo il proprio Te Deum davanti al Re, col-
pì per errore il proprio piede, l’infezione che ne sortì fui deleteria tanto che il mu-
sicista ne morì!
Già nel Cinquecento, comunque, si usava anche una bacchetta. Ad esempio, il
«Concerto delle Dame» aveva una propria maestra che usava appunto la bacchet-
ta.
Con l’avvento dell’opera e con l’uso del basso continuo, cominciò ad affermarsi nel
Seicento la figura del maestro al cembalo (maestro di cappella) che realizzava il
basso continuo e nello stesso tempo teneva d’occhio le parti vocali.
Contemporaneamente la crescente importanza assunta dagli archi, pose in evi-
denza il primo violino, tanto che venne configurandosi una sorta di doppia dire-
zione: il maestro di cappella curava l’esecuzione con particolare riguardo alle voci,
il primo violino (in Germania ancora oggi chiamato Konzertmeister) si occupava
invece degli strumentisti.

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    La prassi dei teatri italiani – ha scritto Antonio Rostagno 1 riferendosi ancora al
    Settecento e al primo Ottocento - prevedeva consuetamente due distinte competen-
    ze: il «maestro al cembalo» insegnava e coordinava le parti vocali (in alcuni casi i-
    struiva i cori ) e il «primo violino capo e direttore d'orchestra» curava l'esecuzione;
    quest'ultimo dirigeva l'orchestra (o meglio guidava l'orchestra nell'assecondare i
    cantanti) facendo i principali segnali con l'archetto, suonava i passi più rischiosi e
    raddoppiava qualunque elemento in difficoltà, o a tratti teneva il tempo battendo
    l'archetto sul leggio. Come testimonia Alberto Mazzucato, questa prassi implicava
    un'imprecisione negli attacchi simultanei e nelle dinamiche e una difficoltà nel se-
    guire le libertà agogiche dei cantanti.
    Intorno al 1850 si alzano le prime voci contro questa prassi: Lauro Rossi
    sull'«Omnibus» di Napoli indica l'utilità di adottare l'unificazione delle mansioni di
    concertatore e direttore, già praticata oltralpe, a cui fanno eco Mazzucato, Luigi
    Felice Rossi e Angelo Catelani sulla «Gazzetta» di Ricordi.

Il direttore moderno
Il concetto della direzione d’orchestra intesa in senso moderno nacque all’inizio
dell’Ottocento quando alla figura del compositore abituale presentatore delle pro-
prie opere, del maestro al cembalo e del primo violino conduttore, si sostituì un
direttore in senso integrale, non adibito cioè direttamente alla esecuzione e in-
terprete anche di opere altrui.
Se Beethoven ancora diresse le proprie sinfonie, Schubert non salì mai sul podio e
Mendelssohn diresse alcune delle Sinfonie di Schumann.
Scomparso il maestro al cembalo, l’intervento di un musicista adibito esclusiva-
mente alla direzione, senza preoccupazioni di dover maneggiare uno strumento,
era resa necessaria sia dall’ampliamento dell’orchestra, sia da una scrittura sem-
pre più complessa.
Vale la pena citare una lettera scritta da Haydn il 17 ottobre 1789 come accom-
pagnamento a tre sue Sinfonie:

    Ora vorrei umilmente chiedervi di dire al Kapellmeister del Principe che queste tre
    sinfonie, a causa dei loro numerosi effetti particolari, andrebbero provate almeno
    una volta attentamente e con una speciale concentrazione, prima dell’esecuzione 2.

Dalle raccomandazioni di Haydn si deduce che allora non c’era la consuetudine di
“provare” secondo la nostra moderna concezione.
Oltre agli aspetti tecnici, la nascita del direttore in senso moderno è da intendersi
anche in un’ottica culturale. Come è noto il Romanticismo segnò la nascita del
concetto di “storia” legato in campo musicale all’idea di repertorio, di indagine del
passato e di riscoperta di autori delle epoche precedenti. Se fino al Settecento si
era “consumata” la musica del tempo e raramente si era andati a recuperare pa-
gine di epoche precedenti, con il Romanticismo il guardare al passato divenne
prassi naturale. Nacque così la moderna figura dell’interprete.

1A. ROSTAGNO, Verdi e Mariani in Giuseppe Verdi genovese, a cura di Roberto Iovino e S. Verdi-
no, Libreria Musicale Italiana, Lucca 2000, p.34.
2 In CHARLES ROSEN, Lo stile classico, Feltrinelli, Milano 1979, p. 167.

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Tra gli iniziatori della nuova pratica direttoriale si segnala Johann Friedrich Rei-
chardt (1752-1814) a cui viene attribuita l’adozione della bacchetta.
Ignaz Franz Mosel, direttore del “Musikfest” a Vienna nel 1812 usava
un’asticciuola, altri colleghi ricorrevano a un rotolo di pelle mentre molti preferi-
vano mantenere l’archetto. Beethoven probabilmente utilizzava un fascicolo di
musica arrotolato.
Carl Maria von Weber introdusse la bacchetta a Dresda nel 1817; Spohr nello
stesso anno a Francoforte. Spontini, nella sua veste di direttore all’Opera di Ber-
lino dal 1820, usava due bacchette, di differente lunghezza, che alternava duran-
te le esecuzioni, impugnandole a metà e non alla base; Mendelssohn, infine, la in-
trodusse al Gewandhaus di Lipsia nel 1835.
Al suo primo concerto il 4 ottobre 1835 era presente Schumann che ne scrisse 3:

    Era un piacere vedere come Meritis [Mendelssohn] indicava già prima con l’occhio
    le diverse sinuosità dello spirito della composizione, dalla più fine alla più forte
    sfumatura e come beato Meritis si librava innanzi al tutto, mentre alle volte si in-
    contrano maestri che minacciano di bastonare con lo scettro la partitura,
    l’orchestra tutta e il pubblico.

A Parigi ebbe un ruolo fondamentale Francois Antoine Habeneck che svolse fun-
zioni di concertatore e direttore alla «Societé des Concerts» del Conservatorio di
Parigi dal 1828 al 1848. Fu lui, nell’arco di alcuni anni, a far conoscere ai parigini
l’intero ciclo delle sinfonie di Beethoven.
Va ricordato che per molto tempo i direttori dell’Ottocento non si servirono della
partitura che per il loro studio privato; sul podio in realtà utilizzavano la parte
del primo violino sulla quale avevano annotato le entrate dei vari strumenti. In
campo operistico, si aggiungeva alla parte del primo violino un rigo per i recitati-
vi cantati.
In seguito all’Opera di Parigi (e poi in altri teatri) fu adottata una particolare no-
tazione riassuntiva, detta del violon principal: comprendeva un rigo superiore con
la parte del primo violino, uno inferiore per il basso e in mezzo un duplice rigo
con la riduzione delle altre parti orchestrali e un altro rigo semplice per le entrate
dei cantanti.

Carl Maria von Weber
Carl Maria von Weber (1786-1826), pianista, compositore, autore della prima o-
pera “romantica tedesca” (Der Freischütz , Il franco cacciatore) fu un autorevole
direttore d’orchestra. Fu Kapellmeister in diverse città: Breslavia (1804), la corte
di Stoccarda (1807-1810), l’Opera di Praga (1813-1816), l’Opera di Berlino (1816-
1817), Dresda (dal 1817). In tale veste si prodigò non solo per lanciare l’opera te-
desca in contrasto con l’imperante scuola italiana, ma per migliorare la qualità
degli allestimenti lirici.

