Il commercio con l'estero: alcuni aspetti macro-economici.
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Il commercio con l’estero: alcuni aspetti macro-economici. Diffidate dai sedicenti economisti (se ne trovano a frotte sul web, alcuni anche in siti - tipo FEF ACADEMY - apparentemente seri e che magari, ma solo di tanto in tanto, sostengono anche cose sensate) e dagli economisti ufficiali (docenti in Università - tipo quella di Pescara - che su siti - ad esempio Goofynomics o Byoblu - appaiono graniticamente convinti che il mondo reale possa essere rappresentato con sufficiente fedeltà da modelli matematici e che basti che ironizzano su chi, per spiegare l’economia, a volte ricorre una legge per imporre alla realtà di adattarsi ai desideri) all’analogia fra la famiglia (o l’azienda) e la società (nel senso di nazione, o comunque di collettività, magari di decine di milioni di cittadini). Non sto sostenendo che quel che vale all’interno del micro organismo famiglia o azienda necessariamente valga anche nella dimensione macro di una nazione: dico che chi ritiene comunque sciocco e fuorviante il parallelo fra famiglia e società non ha certamente capito alcune basi di economia (e magari ha idee confuse su valore, interesse o moneta). Ecco quindi che per trattare (in modo ultra sintetico e quindi necessariamente decisamente incompleto e approssimativo) l’aspetto “macro” del commercio estero io qui parlerò della famiglia di ϒ, giovane promessa del calcio da poco accasatosi con β, anche in seguito alla recente nascita di tre bei gemelli, gioiosa conseguenza di una piccola disattenzione. Caso A): ϒ ha un contratto con una nota squadra emiliana che gli garantisce un reddito fisso netto di 100.000 € all’anno e β si dedica totalmente alla cura amorevole dei suoi tre più uno bimbi. Le spese, tutte sostenute in contanti, per acquistare ciò che serve nel corso di un anno per la conduzione familiare sono pari a 84.000 €. Alla fine di un anno la liquidità della famiglia è, quindi, aumentata di 16.000 € (100.000 - 84.000). Caso B): rispetto al caso A) cambia solo che β lavora in uno studio dentistico per uno stipendio netto di 20.000 €; ecco allora che alle spese del caso A) si aggiungono 17.000 € di pagamenti per rette del nido e babysitter. Nel corso dell’anno la liquidità della famiglia è quindi ora aumentata di 19.000 € [120.000 - (84.000 + 17.000)], 3.000 in più rispetto a prima]. Apparentemente, queste fantasie c’entrano nulla col commercio estero; in realtà le situazioni immaginate per quella famiglia hanno molto in comune con i rapporti commerciali di un paese con il resto del mondo. Infatti: - i 100.000 € percepiti sono il prezzo di un bene prodotto da ϒ (le prestazioni calcistico-lavorative) e “esportato”, cioè venduto a (e utilizzato da) un soggetto “esterno” rispetto alla famiglia, esattamente come quando l’esportatore italiano Max Mara S.p.A. vende gli abiti che produce e che saranno poi utilizzati al di fuori del nostro paese; - la scelta di β di vendere i propri servizi lavorativi allo studio dentistico e, col denaro ricevuto, di acquistare i servizi di cura dei figli (servizi che nel caso A) venivano invece prodotti internamente) sono niente di diverso dall’apertura (nel senso di internazionalizzazione) dell’economia di un paese; - i 17.000 € pagati per il nido e la babysitter (così come gli 84.000 precedenti), sono il prezzo di beni acquistati e “importati” dall’esterno, proprio come il cashmere che Max Mara importa dall’Iran per produrre abiti in Italia; - i 16.000 € di liquidità accumulata nel caso A) e i 19.000 del caso B) rappresentano i due diversi incrementi di “riserve valutarie” di un paese: mentre nel caso A) il saldo fra export e import (come dire fra beni venduti fuori dalla famiglia e beni acquistati da fuori) era 100.000 - 84.000 = 16.000 €, nel caso B) l’export è stato di 120.000 e l’import di 101.000 (84.000 + 17.000), il che ha originato l’incremento di ricchezza finanziaria di 19.000 €. Ora un terzo caso, C): partiamo dalla situazione B) ma immaginiamo che ϒ e β, per risparmiare, decidano di rinunciare ai nido e alla babysitter lasciando i tre gemelli soli in casa per molte ore al giorno. L’effetto sarà che nel corso dell’anno l’incremento di ricchezza finanziaria raggiungerà i 36.000 € (120.000 di export - 84.000 di import) a costo, però, di una riduzione del benessere interno (i gemelli rimarranno per molte ore coi pannolini sporchi). Il caso C) mi serve per evidenziare che (contrariamente a quanto sostenevano i mercantilisti nel XVI e XVII secolo) un saldo commerciale positivo (export > di import) non è necessariamente un obiettivo da perseguire, così come un deficit commerciale non sempre è una condizione negativa: l’opportunità di un surplus o di un deficit commerciale dipende dalle condizioni in cui si trova il paese e, soprattutto, da quali beni si importano: peggiorare la posizione finanziaria con l’estero per importare champagne e ostriche è cosa diversa dal farlo per investire in beni di produzione tecnologicamente avanzati. Nel primo caso l’aumento di consumi permesso dal deficit commerciale causerà una riduzione del benessere futuro, quando dovranno essere pagati gli interessi sui debiti contratti o, ancor più, li si dovrà rimborsare (a meno di farlo accendendo nuovi debiti); nell’altro caso, invece, la maggior produzione futura resa possibile dagli investimenti (ammesso che non si rivelino delle ciofeche) permetterà un maggior benessere futuro. 1
Qualche dato nazionale (e se ne vuoi di più cerca nel sito dell’Istat, ad esempio qui: http://www.annuarioistatice.it/cont_intern/contesto.html ) Paese partner: Mondo Merce Ateco 2007: totale Tabella 1. importazioni - esportazioni - Tipo dato valore valore (milioni saldo commerciale (milioni Qui di fianco (tabella 1.) leggi che le di €) esportazioni italiane in ognuno degli (milioni €) di €) ultimi tre anni hanno avuto un valore di II sem. 2015 25.279 circa 450 miliardi, e le importazioni 180.778 206.056 I sem. 2016 21.989 circa 400. Come sempre, per farsi 185.100 207.088 meglio un’idea è opportuno calcolare i II sem. 2016 27.654 valori pro capite (cioè per ognuno dei circa 182.527 210.181 60 milioni di residenti nel paese) che Anno 2016 TOTALE 49.643 risultano, approssimando: 367.627 417.269 7.500 € di export e 6.700 € di import, con quindi un saldo attivo di 800 €. I sem. 2017 19.062 204.242 223.303 II sem. 2017 196.416 224.803 28.388 Qui sotto (tabella 2.) puoi invece Anno 2017 TOTALE 47.450 leggere l’andamento negli ultimi 11 400.658 448.106 anni, dal 2008 al 2018 compresi, del commercio estero italico. L’ultima Gen-2018 - 92 colonna “grado di apertura” è calcolata 34.787 34.696 mettendo in rapporto la somma di Feb-2018 3.098 33.150 36.249 import e export con il PIL. . Una Mar-2018 4.525 economia particolarmente chiusa avrà 36.998 41.523 2018 un grado basso, una molto aperta può Apr-2018 2.985 arrivare anche a superare il 100%. Nel 33.319 36.305 fare confronti internazionali del grado Mag-2018 3.366 37.205 40.571 di apertura occorre però tenere conto Giu-2018 5.071 della pesante influenza della dimensione 37.100 42.171 del paese. Il motivo di questo effetto I sem. 2018 212.559 231.515 18.953 prova a intuirlo da te ora come esercizio; poi verificane la correttezza andando a leggere quanto ho scritto nella tabella 3. nella pagina successiva. Tabella 2. Variazione % su anno Fonte: ISTAT (dati in milioni di $ USA) precedente grado di apertura Anno Interscambio tot IMPORT EXPORT Saldo IMPORT EXPORT 2008 529.000 512.000 - 17.000 55,0% 2009 818.000 413.000 405.000 - 8.000 - 21,9 - 20,9 47,5% 2010 929.000 484.000 445.000 - 29.000 + 17,2 + 9,9 52,3% 2011 1.077.000 556.000 521.000 - 35.000 + 14,9 + 17,1 53,5% 2012 987.000 487.000 500.000 13.000 - 12,4 - 4,0 53,4% 2013 993.000 477.000 516.000 39.000 - 2,1 + 3,2 53,9% 2014 1.000.000 472.000 528.000 56.000 - 1,0 + 2,3 55.5% 2015 864.000 409.000 455.000 46.000 - 13,3 - 13,8 58,0% 2016 865.000 405.000 460.000 55.000 - 1,0 + 1,1 59,0% 2017 956.000 451.000 505.000 54.000 + 11,4 + 9,8 61.3% 2018 1.043.000 498.000 545.000 47.000 + 10,4 + 7,9 62,1% 2
