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Il Centro per l’UNESCO di Torino cura una versione italiana ridotta de Il Corriere dell’UNESCO N° 7 Ottobre - Dicembre 2018 P er diritti umani si intendono tutti quei diritti riconosciuti all’uomo sem- plicemente in base alla sua appartenen- za al genere umano. Nonostante l’idea di ‘diritti umani’ risalga a tempi antichi, il concetto del riconoscimento dei diritti fondamentali a livello universale è emer- so e posto nero su bianco soltanto alla fine del secondo conflitto mondiale con l’adozione della Dichiarazione dei Diritti Umani (DUDU) nel 1948 da parte delle Nazioni Unite, nella quale si afferma la salvaguardia dei diritti fondamentali e della dignità di ciascun individuo senza distinzione «di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politi- ca o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione» (art. 1 della DUDU). Il tema, sempre più attuale, dei diritti umani viene così approfondito in que- sta edizione del Corriere UNESCO, con l’obiettivo di ritrovare lo spirito dell’epoca per meglio illustrare le nostre riflessioni sui Diritti Umani al giorno d’oggi. Nel suo Grandangolo presenta una sele- zione di testi inviati in risposta a un’im- portante indagine sui fondamenti filoso- fici dei Diritti Umani, lanciata nel 1947 da Julian Huxley, il primo Direttore Gene- rale dell’UNESCO. Tra questi si segnala l’articolo “Educare ai Diritti Umani” foca- lizzato sull’Educazione, considerata come un diritto e principio per il godimento dei Diritti Umani stessi e come risorsa essen- ziale per far comprendere l’importanza dei Diritti Umani al fine di permettere a ciascun individuo di realizzarsi piena- mente in quanto essere umano. Centro per l’UNESCO di Torino Socio della Federazione Italiana delle Associazioni, Club e Centri per l’UNESCO
N° 7 Ottobre - Dicembre 2018 Editoriale DIRITTI UMANI – Ritorno al futuro La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (DDU) è senza dubbio uno dei documenti più importanti della storia. Primo trattato internazionale con valore etico ad essere stato adottato dall’umanità intera, rap- presenta da settant’anni l’“ideale comune da raggiungere per tutti i popoli di tutte le nazioni”, citando le parole che Eleanor Roosevelt – Presidente della Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e del Comi- tato di redazione della Dichiarazione, pronunciò all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 9 dicembre 1948, alla vigilia dell’adozione della Dichiarazione. Nonostante sia celebrata come una Carta dell’umanità unica nel suo genere e accettata come punto di rife- rimento imprescindibile nel mondo d’oggi quando si tratta di difendere la dignità umana, la Dichiarazione non è esente da critiche che riguardano soprattutto il tema della diversità delle culture. Se è vero, da un lato, che, nella sua forma, la DDU si ispira notevolmente alla tradizione occidentale, è al- tresì vero che alla base i suoi principi sono universali. “La tolleranza e il rispetto della dignità dell’individuo sono insiti in tutte le culture e non sono estranei a nessuna nazione”, affermava, durante le celebrazioni per il cinquantesimo anniversario della Dichiarazione, all’UNESCO nel 1998, Kofi Annan, Segretario Generale dell’ONU (1997-2006), che ci ha lasciati il 18 agosto scorso – cui rendiamo omaggio. Dal canto suo, Federico Mayor, l’allora Direttore Generale dell’UNESCO, dichiarava “Nella ‘commemora- zione’, vi è ‘memoria’. Non possiamo agire senza memoria. Ciò che dobbiamo ricordare, invece, affinché le nostre azioni siano degne dei nostri padri, non è tanto la data, il luogo o la lettera, quanto i suoni, i colori, le emozioni o lo spirito di un preciso momento”. È esattamente questo l’obiettivo del tema di questa edizione del Corriere: ritrovare lo spirito dell’epoca per meglio illustrare le nostre riflessioni sui Diritti Umani al giorno d’oggi. La sezione “Grandangolo” presenta una selezione di testi inviati in risposta a un’importante indagine sui fondamenti filosofici dei Diritti Uma- ni, lanciata nel 1947 da Julian Huxley, il primo Direttore Generale dell’UNESCO. Più di sessanta personalità di spicco risposero all’appello della giovane Organizzazione, tra i quali Mahatma Gandhi, Benedetto Croce, Aldous Huxley, Humayun Kabir, Lo Chung-Shu e Arnold Schoenberg. “Un progetto del genere era particolarmente opportuno poichè questo tema si era imposto nella coscienza uni- versale. Tutta la nostra struttura sociale era stata compromessa dalle ripercussioni della guerra totale. Ovun- que, gli uomini cercavano un comune denominatore al problema dei diritti fondamentali dell’essere umano”, scriveva, nel Corriere dell’agosto 1948, Jacques Havet, responsabile del progetto. Le risposte - talvolta lettere