3M.BRUNI, Direzione d’orchestra, voce in DEUMM, Dizionario Enciclopedico Universale della
Musica e dei Musicisti, diretto da Alberto Basso, Il Lessico, vol. II,Utet, Torino 1983, p.45.

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    Weber riorganizzò la tradizionale disposizione dell’orchestra. Desiderando ottenere
    una fusione e un controllo maggiori. […] Quando giunse a Dresda, trovò l’orchestra
    nella disposizione piuttosto casuale che aveva mantenuto dai tempi di Hasse: il di-
    rettore sedeva al pianoforte, al centro e non poteva vedere tutti gli orchestrali,
    mentre un violoncello e un contrabbasso leggevano la partitura da dietro le sue
    spalle. Si trattava di un retaggio della prassi esecutiva del basso continuo […]. Il
    suo progetto prevedeva che gli archi più acuti venissero spostati alla destra del di-
    rettore, i legni e gli ottoni alla sua sinistra, lasciando gli archi più bassi alle sue
    spalle e voleva anche avvicinare il podio alla buca del suggeritore. Questa nuova
    disposizione, che non gli permetteva di vedere tutta l’0orchestra, può sembrare un
    ben scarso progresso; ma come Weber sottolineò […] la posizione del direttore di
    un’opera era al centro della rappresentazione da dove poteva controllare sia
    l’orchestra sia il palcoscenico; la nuova disposizione gli consentiva di essere più vi-
    cino ai cantanti, di vedere dietro le quinte e all’occorrenza di avere anche un con-
    tatto, se pure molto discreto con il suggeritore 4.

Weber pose inoltre molta attenzione agli aspetti visivi: curò le scene, rivoluzionò
i costumi cercando un maggiore collegamento con il dramma rappresentato. Rin-
novò le tecniche di illuminazione importando le nuove lampade di Argand e sosti-
tuendo così le vecchie candele con i nuovi sistemi di lampade a olio. Aumentò
sensibilmente il numero delle prove lavorando con i cantanti anche sul piano del-
la recitazione.

Hector Berlioz e Richard Wagner
Un contributo fondamentale all’affermazione del direttore in senso moderno fu
dato da Hector Berlioz e da Richard Wagner. Due artisti dalle visioni estetiche
totalmente differenti (e non a caso entrarono in forte polemica), ma accomunati
da due elementi: non erano strumentisti, quindi legati ad alcuno strumento in
particolare, ingigantirono sensibilmente l’organico orchestrale.
Berlioz con il suo Art de chef d’orchestre pubblicato in appendice al Grande trat-
tato di orchestrazione (1844) e Wagner con il volume Über das Dirigieren (1869)
furono tra l’altro fra i primi teorici dell’arte direttoriale.

    Contro l’empirismo dei direttori del suo tempo, […] Berlioz detta innanzitutto la
    codificazione rimasta poi nell’uso dei gesti indicativi dei vari tipi di misura e sud-
    divisione, gesti che egli vuole eseguiti con chiarezza e moderazione dalla mano ar-
    mata di bacchetta. […] La battuta nelle misure irregolari; quella che si richiede per
    i casi di sovrapposizione di metri e ritmi contrastanti (fra i quali l’autore porta co-
    me esempio il caso della scena del ballo nel Don Giovanni di Mozart, con le 3 orche-
    stre trattate in 3 misure differenti); il prolungamento e il troncamento della corona;
    la parte che nell’esercizio della direzione deve assumere lo sguardo rivolto agli ese-
    cutori: tali sono, con altri ancora, gli argomenti trattati in questo esauriente com-
    pendio della pratica direttoriale dove è prescritto: che il direttore, posto su un podio
    tanto più elevato quanto più ampio è lo schieramento orchestrale, eserciti le sue
    funzioni in piedi e non seduto (norma questa che per lungo tempo seguitò tuttavia a
    incontrare una certa resistenza); che egli si serva sempre ed esclusivamente della

4J.WARRACK, Weber, in J.WARRACK, H.MACDONALD, K.H.KÖHLER, Weber, Berlioz, Mendelssohn,
Ricordi/Giunti, Firenze 1989, pp. 37-38.

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     partitura e non di parti staccate o di riduzioni; che qualunque rumore prodotto du-
     rante l’esecuzione, dai colpi di bacchetta sul leggio o dal piede sul podio debba esse-
     re bandito […] 5.

A differenza della trattazione di Berlioz, volta soprattutto a sviscerare aspetti
tecnici, quella di Wagner affronta essenzialmente aspetti interpretativi di deter-
minate opere, sue e altrui che il musicista conosceva bene per studio ed esecuzio-
ne diretta.
Va notato che quando la professione del direttore andò sempre più specializzan-
dosi, Wagner delegò la presentazione delle proprie opere ad altri artisti formatisi
alla sua “scuola” come von Bulow, Hans Richter, Hermann Levi.

Hans von Bulow
Hans von Bülow (1830-1894) è stato un dei maggiori direttori d'orchestra
dell'800, e la sua attività in questo campo fu fondamentale per l'affermazione e il
successo di molti famosi compositori, Richard Wagner in testa.
Nato a Dresda, in Sassonia, da nobile famiglia, dall'età di nove anni studiò piano-
forte con Friedrich Wieck (il padre di Clara Schumann). Nel 1842 ascoltò per la
prima volta un'opera di Wagner, Rienzi, e ne ricevette una fortissima impressio-
ne. Tuttavia, i suoi genitori insistevano perché egli studiasse legge e non musica,
e lo mandarono a Lipsia.
A Lipsia, però, Bülow incontrò Franz Liszt e, quando ascoltò la prima del Lohen-
grin di Wagner nel 1850 a Weimar, diretta dallo stesso Liszt, decise di ignorare
gli ordini dei genitori e tentare invece una carriera nella musica. Ottenne il pri-
mo impiego come direttore d'orchestra poco dopo, a Zurigo, su raccomandazione
di Wagner, cui si era presentato come fervente ammiratore e che aveva subito ri-
conosciuto in lui del talento.
Bulow divenne subito sostenitore di quella "musica dell'avvenire" che vedeva i
suoi due maggiori esponenti in Wagner e Liszt. A Liszt, di cui divenne allievo nel
1851, lo legavano anche motivi personali: nel 1857 a Parigi, infatti, ne sposò la
figlia, Cosima, da cui ebbe due figlie, Daniela e Blandine. Durante gli anni '50 e i
primi anni '60 dell'800 fu impegnato come pianista, direttore d'orchestra e scrit-
tore, e divenne ben conosciuto in Germania e in Russia. Nel gennaio 1857 eseguì
la prima assoluta della Sonata in si minore di Liszt a Berlino, nel marzo 1859 di-
resse il Preludio di Tristan und Isolde a Praga, nel luglio 1862 eseguì al pianofor-
te i Wesendonck-Lieder a Magonza
Nel 1864, Wagner, divenuto il protetto del giovane re di Baviera Luigi II, suggerì
al monarca il nome di Bülow quale direttore del Teatro di Corte di Monaco, rite-
nendolo l'unico in grado di dirigere le sue opere, e fu in tale carica che egli rag-
giunse la massima notorietà. Diresse infatti le prime rappresentazioni di Trista-
no e Isotta e I maestri cantori di Norimberga, rispettivamente nel 1865 e nel
1868; in entrambi i casi si trattò di un trionfo. Dal 1867 al 1869 divenne il secon-
do Direttore Musicale Generale della Bayerisches Staatsorchester succedendo a
Franz Lachner. Nel 1868, Cosima lasciò ufficialmente Bulow per stare con Wa-