Tabella 3. Grado di apertura [ (X + M) / P.I.L. ] (del mercato nazionale ai flussi di commercio internazionale) di alcuni paesi (anno 2018) Il fatto che il grado di apertura di un’economia possa superare il 100% non ti deve stupire; certamente in assenza di importazioni il dato si manterrà basso (si arriverebbe al massimo al 100% se tutta la produzione interna fosse esportata, ma questo significherebbe, l’azzeramento di consumi e investimenti internii), ma più è “piccolo” il paese e più è naturale un’alta incidenza del commercio estero: nell’ipotesi che nella Città del Vaticano (stato che ha 900 abitanti su circa un solo km2 di superficie) tutti i lavoratori siano occupati in una sola azienda di produzione (magari produttrice di santini) che eroga redditi per 10 milioni e che esporta l’intera sua produzione pari a 50 milioni, e supponendo anche che le importazioni Vaticane (carta, inchiostro, energia ecc. oltre a tutti i beni consumati dalla popolazione) ammontino a 40 milioni, allora il grado di apertura di quel microscopico paese sarebbe del 900% [ (50 + 40) / 10 = 9 = 900% ]. Oppure: consideriamo un paese che importa beni intermedi per 1 miliardo di €. Supponiamo che essi vengano trasformati in beni finali con l’uso di solo lavoro. Se i salari ammontano a 300 milioni e i profitti sono nulli, allora il valore dei beni finali sarà di 1.300 milioni. Ipotizzando poi che siano esportati beni finali per un valore di 1 miliardo e che il resto sia consumato dai residenti, allora risulta che Esportazioni = Importazioni = 1 miliardo e PIL = 300 milioni; quindi grado di apertura 667% . U.S.A. Corea d. Sud Germania Francia Spagna Olanda Lussemburgo Turchia Giappone G.B. 27,7% 105% 94% 65% 62% 160% 390% 45% 35% 63% Nel caso anelassi ad altre informazioni relative a qualunque paese del mondo puoi provare, fra i tanti, con questo sito http://www.infomercatiesteri.it/paesi.php Per altri dati sulla realtà italiana, invece, consigliabile è sempre il sito http://www.annuarioistatice.it/cont_intern/contesto.html oltre a, ovviamente, www.istat.it Tabella 4. Principali paesi destinatari delle esportazioni italiane Principali paesi di provenienza delle importazioni italiane Paese mln € (anno 2017) peso % Paese mln € (anno 2017) peso % Germania 55.877 12,5% Germania 65.347 16,3% Dai dati qui a fianco si nota, tra l’altro, che i primi tre paesi, da Francia 46.164 10,3% Francia 35.210 8,8% soli, coprono circa un terzo sia U.S.A. 40.496 9,0% Cina 28.430 7,1% dell’export che dell’import italiano; i tre paesi più Spagna 23.194 5,2% Paesi Bassi 22.504 5,6% importanti, quindi, pesano quasi Gran Br. 23.130 5,2% Spagna 21.175 5,3% quanto gli oltre 180 paesi che non appaiono in tabella. Svizzera 20.611 4,6% Belgio 17.968 4,5% Belgio 13.553 3,0% U.S.A. 15.013 3,7% Cina 13.514 3,0% Russia 12.309 3,1% Gran Polonia 12.592 2,8% Bretagna 11.404 2,8% Paesi Bassi 10.455 2,3% Svizzera 11.178 2,8% Resto del mondo: 42,1% Resto del mondo: 40,0% Tabella 5. (Lombardia, Emilia, Veneto e Piemonte, da sole, Tabella 6. (Dopo quella di Vicenza, la nostra provincia è la seconda per fanno quasi il doppio delle esportazioni delle altre 16 regioni) export pro capite, con un valore quasi triplo della media italiana di circa 7.000 €) Principali regioni italiane per export (2017) Principali province italiane per export (2017) Export per Regione mln € peso % Posizione Provincia mln € peso % abitante (€) Lombardia 120.334 26,9% 1 Milano 41.112 9,2% 12.800 Veneto 61.320 13,7% 2 Torino 22.135 4,9% 9.700 Emilia R. 59.881 13,4% 3 Vicenza 17.701 4,0% 20.400 Piemonte 47.906 10,7% 4 Brescia 15.784 3,5% 12.500 Toscana 34.761 7,8% 5 Bergamo 15.433 3,4% 13.900 Lazio 22.995 5,1% 6 Treviso 12.872 2,9% 14.500 Friuli V.G. 14.857 3,3% 7 Bologna 13.651 3,0% 13.600 Marche 11.781 2,6% 8 Modena 12.661 2,8% 18.050 Campania 10.488 2,3% 9 Firenze 11.759 2,6% 11.600 Sicilia 9.258 2,1% 10 Verona 11.143 2,5% 12.100 Abruzzo 9.003 2,0% 11 Reggio Emilia 10.322 2,3% 19.400 Trentino A.A. 8.469 1,9% 12 Monza-Brianza 10.186 2,3% 11.800 8,3% 56,5% 5.500 € Totale altre 8 regioni: Totale altre (circa 90) province: 3
Altri dati della nostra provincia Imprese in provincia di Reggio Emilia dal 2006 al 2017 a (b + c) b c d e f (d - e) g (d/a) h (e/a) i (g - h) Tasso di Tasso di Tasso di Anni Registrate Attive Inattive Iscrizioni Cessazioni Saldo natalità mortalità sviluppo 2006 58.545 53.410 5.135 4.683 3.894 789 8,00% 6,65% 1,35% 2007 58.828 53.705 5.123 4.642 4.388 254 7,89% 7,46% 0,43% 2008 58.699 53.641 5.058 4.250 4.401 - 151 7,24% 7,50% -0,26% 2009 58.085 52.838 5.247 3.880 4.526 - 646 6,68% 7,79% -1,11% 2010 57.922 52.403 5.519 4.135 4.295 - 160 7,14% 7,42% -0,28% 2011 57.861 52.131 5.730 4.137 3.757 380 7,15% 6,49% 0,66% 2012 57.217 51.423 5.794 3.977 4.090 - 113 6,95% 7,15% -0,20% 2013 56.460 50.545 5.915 3.710 4.285 - 575 6,57% 7,59% -1,02% 2014 56.041 49.887 6.154 3.699 3.524 175 6,60% 6,29% 0,31% 2015 55.911 49.730 6.181 3.729 3.503 226 6,67% 6,27% 0,40% 2016 55.562 49.429 6.133 3.354 3.433 - 79 6,04% 6,18% -0,14% 2017 55.042 49.045 5.997 3.299 3.413 - 114 5,99% 6,20% -0,21% Imprese registrate per forma giuridica in % sul totale (anni 2012 e 2017 in provincia, regione e Italia) Reggio Emilia Emilia Romagna Italia Anno 2012 2017 2012 2017 2012 2017 Società di capitali 21,2% 23,9% 21,9% 24,9% 23,2% 27,1% Società di persone 21,0% 20,0% 22,0% 20,6% 18,6% 16,7% Imprese individuali 54,6% 52,8% 53,4% 51,7% 54,8% 52,7% Altre forme 3,1% 3,3% 2,7% 2,8% 3,5% 3,5% TOTALE 100% 100% 100% 100% 100% 100% ESPORTAZIONI (dati in migliaia di € ) Province 2016 2017 Variaz.% € pro capite Piacenza 4.262.288 4.356.522 2,2% 15.191 Parma 6.277.449 6.557.987 4,5% 14.565 Reggio Emilia 9.492.107 10.322.418 8,7% 19.382 Modena 12.019.555 12.660.816 5,3% 18.038 Bologna 12.823.350 13.651.119 6,5% 13.499 Ferrara 2.211.883 2.420.717 9,4% 6.977 Ravenna 3.588.170 4.003.522 11,6% 10.230 Forlì-Cesena 3.322.581 3.570.055 7,4% 9.011 Rimini 2.145.349 2.337.879 9,0% 6.931 Emilia Romagna 56.142.731 59.881.035 6,7% 13.442 Italia 417.268.910 448.106.664 7,4% 7.468 4