molto brevi, talvolta dei lunghi studi sulla questione - riflettevano, secondo il giovane filosofo francese, “le idee di quasi tutti i gruppi nazionali e quasi tutte le concezioni ideologiche del mondo”. Sicuramente il mondo è molto cambiato negli ultimi settant’anni. Molte nazioni hanno infranto l’oppres- sione coloniale e molte tradizioni culturali hanno ripreso vita dall’adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il 10 dicembre 1948. Resta comunque che lo sforzo messo in campo dall’UNESCO per elaborare una filosofia mondiale fondata su un’ampia conoscenza delle culture del mondo, non ha perso né la sua attualità, nè il suo fondamento. Nel 1949, l’UNESCO aveva raccolto molte delle risposte all’indagine sotto il titolo Diritti Umani: commenti e interpretazioni, per “contribuire alla creazione di una miglior comprensione tra uomini di culture differenti”, come ricordava J. Havet. Oggi, il Corriere UNESCO si inserisce in questa stessa logica. A causa dello spazio limitato, non possiamo che riprodurre una minima parte delle centinaia di pagine ricevute dall’UNESCO nel 1947. Nonostante il maggior numero di testi sia accessibile nella versione elettronica della rivista https://en.unesco.org/cou- rier/2018-4, la nostra selezione non può riflettere tutta l’ampiezza del progetto. Ci auguriamo, tuttavia, che possa fornire spunti di riflessione. 2
N° 7 Ottobre - Dicembre 2018 EDUCARE AI DIRITTI UMANI “Per formare essere liberi non serve, come troppo spesso si è cre- duto, adottare una politica di lassismo in merito ai programmi e ai metodi d’insegnamento; occorre, permettere loro di acquisire una comprensione intelligente delle loro responsabilità e dei loro doveri”, afferma il pedagogo americano Isaac L. Kandel (1881 – 1965), nella sua risposta all’indagine dell’UNESCO sui fonda- menti filosofici dei Diritti Umani, inviata nel 1947, con il titolo: “Education and Human Rights” (Educazione e Diritti Umani), di cui pubblichiamo qualche estratto. Uno studio sulle recenti espressioni dei Diritti Umani rivela un curioso paradosso: esse non menzionano quasi mai l’unica con- dizione indispensabile all’uomo per comprendere ed esercitare adeguatamente i suoi diritti. Probabilmente occorre ammettere che l’educazione, se non espressamente citata, è implicitamente ri- conosciuta come uno dei diritti dell’uomo e come la condizione essenziale per il godimento di questi diritti. Tuttavia la storia ha sufficientemente provato che l’educazione non è stata considerata come un dirit- to dell’uomo e che non è stata utilizzata come uno strumento utile per far comprendere l’importanza dei Diritti Umani al fine di permettere a ciascun individuo di realizzarsi pienamente in quanto essere umano. Storicamente, due considerazioni hanno dominato l’insegnamento: la prima, e la più anti- ca, aveva come scopo quello di inculcare alle giovani generazioni le dottrine religiose. La seconda, emersa con l’apparizione degli Stato nazionali, ha contribuito a sviluppare i sentimenti di lealtà verso gruppi politici o verso la nazione. In entrambi i casi, l’insegnamento proponeva, prima di tutto, di far accettare una disciplina piuttosto che di formare essere liberi. (...) Poiché l’educazione, ad oggi, non è stata ancora universalmente riconosciuta come un diritto umano, è essenziale che compaia in tutte le Dichiarazioni dei Diritti Umani che potrebbero essere redatte d’ora in avanti. Il diritto all’educazione deve assumere un posto di maggior rilievo rispetto a quello che le attribuisce il Memorandum sui Diritti Umani dell’UNESCO (del 27 marzo 1947). UN’EDUCAZIONE A DUE VELOCITÀ Una delle conseguenze tragiche della tradizionale coesistenza di due sistemi di insegnamento (uno per la massa, l’altro per l’élite) è che determinate classi sociali e economiche, sebbene sia loro assicu- rato l’accesso all’insegnamento, hanno l’impressione che un tale insegnamento non sia per loro. In determinati Paesi, è necessario, per assicurare a tutti un equo accesso all’educazione, modificare gli atteggiamenti psicologici che emergono da questa forma di organizzazione di tipo tradizionale. È così che Henri Laugier scrive, a proposito dei progetti di riforma dell’insegnamento in Francia [Educational Yearbook of the International Institute, Teachers College, Columbia University, p. 136 f, New York, 1944]: “Così tante generazioni in Francia hanno vissuto in un’atmosfera di uguaglianza teorica e di disugua- glianza reale che questo stato delle cose è accettato praticamente da tutti, grazie alla facilità della vita in Francia in condizioni normali. Ovviamente, le prime vittime di tale disuguaglianza non ne hanno consapevolezza e non ne soffrono in alcun modo. Al figlio di un operaio, o di un lavoratore agricolo, non viene in mente che potrebbe diventare governatore di una colonia, direttore in un ministero, ambascia- tore, ammiraglio o guardia di finanza. Forse è a conoscenza che tali situazioni esistono, ma per lui, non esistono che in un mondo superiore al quale non ha accesso. Il più delle volte questa situazione non gli 3