5
    DEUMM, op. cit., p. 46

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gner del quale era divenuta amante da tempo. Questo tuttavia non incrinò i rap-
porti artistici fra Wagner e il direttore d’orchestra.
Negli ultimi anni, assieme alla musica di Wagner, Bülow sostenne anche quella
di Brahms del quale diresse la prima esecuzione della Quarta Sinfonia nel 1885.
Nel 1875 a Boston aveva anche presentato il Concerto per pianoforte e orchestra
n. 1 di Čajkovskij.
Fra gli ultimi incarichi si può ricordare la guida dei Berliner Philharmoniker co-
me direttore stabile (1887-1892).

Angelo Mariani

   Faremo pure i nostri complimenti al Signor Mariani Direttore dell’Orchestra per la
   sua solita bravura nel dirigerla, ma avremmo preferito di vederlo dirigere col suo
   solito archetto e col violino anziché con quella certa cosa, che non sapevamo che
   fosse, ma che ci venne detto essere una bacchetta 6.

Scriveva così il giornale satirico «La Maga», il 28 dicembre 1852, recensendo la
prima esecuzione genovese di Rigoletto al Teatro Carlo Felice.
Per la prima volta un direttore d’orchestra utilizzava, dunque, nel teatro genove-
se, la bacchetta al posto dell’archetto.
Angelo Mariani (Ravenna, 1821 – Genova, 1873), è stato il primo grande direttore
d’orchestra italiano nel senso moderno del termine.

   Le sue prime esperienze sono, secondo l'uso corrente, come primo violino direttore
   alla maniera di Rolla, Festa, Petrini-Zamboni, Angelini. Dopo esperienze in piazze
   minori anche come direttore di banda, esordisce a Milano nelle stagioni estive dei
   teatri Carcano e Re dirigendo, fra il 1846 e il 1847, I due Foscari, Nabucco, I Lom-
   bardi, Ernani e Giovanna D'Arco. Secondo Mariani in quel momento iniziò «pro-
   priamente la mia carriera di direttore d'orchestra». La conoscenza con Verdi, allora
   residente a Milano, avvenne probabilmente in queste occasioni; il 2 luglio 1846
   Muzio scrive a Barezzi sull'ottima esecuzione dei Due Foscari, senza però nominare
   Mariani 7.

A Genova l’artista si presentò per la prima volta il 15 maggio 1852 dirigendo Er-
nani e, pochi giorni dopo, Roberto il diavolo di Meyerbeer. Il successo fu notevole
e al termine della stagione, Mariani, soddisfatto del lavoro e del soggiorno geno-
vese, accettò l’offerta del Comune di Genova e fu nominato direttore della Civica
orchestra. Mantenne l’incarico fino alla morte avvenuta nel 1873. Abitava in Pa-
lazzo Sauli in Carignano, nello stesso palazzo dove nel 1867 affittò un apparta-
mento Verdi. I due furono dunque per molti anni vicini di casa e amici strettissi-
mi. L’epistolario di Verdi ne è una dimostrazione: molte le lettere indirizzate al
direttore d’orchestra e relative sia ad aspetti musicali, sia a questioni diverse,

6 R. IOVINO, La critica verdiana: dai giornali genovesi dell’Ottocento in Giuseppe Verdi genovese,

op. cit., p. 131
7 A. ROSTAGNO, op. cit., pp. 34-34.

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come ad esempio, la richiesta di informazioni durante la seconda guerra di indi-
pendenza. Basta citare, a titolo d’esempio, le due seguenti lettere 8:

     Ad Angelo Mariani.                              S. Agata 27 Maggio 1860
     Car.° Mariani
     [...] Evviva dunque Garibaldi. Per Dio è un uomo veramente da inginocchiarsi da-
     vanti! Fin che resti a Genova dammi frequenti notizie delle cose di Sicilia che m'in-
     teressano assai. E perché questo scrivere non ti sia di molto peso alla sera prima di
     coricarti scrivi sopra un pezzettino di carta le notizie che saprai, getta la lettera in
     buca ed amen [...].

     Allo stesso.                                   Busseto 7 Ottobre 1860
     Car.° Mariani
     […] Ma dimmi di altra musica, la quale (domando scusa a tutti voi altri figli di A-
     pollo) mi interessa assai più. Oh scusate scusate! Come vanno le Crome e biscrome
     di Cialdini, Persano, Garibaldi etc. etc.? Tu m'avevi promesso di scrivermene, e, te-
     staccia, l'hai dimenticato. Quelli son Maestri! e che Opere! e che Finali! a colpi di
     cannone! [...].

L’amicizia fra i due artisti si incrinò negli ultimi anni di vita di Mariani per ra-
gioni artistiche e personali. Mariani si rifiutò di dirigere Aida al Cairo e ci furono
incomprensioni fra i due relativamente alla realizzazione della Messa da Re-
quiem in ricordo di Rossini progettata da Verdi (in collaborazione con altri autori)
ma mai realizzata. In più, Verdi ebbe probabilmente una relazione con la cantan-
te Teresa Solz (da lui scelta come interprete di Aida) che era l’amante di Mariani.
Al di là dei difficili rapporti umani, Mariani fu uno straordinario interprete ver-
diano, ma ebbe proficui contatti anche con la musica wagneriana: si deve a lui,
nel 1871 a Bologna, la prima esecuzione in Italia di un’opera del grande composi-
tore tedesco, Lohengrin; l’anno dopo, sempre a Bologna, diresse la prima italiana
di Tannhauser.

Carlo Felice – L’Orchestra Civica
Il 30 settembre 1850 venne costituita al Carlo Felice l’Orchestra Civica, affidata
per la direzione a Giovanni Serra che l’anno dopo assunse la direzione della Scuo-
la Civica (oggi Conservatorio N.Paganini) e che nel 1852, come si è già ricordato,
lasciò l’incarico a Mariani.
Il Consiglio Generale del Comune, nella seduta del 7 maggio 1850 aveva stilato
un «Regolamento di istituzione di un’Orchestra Civica destinata al servizio dei
Teatri appartenenti alla città e dipendente dall’Amministrazione comunale di
Genova».