ESPORTAZIONI (in € x 1.000) per settore merceologico provincia di Reggio Emilia Settore merceologico 2016 2017 Variaz.% % sul tot. (2017) Prodotti dell’agricoltura e pesca 8.664 6.529 - 24,6% 0,06% Prodotti dell’industria 9.471.352 10.302.312 8,8% 99,8% di cui: Alimentari e bevande 588.471 620.353 5,4% 6,0% Tessile-abbigliamento 1.565.327 1.668.041 6,6% 16,2% Ceramica 1.100.959 1.134.299 3,0% 11,0% Metalmeccanica 4.789.624 5.399.671 12,7% 52,3% Elettrica-elettronica 837.823 876.627 4,6% 8,5% Altri settori industriali 589.148 603.622 2,4% 5,8% Altri prodotti e attività - merci varie 12.091 13.577 12,3% 0,13% TOTALE 9.492.107 10.322.418 8,7% 100,0% Esportazioni della provincia di Reggio Emilia per aree territoriali Area territoriale 2016 2017 Variaz. % % sul tot. (2017) EUROPA 6.737.780.000 7.305.118.000 8,4% 70,8% di cui: Unione Europea 28 6.014.771.000 6.549.850.000 8,9% 63,5% UEM 19 4.318.814.000 4.696.577.000 8,7% 45,5% Russia 237.488.000 264.990.000 11,6% 2,6% Turchia 151.263.000 164.905.000 9,0% 1,6% AMERICA 1.144.917.000 1.300.901.000 13,6% 12,6% di cui: U.S.A. 748.095.000 826.443.000 10,5% 8,0% Canada 125.513.000 137.816.000 9,8% 1,3% Brasile 79.507.000 91.236.000 14,8% 0,9% ASIA 1.126.525.000 1.194.982.000 6,1% 11,6% di cui: Cina 252.550.000 296.542.000 17,4% 2,9% Giappone 114.898.000 110.887.000 - 3,5% 1,1% Emirati Arabi Uniti 56.891.000 71.446.000 25,6% 0,7% Hong Kong 83.135.000 80.972.000 - 2,6% 0,8% 5
India 75.969.000 83.374.000 9,7% 0,8% AFRICA 317.100.000 333.640.000 5,2% 3,2% di cui: Sudafrica 67.329.000 82.687.000 22,8% 0,8% Algeria 47.295.000 62.334.000 31,8% 0,6% Egitto 52.885.000 47.104.000 - 10,9% 0,5% OCEANIA 187.777.000 1,8% di cui: Australia 158.151.000 1,5% Nuova Zelanda 25.557.000 0.2% TOTALE 9.492.106.711 10.322.418.354 100,00 Il commercio con l’estero: alcuni aspetti amministrativi-aziendali. A parte la questione linguistica, quasi sempre risolvibile con un’ottima conoscenza dell’inglese (anche tecnico del settore), i motivi che rendono il commerciare con l’estero più complesso, almeno tendenzialmente, del trattare con clienti e fornitori nazionali possono derivare principalmente da: 1) le complicazioni collegate alla normativa applicabile; 2) la probabile maggior complessità del trasporto; 3) la maggior complessità amministrativa-fiscale; 4) l’eventuale utilizzo di una moneta diversa; 5) il “rischio paese”. 1) (complicazioni contrattuali) Di 1), avendo in merito competenze troppo scarse, dirò poco, limitandomi a segnalarvi l’opportunità di richiedere, almeno per i contratti di valore elevato, la consulenza di uno studio legale specializzato e, in ogni caso, di stipulare contratti chiari in tutti gli aspetti al fine sia di minimizzare la probabilità che sorga un contenzioso sia, nella malaugurata ipotesi che la controversia nasca ugualmente, di aumentare la probabilità di poter far valere le proprie ragioni (qualsiasi giudice, se il caso si presenta di non chiara interpretabilità, tende a dare torto alla parte “straniera”). In caso di commercio estero la necessità di curare attentamente gli aspetti contrattuali e tecnici è mediamente più stringente che nel commercio interno, e il ricorso all’uso degli “International commercial terms”, più spesso chiamati in modo abbreviato “Incoterms”, va verso questa direzione. Come certamente saprete, gli Incoterms sono (e qui saccheggio Wikipedia) termini utilizzati nel campo delle importazioni ed esportazioni, validi in tutto il mondo, che definiscono in maniera univoca e senza possibilità di errore ogni diritto e dovere in capo ai vari soggetti giuridici coinvolti in una operazione di trasferimento di beni da una nazione ad un'altra. I soggetti coinvolti in un’operazione di import-export sono, il più delle volte, il venditore, il trasportatore, le due dogane (quella del paese dell’esportatore e quella del paese in cui la merce è importata), l’acquirente e l’assicuratore; a questi poi assai spesso si aggiunge lo spedizioniere, personaggio di cui faremo conoscenza a pagina 10. Gli Incoterms, la cui prima versione risale al 1936, sono periodicamente stabiliti e ratificati dall'International Chamber of Commerce (ICC). Vengono pubblicati in lingua inglese (con traduzione autorizzata in altre 31 lingue da parte delle varie camere di commercio nazionali). 6
Ancora per pochi giorni, ovvero fino al 31/12/2019) saranno in vigore gli Incoterms 2010. Dal 1/1/2020 si utilizzano gli Incoterms 2020 (variati, comunque, di poco). Ogni sigla codificata nell'Incoterm definisce in modo chiaro chi deve accollarsi i costi e le responsabilità: 1) per ogni parte di trasporto, 2) per i costi doganali in partenza e in arrivo, 3) per i costi assicurativi. E’ basilare che, dopo la sigla dell’incoterm, si riporti l'indicazione del nome specifico della località geografica o della frontiera o del terminal (porto/aeroporto/stazione) a cui la sigla stessa si riferisce; ad es.: se Illy vende caffè a un’azienda Sud Coreana e nel contratto di vendita indica “EXW via Flavia 110 Trieste, Italy, Incoterms® 2020”, allora significa che la merce si considera consegnata nel luogo indicato (nell’esempio il magazzino della sede del venditore) e tutti i costi e i rischi successivi (per le pratiche doganali per l’esportazione da espletare in Italia per, per l’organizzazione e l’effettuazione del trasporto, per le operazioni doganali di importazione e gli adempimenti sanitari da fare alla dogana Coreana ecc.), sono a carico dell’acquirente. Se, invece, Illy vende caffè in Francia e nel contratto viene riportata la dicitura “FCA 33 avenue Président Wilson, Paris, France, Incoterms® 2020” allora significa che il caffè si considera consegnato quando raggiunge il luogo indicato (normalmente il magazzino di uno spedizioniere o di un vettore concordato con l’acquirente) ed è pronto per lo scaricamento dal mezzo di trasporto: da quel momento costi e rischi del trasporto successivo sono a carico del compratore. Nella prossima pagina riporto gli Incoterms 2010 (come già scritto, quelli utilizzabili dal 1/1/2020 sono cambiati di poco) con a fianco di ognuno una sintetica spiegazione. 7
Ex Works / Franco Fabbrica Acquistare merce con resa Ex Works significa prendersi carico dei costi e delle responsabilità dell’intero trasporto, a partire dal luogo, generalmente lo stabilimento del venditore, in cui sono presenti le merci da prelevare. FCA Free Carrier / Franco Vettore Con gli FCA Incoterms, il venditore si occupa di far arrivare le merci fino al punto concordato con l’acquirente (magazzino, terminal, stazione …) dove verranno consegnate al vettore. Da qui in poi costi e responsabilità sono a carico del compratore, mentre lo sdoganamento in export resta a carico del venditore. FAS Free Alongside Ship / Franco sotto bordo È una delle clausole riservate al trasporto marittimo, e significa che il venditore si fa carico di spese e responsabilità del trasporto fino alla consegna delle merci “a banchina” nel porto d’imbarco. FOB Free On Board / Franco a bordo Rispetto alla precedente, questa clausola assegna al venditore costi e rischi, oltre all’operazione doganale per l’esportazione, fino alla consegna delle merci a bordo della nave. CFR Cost and freight / Costo e Nolo In questo caso il venditore si assume i costi del trasporto fino al porto di destinazione, mentre i rischi sono a carico dell’acquirente dal momento in cui le merci sono a bordo della nave al porto di partenza. CIF Cost Insurance and Freight / Costo, Assicurazione e Nolo La clausola Incoterms CIF si differenzia dal CFR solamente per le spese di assicurazione che sono anch’esse a carico del venditore, intese come copertura minima. CPT