Il commercio con l'estero: alcuni aspetti macro-economici.

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Il commercio con l'estero: alcuni aspetti macro-economici.
Il commercio con l’estero: alcuni aspetti macro-economici.
Diffidate dai sedicenti economisti (se ne trovano a frotte sul web, alcuni anche in siti - tipo FEF ACADEMY - apparentemente seri e che magari, ma
solo di tanto in tanto, sostengono anche cose sensate) e dagli economisti ufficiali (docenti in Università - tipo quella di Pescara - che su siti - ad esempio
Goofynomics o Byoblu - appaiono graniticamente convinti che il mondo reale possa essere rappresentato con sufficiente fedeltà da modelli matematici e che basti
                                                     che ironizzano su chi, per spiegare l’economia, a volte ricorre
una legge per imporre alla realtà di adattarsi ai desideri)
all’analogia fra la famiglia (o l’azienda) e la società (nel senso di nazione, o comunque di collettività, magari di decine di milioni di cittadini).
Non sto sostenendo che quel che vale all’interno del micro organismo famiglia o azienda necessariamente valga
anche nella dimensione macro di una nazione: dico che chi ritiene comunque sciocco e fuorviante il parallelo
fra famiglia e società non ha certamente capito alcune basi di economia (e magari ha idee confuse su valore, interesse o moneta).
Ecco quindi che per trattare (in modo ultra sintetico e quindi necessariamente decisamente incompleto e approssimativo) l’aspetto “macro”
del commercio estero io qui parlerò della famiglia di ϒ, giovane promessa del calcio da poco accasatosi con β,
anche in seguito alla recente nascita di tre bei gemelli, gioiosa conseguenza di una piccola disattenzione.
Caso A): ϒ ha un contratto con una nota squadra emiliana che gli garantisce un reddito fisso netto di 100.000 €
all’anno e β si dedica totalmente alla cura amorevole dei suoi tre più uno bimbi. Le spese, tutte sostenute in
contanti, per acquistare ciò che serve nel corso di un anno per la conduzione familiare sono pari a 84.000 €. Alla
fine di un anno la liquidità della famiglia è, quindi, aumentata di 16.000 € (100.000 - 84.000).
Caso B): rispetto al caso A) cambia solo che β lavora in uno studio dentistico per uno stipendio netto di 20.000 €;
ecco allora che alle spese del caso A) si aggiungono 17.000 € di pagamenti per rette del nido e babysitter. Nel corso
dell’anno la liquidità della famiglia è quindi ora aumentata di 19.000 € [120.000 - (84.000 + 17.000)], 3.000 in più rispetto a prima].
Apparentemente, queste fantasie c’entrano nulla col commercio estero; in realtà le situazioni immaginate per
quella famiglia hanno molto in comune con i rapporti commerciali di un paese con il resto del mondo. Infatti:
- i 100.000 € percepiti sono il prezzo di un bene prodotto da ϒ (le prestazioni calcistico-lavorative) e “esportato”, cioè
venduto a (e utilizzato da) un soggetto “esterno” rispetto alla famiglia, esattamente come quando l’esportatore
italiano Max Mara S.p.A. vende gli abiti che produce e che saranno poi utilizzati al di fuori del nostro paese;
- la scelta di β di vendere i propri servizi lavorativi allo studio dentistico e, col denaro ricevuto, di acquistare i
servizi di cura dei figli (servizi che nel caso A) venivano invece prodotti internamente) sono niente di diverso dall’apertura
(nel senso di internazionalizzazione) dell’economia di un paese;
- i 17.000 € pagati per il nido e la babysitter (così come gli 84.000 precedenti), sono il prezzo di beni acquistati e
“importati” dall’esterno, proprio come il cashmere che Max Mara importa dall’Iran per produrre abiti in Italia;
- i 16.000 € di liquidità accumulata nel caso A) e i 19.000 del caso B) rappresentano i due diversi incrementi di
“riserve valutarie” di un paese: mentre nel caso A) il saldo fra export e import (come dire fra beni venduti fuori dalla
famiglia e beni acquistati da fuori) era 100.000 - 84.000 = 16.000 €, nel caso B) l’export è stato di 120.000 e l’import di 101.000
(84.000 + 17.000), il che ha originato l’incremento di ricchezza finanziaria di 19.000 €.

Ora un terzo caso, C): partiamo dalla situazione B) ma immaginiamo che ϒ e β, per risparmiare, decidano di
rinunciare ai nido e alla babysitter lasciando i tre gemelli soli in casa per molte ore al giorno. L’effetto sarà che
nel corso dell’anno l’incremento di ricchezza finanziaria raggiungerà i 36.000 € (120.000 di export - 84.000 di import) a
costo, però, di una riduzione del benessere interno (i gemelli rimarranno per molte ore coi pannolini sporchi).
Il caso C) mi serve per evidenziare che (contrariamente a quanto sostenevano i mercantilisti nel XVI e XVII secolo) un saldo commerciale
positivo (export > di import) non è necessariamente un obiettivo da perseguire, così come un deficit commerciale
non sempre è una condizione negativa: l’opportunità di un surplus o di un deficit commerciale dipende dalle
condizioni in cui si trova il paese e, soprattutto, da quali beni si importano: peggiorare la posizione finanziaria
con l’estero per importare champagne e ostriche è cosa diversa dal farlo per investire in beni di produzione
tecnologicamente avanzati. Nel primo caso l’aumento di consumi permesso dal deficit commerciale causerà una
riduzione del benessere futuro, quando dovranno essere pagati gli interessi sui debiti contratti o, ancor più, li si
dovrà rimborsare (a meno di farlo accendendo nuovi debiti); nell’altro caso, invece, la maggior produzione
futura resa possibile dagli investimenti (ammesso che non si rivelino delle ciofeche) permetterà un maggior benessere futuro.

                                                                                                                                                    1
Il commercio con l'estero: alcuni aspetti macro-economici.
Qualche dato nazionale (e se ne vuoi di più cerca nel sito dell’Istat, ad esempio qui: http://www.annuarioistatice.it/cont_intern/contesto.html )
                            Paese partner: Mondo
                      Merce Ateco 2007: totale                                                          Tabella 1.
                                          importazioni - esportazioni -
              Tipo dato                       valore     valore (milioni
                                                                           saldo commerciale (milioni   Qui di fianco (tabella 1.) leggi che le
                                                                                     di €)              esportazioni italiane in ognuno degli
                                            (milioni €)       di €)
                                                                                                        ultimi tre anni hanno avuto un valore di
II sem. 2015                                                                                 25.279     circa 450 miliardi, e le importazioni
                                             180.778          206.056
             I sem. 2016                                                                     21.989
                                                                                                        circa 400. Come sempre, per farsi
                                             185.100          207.088                                   meglio un’idea è opportuno calcolare i
             II sem. 2016                                                                    27.654     valori pro capite (cioè per ognuno dei circa
                                             182.527          210.181
                                                                                                        60 milioni di residenti nel paese) che
Anno 2016 TOTALE                                                                           49.643       risultano, approssimando:
                                          367.627          417.269
                                                                                                        7.500 € di export e 6.700 € di import,
                                                                                                        con quindi un saldo attivo di 800 €.
             I sem. 2017                                                                     19.062
                                             204.242          223.303
             II sem. 2017                    196.416          224.803
                                                                                             28.388
                                                                                                   Qui sotto (tabella 2.) puoi invece
Anno 2017 TOTALE                                                                           47.450 leggere l’andamento negli ultimi 11
                                          400.658          448.106                                 anni, dal 2008 al 2018 compresi, del
                                                                                                   commercio estero italico. L’ultima
                       Gen-2018                                                      -          92 colonna “grado di apertura” è calcolata
                                               34.787          34.696
                                                                                                   mettendo in rapporto la somma di
                       Feb-2018                                                              3.098
                                               33.150          36.249                              import e export con il PIL. .    Una
                       Mar-2018                                                              4.525 economia   particolarmente   chiusa avrà
                                               36.998          41.523
2018                                                                                               un grado basso, una molto aperta può
                       Apr-2018                                                              2.985 arrivare anche a superare il 100%. Nel
                                               33.319          36.305
                                                                                                   fare confronti internazionali del grado
                       Mag-2018                                                              3.366
                                               37.205          40.571                              di apertura occorre però tenere conto
                       Giu-2018                                                              5.071 della pesante influenza della dimensione
                                               37.100          42.171
                                                                                                   del paese. Il motivo di questo effetto
             I sem. 2018                     212.559          231.515
                                                                                            18.953 prova a intuirlo da te ora come
                                                                                                   esercizio; poi verificane la correttezza
                                                                                                   andando a leggere quanto ho scritto
                                                                                                   nella tabella 3. nella pagina successiva.
Tabella 2.