     L’Orchestra – recitano gli articoli 3 e 4 – è composta di un Maestro di Cappella e di
     n. 56 professori dei quali n. 36 effettivi e n. 20 soprannumerari… I professori effet-
     tivi sono: 1 Primo Violino Direttore d’orchestra; 1 Primo violino di spalla con obbli-
     go di suonare gli a-solo; 1 primo violino dei secondi per le opere; 1 primo violino per
     i balli; 1 primo violino dei secondi per i balli; 5 primi violini; 4 secondi violini; 1

8   G. VERDI, Lettere, op. cit., rispettivamente p.397 e p.399.

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  prima viola; 1 seconda viola; 1 primo violoncello per le opere; 1 secondo violoncello e
  primo per i balli; 1 altro violoncello; 1 primo contrabbasso per le opere; 1 secondo
  contrabbasso e primo per i balli; due altri contrabbassi; 1 primo clarinetto per le
  opere e balli; 1 secondo clarinetto; 1 primo oboe con obbligo di suonare anche il
  corno inglese; 1 secondo oboe; 1 primo flauto; 1 secondo flauto con l’obbligo di suo-
  nare anche l’ottavino; 1 primo fagotto; 1 secondo fagotto; 1 primo corno; 1 secondo
  corno; 1 prima tromba; 1 seconda tromba; 1 primo trombone.

I doveri dei Professori erano sintetizzati agli articoli 6 e 7:

  Tutti i Professori effettivi sono obbligati a servire il Teatro Carlo Felice o quello do-
  ve si porterà lo spettacolo in tutte le campagne teatrali, sia d’opera e ballo che di
  rappresentazioni drammatiche, qualunque sia per esse la loro durata. In caso pe-
  raltro di apertura simultanea di due teatri saranno sempre addetti allo spettacolo
  principale. Essi sono pure obbligati a prestare l’opera loro nelle altre feste ed acca-
  demie straordinarie che all’Amministrazione Comunale occorresse di dare nel tea-
  tro o nelle sale del ridotto, nelle tre funzioni sacre che saranno determinate dalla
  città e finalmente nella processione solenne del Corpus Domini… Tutti i Professori
  effettivi sono anche tenuti a riunirsi sei volte l’anno in quelle sere che saranno sta-
  bilite dal sindaco nelle sale del Ridotto per ivi esercitarsi nell’eseguire pezzi scelti
  di musica…

I Professori soprannumerari (gli attuali precari) erano tenuti a suonare nelle sta-
gioni di Carnevale e di primavera. Nelle feste e accademie straordinarie, nelle tre
funzioni sacre e nella Processione solenne del Corpus Domini.
L’articolo 11 specificava:

  Il Maestro di Cappella deve andare di buona intelligenza col primo Violino Diretto-
  re d’Orchestra affinché gli spettacoli, le accademie e le funzioni di Chiesa possano
  avere l’esecuzione più perfetta. Deve fare le prove al cembalo di tutte le opere come
  pure presenziare e dirigere con ogni premura tutte quelle che delle opere stesse o
  di qualsiasi altro pezzo di musica si fanno in orchestra… Sarà quindi obbligato sot-
  to la sua responsabilità a fare eseguire tutti gli spartiti per intiero senza omettere,
  variare o accorciare alcun pezzo di musica senza un espresso preventivo concerto
  col Sindaco della città (!). Per evitare poi che non abbiano a moltiplicarsi ed a pro-
  lungarsi troppo le prove delle opere, prima che si comincino quelle d’orchestra do-
  vrà farne eseguire una della sola musica per ogni spartito ad oggetto corregger le
  parti.

Il primo violino direttore d’orchestra aveva il compito di prendere i tempi dal Ma-
estro di Cappella per farli poi rispettare dall’orchestra con precisione; inoltre era
responsabile della esatta esecuzione della musica. Il primo violino, oltre ad ese-
guire gli assoli doveva sostituire il primo violino direttore d’orchestra in caso di
sua assenza.
Gli aspetti disciplinari erano invece chiariti nell’articolo 14: ogni professore era
tenuto ad osservare il silenzio in orchestra e ad eseguire con tutta esattezza la
propria parte. Doveva presentarsi in teatro mezz’ora prima l’inizio dello spettaco-

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Le professioni musicali
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lo, non poteva accettare altri impegni per i giorni e le ore di spettacolo nè farsi
rimpiazzare: ogni assenza doveva essere giustificata.

Paganini e l’Orchestra del Ducato di Parma
Della poliedrica figura artistica di Niccolò Paganini, l’attività di direttore
d’orchestra è forse quella meno conosciuta e approfondita. Si può ricordare che
nel 1821, a Roma, Paganini era intervenuto in aiuto dell’amico Rossini dirigendo
alcune recite dell’opera Matilde di Shabran.
Ma l’impegno maggiore come direttore, l’artista lo profuse negli ultimi anni di
carriera, quando, rientrato in Italia dopo il tour europeo, accettò, nel 1834,
l’incarico a Corte nel Ducato di Parma (città dove aveva acquistato Villa Gajone,
per farne la sua residenza stabile).
Il 25 ottobre 1834 Paganini era stato ammesso alla presenza di Maria Luigia e il
14 novembre successivo si era esibito in un concerto benefico, affiancato da alcuni
giovani cantanti parmigiani al loro debutto. Il successo era stato tale che Maria
Luigia lo aveva invitato a suonare per lei in occasione della festa per il suo com-
pleanno, il 12 dicembre successivo.
Nel 1835 avviò la direzione dell’Orchestra.
Il 23 dicembre lo stesso artista scrisse soddisfatto a Germi 9:

     Le mie due sinfonie il Guillaume Tell ed il Fidelio da me dirette il 12 a Corte, fece-
     ro fanatismo; e rimasero convinti intorno alla direzione di un maestro. […] La Cor-
     te mi ha fatto l’onore di nominarmi pure della Commissione Teatro, delegato alla
     musica e nulla si fa senza la mia approvazione. Dalle 3 lezioni date all’orchestra ed
     avendo fatte cambiare le lancie [sic] agli strumenti da fiato, eccellente effetto pro-
     duce nell’opera i Puritani.

Il 5 gennaio 1836 ancora a Germi in stile stringato, quasi telegrafico 10:
     L’orchestra fanatismo. Io felice per avere ottenuto quanto potevo desiderare. Sono però
     tuttavia occupatissimo perché nulla muove senza il mio consiglio, per l’onorevole carica
     di direttore in capo del globo armonico come membro della Commissione di detto Tea-
     tro…

Il soggiorno alla corte di Maria Luigia è legato ad una riforma dell’Orchestra cui
Paganini mise mano con entusiasmo e che fallì per la forte opposizione contro cui
dovette misurarsi.
Alla Corte di Maria Luigia, Paganini iniziò a mettere a frutto l’enorme esperienza
maturata all’estero. Il Genovese si era esibito con molte orchestre, aveva potuto
verificare la validità dell’organizzazione di certe strutture europee: basta pensare
alla già citata Societè des Concerts du Conservatoire di Parigi, diretta da Habe-
neck. Paganini aveva constatato l’enorme divario esistente nella gestione della
musica fra l’Europa (proiettata verso un mercato imprenditoriale) e l’Italia (lega-
ta ancora a schemi di derivazione settecentesca).

9   E.NEILL, Paganini, Epistolario, Comune di Genova, Siag ed. Genova, 1982, p.192
10  E.NEILL, op. cit., p. 193.

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Le professioni musicali
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La riforma tentava di allineare Parma a Vienna e Parigi. Un sogno, naturalmen-
te, irrealizzato, ma interessante perché evidenzia l’intelligenza non solo artistica,
ma anche pratica e organizzativa di Paganini.
Il musicista affidò l’orchestra a un direttore unico, togliendo tale responsabilità al
primo violino come era prassi.