Carriage paid to / Trasporto pagato fino a Le responsabilità sono le stesse del trasporto FCA, ma nel caso del CPT il venditore si fa carico anche dei costi della spedizione fino al luogo concordato con l’acquirente. Questa resa è spesso utilizzata in caso di trasporto via aerea. CIP Carriage and Insurance paid to / Trasporto e Assicurazione pagati fino a La clausola CIP è identica all’Incoterms CPT con una sola differenza: oltre ad accollarsi costi e responsabilità del trasporto fino al luogo di destinazione, con la resa CIP il venditore ha l’obbligo anche di coprire l’assicurazione della merce. DAT Delivered at terminal / Reso al terminal È l’unica clausola che include le spese di sbarco o scarico. Il venditore si prende carico di costi e rischi del trasporto delle merci fino al terminal concordato (un magazzino, un aeroporto, una banchina, un terminal stradale o ferroviario…), che deve essere indicato in modo esplicito. Il compratore è incaricato delle operazioni doganali per l’importazione e dei costi relativi. DAP Delivered at Place / Reso al luogo di destinazione Chi vende si occupa di coprire spese e rischi della spedizione fino a un luogo concordato, finché la merce è pronta per essere scaricata, ma non sdoganata (operazione a carico dell’acquirente). DDP Delivered Duty Paid / Reso Sdoganato È l’opposto della resa Incoterms Ex Works: in questo caso è il venditore a farsi carico di costi e rischi per tutto il trasporto fino al luogo di destinazione, dove le merci devono essere pronte per essere scaricate. A suo carico sono anche le responsabilità dello sdoganamento. Lo studente attento (ma inesperto) in genere giunge a questo punto alla conclusione che EXW sia la clausola in ogni caso migliore per l’esportatore mentre la DDP sia quella che avvantaggia massimamente l’importatore, almeno a parità di prezzo concordato tra le parti. E così lo studente dice quella che, con una sofisticata espressione anglosassone, non di rado risulta un’emerita bull shit. L’opportunità di adottare un particolare incoterm, infatti, deve essere valutata tenendo in considerazione, oltre ai costi e ai rischi del trasporto, anche altri aspetti dell’operazione, e in particolare le clausole relative al pagamento; dalla combinazione fra incoterm e tipo di pagamento discendono, infatti, rilevanti conseguenze che tratto sinteticamente nella prossima pagina; mentre la leggete vi invito a mettervi sia nei panni del venditore, sia in quelli dell’acquirente. Quanto appena detto non deve, però, indurre a sottovalutare i vantaggi del mancato sostenimento dei costi e dei rischi del trasporto, tenendo anche presente che il vettore, in pratica, spesso risponde solo in piccola parte dei danni subiti dalla merce anche nel caso di sua responsabilità: lo fa, infatti, nel limite massimo di circa 10 € al kg (nel trasporto interno l’indennizzo è praticamente nulla: 1,00 € al kg) , e ciò rende ancor più necessaria una buona (e quindi costosa) polizza assicurativa. 8
La coordinazione fra Incoterms, modalità di trasporto e forma del pagamento. a) il venditore deve evitare di compromettere la sicurezza dell’incasso del proprio credito, e cioè deve tutelarsi sia dal rischio di insolvenza della controparte e/o del paese dell’importatore, sia dal rischio di revoca dell’ordine o comunque di mancato ritiro della merce da parte dell’acquirente; b) il compratore deve evitare di non ricevere la merce, o di riceverla non conforme all’ordine, e di doverla pagare ugualmente. Segnalo subito che occorre distinguere il caso della merce “customizzata”, cioè lavorata appositamente per il cliente, da quello della merce prodotta “in serie” o, come anche si dice, “prodotta per il magazzino”, cioè vendibile a molti clienti diversi: nella vendita di merci customizzate occorre procedere con ancor più prudenza; un esempio basta per chiarire la ragione della distinzione: supponiamo che alla Formelli s.r.l. di Formia venga commissionata dalla Japo K.K. di Osaka la produzione di stampi che saranno utilizzabili solo dal committente in quanto realizzati su sue specifiche esigenze, e ipotizziamo anche che venga concordato il termine di consegna EXW, usualmente considerato il migliore dal punto di vista del venditore. Terminata la produzione, la Formelli s.r.l. dà avviso di merce pronta al cliente. La Japo K.K., però, per una qualche ragione (magari perché non più interessata all’operazione) non invia il mezzo per il ritiro della merce, con la conseguenza che il venditore, dopo aver sostenuto i costi per la produzione di un bene che non potrà mettere sul mercato (perché unicamente adatto alla Japo K.K.), non ottiene il pagamento di quanto dovuto. Se la produzione avesse riguardato beni standard (nel senso di prodotti in serie) il danno sarebbe stato più contenuto in quanto la merce avrebbe potuto essere comunque piazzata sul mercato (anche se probabilmente a un prezzo un po’ inferiore a quello concordato con il cliente originario). Azzerare contemporaneamente i rischi per entrambi è impossibile, ma è doveroso cercare una soluzione che consenta all’operazione di andare in porto, una soluzione quindi che tuteli in modo soddisfacente i due contraenti e cioè che permetta: a) al venditore che consegna nei tempi e nei modi concordati la merce conforme agli accordi, di ricevere puntualmente il corrispettivo dovuto; b) al compratore che paga puntualmente l’importo, di prendere in consegna la merce conforme all’ordine d’acquisto. Al di là del caso Formelli/Japo ipotizzato prima , il problema in generale per l’esportatore che concorda una consegna EXW (ma il discorso è analogo anche per altri incoterms come FCA e FAS) abbinata con un qualsiasi pagamento che non sia quello anticipato (rispetto alla consegna) è che con queste clausole di consegna chi vende non ha il controllo sulla merce in quanto tutto sarà gestito da mandatari (da incaricati) del compratore, e quindi l’esportatore potrebbe non venire in possesso della prova dell’avvenuta corretta consegna, rimanendo così indifeso nel caso il compratore sollevi eccezioni, magari pretestuose, per non pagare o pagare in ritardo o richiedere uno sconto sul prezzo concordato. Faccio notare, poi, che questo rischio rimarrebbe anche nel caso di presenza di una clausola di pagamento “rassicurante” quale una Lettera di credito irrevocabile e confermata (del cui funzionamento parleremo a pagina 12), ciò in quanto il venditore vedrebbe compromessa la possibilità di escussione della garanzia a causa dell’assenza della prova dell’avvenuta spedizione. Il venditore potrebbe correre rischi perfino con il pagamento anticipato: capita nel caso di “advance payment guarantee”, cioè di bonifico anticipato e vincolato, però, a una garanzia di restituzione dell’importo in caso di mancata o non puntuale consegna; anche in questo caso è importante che l’incoterm permetta al venditore di dimostrare di aver eseguito la consegna della merce attraverso la presentazione di una copia del documento di trasporto. Da qui l’importanza di adottare un Incoterms del gruppo “C”, perché in questo modo il venditore mantiene il controllo sulla merce fino alla località di destinazione concordata: il maggior costo a suo carico (di cui, comunque, si terrà conto nel prezzo della merce) per il trasporto è spesso più che compensato dalla più elevata sicurezza di ricevere il pagamento. Ecco quindi che, salvo casi particolari, è preferibile concordare uno degli Incoterms CPT/CIP o CFR/CIF, mentre è meglio evitare gli Incoterms EXW, FCA, FAS, FOB, ma anche DAT, DAP, DDP, salvo valutazioni, da verificare caso per caso, circa il possibile utilizzo del FCA o del FOB quando si ritenga di riuscire ad ottenere copia del documento di trasporto al momento della consegna della merce al vettore. 9