                                                                                                           Variazione % su anno
                   Fonte: ISTAT (dati in milioni di $ USA)                                                      precedente           grado di apertura

                Anno Interscambio tot      IMPORT          EXPORT                   Saldo                IMPORT        EXPORT
              2008                         529.000         512.000             -         17.000                                          55,0%
              2009              818.000
                                           413.000         405.000
                                                                               -          8.000          - 21,9        - 20,9            47,5%

              2010              929.000
                                           484.000         445.000
                                                                               -         29.000         + 17,2        + 9,9              52,3%

              2011            1.077.000
                                           556.000         521.000
                                                                               -         35.000         + 14,9        + 17,1             53,5%

              2012              987.000
                                           487.000         500.000
                                                                                         13.000         - 12,4         - 4,0             53,4%

              2013              993.000
                                           477.000         516.000
                                                                                         39.000         - 2,1         + 3,2              53,9%

              2014            1.000.000
                                           472.000         528.000
                                                                                         56.000         - 1,0         + 2,3              55.5%

              2015              864.000
                                           409.000         455.000
                                                                                         46.000         - 13,3         - 13,8            58,0%

              2016              865.000
                                           405.000         460.000
                                                                                         55.000         - 1,0         + 1,1              59,0%

              2017              956.000
                                           451.000         505.000
                                                                                         54.000         + 11,4        + 9,8              61.3%

              2018            1.043.000    498.000         545.000                       47.000         + 10,4        + 7,9              62,1%

                                                                                                                                                         2
Il commercio con l'estero: alcuni aspetti macro-economici.
Tabella 3.
     Grado di apertura [ (X + M) / P.I.L. ] (del mercato nazionale ai flussi di commercio internazionale) di alcuni paesi (anno 2018)
Il fatto che il grado di apertura di un’economia possa superare il 100% non ti deve stupire; certamente in assenza di importazioni il
dato si manterrà basso (si arriverebbe al massimo al 100% se tutta la produzione interna fosse esportata, ma questo significherebbe, l’azzeramento di
consumi e investimenti internii), ma più è “piccolo” il paese e più è naturale un’alta incidenza del commercio estero: nell’ipotesi che nella
Città del Vaticano (stato che ha 900 abitanti su circa un solo km2 di superficie) tutti i lavoratori siano occupati in una sola azienda di
produzione (magari produttrice di santini) che eroga redditi per 10 milioni e che esporta l’intera sua produzione pari a 50 milioni, e
supponendo anche che le importazioni Vaticane (carta, inchiostro, energia ecc. oltre a tutti i beni consumati dalla popolazione) ammontino a 40
milioni, allora il grado di apertura di quel microscopico paese sarebbe del 900% [ (50 + 40) / 10 = 9 = 900% ].

Oppure: consideriamo un paese che importa beni intermedi per 1 miliardo di €. Supponiamo che essi vengano trasformati in beni
finali con l’uso di solo lavoro. Se i salari ammontano a 300 milioni e i profitti sono nulli, allora il valore dei beni finali sarà di
1.300 milioni. Ipotizzando poi che siano esportati beni finali per un valore di 1 miliardo e che il resto sia consumato dai
residenti, allora risulta che Esportazioni = Importazioni = 1 miliardo e PIL = 300 milioni; quindi grado di apertura 667% .

    U.S.A.         Corea d. Sud        Germania           Francia          Spagna            Olanda        Lussemburgo          Turchia         Giappone             G.B.
   27,7%               105%              94%               65%                62%            160%              390%              45%               35%              63%
 Nel caso anelassi ad altre informazioni relative a qualunque paese del mondo puoi provare, fra i tanti, con questo sito http://www.infomercatiesteri.it/paesi.php
              Per altri dati sulla realtà italiana, invece, consigliabile è sempre il sito http://www.annuarioistatice.it/cont_intern/contesto.html oltre a, ovviamente, www.istat.it

                                                               Tabella 4.
   Principali paesi destinatari delle esportazioni italiane            Principali paesi di provenienza delle importazioni italiane
Paese                         mln € (anno 2017)          peso %             Paese             mln € (anno 2017)              peso %
Germania                                55.877           12,5%         Germania                    65.347                    16,3%         Dai dati qui a fianco si nota, tra
                                                                                                                                           l’altro, che i primi tre paesi, da
Francia                                 46.164           10,3%         Francia                     35.210                     8,8%         soli, coprono circa un terzo sia
U.S.A.                                  40.496            9,0%         Cina                        28.430                     7,1%         dell’export che dell’import
                                                                                                                                           italiano; i tre paesi più
Spagna                                  23.194            5,2%         Paesi Bassi                 22.504                     5,6%         importanti, quindi, pesano quasi
Gran Br.                                23.130            5,2%         Spagna                      21.175                     5,3%         quanto gli oltre 180 paesi che
                                                                                                                                           non appaiono in tabella.
Svizzera                                20.611            4,6%         Belgio                      17.968                     4,5%
Belgio                                  13.553            3,0%         U.S.A.                      15.013                     3,7%
Cina                                    13.514            3,0%         Russia                      12.309                     3,1%
                                                                       Gran
Polonia                                 12.592            2,8%         Bretagna                    11.404                     2,8%
Paesi Bassi                             10.455            2,3%         Svizzera                    11.178                     2,8%
                          Resto del mondo:               42,1%                               Resto del mondo:               40,0%

Tabella 5. (Lombardia, Emilia, Veneto e Piemonte, da sole,                               Tabella 6. (Dopo quella di Vicenza, la nostra provincia è la seconda per
fanno quasi il doppio delle esportazioni delle altre 16 regioni)                         export pro capite, con un valore quasi triplo della media italiana di circa 7.000 €)
       Principali regioni italiane per export (2017)                                          Principali province italiane per export (2017)                Export per
Regione                               mln €              peso %           Posizione      Provincia                         mln €            peso %          abitante (€)
Lombardia                               120.334          26,9%                  1        Milano                              41.112           9,2%              12.800
Veneto                                   61.320          13,7%                  2        Torino                              22.135           4,9%               9.700
Emilia R.                                59.881          13,4%                  3        Vicenza                             17.701           4,0%              20.400
Piemonte                                 47.906          10,7%                  4        Brescia                             15.784           3,5%              12.500
Toscana                                  34.761           7,8%                  5        Bergamo                             15.433           3,4%              13.900
Lazio                                    22.995           5,1%                  6        Treviso                             12.872           2,9%              14.500
Friuli V.G.                              14.857           3,3%                  7        Bologna                             13.651           3,0%              13.600
Marche                                   11.781           2,6%                  8        Modena                              12.661           2,8%              18.050
Campania                                 10.488           2,3%                  9        Firenze                             11.759           2,6%              11.600
Sicilia                                   9.258           2,1%                10         Verona                              11.143           2,5%              12.100
Abruzzo                                   9.003           2,0%                11         Reggio Emilia                       10.322           2,3%              19.400
Trentino A.A.                             8.469           1,9%                12         Monza-Brianza                       10.186           2,3%              11.800
                                                          8,3%                                                                               56,5%             5.500 €
                  Totale altre 8 regioni:                                                    Totale altre (circa 90) province:

                                                                                                                                                                                        3
Il commercio con l'estero: alcuni aspetti macro-economici.
Altri dati della nostra provincia
                              Imprese in provincia di Reggio Emilia dal 2006 al 2017
           a (b + c)       b         c           d          e        f (d - e)  g (d/a)                h (e/a)   i (g - h)
                                                                               Tasso di               Tasso di  Tasso di
 Anni     Registrate     Attive   Inattive   Iscrizioni Cessazioni    Saldo
                                                                                natalità              mortalità sviluppo
 2006      58.545       53.410     5.135       4.683      3.894         789        8,00%                 6,65%      1,35%
 2007      58.828       53.705     5.123       4.642      4.388         254        7,89%                 7,46%      0,43%
 2008      58.699       53.641     5.058       4.250      4.401    -    151        7,24%                 7,50%     -0,26%
 2009      58.085       52.838     5.247       3.880      4.526    -    646        6,68%                 7,79%     -1,11%
 2010      57.922       52.403     5.519       4.135      4.295    -    160        7,14%                 7,42%     -0,28%
 2011      57.861       52.131     5.730       4.137      3.757         380        7,15%                 6,49%      0,66%
 2012      57.217       51.423     5.794       3.977      4.090    -    113        6,95%                 7,15%     -0,20%
 2013      56.460       50.545     5.915       3.710      4.285    -    575        6,57%                 7,59%     -1,02%
 2014      56.041       49.887     6.154       3.699      3.524         175        6,60%                 6,29%      0,31%
 2015      55.911       49.730     6.181       3.729      3.503         226        6,67%                 6,27%      0,40%
 2016      55.562       49.429     6.133       3.354      3.433    -     79        6,04%                 6,18%     -0,14%
 2017      55.042       49.045     5.997       3.299      3.413    -    114        5,99%                 6,20%     -0,21%

 Imprese registrate per forma giuridica in % sul totale (anni 2012 e 2017 in provincia, regione e Italia)

                              Reggio Emilia                 Emilia Romagna                        Italia

                 Anno       2012          2017            2012             2017           2012              2017

Società di capitali         21,2%         23,9%          21,9%            24,9%        23,2%               27,1%

Società di persone          21,0%         20,0%          22,0%            20,6%        18,6%               16,7%

Imprese individuali         54,6%         52,8%          53,4%            51,7%        54,8%               52,7%

Altre forme                  3,1%          3,3%            2,7%           2,8%            3,5%              3,5%

TOTALE                      100%          100%            100%            100%            100%              100%

                                         ESPORTAZIONI (dati in migliaia di € )

    Province                 2016                        2017                     Variaz.%       € pro capite

Piacenza                    4.262.288                  4.356.522                   2,2%           15.191

Parma                       6.277.449                  6.557.987                   4,5%           14.565

Reggio Emilia               9.492.107                 10.322.418                   8,7%           19.382

Modena                     12.019.555                 12.660.816                   5,3%           18.038

Bologna                    12.823.350                 13.651.119                   6,5%           13.499

Ferrara                     2.211.883                  2.420.717                   9,4%             6.977

Ravenna                     3.588.170                  4.003.522                  11,6%           10.230

Forlì-Cesena                3.322.581                  3.570.055                   7,4%             9.011

Rimini                      2.145.349                  2.337.879                   9,0%             6.931

Emilia Romagna             56.142.731                 59.881.035                   6,7%           13.442

Italia                    417.268.910               448.106.664                    7,4%             7.468

                                                                                                                     4
ESPORTAZIONI (in € x 1.000) per settore merceologico provincia di Reggio Emilia

Settore merceologico                          2016               2017             Variaz.%    % sul tot. (2017)

Prodotti dell’agricoltura e pesca              8.664             6.529            - 24,6%        0,06%

Prodotti dell’industria                     9.471.352          10.302.312          8,8%        99,8%

di cui:

Alimentari e bevande                         588.471              620.353          5,4%          6,0%

Tessile-abbigliamento                       1.565.327           1.668.041          6,6%         16,2%

Ceramica                                    1.100.959           1.134.299          3,0%         11,0%

Metalmeccanica                              4.789.624           5.399.671         12,7%         52,3%

Elettrica-elettronica                         837.823             876.627          4,6%          8,5%

Altri settori industriali                     589.148             603.622          2,4%          5,8%

Altri prodotti e attività - merci varie        12.091              13.577          12,3%         0,13%

                                TOTALE        9.492.107        10.322.418           8,7%        100,0%

             Esportazioni della provincia di Reggio Emilia per aree territoriali

          Area territoriale                   2016                 2017           Variaz. %   % sul tot. (2017)

EUROPA                                     6.737.780.000        7.305.118.000        8,4%       70,8%

    di cui:          Unione Europea 28     6.014.771.000        6.549.850.000        8,9%        63,5%

                     UEM 19                4.318.814.000        4.696.577.000        8,7%        45,5%

                     Russia                 237.488.000           264.990.000       11,6%         2,6%

                     Turchia                151.263.000           164.905.000        9,0%         1,6%

AMERICA                                    1.144.917.000       1.300.901.000        13,6%       12,6%

    di cui:          U.S.A.                 748.095.000          826.443.000        10,5%         8,0%

                     Canada                 125.513.000          137.816.000         9,8%        1,3%

                     Brasile                  79.507.000           91.236.000       14,8%        0,9%

ASIA                                       1.126.525.000       1.194.982.000         6,1%      11,6%

     di cui:         Cina                   252.550.000          296.542.000        17,4%        2,9%

                     Giappone               114.898.000          110.887.000        - 3,5%       1,1%

                     Emirati Arabi Uniti      56.891.000           71.446.000       25,6%        0,7%

                     Hong Kong                83.135.000           80.972.000       - 2,6%       0,8%

                                                                                                                  5
India                               75.969.000                 83.374.000              9,7%            0,8%

AFRICA                                                317.100.000                333.640.000               5,2%           3,2%

     di cui:       Sudafrica                            67.329.000                 82.687.000             22,8%            0,8%

                   Algeria                              47.295.000                 62.334.000             31,8%            0,6%

                   Egitto                               52.885.000                 47.104.000           - 10,9%            0,5%

OCEANIA                                                                          187.777.000                              1,8%

    di cui:        Australia                                                      158.151.000                              1,5%

                   Nuova Zelanda                                                   25.557.000                              0.2%