      In tutte le orchestre principali in Vienna, Berlino, Monaco, Parigi, Londra – osservò Pa-
      ganini 11 – evvi un maestro collocato in modo da comunicare i suoi pensieri ai cantanti e
      all’orchestra. Egli ha lo spartito sott’occhio posto sopra un pianoforte o tavolino di cui si
      vale all’occorrenza con la mano sinistra. Egli sta in piedi, dà i movimenti, marca le bat-
      tute, serve di cronometro, avverte coll’occhio ed è il centro dell’unità…

Fissò poi l’organico strumentale ispirandosi alle sinfonie beethoveniane e preve-
dendo una serie di sostituti e di aggiunti. Il Progetto si articolava in 39 articoli
nei quali erano elencati organico, mansioni, diritti e doveri di ciascuna compo-
nente del complesso. Altri 13 articoli vertevano invece sulle “Penali da imporsi al-
le trasgressioni del presente regolamento”. Il regolamento rimase inattuato e Pa-
ganini preferì lasciare l’incarico.

Le dieci regole di Richard Strauss
Richard Strauss (1864-1949) ha affiancato alla sua straordinaria attività creati-
va (si citano oltre ai poemi sinfonici, opere come Salome, Der Rosenkavalier, Ca-
priccio) un intenso lavoro direttoriale, avviato come assistente di Hans von Bu-
low. Nel 1928 annotò nell’album di un giovane direttore d’orchestra le seguenti
“Dieci regole auree” 12:

     1. Ricordati che non fai musica per il tuo piacere, ma per la gioia dei tuoi ascoltatori.
     2. Quando dirigi non devi sudare, solo il pubblico deve riscaldarsi.
     3. Dirigi Salomè e Electra come se fossero state scritte da Mendelssohn: musica di
     Elfi
     4. Non lanciare mai sguardi incoraggianti agli ottoni; solo una breve occhiata per da-
     re un’entrata importante
     5. Al contrario, non perdere mai d’occhio i corni e i legni: se li senti vuol dire che suo-
     nano già troppo forte.
     6. Se ritieni che gli ottoni non suonino abbastanza forte, smorzali ulteriormente di
     due gradi di intensità
     7. Non basta che sia tu a distinguere ogni parola del cantante, tu che conosci quelle
     parole a memoria: è il pubblico che deve poterle seguire senza fatica. Se non capisce il
     testo, dorme.
     8. Accompagna sempre il cantante in modo che possa cantare senza sforzo.
     9. Se credi di aver raggiunto la massima velocità in un prestissimo, raddoppia la ve-
     locità
     10. Se avrai la bontà di tener conto di tutti questi miei suggerimenti, il tuo bel talento
     e le tue grandi capacità faranno di te sempre la pura delizia dei tuoi ascoltatori.

11 M.CONATI, Paganini e Parma,in AA.VV. Incontri con la musica di Paganini, Atti del seminario
di studi a cura dell’Istituto di Studi Paganiniani, Genova, 5-6 marzo 1982 – Comune di Genova,
Sagep, 1984, p. 92.
12 R.STRAUSS, Note di passaggio, Edt, Torino 1991, pp.75-76.

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Gustav Mahler
Gustav Mahler nacque nel 1860 a Kalischt, nella regione austriaca di Boemia.
Dopo aver completato gli studi al conservatorio di Vienna, Mahler ebbe le prime
esperienze nella direzione d'orchestra a Bad Hall nell'estate 1880 dove il reperto-
rio era l'operetta. Negli anni seguenti continuò la sua carriera di direttore presso
altri importanti teatri d'opera dell'Europa centrale: Lubiana nel 1881 dove dires-
se anche Il trovatore, Olomouc nel 1883 dove diresse anche Carmen, Vienna e
Kassel nell'agosto 1883 dove diresse Der Freischütz, Praga nel 1885, Opera di
Lipsia dal 1886 e Budapest nel 1888. Nel 1887 Mahler fu chiamato a sostituire il
celebre direttore Arthur Nikisch per il ciclo l'Anello del Nibelungo di Richard
Wagner a Lipsia; il grande successo ottenuto contribuì ad accrescere la sua fama
ed il suo prestigio come direttore sia fra i critici musicali sia presso il pubblico.
Nel 1888 torna a dirigere a Praga e poi girò vari teatri fra i quali Budapest e Am-
burgo: lì diresse per la prima volta Tristan und Isolde, poi Tannhäuser e Sigfrido
e nel 1892 la prima tedesca di Evgenij Onegin alla presenza di Cajkovskij.
Ancora ad Amburgo nel 1894 introdusse Falstaff (Verdi) e Hänsel e Gretel e di-
resse la Sinfonia n. 9 di Beethoven.
Nel 1897 Mahler, che aveva allora 37 anni, ricevette l'incarico di direttore
dell’Opera di Vienna, vale a dire la posizione musicale più prestigiosa dell'Impero
austriaco.
Il direttore Mahler non è scindibile dal compositore Mahler: obbiettivo morale del
primo fu sempre far rivivere le opere e gli autori nel tempo presente. E questo
spiega i suoi interventi, spesso criticati, sui libretti, sulle stesse orchestrazioni,
sui tagli.
Ha sottolineato a questo proposito Ugo Duse 13:

     Egli cercava nelle opere gli uomini, gli autori, i musicisti e voleva che da esse uscis-
     sero fuori quali erano stati, in tutta la loro dimensione umana, nella loro grandezza
     e nei loro difetti, ma senza le delimitazioni extra artistiche arbitrariamente impo-
     ste dal tempo trascorso. E’ questo, in arte l’unico modo di essere storicisti, di rende-
     re patrimonio conoscitivo ciò che altrimenti sarebbe pura esibizione archeologica.

Nei dieci anni di direzione all'Opera di Vienna, Mahler rinnovò profondamente il
repertorio di quell'istituzione musicale e ne migliorò la qualità artistica, riuscen-
do a piegare sia gli esecutori sia gli ascoltatori alla sua visione della musica e
dell'arte. Quando egli ricevette l'incarico, le opere più popolari erano il Lohen-
grin, la Manon di Massenet, e Cavalleria rusticana; il nuovo direttore decise un
nuovo corso più concentrato verso il repertorio del periodo classico, cominciando
dalle opere di Gluck e di Mozart, avvalendosi anche della collaborazione del pitto-
re Alfred Roller per la messa in scena di originali produzioni del Fidelio, di Tri-
stan und Isolde, e del ciclo L'anello del Nibelungo.
A Vienna nel 1897 diresse L'Africaine, La sposa venduta, Le prophète, Die Wal-
küre, Sigfrido, Il crepuscolo degli dei, Dalibor, Evgenij Onegin e Der Fliegende
Holländer, nel 1898 Djamileh, Aida e Donna Diana di Emil von Reznicek, nel
1899 Lo speziale, Die Opernprobe di Albert Lortzing, Der Bärenhäuter di Sie-