2) (complessità del trasporto) Il trasporto intermodale (questa parte è copia-incollato da https://www.xpedinternational.com/servizi/trasporto-intermodale/) Con Trasporto Intermodale si intende una tipologia di trasferimento della merce dal punto di partenza alla destinazione finale che utilizza due o più mezzi di trasporto diversi, senza dover spostare il carico in più contenitori. Il principale vantaggio del Trasporto Intermodale deriva infatti dall’uso di “Unità di Trasporto Intermodali” (UTI) standardizzate, che possono essere trasferite da un mezzo all’altro in modo semplice, con grande risparmio di tempi e costi, e con la possibilità di ottenere il massimo dalle singole tipologie di trasporto in base alla tratta e alla tipologia della merce. Nel caso in cui il trasporto preveda l’utilizzo di diversi mezzi per far giungere la merce a destinazione, ma trasferendola in contenitori diversi, si parla più genericamente di Trasporto Multimodale, anche se con l’impiego ormai ordinario dei container a livello internazionale, i termini Intermodale e Multimodale sono sempre più spesso usati come sinonimi. Unità di Trasporto Intermodale: Tipologie Nel contesto dei Trasporti Intermodali, come ricordato, la merce viaggia dallo stabilimento produttivo o dal magazzino all’interno di una sola unità di carico chiamata Unità di Trasporto Intermodale, da cui non viene mai spostata fino all’arrivo a destinazione. Per evitare la “rottura del carico” nel trasferimento da un mezzo di trasporto all’altro, la UTI deve essere standard. Tra le principali unità di traffico nelle spedizioni intermodali le due più utilizzate sono: Container: è la tipologia certamente più utilizzata e una delle più economiche; Semirimorchio: flessibile e usato soprattutto nel trasporto Rail+Road. Il trasporto Intermodale è dunque una tipologia di trasferimento merci comoda e vantaggiosa, ma che allo stesso tempo necessita di mezzi, attrezzature e infrastrutture idonee, così come di un’organizzazione complessa e dettagliata, che coordini in modo efficiente e puntuale i diversi spostamenti e la gestione correlata. All’interno della definizione di Trasporto Intermodale troviamo una sottocategoria molto utilizzata specialmente per tragitti di media e lunga distanza: il Trasporto Combinato (TC), che è un tipo di Trasporto Intermodale in cui il tratto più lungo del percorso è rappresentato dal trasporto su rotaia, per mare o vie navigabili, mentre il tragitto iniziale e quello finale avvengono su strada. La parte più cospicua del viaggio deve essere superiore a 300 km in linea d’aria (altrimenti conviene fare tutto su autocarro), mentre il trasporto su gomma – nei tratti iniziale e terminale – deve essere il più breve possibile, ossia non maggiore di 150 km in linea d’aria nel caso di imbarco o sbarco presso un porto, o corrispondente al tratto tra il punto di carico/scarico della merce e il terminale ferroviario più vicina. Questo tipo di trasporto risponde principalmente agli obiettivi europei volti a snellire la circolazione stradale, riducendo al contempo il tasso di inquinamento e aumentando la sicurezza. Vantaggi e svantaggi del Trasporto Intermodale Il Trasporto Intermodale è una modalità di spedizione molto flessibile, che permette di spostare qualunque tipologia di merce e di sfruttare i pregi dei diversi mezzi di trasporto, dalla capienza e la sostenibilità del treno, all’economicità della nave, dalla velocità dell’aereo fino alla comodità della consegna door to door del trasporto su gomma. Vediamo ora in sintesi i punti di forza e di debolezza di questa tipologia di trasporto: VANTAGGI DEL TRASPORTO INTERMODALE • Efficienza: massimizza i vantaggi delle diverse modalità di trasporto, ottimizzando tempi e costi di trasferimento delle merci. • Sicurezza: l’assenza di manipolazioni della merce durante il viaggio, per trasferirla su altre unità di carico, garantisce un rischio minore di eventuali danni al contenuto. • Convenienza: oltre al risparmio dovuto ai minori costi di trasbordo della UTI, il Trasporto Intermodale spesso risulta nel complesso più economico rispetto a diversi trasporti acquistati singolarmente. • Sostenibilità: il Trasporto Intermodale riduce le emissioni di anidride carbonica del 55% rispetto al Trasporto su Gomma, attestandosi come una delle tipologie di trasporto più ecologiche e con un minor impatto sull’ambiente. • Controllo: la necessità di dover rispettare una pianificazione degli spostamenti tra diversi mezzi consente di avere un continuo tracciamento della merce. SVANTAGGI DEL TRASPORTO INTERMODALE Il Trasporto Intermodale non presenta particolari svantaggi, se non la complessità organizzativa dei diversi spostamenti, a cui si può ovviare affidando la gestione della propria merce a uno spedizioniere esperto e professionale. A livello operativo, le difficoltà derivano da un sistema infrastrutturale che vede l’Italia ancora indietro rispetto ad altri Paesi europei, con la conseguente eventualità di rallentamenti o impedimenti nei tragitti all’interno dei confini nazionali. (Fine parte copia-incollata) 10
3) (complessità amministrativa-fiscale) Se vi scrivessi qui il numero telefonico di un bravo “spedizioniere”, darei fondo a quasi tutte le mie conoscenze sull’argomento; nello stesso tempo, però, vi comunicherei anche in “know how” il più delle volte sufficiente per un’azienda; ciò perché ogni azienda (a parte quelle più grandi dotate di una struttura interna adeguata) che opera con l’estero delega la soluzione di questi problemi a uno spedizioniere di fiducia. Chi ricorda lo spot pubblicitario “Turista fai da te? No Alpitur? Ahi Ahi Ahi!” trasformi quel messaggio in “Operatore con l’estero fai da te? No spedizioniere? Ahi Ahi Ahi!”