Artemisia Gentileschi - Jessica Perticarini 4
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Biografia Artemisia Gentileschi nacque l’8 luglio 1593 a Roma e fu una pittrice del XVII secolo alleva del padre Orazio grande pittore che influenzò in modo permanente e determinante l'arte della figlia. Un fatto cruciale della sua vita avvenne nel 1611 quando il pittore Agostino Tassi abusò di lei, lo stesso che aveva affrescato “il Casino delle Muse” insieme al padre . Ne segui un processo che fece molto clamore a Roma. Nel 1614 si trasferì a Firenze dove ottenne notevoli successi presso la corte del Granduca Cosimo II de' Medici e per il quale dipinse la sua opera più famosa “Giuditta con la testa di Oloferne” del 1615-18 conservata agli Uffizi. Nel 1621 tornò a Roma dove godeva ormai di una fama consolidata e nel 1630 arrivò a Napoli dove ricevette numerosi commissioni pubbliche. Nel 1638 ricevette l'invito del padre di raggiungerla a Londra dove egli fu pittore di Corte sotto Carlo I. Nel 1639 , dopo la morte improvvisa del padre, Artemisia rimase probabilmente tornò in Italia,ma sappiamo solo con certezza che lei era a Napoli nel 1649 dove morì nel 1653.
Profilo artistico Un saggio del 1916 di Roberto Longhi, storico e critico d'arte, intitolato Gentileschi padre e figlia ha riportato all'attenzione della critica la statura artistica di Artemisia Gentileschi nell'ambito dei caravaggeschi nella prima metà del XVII secolo. Longhi esprimeva nei confronti di Artemisia il seguente giudizio: «l'unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura, e colore, e impasto, e simili essenzialità...». L'interesse per la figura artistica di Artemisia un forte impulso per merito di studi in chiave femminista, che efficacemente sottolinearono, a partire dallo stupro subito e dalla sua successiva biografia, la forza espressiva che il suo linguaggio pittorico assume quando i soggetti rappresentati erano le famose eroine bibliche, che pare vogliano manifestare la ribellione alla condizione in cui le condanna il loro sesso. La critica più recente, a partire dalla ricostruzione dell'intero catalogo di Artemisia Gentileschi, ha inteso dare una lettura meno riduttiva della carriera di Artemisia, collocandola nel contesto dei diversi ambienti artistici che la pittrice frequentò, restituendo la figura di un'artista che lottò con determinazione, utilizzando le armi della propria personalità e delle proprie qualità artistiche contro i pregiudizi che si esprimevano nei confronti delle donne pittrici; riuscendo a inserirsi produttivamente nella cerchia dei pittori più reputati del suo tempo, affrontando una gamma di generi pittorici che dovette esser assai più ampia e variegata di quanto ci dicano oggi le tele a lei attribuite
La figura di donna e pittrice Per una donna all'inizio del XVII secolo dedicarsi alla pittura, come fece Artemisia, rappresentava una scelta non comune e difficile, ma non eccezionale. Prima di Artemisia, tra la fine del 500 e l'inizio del 600, altre donne pittrici esercitarono, anche con buon successo, la loro attività. La prima scrittrice che decise di costruire un romanzo attorno alla figura di Artemisia, fu Anna Banti, la moglie di Roberto Longhi. La sua prima stesura del testo, in forma manoscritta era avvenuta nel 1944, ma fu perduta nel corso delle vicende belliche. La decisione di ritornare sul libro, intitolato Artemisia, scrivendolo in forma assai diversa, avvenne tre anni dopo. Anna Banti si pone nel suo nuovo romanzo in dialogo con la pittrice, in forma di "diario aperto", in cui cerca di spiegare a se stessa il fascino che ne subisce, e il bisogno che avverte di andare al di là delle limpide valutazioni artistiche di cui avrà tante volte discusso con Roberto Longhi. Più di cinquant'anni dopo, nel 1999, la scrittrice francese Alexandra Lapierre affronta, ancora con un romanzo, il fascino enigmatico della vita di Artemisia, e lo fa a partire da uno studio scrupoloso della biografia e del contesto storico che le fa da sfondo. L'indagine psicologica che passa tra le righe del romanzo, per comprendere il rapporto tra Artemisia donna e Artemisia pittrice, finisce per chiamare in causa, come leitmotiv, quello della relazione tra padre e figlia ,fatta di un affetto che stenta a esprimersi e da una latente rivalità professionale. Ancora un altro romanzo, pubblicato più di recente anche in Italia, quello di Susan Vreeland (The Passion of Artemisia), si pone nella scia della popolarità assunta da Artemisia Gentileschi nell'ambito della lettura data, in chiave femminista, alla sua figura, e sembra voler sfruttare il recente successo dei romanzi storici che prendono le mossa da un'opera d'arte e dal suo autore. Incerti, per analoghe ragioni, sono i risultati ai quali, secondo la critica, giunge la regista francese Agnes Merlet, con il film Artemisia. Passione estrema.