13   U.DUSE, Gustav Mahler, Einaudi, Torino 1973, p. 72.

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gfried Wagner, Mignon ed Il demone, nel 1900 la prima assoluta di Es war ein-
mal di Alexander von Zemlinsky, Iolanta e Così fan tutte, nel 1901 Rienzi e Le al-
legre comari di Windsor, nel 1902 Feuersnot di Richard Strauss, Der dot mon di
Josef Forster, Gli Ugonotti e La dama di picche, nel 1903 Euryanthe e Louise, nel
1904 Der Corregidor di Hugo Wolf e Fidelio, nel 1905 Das war ich di Leo Blech,
Die Abreise di Eugen d'Albert e Le donne curiose, nel 1906 Die Entführung aus
dem Serail e Der Widerspenstigen Zähmung di Hermann Goetz, nel 1907 Ifigenia
in Aulide (Gluck) e nel 1908 Tiefland di d'Albert dirigendo 346 recite viennesi.
Lasciata Vienna, Mahler approdò al Metropolitan dove debuttò il 1° gennaio 1908
dirigendo Tristan und Isolde con Louise Homer poi Don Giovanni con Antonio
Scotti ed Alessandro Bonci, Fyodor Chaliapin e Marcella Sembrich, Die Walküre,
Siegfried e Fidelio, nel 1909 Le nozze di Figaro con Geraldine Farrar e La sposa
venduta ed infine nel 1910 La dama di picche con Alma Gluck dirigendo in 54 re-
cite.
Dal 1909 al 1911 fu il direttore musicale della New York Philharmonic. Un impe-
gno imponente anche oltreoceano anche se pare che i rapporti siano stati alquan-
to turbolenti: l’etica di Mahler non accettava compromessi e gli scontri tanto al
Metropolitan quanto in altri teatri statunitensi furono frequenti, fino alla deci-
sione, anche per gravi motivi familiari e di salute, di rientrare in Europa.

Fra le grandi bacchette del nostro tempo
Arturo Toscanini
L’impresario Daniele Chiarella stava scopando il vestibolo del suo teatro,
l’elegante Politeama Regina Margherita, quando gli si presentò davanti Arturo
Toscanini con un aut-aut: raddoppiare i cori in Carmen oppure cercare un altro
direttore. Chiarella non aveva un carattere morbido, era famoso per le sue scena-
te e per il modo duro con cui trattava direttori, cantanti e strumentisti. Ma il gio-
vane Toscanini non era da meno. E quella volta, nella sorpresa generale, a cedere
fu l’impresario: non solo vennero raddoppiati i coristi nell’opera di Bizet, ma par-
te dell’orchestra fu sostituita nella successiva Mignon.
L’episodio risale al 1890 a Genova. Toscanini aveva allora ventitre anni e stava
già imponendosi a livello internazionale.
Genova era la sua seconda patria. Nato a Parma nel 1867, la sua famiglia, l’anno
successivo, si era trasferita a Genova per aprire una nuova sartoria e migliorare
le proprie condizioni economiche. Qui nacque la sorella Narcisa che sarebbe mor-
ta ad appena 10 anni.
Rientrati a Parma, i Toscanini erano tornati poi ancora a Genova nel 1886. La
sartoria si trovava allora in vico dei Notari, vicino a via Canneto il lungo in pieno
centro storico.
Proprio in quell’anno Toscanini si imbarcò per il Brasile come violoncellista in
un’orchestra ingaggiata per quelle tournée transoceaniche che fecero la fortuna di
tanti cantanti e direttori del tempo, ma che a volte riservavano brutte avventure,
specialmente quando a organizzarle erano impresari poco fidati. La “spedizione”
cui partecipò Toscanini apparteneva, appunto, a questa categoria. L’impresario
per risparmiare aveva scelto un direttore chiaramente incapace e i fischi alle
prime recite non si fecero attendere. Così, il 30 giugno di quel fatidico 1886, al

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Teatro Imperial Dom Pedro II di Rio de Janeiro per salvare lo spettacolo e non far
fallire l’intera tournée l’agente dovette inventarsi un direttore nuovo: la scelta
cadde sul violoncellista Toscanini che nelle prove aveva dimostrato di conoscere
l’opera a memoria. Toscanini non si fece pregare, salì sul podio e ottenne un tri-
onfo.

     Un eccellente acquisto nel mondo della musica – si legge in una recensione apparsa
     il giorno successivo sulla “Gazeta de Noticias” 14 - il signor Toscanini ha la fama di
     essere un prodigio musicale. Conosce a memoria sessanta opere o forse il doppio.
     Aveva fatto le prove a casa con gli artisti, accompagnandoli al piano senza guarda-
     re lo spartito che conosceva a occhi chiusi. Sveglio, abile, entusiasta ed energico il
     signor Toscanini si è rivelato all’ultimo momento un direttore d’orchestra piena-
     mente attendibile.

Rientrato in Italia, nel 1889 Toscanini si presentò per la prima volta a Genova
dove al Politeama Genovese diresse Francesca da Rimini di Cagnoni. Passò poi al
Margherita dove, appunto, ebbe rapporti conflittuali con Chiarella, all’epoca il
principale impresario teatrale di Genova.
Il diktat di Toscanini e il successo arriso ai due allestimenti riempirono le colonne
dei giornali del tempo. «Il Trovatore» commentò 15:

     Un piccolo autocrate al cospetto delle Imprese volle il tempo necessario e i
     necessari elementi… ve ne fossero molti di questi Direttori di coscienza e di
     energia! Egli protrasse la prima rappresentazione di tre giorni ma alla pri-
     ma della Mignon lo spettacolo era singolarmente omogeneo, completo e pro-
     porzionato.

Il celebre critico De Marzi su «Il Teatro Illustrato» annotò 16:

     Tutti cantano e non gridano, sentono che rappresentano dei personaggi e
     non dei mannequins sulla scena. Finalmente assistiamo alla rivendicazione
     di tanti crimini commessi da tempo in nome dell’arte.

L’aneddoto sullo scontro con Chiarella e le recensioni pubblicate dimostrano
l’effetto che Toscanini ebbe sul mondo musicale del suo tempo. Un autentico do-
minatore dal podio con una capacità di trascinamento assolutamente straordina-
ria. Vediamo alcune tappe importanti della sua carriera.
Il 21 maggio 1892, al Teatro Dal Verme di Milano, diresse la prima di Pagliacci,
di Ruggero Leoncavallo
Nel 1895, nel nome di Wagner, avvenne l'esordio da direttore al Teatro Regio di
Torino, con il quale collaborò fino al 1898 e di cui, il 26 dicembre 1905, inaugurò
la nuova sala con Sigfrido. Nel giugno 1898 iniziò a dirigere al Teatro alla Scala
col duca Guido Visconti di Modrone come direttore stabile, il librettista e compo-

14 In A. CANTÙ, G. TANASINI, La Lanterna magica, Sagep, Genova 1991, p. 140
15
   In A. CANTÙ, G. TANASINI, op. cit., p.144
16
   In A. CANTÙ, G. TANASINI, op. cit., p.144