                                 TOTALE              9.492.106.711            10.322.418.354                             100,00

       Il commercio con l’estero: alcuni aspetti amministrativi-aziendali.
A parte la questione linguistica, quasi sempre risolvibile con un’ottima conoscenza dell’inglese (anche tecnico del
settore), i motivi che rendono il commerciare con l’estero più complesso, almeno tendenzialmente, del trattare
con clienti e fornitori nazionali possono derivare principalmente da:
1) le complicazioni collegate alla normativa applicabile; 2) la probabile maggior complessità del trasporto; 3) la
maggior complessità amministrativa-fiscale; 4) l’eventuale utilizzo di una moneta diversa; 5) il “rischio paese”.
                                                          1) (complicazioni contrattuali)
Di 1), avendo in merito competenze troppo scarse, dirò poco, limitandomi a segnalarvi l’opportunità di
richiedere, almeno per i contratti di valore elevato, la consulenza di uno studio legale specializzato e, in ogni
caso, di stipulare contratti chiari in tutti gli aspetti al fine sia di minimizzare la probabilità che sorga un
contenzioso sia, nella malaugurata ipotesi che la controversia nasca ugualmente, di aumentare la probabilità di
poter far valere le proprie ragioni (qualsiasi giudice, se il caso si presenta di non chiara interpretabilità, tende a dare torto alla parte “straniera”).
In caso di commercio estero la necessità di curare attentamente gli aspetti contrattuali e tecnici è mediamente
più stringente che nel commercio interno, e il ricorso all’uso degli “International commercial terms”, più
spesso chiamati in modo abbreviato “Incoterms”, va verso questa direzione.                    Come certamente saprete, gli
Incoterms sono (e qui saccheggio Wikipedia) termini utilizzati nel campo delle importazioni ed
esportazioni, validi in tutto il mondo, che definiscono in maniera univoca e senza possibilità di
errore ogni diritto e dovere in capo ai vari soggetti giuridici coinvolti in una operazione di
trasferimento di beni da una nazione ad un'altra. I soggetti coinvolti in un’operazione di import-export
sono, il più delle volte, il venditore, il trasportatore, le due dogane (quella del paese dell’esportatore e quella del paese in cui la
merce è importata), l’acquirente e l’assicuratore; a questi poi assai spesso si aggiunge lo spedizioniere, personaggio
di cui faremo conoscenza a pagina 10.
Gli Incoterms, la cui prima versione risale al 1936, sono periodicamente stabiliti e ratificati dall'International
Chamber of Commerce (ICC). Vengono pubblicati in lingua inglese (con traduzione autorizzata in altre 31 lingue da parte
delle varie camere di commercio nazionali).

                                                                                                                                                6
Ancora per pochi giorni, ovvero fino al 31/12/2019) saranno in vigore gli Incoterms 2010. Dal 1/1/2020 si
utilizzano gli Incoterms 2020 (variati, comunque, di poco).
Ogni sigla codificata nell'Incoterm definisce in modo chiaro chi deve accollarsi i costi e le responsabilità:
                                                              1) per ogni parte di trasporto, 2) per i costi doganali in
                                                              partenza e in arrivo, 3) per i costi assicurativi.
                                                              E’ basilare che, dopo la sigla dell’incoterm, si riporti
                                                              l'indicazione del nome specifico della località geografica
                                                              o della frontiera o del terminal (porto/aeroporto/stazione) a cui
                                                              la sigla stessa si riferisce; ad es.: se Illy vende caffè a
                                                              un’azienda Sud Coreana e nel contratto di vendita indica
                                                              “EXW via Flavia 110 Trieste, Italy, Incoterms® 2020”,
                                                              allora significa che la merce si considera consegnata nel
                                                              luogo indicato (nell’esempio il magazzino della sede del venditore) e
                                                              tutti i costi e i rischi successivi (per le pratiche doganali per
                                                              l’esportazione da espletare in Italia per, per l’organizzazione e l’effettuazione
                                                              del trasporto, per le operazioni doganali di importazione e gli adempimenti
                                                              sanitari da fare alla dogana Coreana ecc.), sono a carico
                                                              dell’acquirente.
                                                              Se, invece, Illy vende caffè in Francia e nel contratto
                                                              viene riportata la dicitura “FCA 33 avenue Président
                                                              Wilson, Paris, France, Incoterms® 2020” allora
                                                              significa che il caffè si considera consegnato quando
                                                              raggiunge il luogo indicato (normalmente il magazzino di uno
                                                              spedizioniere o di un vettore concordato con l’acquirente) ed è pronto
                                                              per lo scaricamento dal mezzo di trasporto: da quel
                                                              momento costi e rischi del trasporto successivo sono a
                                                              carico del compratore.

Nella prossima pagina riporto gli Incoterms 2010 (come già scritto, quelli utilizzabili dal 1/1/2020 sono cambiati di poco) con a
fianco di ognuno una sintetica spiegazione.

                                                                                                                                     7
Ex Works / Franco Fabbrica               Acquistare merce con resa Ex Works significa prendersi carico dei
costi e delle responsabilità dell’intero trasporto, a partire dal luogo, generalmente lo stabilimento del
venditore, in cui sono presenti le merci da prelevare.

FCA Free Carrier / Franco Vettore Con gli FCA Incoterms, il venditore si occupa di far arrivare le merci
fino al punto concordato con l’acquirente (magazzino, terminal, stazione …) dove verranno consegnate al
vettore. Da qui in poi costi e responsabilità sono a carico del compratore, mentre lo sdoganamento in
export resta a carico del venditore.
FAS Free Alongside Ship / Franco sotto bordo          È una delle clausole riservate al trasporto marittimo, e
significa che il venditore si fa carico di spese e responsabilità del trasporto fino alla consegna delle merci
“a banchina” nel porto d’imbarco.
FOB Free On Board / Franco a bordo Rispetto alla precedente, questa clausola assegna al venditore costi
e rischi, oltre all’operazione doganale per l’esportazione, fino alla consegna delle merci a bordo della
nave.
CFR Cost and freight / Costo e Nolo         In questo caso il venditore si assume i costi del trasporto fino al porto di destinazione, mentre i
rischi sono a carico dell’acquirente dal momento in cui le merci sono a bordo della nave al porto di partenza.

CIF Cost Insurance and Freight / Costo, Assicurazione e Nolo La clausola Incoterms CIF si differenzia
dal CFR solamente per le spese di assicurazione che sono anch’esse a carico del venditore, intese come
copertura minima.
CPT Carriage paid to / Trasporto pagato fino a Le responsabilità sono le stesse del trasporto FCA, ma nel caso del CPT il venditore si
fa carico anche dei costi della spedizione fino al luogo concordato con l’acquirente. Questa resa è spesso utilizzata in caso di trasporto via
aerea.
CIP Carriage and Insurance paid to / Trasporto e Assicurazione pagati fino a                La clausola CIP è identica all’Incoterms CPT con una
sola differenza: oltre ad accollarsi costi e responsabilità del trasporto fino al luogo di destinazione, con la resa CIP il venditore ha l’obbligo
anche di coprire l’assicurazione della merce.
DAT Delivered at terminal / Reso al terminal                È l’unica clausola che include le spese di sbarco o scarico. Il venditore si prende
carico di costi e rischi del trasporto delle merci fino al terminal concordato (un magazzino, un aeroporto, una banchina, un terminal stradale o
ferroviario…), che deve essere indicato in modo esplicito. Il compratore è incaricato delle operazioni doganali per l’importazione e dei costi
relativi.
DAP Delivered at Place / Reso al luogo di destinazione         Chi vende si occupa di coprire spese e rischi della spedizione fino a un luogo
concordato, finché la merce è pronta per essere scaricata, ma non sdoganata (operazione a carico dell’acquirente).

DDP Delivered Duty Paid / Reso Sdoganato È l’opposto della resa Incoterms Ex Works: in questo caso è
il venditore a farsi carico di costi e rischi per tutto il trasporto fino al luogo di destinazione, dove le merci
devono essere pronte per essere scaricate. A suo carico sono anche le responsabilità dello sdoganamento.