. Per convincervi della temerarietà di chi si avventura da solo in una pratica doganale, credo possa bastare segnalarvi, ad esempio, che la sanzione per un errore che porta a un mancato pagamento di circa 2.000 € di dazi è compresa fra i 15.000 e i 30.000 €. Ecco allora che la miglior risposta a qualsiasi domanda relativa a faccende doganali risulta quindi sempre: “Telefona allo spedizioniere!!!” Lo spedizioniere è un’impresa che si occupa di organizzare per i propri clienti il trasferimento fisico di beni, soprattutto, ma non solo, da o verso l’estero (e in questo caso lo spedizioniere assume la qualifica di “spedizioniere doganale”), svolgendo anche le pratiche doganali e fiscali necessarie. Ho sottolineato “organizzare” perché è questo il suo compito, e non è, invece, effettuare materialmente il trasporto: a trasportare i beni, infatti, ci pensano i “vettori” (che possono assumere la veste di “corrieri”, cioè di vettori che collegano determinate destinazioni con date e orari stabilmente prefissati). Se i vettori sono i “manovali” dei trasporti, gli spedizionieri potrebbero essere pensati come gli “architetti” dei trasporti. Nulla, comunque, vieta che le funzioni dello spedizioniere e del vettore siano svolte da uno stesso soggetto se, ovviamente, è abilitato e in grado di rivestire entrambi i ruoli. Sono pochissime le aziende che operano con l’estero senza appoggiarsi a uno spedizioniere per ottenere un fondamentale quanto indispensabile aiuto quando c’è da affrontare una spedizione verso o dall’estero. Per dirlo in modo un po’ più tecnico, lo spedizioniere è l’impresa che per conto del proprio cliente (cioè, nel caso di spedizioniere doganale, l’azienda che esporta o che importa) ma a nome proprio conclude il contratto (o i contratti) di trasporto con il vettore (o i vettori). Il cliente dello spedizioniere, in quanto mandante, non ha alcun rapporto con chi materialmente effettua il trasporto (il/i vettore/i). Il mandato che l’esportatore (o l’importatore) dà allo spedizioniere doganale non si esaurisce, però, con la stipulazione del contratto di trasporto con il vettore, in quanto prevede anche il disbrigo delle pratiche doganali imposte dalle normative nazionali ed estere. Così se, ad esempio, volete tenere in giardino una coppia di lama e li acquistate da un allevatore peruviano di Lima con la clausola di consegna “EXW” (e sai già che significa che chi vende consegna la merce presso il proprio magazzino ed è chi compra a doversi occupare di tutto), per evitare di avere a che fare sia con la dogana (di esportazione) di Lima che con quella (d’importazione) di Reggio, ecco che vi conviene fare la telefonata allo spedizioniere. E se poi, dopo poco tempo e troppi sputi, vendete i lama a un americano originale di Seattle (nel senso di statunitense estroso, non di pronipote di Toro Seduto) che ve li compra con la clausola di consegna “DDP” (quella di gran lunga più utilizzata per esportare in USA e in base alla quale, e già lo sai, è chi vende che deve occuparsi di tutto fino a quando la merce arriva, libera di circolare, nel luogo indicato dal compratore), per evitare di avere a che fare prima con la dogana di esportazione (di Reggio) e poi con quella di importazione (di Seattle), vi conviene ancora sollevare la cornetta (è un antico modo di dire “telefonare”) e incaricare uno spedizioniere. Il mandato che conferite allo spedizioniere comprende anche lo svolgimento di tutte le eventuali operazioni accessorie strettamente necessarie al trasporto, quali ad esempio la pesatura della merce, un particolare imballaggio, il deposito e la custodia della merce fino alla sua consegna o al ritiro, rispettivamente, al o dal vettore. A tutto ciò si aggiunge non di rado anche un’attività di consulenza amministrativa. 11
4) (utilizzo di monete diverse) e 5) (rischio paese) Sia i problemi del “cambio” [derivanti dal fatto che venditore e acquirente utilizzino abitualmente due differenti monete (ad es. € e $)], sia quelli collegati all’avere la controparte contrattuale la nazionalità e/o la sede in uno stato con precaria stabilità politica li conoscete già da Relazioni, perciò qui non ne parlo e mi limito solto a pochi cenni circa le possibili soluzioni. Quanto al rischio paese, l’unico modo per fronteggiarlo è un contratto con una compagnia di assicurazione, privata [AXA (Francia), Allianz (Germania), Metlife (U.S.A.), Ping An Insurance (Cina), Prudential Fin. (U.S.A.), Assicurazioni Generali (Italia) per citare le quattro maggiori al mondo e l’undicesima (e prima fra le italiane), tutte comunque con attivi patrimoniali compresi fra i 500 e i 1.000 miliardi di dollari ] o pubblica [la SACE (di proprietà del M.E.F., cioè dello stato), una nana (solo ½ miliardo di attivo) circa mille volte più piccola delle maggiori compagnie private]. Per annullare o ridurre il rischio di cambio (come dovreste sapere, normalmente l’esportatore teme che nel periodo intercorrente fra la data di fissazione del prezzo e la data del suo incasso la valuta estera con la quale ha eventualmente fatturato si svaluti rispetto a quella nazionale; l’importatore, invece, normalmente teme che in quel periodo sia la propria moneta nazionale a svalutarsi rispetto a quella estera con cui è stato espresso il prezzo) il mercato finanziario offre varie soluzioni; qui ve ricordo solo le due più tradizionali: - l’acquisto (o la vendita) a termine di valuta estera: compro (o vendo) oggi (a un prezzo che quindi mi è già noto) ma con esecuzione il giorno del pagamento (o dell’incasso) l’importo di valuta estera che dovrò inviare al fornitore (o ricevere dal cliente) in futuro; - il finanziamento in valuta: l’esportatore italiano che si attende dal cliente USA il pagamento di 500.000 $ fra tre mesi chiede oggi alla propria banca un prestito di 500.000 € e, ricevutolo, trasforma immediatamente [al cambio (noto) di oggi] i 500.000 € in euro che usa subito per i suoi abituali pagamenti (ai dipendenti, ai fornitori ecc.) riducendo così, per tre mesi, la necessità di finanziarsi in euro. Quando, trascorsi i tre mesi, riceverà i 500.000 $ dal cliente li userà per estinguere il finanziamento in valuta acceso inizialmente. Di mia competenza (e non di Relazioni, tant’è che dubito abbiate mai trattato l’argomento se non nelle cosiddette “lettere commerciali” in una qualche lingua) sono, invece, i modi con cui si effettuano i pagamenti nel commercio con l’estero, quindi ne parlerò di più. Modalità di pagamento nel commercio internazionale Volendo suddividere in due soli gruppi tutti i sistemi di pagamento della merce, il modo più valido è separare i pagamenti “aperti” (open account) dai pagamenti “COD” e “CAD”, acronimi, rispettivamente di Cash On Delivery e di Cash Against Documents. Un pagamento è “aperto” quando la consegna delle merci non è vincolata, collegata, al suo pagamento, come invece è nel caso, e lo vedremo fra poco, sia di un pagamento COD sia di un pagamento CAD. Va da sé che, a meno di rapporti fra le parti caratterizzati da un alto grado di fiducia oppure a meno di ricorrere a qualche strumento di riduzione dei rischi, negli altri casi un pagamento aperto è fortemente sconsigliabile. Per comprendere meglio gli effetti delle combinazioni fra i termini (nel senso di clausole, accordi) di consegna e quelli di pagamento è opportuno ricordare, a grandi linee, quali sono le tipologie di pagamento più frequentemente usate nel commercio con l’estero. Occorre, però, che ci intendiamo subito su cosa intendere col termine “pagamento”: si potrebbe, infatti, intenderlo come ottenimento di denaro, e invece qui lo si usa anche con il significato di ricevimento di un strumento finanziario che in futuro darà origine, in modo più o meno sicuro e rapido, a un incasso di denaro (ad esempio l’ottenimento di un pagherò, l’accettazione di una tratta, l’ottenimento della dichiarazione di una banca di aver effettuato un bonifico e altro) . Cominciamo dal facile, e cioè col dire che il pagamento può avvenire prima, contemporaneamente o successivamente alla consegna della merce, e fin qui non ci vuole Newton per capirlo. Quando il pagamento è contemporaneo alla consegna, allora il più delle volte si tratta di un pagamento “COD” (Cash on Delivery), che è, in pratica, un pagamento contrassegno (invito chi non si ricorda che caspita è il “contrassegno” ad andare a riguardarsi la pagina 4 degli appunti “Il diritto di proprietà e il suo trasferimento” che vi distribuii in prima e che certamente tenete ancora sul comodino) in quanto è il pagamento effettuato allo spedizioniere (o al vettore), il quale poi lo invierà al venditore. Questa modalità è probabilmente quella più diffusa nel caso di operazioni via terra in area U.E.: l’esportatore incarica lo spedizioniere di consegnare la merce al compratore solo dopo aver ricevuto, secondo quanto concordato col compratore, uno o l’altro fra: 12