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sitore Arrigo Boito vice-direttore e Giulio Gatti Casazza amministratore. Tosca-
nini divenne il direttore artistico del teatro milanese e, sulla scia delle innovazio-
ni portate dal suo idolo Richard Wagner, si adoperò per riformare il modo di rap-
presentare l'opera, ottenendo nel 1901 quello che ai tempi era il sistema di illu-
minazione scenica più moderno e nel 1907 la fossa per l'orchestra. Pretese inoltre
che le luci in sala venissero spente durante la rappresentazione, proibì l'ingresso
agli spettatori ritardatari, vietò alle signore di tenere in testa il cappello e tolse di
mezzo i bis; ciò creò non poco scompiglio, dato che i più consideravano il teatro
d'opera anche come un luogo di ritrovo, per chiacchiere e far mostra di sé. Il 26
febbraio 1901, in occasione della traslazione delle salme di Giuseppe Verdi e di
Giuseppina Strepponi dal Cimitero Monumentale di Milano a Casa Verdi, diresse
120 strumentisti e circa 900 voci nel “Va, pensiero”, che non compariva alla Scala
da vent'anni. Nel 1908 si dimise dalla Scala e dal 7 febbraio fu invitato a dirigere
presso il teatro Metropolitan di New York.
Schierato per l'interventismo, rientrò nel 1915, all'ingresso dell'Italia in guerra, e
si esibì esclusivamente in concerti di propaganda e beneficenza.
Subito dopo la fine della guerra, nel giro di pochissimi anni si impegnò nella rior-
ganizzazione dell'orchestra scaligera (con la quale era tornato a collaborare), che
trasformò in ente autonomo.
Ancora per spirito patriottico, nel 1920 si recò a Fiume per dirigere un concerto e
incontrare l'amico Gabriele d'Annunzio, che con i suoi legionari aveva occupato la
città contesa dagli slavi e dal governo italiano.
Diresse anche la New York Philharmonic e fu presente al Festival di Bayreuth,
tempio di Wagner (1930-1931, dove fu il primo direttore non tedesco e dove si esi-
bì gratuitamente, considerandolo un grande onore) e al Festival di Salisburgo
(1934-1937).
Di idee socialiste, dopo un'iniziale condivisione del programma fascista se ne al-
lontanò a causa del progressivo scivolamento a destra di Mussolini, divenendone
un forte oppositore.
Fu una voce critica nella cultura omologata al regime, riuscendo, grazie all'enor-
me prestigio internazionale, a mantenere l'Orchestra del Teatro alla Scala so-
stanzialmente autonoma nel periodo 1921-1929. Nel 1926 minacciò di non dirige-
re la prima di Turandot se Mussolini fosse stato presente in sala.
Nel 1931 subì un’aggressione a Bologna da parte di un gruppo di fascisti. Lasciò
dunque l’Italia dove non diresse più fino alla fine della seconda guerra mondiale.
Dagli USA continuò a servirsi della musica per lottare contro il fascismo e il nazi-
smo, e si adoperò per cercare casa e lavoro a ebrei, politici e oppositori persegui-
tati e fuoriusciti dai regimi.
Per lui, inoltre, nel 1937 era stata appositamente creata la NBC Symphony Or-
chestra, formata dai più virtuosi musicisti americani, che diresse regolarmente
fino al 1954 su radio e televisioni nazionali, divenendo il primo direttore d'orche-
stra ad assurgere al ruolo di stella dei mass media.
Nel 1946 Toscanini, settantanovenne, ritornò in Italia per dirigere lo storico con-
certo di riapertura del Teatro alla Scala, ricordato come il concerto della libera-
zione, dedicato in gran parte all'opera italiana, e probabilmente per votare a fa-
vore della Repubblica. Quella sera dell'11 maggio il teatro si riempì fino all'im-

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possibile; il programma vide l'ouverture de La gazza ladra di Rossini, il coro
dell'Imeneo di Händel, il Pas de six e la Marcia dei Soldati dal Guglielmo Tell di
Rossini, la preghiera dal Mosè in Egitto sempre di Rossini, l'ouverture e il coro
degli ebrei del Nabucco di Verdi, l'ouverture de I vespri siciliani e il Te Deum
sempre di Verdi, l'intermezzo e alcuni estratti dall'atto III di Manon Lescaut di
Puccini, il prologo e alcune arie dal Mefistofele di Boito. In quell'occasione esordì
alla Scala Renata Tebaldi, definita da Toscanini "voce d'angelo".
Il 5 dicembre 1949 venne nominato senatore a vita per alti meriti artistici, ma
decise di rinunciare alla carica il giorno successivo. Mandò, da New York, un te-
legramma di rinuncia all'allora presidente della Repubblica Luigi Einaudi:

     È un vecchio artista italiano, turbatissimo dal suo inaspettato telegramma che si
     rivolge a Lei e la prega di comprendere come questa annunciata nomina a senatore
     a vita sia in profondo contrasto con il suo sentire e come egli sia costretto con gran-
     de rammarico a rifiutare questo onore. Schivo da ogni accaparramento di onorifi-
     cenze, titoli accademici e decorazioni, desidererei finire la mia esistenza nella stes-
     sa semplicità in cui l`ho sempre percorsa. Grato e lieto della riconoscenza espres-
     sami a nome del mio paese pronto a servirlo ancora qualunque sia l'evenienza, la
     prego di non voler interpretare questo mio desiderio come atto scortese o superbo,
     ma bensì nello spirito di semplicità e modestia che lo ispira… accolga il mio defe-
     rente saluto e rispettoso omaggio

Nel 1954 tenne con la NBC il suo ultimo concerto dedicato a Wagner. Morì nel
1957.

Herbert von Karajan

     […] uno dei momenti fondamentali della mia formazione è stato il costante sforzo
     di capire com’è che certa musica a volte possa diventare volgare.
     E ho visto che è quasi sempre questione di tenere, o non tenere, troppo a lungo le
     note, o di lasciarsele sfuggire. In ogni caso è sempre da porre in relazione con qual-
     cosa che può essere cambiato, e questa è sempre stata una mia particolare osses-
     sione che risale alla prima volta che udii Toscanini dirigere la Lucia, quando venne
     a Vienna con la Scala.
     Ero ancora studente, e noi tutti sapevamo della sua venuta e ci preparammo
     all’evento prendendo la partitura, suonandola al pianoforte, discutendone tra noi e
     così via.
     E dopo aver esaminato la partitura, dichiarammo tutti che non riuscivamo a capire
     perché dovessimo perdere tanto tempo con un’opera così banale.
     Ma furono sufficienti due soli minuti dell’Ouverture diretta da Toscanini per con-
     vincerci dell’errore. Era in effetti lo stesso testo che avevamo studiato noi, ma era
     interpretato da lui con la stessa devozione e lo stesso scrupolo che avrebbe potuto
     profondere per il Parsifal!. E questo cambiò completamente il mio atteggiamento:
     nessuna musica è volgare, a meno che non sia suonata in modo che la renda tale.
     Accade la stessa cosa con tutte le manifestazioni di estetica, compreso il modo in
     cui si veste una donna: un minimo particolare di troppo, ed è il disastro 17.