N° 7 Ottobre - Dicembre 2018 procura né entusiasmo, né amarezza, e non suscita in lui alcun desiderio di rivendicare il suo diritto o di esigere un cambiamento specifico” (...). Riconoscere l’educazione come un diritto dell’uomo non è che uno degli aspetti del problema. Il li- bero accesso all’educazione a tutti i livelli, può essere assicurato senza modificare né il contenuto, né i metodi dell’insegnamento. Tradizionalmente, l’insegnamento elementare differiva da quello secon- dario per quanto riguarda la qualità; il primo aveva come obiettivo quello di infondere agli alunni una certa quantità di conoscenza, spesso appresa a memoria, per giungere a quello che i francesi de- finiscono “lo spirito primario”; l’insegnamento secondario doveva offrire ai giovani una formazione più liberale o una cultura generale. In entrambi i casi, i ragazzi non erano direttamente e seriamente preparati all’esercizio e al godimento delle libertà elencate nella lista dei Diritti Umani. Si insisteva in particolar modo sull’autorità del testo pubblicato o del maestro, in quanto la maggior parte dei sistemi d’insegnamento erano dominati dalle esigenze di valutazione. RIPENSARE LA FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI Quando la ruota girò e l’ideale di disciplina, indottrinamento e autorità cedette il posto a quello della libertà, ci si dimenticò troppo spesso che la libertà è una conquista e che l’educazione alla libertà esi- ge una forma di disciplina che permetta a ciascuno di imparare ad apprezzare le conseguenze morali di ogni nostra azione. Per formare essere liberi non serve, come troppo spesso si è creduto, adottare una politica di lassismo in merito ai programmi e ai metodi d’insegnamento; occorre, permettere loro di acquisire una comprensione intelligente delle loro responsabilità e dei loro doveri. Se tale principio è valido, dovrebbe provocare una modifica dello status dello stesso personale inse- gnante. Se l’insegnante deve essere non solo un dispensatore di conoscenza, che sarà valutata attra- verso un esame, allora i limiti tradizionali che gli sono imposti – tramite programmi di studi e meto- di di istruzione prescritti nel dettaglio, il controllo degli ispettori e la valutazione finale – dovrebbero essere respinti in modo da concepire l’educazione in maniera del tutto nuova. La formazione professionale degli insegnanti deve essere incentivata così come quella delle altre libe- re professioni. Se l’insegnante è chiamato a formare esseri liberi, ad avviare gli allievi all’esercizio della libertà di parola, di espressione, di comunicazione, d’informazione e d’indagine, la sua formazione deve farne un uomo libero, per professione, e portarlo a riconoscere che la libertà, senza un senso di responsabilità, degenera rapidamente in licenza. L’introduzione dei Diritti Umani nei programmi di insegnamento esige anche, preliminarmente, una riforma di altro tipo. In passato, l’educazione era uno strumento al servizio di una politica nazionali- sta, utilizzata troppo spesso per inculcare idee di superiorità o di separatismo razziale e nazionale; e nei Paesi dove le discipline umanistiche costituivano la parte essenziale dei programmi, si attribuiva così tanta importanza ad un insieme di elementi sterili che si perdeva di vista il fondamento stesso dell’umanesimo. Gli obiettivi comuni che suppone l’ideale dei Diritti Umani non potranno essere raggiunti se non quando i programmi d’educazione e d’insegnamento riconosceranno che ogni cultura nazionale deve molto di più di quanto generalmente concesso all’influenza del patrimonio culturale dell’uma- nità, indipendentemente dall’etnia e dall’epoca. È questo il fondamento delle libertà incluse nei Diritti Umani. È solo in questo modo che la formazione di un umanesimo autentico potrà divenire uno dei fini dell’insegnamento stesso. Per raggiungere questi obiettivi, occorre, in ultima analisi, formare la gioventù ai metodi del libero esame. Imparare le libertà richiede disciplina. Parafrasando Rousseau, l’uomo deve disciplinarsi per godere delle libertà di cui ha diritto. NOTA – La traduzione dell’Editoriale e dell’articolo è stata compiuta da Alessandra Turano, sotto la supervisione di Bar- bara Costabello, Centro per l’UNESCO di Torino. 4
N° 7 Ottobre - Dicembre 2018 Viale Maestri del Lavoro, 10 - 10127, Torino ITALIA email: segreteria@centrounesco.to.it - info@centrounesco.to.it www.centrounesco.to.it 9
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