Le opere • Susanna e i vecchioni, Collezione Graf von Schönbrunn, Pommersfelden, 1610 • Madonna col Bambino, Galleria Spada, Roma, 1610-11 • Giuditta che decapita Oloferne, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli, 1612-13 • Autoritratto come martire, Collezione privata, ca. 1615 • Conversione della Maddalena, Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenze, 1615-16 • Ritratto di gonfaloniere, Collezioni Comunali d'Arte, Palazzo d'Accursio , Bologna, 1622 • San Gennaro nell'anfiteatro di Pozzuoli, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli, 1636-37
Susanna e i vecchioni, Collezione Graf von Schönbrunn, Pommersfelden, 1610 Il soggetto di Susanna e i vecchioni è tra gli episodi dell'Antico Testamento e si riferisce l'opera è narrato nel Libro di Daniele: la casta Susanna, sorpresa al bagno da due anziani signori che frequentavano la casa del marito, è sottoposta a ricatto sessuale: se acconsentirà di sottostare ai loro appetiti, i due non diranno al marito di averla sorpresa con un giovane amante. Susanna accetta l'umiliazione di una ingiusta accusa, ma sarà Daniele a smascherare la menzogna dei due anziani. La rappresentazione di Susanna sorpresa nuda dai vecchioni ha apparentemente intenti moralistici, ma è spesso un pretesto per soddisfare la "pruderie" di committenti che si compiacciono di soggetti di nudo femminile.
Madonna col Bambino, Galleria Spada, Roma, 1610-11 Il soggetto devozionale della Madonna col Bambino è interpretato nel quadro attraverso la sottolineatura dell'intimo colloquio, fatto di sguardi e di tenere emozioni, tra la madre e il bambino. La Madonna è colta nel momento in cui la poppata ha avuto termine; un istante prima che il seno sia riposto nella veste, mentre il Bambino le rivolge uno sguardo amorevole e le fa una carezza al viso. Artemisia mostra in questa tela di aver appreso la lezione del padre nell'uso della luce intensa che fa emergere le due figure dall'ombra, in quello dei caldi colori e degli ampi drappeggi della veste. Inoltre, la tenerezza del colloquio madre- bambino rivela una poetica tutta femminile
Giuditta che decapita Oloferne, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli, 1612-13 La tela appare di minori dimensioni e di diversi colori rispetto ad una seconda versione,conservata alla Galleria degli Uffizi, mentre questa è stata dipinta immediatamente a ridosso del processo per stupro. Proprio per la vicinanza cronologica al processo che colpì l'aggressore, alcuni storici dell'arte hanno voluto vedere,nella scena di terribile violenza, il desiderio di rivalsa rispetto allo stupro subìto. Evidente in questa tela è l'influenza di Caravaggio. Il dipinto evoca non solo nella crudezza della decapitazione, ma nella postura stessa dell'eroina biblica, la Giuditta di Caravaggio a Palazzo Barberini, al punto che è difficile pensare che Artemisia non abbia avuto modo di conoscere tale opera.
Autoritratto come martire, Collezione privata, ca. 1615 Chi è la graziosa fanciulla raffigurata in questa tavola che tiene nella mano destra la "palma del martirio", indossa un civettuolo turbante color lapislazzuli e porta una sorta di peplo di seta rosa fermato sulla spalla? Osserviamo come essa abbia le guance pienotte, la mascella un po' pronunciata, i capelli ramati raccolti in forma un po' scomposta, come quelli della Allegoria dell'Inclinazione in Casa Buonarroti: tutto lascia dunque credere che si tratti di un autoritratto di Artemisia all'età di circa 22 anni. Non sappiamo per chi sia stata dipinta questa graziosa tavoletta, né quale fosse l'intesa con la pittrice che ha portato Artemisia a ritrarsi ,secondo un forma di gioco abbastanza diffusa nel Seicento , "in veste di martire".