17   H.MATHEOPOULOS, Maestro, A.Vallardi/Garzanti, Milano 1983, p.236.

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L’austriaco Herbert (von) Karajan (1908-1989) è generalmente considerato uno
dei più grandi direttori d'orchestra di tutti i tempi 18.
È ricordato come il direttore con il maggior numero di incisioni discografiche, in
particolare con i Berliner Philharmoniker, che ha guidato per trentacinque anni
lasciandoli nel 1989.
Si era formato al Mozarteum di Salisburgo, dove era stato incoraggiato dal suo
maestro Bernhard Paumgartner a studiare direzione d'orchestra anziché intra-
prendere la carriera di pianista.
La sua adesione al partito nazista 19 ne determinò l'allontanamento forzato dalla
scena musicale al termine della seconda guerra mondiale; in seguito diventò di-
rettore principale della Philharmonia Orchestra di Londra dal 1949 al 1960, e nel
1954 approdò alla direzione dei Berliner Philharmoniker.
Dal 1959 al 1964 ricoprì il ruolo di direttore artistico all'Opera di Vienna; fu ospi-
te principale del Teatro alla Scala di Milano fino al 1964, Ospite dell'Orchestra
RAI di Roma per alcune sporadiche performance e dal 1969 al 1971 fu il diretto-
re principale dell'Orchestre de Paris. Nel 1967 fondò il Festival di Pasqua di Sali-
sburgo. Perfezionismo estremo, capacità di ricerca e sperimentazione fecero di
Karajan un interprete sempre all'avanguardia sia nei confronti del repertorio
classico sia di quello contemporaneo.
Il rapporto con i filarmonici berlinesi iniziò a degenerare pian piano quando egli
impose l'assunzione della clarinettista Sabine Meyer al fianco di Karl Leister
contro il voto orchestrale che non gradiva la presenza della Meyer a causa del suo
timbro tipicamente solistico e non orchestrale (le donne erano già state ammesse
in orchestra con la violinista Madeleine Carruzzo nel 1981).
Il fatto che Karajan stesse pian piano sostituendo la filarmonica tedesca con quel-
la viennese (ma in realtà le pessime condizioni di salute divennero un alibi) pro-
vocò la rescissione in tronco del contratto di Karajan nel 1984, e da quel momento
i Wiener Philharmoniker sostituirono i Berliner Philharmoniker in tutte le pro-
duzioni video sino alla fine dell'estate del 1987. Ma i berlinesi attesero la morte
del maestro per nominare il nuovo direttore (Claudio Abbado). Nonostante ciò
Karajan continuò a esibirsi, dirigere ed incidere prolificamente: all'inizio del 1987
i Wiener Philharmoniker gli proposero di dirigere il celebre Concerto di Capo-
danno, mentre nel 1988 diresse Ein deutsches Requiem di Brahms al Grosses Fe-
stspielhaus.

18 Nel 2011 un sondaggio effettuato dalla rivista «Classic Voice» tra cento direttori collocò Karajan
al terzo posto dopo Kleiber e Bernstein
19 In effetti Karajan si iscrisse al partito e ne trasse non pochi vantaggi in termini di carriera. Eb-

be, però, anche rapporti burrascosi con Hitler e con altri esponenti del nazismo. Si può segnalarfe
un incidente occorso nel 1940 a Berlino, durante una recita de I maestri cantori di Norimberga
alla Staatsoper, in presenza del Führer che sedeva nel palco reale insieme a Eva Braun e del mi-
nistro Göbbels. Il baritono Rudolf Bockelmann, che recitava la parte del protagonista Hans Sachs,
sbagliò vistosamente un ingresso, forse a causa del fatto di non essere completamente sobrio. No-
nostante la pronta reazione di Karajan, il falso ingresso chiaramente non passò inosservato e Hit-
ler attribuì la colpa dell'errore al direttore, invitandolo a non dirigere più a memoria; nei succes-
sivi concerti Karajan trovò la partitura sul leggio, ma si limitò a capovolgerla e continuò a dirige-
re a memoria.

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L'ultima apparizione in pubblico risale al 23 aprile del 1989 nella sala d'oro del
Musikverein con un'esecuzione della Settima sinfonia di Anton Bruckner insieme
ai Wiener Philharmoniker, da cui in seguito venne tratta l'ultimissima sua inci-
sione discografica.
I critici e gli appassionati sono generalmente concordi nell'affermare che Karajan
avesse il dono di saper estrarre un suono magnifico dall'orchestra. Le sue incisio-
ni discografiche appaiono tecnicamente perfette, talvolta, talmente rigorose da
apparire quasi asettiche. Criticato per le sue esecuzioni barocche, Karajan ha toc-
cato uno dei suoi vertici interpretativi incidendo le nove Sinfonie di Beethoven.
La prima integrale risale al 1952-1957 (EMI) con la Philharmonia Orchestra: la
lettura è caratterizzata da una propensione per l'aspetto ritmico e nervoso di o-
gnuna delle sinfonie, con il culmine emotivo posto non nell'ultima sinfonia, ma
nella Settima, in cui il ritmo è evidentemente l'elemento principale di tutta l'in-
terpretazione. La cifra interpretativa di questa prima integrale beethoveniana si
può individuare nella baldanza ritmica e coloristica di un giovane direttore.
Ma la vera maturità la si trova nell'integrale incisa per la Deutsche Grammo-
phon, a capo dei Berliner Philharmoniker nel 1962; esse sono tuttora considerate
un punto di riferimento per qualunque esecuzione, anche successiva.
Va infine ricordato che Karajan giocò un ruolo importante nello sviluppo della
tecnologia per la registrazione e la riproduzione audio in digitale (circa 1980). E-
gli fu un convinto assertore di questa nuova tecnologia tanto che fu presente alla
prima conferenza stampa che annunciava il nuovo formato. I primi prototipi di
CD avevano una capacità di circa 60 minuti, ma una leggenda vuole che siano
stati portati a 74 per adattarvi la Nona sinfonia di Beethoven diretta appunto da
Karajan.

Leonard Bernstein

  Credo che la maggior parte dei direttori d’orchestra di oggi non pensano più al
  compositore quando dirigono… E invece ognuno di noi, in ogni concerto, dovrebbe
  sempre esser certo di avere alle spalle Beethoven o Mozart o Brahms, in modo da
  esser più responsabile di quel che vien fatto. Il direttore d’orchestra è un musicista
  alò servizio non solo della musica, in senso generale, bensì innanzitutto al servizio
  del Compositore. Certo non dimentichiamo che il direttore d’orchestra del nostro
  tempo ha acquisito un’importanza straordinaria nella vita della musica, quasi fino
  a sostituirsi al compositore…. Tuttavia, Mozart, Beethoven, Wagner, Cajkovskij di-
  rigevano loro stessi le proprie composizioni e la figura del musicista che si dedicava
  esclusivamente alla direzione d’orchestra era al loro tempo piuttosto rara.
  Oggi, invece, i compositore preferiscono che la loro musica sia diretta da altri, per
  tanti motivi. Di conseguenza ecco che il direttore d’orchestra diviene un elemento
  importante, direi persino fondamentale, della nostra vita musicale. Tutto passa at-
  traverso di lui. Ecco perché il direttore d’orchestra deve essere ancora più respon-
  sabile di prima: a lui è affidato il compito di sostituire il compositore sul podio. Ma
  il compositore resta il suo giudice ideale. Solo lui può dire se si dirige bene o male.

  Qual è il fascino della direzione d’orchestra? La continua messa in discussione di se
  stessi e delle proprie capacità. La musica si realizza secondo una serie interminabi-
  le di interrogativi, l’uno intrecciato all’altro: perché questo crescendo? E questo for-

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