- banconote; - dichiarazione bancaria di avvenuto trasferimento dei fondi, irrevocabile e incondizionato, a favore del venditore; - dichiarazione bancaria (della banca dell’esportatore) di avvenuto accredito; - dichiarazione bancaria di blocco dei fondi; - assegno circolare; - dichiarazione bancaria di aver ricevuto ordine di pagamento; - assegno bancario; - firma di accettazione di una cambiale tratta; - pagherò cambiario. Segnalo, anche se spero sia superfluo, che i primi cinque strumenti hanno un grado di sicurezza maggiore degli ultimi quattro. Detto del pagamento “Cash On Delivery” e ribadito che questo sistema, nonostante il nome, non esclude il credito di fornitura (ad esempio nel caso - peraltro raro - di ricevimento di una cambiale) parliamo ora degli strumenti bancari d’uso più frequente nel commercio internazionale. I quattro strumenti in assoluto più utilizzati (qualunque sia la tempistica del pagamento rispetto alla consegna) sono: (A.) il bonifico; (B.) il credito documentario, (C.) la lettera di credito e (D.) la lettera di credito stand by. (A.) Dei quattro appena citati, il bonifico è il sistema più usato perché non solo è usuale, come già scritto, in caso di pagamento a mezzo COD, ma è anche la prassi per tutti i pagamenti “aperti” (open account), cioè, come già ho scritto, nei casi in cui la consegna delle merci non è vincolata al pagamento, eventualità frequente, ribadisco anche questo, quando tra le parti intercorrono rapporti di fiducia consolidati nel tempo. E’ ovvio che con il bonifico, se abbinato a un pagamento aperto, il rischio per l’esportatore (in caso di pagamento posticipato) o per l’importatore (se il pagamento è anticipato) è massimo, e quindi quando la fiducia nella controparte non è elevata l’uso del bonifico è prudente sia accompagnato da tecniche che riducano il “risk credit”, come ad esempio l’assicurazione del credito o l’uso del factoring (di cui, forse, parleremo più avanti). Fare o ricevere un bonifico fra c/c su banche residenti in paesi diversi è oggi, diversamente dal passato, praticamente semplice come nel caso del bonifico nazionale; le uniche differenze sono infatti: - il maggior costo (le commissioni bancarie, che variano da meno di uno fino a pochi euro nei bonifici nazionali, diventano in genere qualche euro o tuttalpiù poche decine di euro nei bonifici con l’estero); - la necessità di indicare alla banca, oltre al codice IBAN del conto di accredito, anche il codice “BIC” (Bank Identifier Code), spesso definito anche codice “SWIFT” (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication) della banca estera; faccio presente che in alcuni paesi (ad esempio USA, Canada, Giappone e Cina) i conti correnti non sono identificati dal codice IBAN ma da altri dati. Di rilevante importanza sono poi anche i codici TRN e CRO: il codice “TRN” (transaction reference number, di 30 caratteri alfanumerici) come anche il suo sottocodice “CRO” (codice di riferimento dell’operazione, di 11 cifre) sono, infatti, codici identificativi non del conto bensì dell’operazione, codici che vengono sempre indicati dalla banca al cliente (che le ha ordinato il pagamento) e che questi può a sua volta comunicare al beneficiario per consentirgli di verificare l’avvenuto pagamento prima ancora che l’accredito risulti sul suo conto corrente; il TRN, infatti, consente sia di controllare che l’ordinante abbia disposto veramente il bonifico ma anche la corretta ricezione del pagamento presso la propria banca. (Per i curiosi: il CRO è contenuto nel TRN, in quanto il primo è costituito dalle 11 cifre comprese fra il sesto e il sedicesimo carattere del TRN). Quando il pagamento con bonifico avviene in Euro ed entro l’area UE (con aggiunta di Svizzera, Norvegia, Islanda, Liechtenstein, Principato di Monaco e, ovviamente, San Marino e Città del Vaticano) allora si tratta di un bonifico SEPA (Single Euro Payment Area), le cui caratteristiche principali sono il costo in genere ridotto (rispetto agli altri bonifici esteri) e tempi certi per l’accredito (normalmente entro tre giorni lavorativi dall’ordine o anche entro un solo giorno se si richiede un bonifico “urgente”, il cui costo è ovviamente maggiore). 13
(B.) Con gli incassi documentari, detti anche crediti documentari, o C.A.D. (cash against documents) o documentary collections, il venditore affida i documenti di spedizione della merce a una propria banca che invia poi la documentazione alla banca dell’importatore. Quest’ultima potrà consegnare al proprio cliente i documenti necessari per il ritiro della merce esclusivamente se questi esegue le istruzioni stabilite per il pagamento. Anche nel caso di CAD, come già si è visto nel COD, la C di cash va intesa non solo come trasferimento di liquidità ma anche come consegna, da parte del compratore, di un qualche strumento finanziario diverso dalla moneta, come un pagherò cambiario o l’accettazione di una tratta. Infatti i pagamenti CAD sono di due tipi: - D/P (documenti contro pagamento), e in questo caso la banca dell’importatore consegna al proprio cliente i documenti necessari per ritirare la merce dopo aver effettuato il bonifico alla banca dell’esportatore; - D/A (documenti contro accettazione), quando per ottenere i documenti l’importatore deve accettare di promettere un pagamento futuro, e questa promessa può essere costituita o da una “Promissory Note” (l’italico pagherò cambiario) oppure dall’accettazione di una Bill of exchange (la nostrana cambiale tratta). L’esportatore in possesso di questi “effetti” (cioè titoli rappresentativi di un credito) per incassare effettivamente liquidità dovrà o attendere la scadenza del titolo o “scontarlo”, cioè farselo anticipare, spesso con un’operazione di Forfaiting, di cui, forse, farò cenno più avanti. (C.) Le lettere di credito (L/C) sono, in pratica, delle fideiussioni bancarie sottoposte a condizioni: infatti con la lettera di credito la banca si impegna, su richiesta di un acquirente-importatore, a effettuare il pagamento all’esportatore ma solo a condizione che questi assolva tutti i compiti e le condizioni previste ed esplicitate nella stessa lettera di credito, e cioè che presenti entro un determinato termine tutti i documenti richiesti. Se col sistema CAD (cioè col credito documentario), analogamente al caso COD, l’esportatore non rischia più di perdere il possesso della merce senza ricevere il pagamento, ma rischia ancora di non essere pagato ogni volta che il compratore non è più in grado di farlo o non è più interessato al ritiro della merce, con la lettera di credito (se irrevocabile) l’esportatore che adempie correttamente e puntualmente tutti i suoi obblighi (e abbia concordato una clausola di consegna adeguata, vedi pagina 8) non rischia