Lo studente attento (ma inesperto) in genere giunge a questo punto alla conclusione che EXW sia la clausola in
ogni caso migliore per l’esportatore mentre la DDP sia quella che avvantaggia massimamente l’importatore,
almeno a parità di prezzo concordato tra le parti. E così lo studente dice quella che, con una sofisticata
espressione anglosassone, non di rado risulta un’emerita bull shit.
L’opportunità di adottare un particolare incoterm, infatti, deve essere valutata tenendo in considerazione, oltre
ai costi e ai rischi del trasporto, anche altri aspetti dell’operazione, e in particolare le clausole relative al
pagamento; dalla combinazione fra incoterm e tipo di pagamento discendono, infatti, rilevanti
conseguenze che tratto sinteticamente nella prossima pagina; mentre la leggete vi invito a mettervi sia nei
panni del venditore, sia in quelli dell’acquirente.
Quanto appena detto non deve, però, indurre a sottovalutare i vantaggi del mancato sostenimento dei costi e dei
rischi del trasporto, tenendo anche presente che il vettore, in pratica, spesso risponde solo in piccola parte dei
danni subiti dalla merce anche nel caso di sua responsabilità: lo fa, infatti, nel limite massimo di circa 10 € al kg
(nel trasporto interno l’indennizzo è praticamente nulla: 1,00 € al kg) , e ciò rende ancor più necessaria una buona (e quindi costosa)
polizza assicurativa.
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La coordinazione fra Incoterms, modalità di trasporto e forma del pagamento.
a) il venditore deve evitare di compromettere la sicurezza dell’incasso del proprio credito, e cioè deve tutelarsi
sia dal rischio di insolvenza della controparte e/o del paese dell’importatore, sia dal rischio di revoca
dell’ordine o comunque di mancato ritiro della merce da parte dell’acquirente;
b) il compratore deve evitare di non ricevere la merce, o di riceverla non conforme all’ordine, e di doverla
pagare ugualmente.
Segnalo subito che occorre distinguere il caso della merce “customizzata”, cioè lavorata appositamente per il
cliente, da quello della merce prodotta “in serie” o, come anche si dice, “prodotta per il magazzino”, cioè
vendibile a molti clienti diversi: nella vendita di merci customizzate occorre procedere con ancor più prudenza;
un esempio basta per chiarire la ragione della distinzione: supponiamo che alla Formelli s.r.l. di Formia venga
commissionata dalla Japo K.K. di Osaka la produzione di stampi che saranno utilizzabili solo dal committente in
quanto realizzati su sue specifiche esigenze, e ipotizziamo anche che venga concordato il termine di consegna
EXW, usualmente considerato il migliore dal punto di vista del venditore. Terminata la produzione, la Formelli
s.r.l. dà avviso di merce pronta al cliente. La Japo K.K., però, per una qualche ragione (magari perché non più interessata
all’operazione) non invia il mezzo per il ritiro della merce, con la conseguenza che il venditore, dopo aver sostenuto
i costi per la produzione di un bene che non potrà mettere sul mercato (perché unicamente adatto alla Japo K.K.), non
ottiene il pagamento di quanto dovuto. Se la produzione avesse riguardato beni standard (nel senso di prodotti in
serie) il danno sarebbe stato più contenuto in quanto la merce avrebbe potuto essere comunque piazzata sul
mercato (anche se probabilmente a un prezzo un po’ inferiore a quello concordato con il cliente originario).
Azzerare contemporaneamente i rischi per entrambi è impossibile, ma è doveroso cercare una soluzione che
consenta all’operazione di andare in porto, una soluzione quindi che tuteli in modo soddisfacente i due
contraenti e cioè che permetta:
a) al venditore che consegna nei tempi e nei modi concordati la merce conforme agli accordi, di ricevere
puntualmente il corrispettivo dovuto;
b) al compratore che paga puntualmente l’importo, di prendere in consegna la merce conforme all’ordine
d’acquisto.

Al di là del caso Formelli/Japo ipotizzato prima , il problema in generale per l’esportatore che concorda una
consegna EXW (ma il discorso è analogo anche per altri incoterms come FCA e FAS) abbinata con un qualsiasi pagamento che
non sia quello anticipato (rispetto alla consegna) è che con queste clausole di consegna chi vende non ha il controllo
sulla merce in quanto tutto sarà gestito da mandatari (da incaricati) del compratore, e quindi l’esportatore potrebbe
non venire in possesso della prova dell’avvenuta corretta consegna, rimanendo così indifeso nel caso il
compratore sollevi eccezioni, magari pretestuose, per non pagare o pagare in ritardo o richiedere uno sconto sul
prezzo concordato. Faccio notare, poi, che questo rischio rimarrebbe anche nel caso di presenza di una clausola
di pagamento “rassicurante” quale una Lettera di credito irrevocabile e confermata (del cui funzionamento parleremo a pagina
12), ciò in quanto il venditore vedrebbe compromessa la possibilità di escussione della garanzia a causa
dell’assenza della prova dell’avvenuta spedizione. Il venditore potrebbe correre rischi perfino con il pagamento
anticipato: capita nel caso di “advance payment guarantee”, cioè di bonifico anticipato e vincolato, però, a una
garanzia di restituzione dell’importo in caso di mancata o non puntuale consegna; anche in questo caso è
importante che l’incoterm permetta al venditore di dimostrare di aver eseguito la consegna della merce
attraverso la presentazione di una copia del documento di trasporto.
Da qui l’importanza di adottare un Incoterms del gruppo “C”, perché in questo modo il venditore mantiene il
controllo sulla merce fino alla località di destinazione concordata: il maggior costo a suo carico (di cui, comunque, si terrà
conto nel prezzo della merce) per il trasporto è spesso più che compensato dalla più elevata sicurezza di ricevere il
pagamento.
Ecco quindi che, salvo casi particolari, è preferibile concordare uno degli Incoterms CPT/CIP o CFR/CIF, mentre è
meglio evitare gli Incoterms EXW, FCA, FAS, FOB, ma anche DAT, DAP, DDP, salvo valutazioni, da verificare caso
per caso, circa il possibile utilizzo del FCA o del FOB quando si ritenga di riuscire ad ottenere copia del
documento di trasporto al momento della consegna della merce al vettore.
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2) (complessità del trasporto)
Il trasporto intermodale (questa parte è copia-incollato da https://www.xpedinternational.com/servizi/trasporto-intermodale/)
Con Trasporto Intermodale si intende una tipologia di trasferimento della merce dal punto di partenza alla destinazione finale
che utilizza due o più mezzi di trasporto diversi, senza dover spostare il carico in più contenitori.
Il principale vantaggio del Trasporto Intermodale deriva infatti dall’uso di “Unità di Trasporto Intermodali” (UTI) standardizzate, che
possono essere trasferite da un mezzo all’altro in modo semplice, con grande risparmio di tempi e costi, e con la possibilità di ottenere
il massimo dalle singole tipologie di trasporto in base alla tratta e alla tipologia della merce.
Nel caso in cui il trasporto preveda l’utilizzo di diversi mezzi per far giungere la merce a destinazione, ma trasferendola in contenitori
diversi, si parla più genericamente di Trasporto Multimodale, anche se con l’impiego ormai ordinario dei container a livello
internazionale, i termini Intermodale e Multimodale sono sempre più spesso usati come sinonimi.