Conversione della Maddalena, Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenze, 1615-16 In questa Maddalena di Artemisia Gentileschi, il contrasto tra sensualità e fede è risolto in modo meno provocatorio. La santa ha l'aspetto di una donna avvenente, elegante come poteva essere una dama di alto rango e con un suntuoso abito di seta gialla un abito dagli amplissimi panneggi, con una generosa scollatura che, con noncuranza, mostra appena la nudità di una spalla e la piega del seno. Non c'è nulla di specialmente provocatorio, tanto più che dalla veste lussuosa spunta un piede nudo, simbolo di un proposito di rinuncia; proposito che viene confermato dalla postura delle mani, l'una sul petto, come in atto di riconoscere i suoi peccati, e l'altra protesa a schivare qualcosa che a mala pena si intravede nell'ombra. Si tratta di uno specchio, simbolo per antonomasia della vanitas. Sulla sua cornice si leggono le parole del Vangelo secondo Luca "OPTIMAM PARTEM ELEGIT", ha scelto la parte migliore, quella della ricerca del Signore. Il viso, incorniciato dai boccoli un po' disordinati dei capelli, appare più mesto che affranto, e lo sguardo sembra ancora esitare prima di rivolgersi verso l'alto. A conferire un'aria aristocratica alla figura contribuisce anche la poltrona finemente lavorata . Proprio su un lato dello schienale la pittrice ha posto la sua firma, "ARTIMISIA LOMI".
Ritratto di gonfaloniere, Collezioni Comunali d'Arte, Palazzo d'Accursio , Bologna, 1622 Il genere del ritratto, assieme a quello della natura morta, era peraltro considerato quello più confacente alle donne che esercitavano l'arte della pittura. L'interesse di questa tela, firmata e datata sul retro, sta proprio nel fatto che si tratta dell'unico ritratto esistente che si può attribuire con sicurezza alla pittrice romana. Il titolo del quadro deriva dalla presenza, sulla destra, di un gonfalone che si inserisce nella scena. In essa un cavaliere recante sul petto la croce dell'ordine di San Maurizio, che indossa una preziosa armatura, con una fascia verde posta di traverso ed una sgargiante gorgiera inamidata, fa bella mostra di sé, compiacendosi della proprio posizione sociale. Sopra il tavolino al quale il "gonfaloniere" poggia la sua mano, si scorge uno sfarzoso cimiero piumato.
San Gennaro nell'anfiteatro di Pozzuoli, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli, 1636-37 La scena rappresentata nel quadro si riferisce alle tormentate vicende che le fonti agiografiche narrano a riguardo del martirio di San Gennaro. Dopo essere stato sottoposto ad altri tormenti, San Gennaro ed i suoi seguaci sono dati in pasto ad un branco famelico di orsi e di leoni. Le belve, anziché assalirlo, si acquietano subito e vanno a leccare i piedi del Santo. La tela ci mostra l'istante in cui le belve sono ormai ammansite, mentre San Gennaro, che indossa la mitria vescovile, veste una piviale aperta su una tunica bianca e si appoggia al bastone pastorale, solleva la mano destra, quasi a voler benedire le fiere. Intorno a lui, i suoi seguaci esprimono stupore per il prodigio e venerazione per il santo vescovo. Sullo sfondo si osserva, fedelmente rappresentata, la facciata dell'anfiteatro romano (poiché si tratta del Colosseo, qualche critico ritiene di doverlo attribuire ad un collaboratore romano di Artemisia); l'anfiteatro viene rappresentato quale quinta scenografica visto però dall'esterno (dunque incoerente con la presenza di belve libere), in quanto quello è il suo aspetto più conosciuto che lo faceva riconoscere tale. I modi stilistici del quadro non hanno la consueta forza drammatica propria della pittrice romana, ma si adattano ad un più misurato e convenzionale linguaggio agiografico
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