più nemmeno di non ricevere il pagamento anche nel caso che l’importatore fallisca o semplicemente cambi idea e non voglia più la merce. (D.) La lettera di credito stand by (SBLC, Stand-by letter of credit) è, in sostanza, una fideiussione bancaria a prima chiamata, in quanto la banca emittente si impegna, su incarico dell’importatore, per un periodo determinato ed entro un importo massimo prestabilito, a eseguire il pagamento a favore dell’esportatore (beneficiario) a semplice sua richiesta (“sua” dell’esportatore): l’unica cosa che l’esportatore dovrà infatti far avere alla banca è, non di rado, solo una copia della fattura e la dichiarazione di non averne ricevuto il pagamento dall’importatore. La lettera di credito stand-by, quindi, più che una forma di pagamento deve essere considerata come una pura garanzia, tanto è vero che, diversamente dal caso (3.) del credito documentario (cioè della lettera di credito non stand-by), qui non necessariamente il pagamento della merce avviene tramite la banca emittente: una volta ottenuta una lettera di credito stand-by, i rapporti continuano a svolgersi direttamente fra compratore e venditore e il pagamento può essere concordato con un qualunque strumento, magari anche al di fuori del circuito bancario; qualora alla scadenza il debitore non adempia alla propria obbligazione, allora il venditore (beneficiario della SBLC) attiverà la Stand By presentando la richiesta di escussione alla banca garante e questa pagherà anche nel caso l’importatore possa dimostrare che ha tutti i diritti per non pagare, magari perché la merce è totalmente non conforme. La banca paga comunque l’esportatore, poi addebiterà l’importo all’importatore che, infine, dovrà attivarsi nei confronti dell’esportatore per far valere i propri diritti e cercare di recuperare l’importo e gli eventuali danni ingiustamente subiti. 14
L’aspetto fiscale Se si esclude quello del Principato del Liechtenstein e, forse, un altro paio, i governi di tutto il mondo tendono a compiere ogni sforzo di cui sono capaci per sorvegliare il più capillarmente possibile i propri cittadini e, più in generale, chi opera nel loro territorio, soprattutto al fine di ottenere le sempre maggiori risorse necessarie per finanziare la continua crescita dell’apparato burocratico-amministrativo. Questo implica, fra le tante cose, anche il controllo di tutto ciò che entra e che esce nel e dal paese, e da qui l’esistenza delle “dogane”, strumenti governativi la cui funzione è sia fiscale (applicare dazi e imposte varie alle merci in transito per far giungere soldi al governo), sia di politica economica [avvantaggiare attraverso limitazioni all’import e aiuti all’export alcuni produttori interni (quelli con più “amici” fra i politici e gli alti dirigenti pubblici), penalizzando però cosi tutti gli altri cittadini], sia statistico (aumentare le informazioni utili alla politica (al governo e al parlamento) per programmare e controllare le iniziative volte al raggiungimento dell’araba fenice dell’immancabile “bene comune”). Quando poi, come l’Italia con la U.E., un paese fa parte di una comunità di stati che hanno deciso di liberalizzare gli scambi commerciali (ma anche il transito delle persone) fra loro, allora la dogana mantiene intatte le sue competenze solo sui flussi di merci in entrata e in uscita dai confini del territorio comunitario, essendo evaporato il concetto di confine nazionale (almeno per quanto riguarda la circolazione dei beni e delle persone). Operando ogni azienda (a parte le “non tradable”) di qualsiasi paese UE nello stesso unico e vastissimo mercato, è naturale che, affinché la concorrenza sia corretta, tutte debbano seguire le medesime regole nel commercio extraUE; ecco perché l’applicare una limitazione all’import come anche un’agevolazione all’export è una scelta che non è più dei governi nazionali ma è presa, per tutti, in sede UE (dal Consiglio d’Europa su proposta della Commissione Europea, come forse ricordate da precedenti letture di Relazioni internazionali). Qui, poiché l’argomento mi annoia, copio-incollo dal sito istituzionale https://europa.eu/european-union/topics/customs_it Libero scambio in Europa Grazie all’unione doganale dell’UE: • i dazi alle frontiere tra i paesi dell'UE sono un ricordo del passato • disponiamo di un sistema uniforme di dazi sulle importazioni dai paesi non appartenenti all'UE. Oltre a garantire il flusso degli scambi, i doganieri svolgono tutta una serie di compiti a tutela dei cittadini europei. L’unione doganale è un’area commerciale unica, nella quale tutte le merci circolano liberamente, sia che siano state fabbricate nell’Unione europea o che siano importate da paesi terzi. È possibile, ad esempio, spedire un cellulare finlandese in Ungheria senza pagare dazi e senza essere soggetti a controlli doganali. Il dazio su beni provenienti da paesi extra UE, ad esempio un televisore importato dalla Corea del Sud, viene di solito pagato al momento del primo ingresso nell'Unione: successivamente non vi sono ulteriori dazi, né controlli. Malgrado ciò, l'attività doganale nell'UE resta d'importanza vitale, considerato il cospicuo volume di merci che entrano nel suo territorio. I servizi doganali dell’UE trattano quasi il 16% delle importazioni mondiali complessive, vale a dire più di due miliardi di tonnellate di merci e più di 270 milioni di dichiarazioni all'anno. (Fine parte copia-incollata dal sito ufficiale della UE) Non dovete, però, pensare che i governi nazionali si disinteressino degli scambi intracomunitari: non possono più limitarli, verissimo, possono però ancora controllarli, nel senso di osservali. Agli operatori residenti, infatti, la legge impone di comunicare periodicamente all’amministrazione finanziaria (al MEF, tramite l’Agenzia delle Dogane”) ogni operazione di vendita o di acquisto effettuata con qualsiasi operatore residente in uno degli altri stati UE. Questa comunicazione è da sempre fatta, in genere mensilmente, attraverso i “Modelli Intrastat” (Intrastat Vendite e Intrastat Acquisti) in cui si riportano, per ogni cliente e per ogni fornitore UE, i dati delle operazioni, rispettivamente, di vendita o di acquisto. Per quanto riguarda le vendite “interne” (Grissin Bon che vende all’Esselunga, ma anche l’idraulico che fattura al consumatore la riparazione del rubinetto di casa) vi ricordo che con l’introduzione dal 1/1/2019 della cosiddetta “fattura elettronica” lo stato italiano (l’unico, insieme al Portogallo, in tutta la UE) impone a tutti gli operatori di inviargli entro pochi giorni ogni singola fattura emessa [e quindi in ogni momento è al corrente di cosa e a (o da) chi ogni azienda sta vendendo (o comprando)]. Ritengo probabile che tra qualche tempo (alcuni anni? pochi decenni?) lo stato conoscerà dettagliatamente anche tutti gli acquisti fatti dai consumatori (e non solo, come ora, dalle aziende), in quanto prevedo che sarà introdotto l’obbligo di emissione del cosiddetto “scontrino parlante” (per ora solo facoltativo e limitato alle farmacie) anche per gli acquisti al supermercato e dagli altri commercianti al dettaglio. Temo che l’Orwelliano “1984” abbia anticipato l’arrivo del Grande Fratello di non più di mezzo secolo. 15
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