Unità di Trasporto Intermodale: Tipologie
Nel contesto dei Trasporti Intermodali, come ricordato, la merce viaggia dallo stabilimento produttivo o dal magazzino all’interno di una
sola unità di carico chiamata Unità di Trasporto Intermodale, da cui non viene mai spostata fino all’arrivo a destinazione. Per evitare
la “rottura del carico” nel trasferimento da un mezzo di trasporto all’altro, la UTI deve essere standard.
Tra le principali unità di traffico nelle spedizioni intermodali le due più utilizzate sono:
Container: è la tipologia certamente più utilizzata e una delle più economiche; Semirimorchio: flessibile e usato soprattutto nel trasporto Rail+Road.
Il trasporto Intermodale è dunque una tipologia di trasferimento merci comoda e vantaggiosa, ma che allo stesso tempo necessita di
mezzi, attrezzature e infrastrutture idonee, così come di un’organizzazione complessa e dettagliata, che coordini in modo efficiente
e puntuale i diversi spostamenti e la gestione correlata.
All’interno della definizione di Trasporto Intermodale troviamo una sottocategoria molto utilizzata specialmente per tragitti di media e
lunga distanza: il Trasporto Combinato (TC), che è un tipo di Trasporto Intermodale in cui il tratto più lungo del percorso è
rappresentato dal trasporto su rotaia, per mare o vie navigabili, mentre il tragitto iniziale e quello finale avvengono su strada.
La parte più cospicua del viaggio deve essere superiore a 300 km in linea d’aria (altrimenti conviene fare tutto su autocarro), mentre il
trasporto su gomma – nei tratti iniziale e terminale – deve essere il più breve possibile, ossia non maggiore di 150 km in linea
d’aria nel caso di imbarco o sbarco presso un porto, o corrispondente al tratto tra il punto di carico/scarico della merce e il terminale
ferroviario più vicina. Questo tipo di trasporto risponde principalmente agli obiettivi europei volti a snellire la circolazione stradale,
riducendo al contempo il tasso di inquinamento e aumentando la sicurezza.
Vantaggi e svantaggi del Trasporto Intermodale
Il Trasporto Intermodale è una modalità di spedizione molto flessibile, che permette di spostare qualunque tipologia di merce e di
sfruttare i pregi dei diversi mezzi di trasporto, dalla capienza e la sostenibilità del treno, all’economicità della nave, dalla velocità
dell’aereo fino alla comodità della consegna door to door del trasporto su gomma.

Vediamo ora in sintesi i punti di forza e di debolezza di questa tipologia di trasporto:

VANTAGGI DEL TRASPORTO INTERMODALE

     •    Efficienza: massimizza i vantaggi delle diverse modalità di trasporto, ottimizzando tempi e costi di trasferimento delle merci.
     •    Sicurezza: l’assenza di manipolazioni della merce durante il viaggio, per trasferirla su altre unità di carico, garantisce un rischio minore
          di eventuali danni al contenuto.
     •    Convenienza: oltre al risparmio dovuto ai minori costi di trasbordo della UTI, il Trasporto Intermodale spesso risulta nel complesso più
          economico rispetto a diversi trasporti acquistati singolarmente.
     •    Sostenibilità: il Trasporto Intermodale riduce le emissioni di anidride carbonica del 55% rispetto al Trasporto su Gomma, attestandosi
          come una delle tipologie di trasporto più ecologiche e con un minor impatto sull’ambiente.
     •    Controllo: la necessità di dover rispettare una pianificazione degli spostamenti tra diversi mezzi consente di avere un continuo
          tracciamento della merce.

SVANTAGGI DEL TRASPORTO INTERMODALE
Il Trasporto Intermodale non presenta particolari svantaggi, se non la complessità organizzativa dei diversi spostamenti, a cui si può
ovviare affidando la gestione della propria merce a uno spedizioniere esperto e professionale.
A livello operativo, le difficoltà derivano da un sistema infrastrutturale che vede l’Italia ancora indietro rispetto ad altri Paesi europei,
con la conseguente eventualità di rallentamenti o impedimenti nei tragitti all’interno dei confini nazionali.
                                                      (Fine parte copia-incollata)

                                                                                                                                           10
3) (complessità amministrativa-fiscale)
Se vi scrivessi qui il numero telefonico di un bravo “spedizioniere”, darei fondo a quasi tutte le mie
conoscenze sull’argomento; nello stesso tempo, però, vi comunicherei anche in “know how” il più delle volte
sufficiente per un’azienda; ciò perché ogni azienda (a parte quelle più grandi dotate di una struttura interna adeguata) che opera
con l’estero delega la soluzione di questi problemi a uno spedizioniere di fiducia.

Chi ricorda lo spot pubblicitario “Turista fai da te? No Alpitur? Ahi Ahi Ahi!” trasformi
quel messaggio in “Operatore con l’estero fai da te? No spedizioniere? Ahi Ahi Ahi!”. Per
convincervi della temerarietà di chi si avventura da solo in una pratica doganale,
credo possa bastare segnalarvi, ad esempio, che la sanzione per un errore che
porta a un mancato pagamento di circa 2.000 € di dazi è compresa fra i 15.000 e i
30.000 €. Ecco allora che la miglior risposta a qualsiasi domanda relativa a
faccende doganali risulta quindi sempre: “Telefona allo spedizioniere!!!”

Lo spedizioniere è un’impresa che si occupa di organizzare per i propri clienti il trasferimento fisico di beni,
soprattutto, ma non solo, da o verso l’estero (e in questo caso lo spedizioniere assume la qualifica di “spedizioniere doganale”),
svolgendo anche le pratiche doganali e fiscali necessarie. Ho sottolineato “organizzare” perché è questo il suo
compito, e non è, invece, effettuare materialmente il trasporto: a trasportare i beni, infatti, ci pensano i
“vettori” (che possono assumere la veste di “corrieri”, cioè di vettori che collegano determinate destinazioni
con date e orari stabilmente prefissati). Se i vettori sono i “manovali” dei trasporti, gli spedizionieri potrebbero
essere pensati come gli “architetti” dei trasporti. Nulla, comunque, vieta che le funzioni dello spedizioniere e
del vettore siano svolte da uno stesso soggetto se, ovviamente, è abilitato e in grado di rivestire entrambi i ruoli.
Sono pochissime le aziende che operano con l’estero senza appoggiarsi a uno spedizioniere per ottenere un
fondamentale quanto indispensabile aiuto quando c’è da affrontare una spedizione verso o dall’estero.
Per dirlo in modo un po’ più tecnico, lo spedizioniere è l’impresa che per conto del proprio cliente (cioè, nel caso
di spedizioniere doganale, l’azienda che esporta o che importa) ma a nome proprio conclude il contratto (o i contratti) di
trasporto con il vettore (o i vettori). Il cliente dello spedizioniere, in quanto mandante, non ha alcun rapporto
con chi materialmente effettua il trasporto (il/i vettore/i).
Il mandato che l’esportatore (o l’importatore) dà allo spedizioniere doganale non si esaurisce, però, con la
stipulazione del contratto di trasporto con il vettore, in quanto prevede anche il disbrigo delle pratiche doganali
imposte dalle normative nazionali ed estere.

Così se, ad esempio, volete tenere in giardino una coppia di lama
e li acquistate da un allevatore peruviano di Lima con la
clausola di consegna “EXW” (e sai già che significa che chi vende
consegna la merce presso il proprio magazzino ed è chi compra a doversi occupare
di tutto), per evitare di avere a che fare sia con la dogana (di
esportazione) di Lima che con quella (d’importazione) di Reggio, ecco
che vi conviene fare la telefonata allo spedizioniere.
E se poi, dopo poco tempo e troppi sputi, vendete i lama a un
americano originale di Seattle (nel senso di statunitense estroso, non di pronipote
di Toro Seduto) che ve li compra con la clausola di consegna “DDP”
(quella di gran lunga più utilizzata per esportare in USA e in base alla quale, e già lo
sai, è chi vende che deve occuparsi di tutto fino a quando la merce arriva, libera di
circolare, nel luogo indicato dal compratore), per evitare di avere a che fare
prima con la dogana di esportazione (di Reggio) e poi con quella di
importazione (di Seattle), vi conviene ancora sollevare la cornetta (è un antico modo di dire “telefonare”)
                                                                                                  e incaricare uno
spedizioniere. Il mandato che conferite allo spedizioniere comprende anche lo svolgimento di tutte le eventuali
operazioni accessorie strettamente necessarie al trasporto, quali ad esempio la pesatura della merce, un
particolare imballaggio, il deposito e la custodia della merce fino alla sua consegna o al ritiro, rispettivamente,
al o dal vettore. A tutto ciò si aggiunge non di rado anche un’attività di consulenza amministrativa.

                                                                                                                        11
4) (utilizzo di monete diverse) e 5) (rischio paese)
Sia i problemi del “cambio” [derivanti dal fatto che venditore e acquirente utilizzino abitualmente due differenti monete (ad es. € e $)], sia quelli
collegati all’avere la controparte contrattuale la nazionalità e/o la sede in uno stato con precaria stabilità politica
li conoscete già da Relazioni, perciò qui non ne parlo e mi limito solto a pochi cenni circa le possibili soluzioni.
Quanto al rischio paese, l’unico modo per fronteggiarlo è un contratto con una compagnia di assicurazione,
privata [AXA (Francia), Allianz (Germania), Metlife (U.S.A.), Ping An Insurance (Cina), Prudential Fin. (U.S.A.), Assicurazioni Generali (Italia) per citare le
quattro maggiori al mondo e l’undicesima (e prima fra le italiane), tutte comunque con attivi patrimoniali compresi fra i 500 e i 1.000 miliardi di dollari ] o
pubblica [la SACE (di proprietà del M.E.F., cioè dello stato), una nana (solo ½ miliardo di attivo) circa mille volte più piccola delle maggiori compagnie private].
Per annullare o ridurre il rischio di cambio (come dovreste sapere, normalmente l’esportatore teme che nel periodo intercorrente
fra la data di fissazione del prezzo e la data del suo incasso la valuta estera con la quale ha eventualmente fatturato si svaluti rispetto a quella
nazionale; l’importatore, invece, normalmente teme che in quel periodo sia la propria moneta nazionale a svalutarsi rispetto a quella estera con cui è
stato espresso il prezzo) il mercato finanziario offre varie soluzioni; qui ve ricordo solo le due più tradizionali:
- l’acquisto (o la vendita) a termine di valuta estera: compro (o vendo) oggi (a un prezzo che quindi mi è già noto) ma
con esecuzione il giorno del pagamento (o dell’incasso) l’importo di valuta estera che dovrò inviare al fornitore (o
ricevere dal cliente) in futuro;
- il finanziamento in valuta: l’esportatore italiano che si attende dal cliente USA il pagamento di 500.000 $ fra
tre mesi chiede oggi alla propria banca un prestito di 500.000 € e, ricevutolo, trasforma immediatamente [al
cambio (noto) di oggi] i 500.000 € in euro che usa subito per i suoi abituali pagamenti (ai dipendenti, ai fornitori ecc.)
riducendo così, per tre mesi, la necessità di finanziarsi in euro. Quando, trascorsi i tre mesi, riceverà i 500.000 $
dal cliente li userà per estinguere il finanziamento in valuta acceso inizialmente.
Di mia competenza (e non di Relazioni, tant’è che dubito abbiate mai trattato l’argomento se non nelle cosiddette “lettere commerciali” in una qualche
lingua) sono, invece, i modi con cui si effettuano i pagamenti nel commercio con l’estero, quindi ne parlerò di più.

                             Modalità di pagamento nel commercio internazionale
Volendo suddividere in due soli gruppi tutti i sistemi di pagamento della merce, il modo più valido è separare i
pagamenti “aperti” (open account) dai pagamenti “COD” e “CAD”, acronimi, rispettivamente di Cash On
Delivery e di Cash Against Documents.
Un pagamento è “aperto” quando la consegna delle merci non è vincolata, collegata, al suo pagamento,
come invece è nel caso, e lo vedremo fra poco, sia di un pagamento COD sia di un pagamento CAD.
Va da sé che, a meno di rapporti fra le parti caratterizzati da un alto grado di fiducia oppure a meno di ricorrere
a qualche strumento di riduzione dei rischi, negli altri casi un pagamento aperto è fortemente sconsigliabile.
Per comprendere meglio gli effetti delle combinazioni fra i termini (nel senso di clausole, accordi) di consegna e quelli
di pagamento è opportuno ricordare, a grandi linee, quali sono le tipologie di pagamento più frequentemente
usate nel commercio con l’estero.
Occorre, però, che ci intendiamo subito su cosa intendere col termine “pagamento”: si potrebbe, infatti,
intenderlo come ottenimento di denaro, e invece qui lo si usa anche con il significato di ricevimento di un
strumento finanziario che in futuro darà origine, in modo più o meno sicuro e rapido, a un incasso di denaro (ad
esempio l’ottenimento di un pagherò, l’accettazione di una tratta, l’ottenimento della dichiarazione di una banca di aver effettuato un bonifico e altro) .

Cominciamo dal facile, e cioè col dire che il pagamento può avvenire prima, contemporaneamente o
successivamente alla consegna della merce, e fin qui non ci vuole Newton per capirlo.
Quando il pagamento è contemporaneo alla consegna, allora il più delle volte si tratta di un pagamento “COD”
(Cash on Delivery), che è, in pratica, un pagamento contrassegno (invito chi non si ricorda che caspita è il “contrassegno” ad andare a
riguardarsi la pagina 4 degli appunti “Il diritto di proprietà e il suo trasferimento” che vi distribuii in prima e che certamente tenete ancora sul comodino) in
quanto è il pagamento effettuato allo spedizioniere (o al vettore), il quale poi lo invierà al venditore. Questa
modalità è probabilmente quella più diffusa nel caso di operazioni via terra in area U.E.: l’esportatore
incarica lo spedizioniere di consegnare la merce al compratore solo dopo aver ricevuto, secondo quanto
concordato col compratore, uno o l’altro fra:

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- banconote;
- dichiarazione bancaria di avvenuto trasferimento dei fondi, irrevocabile e incondizionato, a favore del venditore;
- dichiarazione bancaria (della banca dell’esportatore) di avvenuto accredito;
- dichiarazione bancaria di blocco dei fondi;
- assegno circolare;
- dichiarazione bancaria di aver ricevuto ordine di pagamento;
- assegno bancario;
- firma di accettazione di una cambiale tratta;
- pagherò cambiario.
Segnalo, anche se spero sia superfluo, che i primi cinque strumenti hanno un grado di sicurezza maggiore degli
ultimi quattro.
Detto del pagamento “Cash On Delivery” e ribadito che questo sistema, nonostante il nome, non esclude il
credito di fornitura (ad esempio nel caso - peraltro raro - di ricevimento di una cambiale) parliamo ora degli strumenti bancari
d’uso più frequente nel commercio internazionale.
I quattro strumenti in assoluto più utilizzati (qualunque sia la tempistica del pagamento rispetto alla consegna) sono:

(A.) il bonifico; (B.) il credito documentario, (C.) la lettera di credito e (D.) la lettera di
credito stand by.

(A.) Dei quattro appena citati, il bonifico è il sistema più usato perché non solo è usuale, come già scritto, in
caso di pagamento a mezzo COD, ma è anche la prassi per tutti i pagamenti “aperti” (open account), cioè,
come già ho scritto, nei casi in cui la consegna delle merci non è vincolata al pagamento, eventualità frequente,
ribadisco anche questo, quando tra le parti intercorrono rapporti di fiducia consolidati nel tempo.
E’ ovvio che con il bonifico, se abbinato a un pagamento aperto, il rischio per l’esportatore (in caso di pagamento
posticipato) o per l’importatore (se il pagamento è anticipato) è massimo, e quindi quando la fiducia nella controparte non
è elevata l’uso del bonifico è prudente sia accompagnato da tecniche che riducano il “risk credit”, come ad
esempio l’assicurazione del credito o l’uso del factoring (di cui, forse, parleremo più avanti).
Fare o ricevere un bonifico fra c/c su banche residenti in paesi diversi è oggi, diversamente dal passato,
praticamente semplice come nel caso del bonifico nazionale; le uniche differenze sono infatti:
- il maggior costo (le commissioni bancarie, che variano da meno di uno fino a pochi euro nei bonifici nazionali, diventano in genere qualche
euro o tuttalpiù poche decine di euro nei bonifici con l’estero);
- la necessità di indicare alla banca, oltre al codice IBAN del conto di accredito, anche il codice “BIC” (Bank
Identifier Code), spesso definito anche codice “SWIFT” (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication) della
banca estera; faccio presente che in alcuni paesi (ad esempio USA, Canada, Giappone e Cina) i conti correnti non sono
identificati dal codice IBAN ma da altri dati.
Di rilevante importanza sono poi anche i codici TRN e CRO: il codice “TRN” (transaction reference number, di 30
caratteri alfanumerici) come anche il suo sottocodice “CRO” (codice di riferimento dell’operazione, di 11 cifre) sono, infatti,
codici identificativi non del conto bensì dell’operazione, codici che vengono sempre indicati dalla banca al
cliente (che le ha ordinato il pagamento) e che questi può a sua volta comunicare al beneficiario per consentirgli di
verificare l’avvenuto pagamento prima ancora che l’accredito risulti sul suo conto corrente; il TRN, infatti,
consente sia di controllare che l’ordinante abbia disposto veramente il bonifico ma anche la corretta ricezione
del pagamento presso la propria banca. (Per i curiosi: il CRO è contenuto nel TRN, in quanto il primo è costituito dalle 11 cifre
comprese fra il sesto e il sedicesimo carattere del TRN).

Quando il pagamento con bonifico avviene in Euro ed entro l’area UE (con aggiunta di Svizzera, Norvegia, Islanda, Liechtenstein,
Principato di Monaco e, ovviamente, San Marino e Città del Vaticano) allora si tratta di un bonifico SEPA (Single Euro Payment Area), le cui
caratteristiche principali sono il costo in genere ridotto (rispetto agli altri bonifici esteri) e tempi certi per l’accredito
(normalmente entro tre giorni lavorativi dall’ordine o anche entro un solo giorno se si richiede un bonifico “urgente”, il cui costo è ovviamente maggiore).

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(B.) Con gli incassi documentari, detti anche crediti documentari, o C.A.D. (cash against documents) o
documentary collections, il venditore affida i documenti di spedizione della merce a una propria banca che
invia poi la documentazione alla banca dell’importatore. Quest’ultima potrà consegnare al proprio cliente i
documenti necessari per il ritiro della merce esclusivamente se questi esegue le istruzioni stabilite per il
pagamento. Anche nel caso di CAD, come già si è visto nel COD, la C di cash va intesa non solo come
trasferimento di liquidità ma anche come consegna, da parte del compratore, di un qualche strumento
finanziario diverso dalla moneta, come un pagherò cambiario o l’accettazione di una tratta. Infatti i pagamenti
CAD sono di due tipi:
- D/P (documenti contro pagamento), e in questo caso la banca dell’importatore consegna al proprio cliente i
documenti necessari per ritirare la merce dopo aver effettuato il bonifico alla banca dell’esportatore;
- D/A (documenti contro accettazione), quando per ottenere i documenti l’importatore deve accettare di
promettere un pagamento futuro, e questa promessa può essere costituita o da una “Promissory Note” (l’italico
pagherò cambiario) oppure dall’accettazione di una Bill of exchange (la nostrana cambiale tratta).
L’esportatore in possesso di questi “effetti” (cioè titoli rappresentativi di un credito) per incassare effettivamente liquidità
dovrà o attendere la scadenza del titolo o “scontarlo”, cioè farselo anticipare, spesso con un’operazione di
Forfaiting, di cui, forse, farò cenno più avanti.

(C.) Le lettere di credito (L/C) sono, in pratica, delle fideiussioni bancarie sottoposte a condizioni: infatti
con la lettera di credito la banca si impegna, su richiesta di un acquirente-importatore, a effettuare il pagamento
all’esportatore ma solo a condizione che questi assolva tutti i compiti e le condizioni previste ed esplicitate
nella stessa lettera di credito, e cioè che presenti entro un determinato termine tutti i documenti richiesti.

Se col sistema CAD (cioè col credito documentario), analogamente al caso COD, l’esportatore non rischia più di perdere
il possesso della merce senza ricevere il pagamento, ma rischia ancora di non essere pagato ogni volta che il
compratore non è più in grado di farlo o non è più interessato al ritiro della merce, con la lettera di credito (se
irrevocabile) l’esportatore che adempie correttamente e puntualmente tutti i suoi obblighi (e abbia concordato una
clausola di consegna adeguata, vedi pagina 8) non rischia più nemmeno di non ricevere il pagamento anche nel caso che
l’importatore fallisca o semplicemente cambi idea e non voglia più la merce.

(D.) La lettera di credito stand by (SBLC, Stand-by letter of credit) è, in sostanza, una fideiussione
bancaria a prima chiamata, in quanto la banca emittente si impegna, su incarico dell’importatore, per un periodo
determinato ed entro un importo massimo prestabilito, a eseguire il pagamento a favore dell’esportatore
(beneficiario) a semplice sua richiesta (“sua” dell’esportatore): l’unica cosa che l’esportatore dovrà infatti far avere
alla banca è, non di rado, solo una copia della fattura e la dichiarazione di non averne ricevuto il pagamento
dall’importatore.          La lettera di credito stand-by, quindi, più che una forma di pagamento deve essere
considerata come una pura garanzia, tanto è vero che, diversamente dal caso (3.) del credito documentario (cioè
della lettera di credito non stand-by), qui non necessariamente il pagamento della merce avviene tramite la banca
emittente: una volta ottenuta una lettera di credito stand-by, i rapporti continuano a svolgersi direttamente fra
compratore e venditore e il pagamento può essere concordato con un qualunque strumento, magari anche al di
fuori del circuito bancario; qualora alla scadenza il debitore non adempia alla propria obbligazione, allora il
venditore (beneficiario della SBLC) attiverà la Stand By presentando la richiesta di escussione alla banca
garante e questa pagherà anche nel caso l’importatore possa dimostrare che ha tutti i diritti per non pagare,
magari perché la merce è totalmente non conforme. La banca paga comunque l’esportatore, poi addebiterà
l’importo all’importatore che, infine, dovrà attivarsi nei confronti dell’esportatore per far valere i propri diritti e
cercare di recuperare l’importo e gli eventuali danni ingiustamente subiti.

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L’aspetto fiscale
    Se si esclude quello del Principato del Liechtenstein e, forse, un altro paio, i governi di tutto il mondo tendono a
    compiere ogni sforzo di cui sono capaci per sorvegliare il più capillarmente possibile i propri cittadini e, più in
    generale, chi opera nel loro territorio, soprattutto al fine di ottenere le sempre maggiori risorse necessarie per
    finanziare la continua crescita dell’apparato burocratico-amministrativo. Questo implica, fra le tante cose,
    anche il controllo di tutto ciò che entra e che esce nel e dal paese, e da qui l’esistenza delle “dogane”, strumenti
    governativi la cui funzione è sia fiscale (applicare dazi e imposte varie alle merci in transito per far giungere soldi al governo), sia
    di politica economica [avvantaggiare attraverso limitazioni all’import e aiuti all’export alcuni produttori interni (quelli con più “amici” fra i politici e
    gli alti dirigenti pubblici), penalizzando però cosi tutti gli altri cittadini], sia statistico (aumentare le informazioni utili alla politica (al governo e al
    parlamento) per programmare e controllare le iniziative volte al raggiungimento dell’araba fenice dell’immancabile “bene comune”).

    Quando poi, come l’Italia con la U.E., un paese fa parte di una comunità di stati che hanno deciso di
    liberalizzare gli scambi commerciali (ma anche il transito delle persone) fra loro, allora la dogana mantiene intatte le sue
    competenze solo sui flussi di merci in entrata e in uscita dai confini del territorio comunitario, essendo
    evaporato il concetto di confine nazionale (almeno per quanto riguarda la circolazione dei beni e delle persone).
    Operando ogni azienda (a parte le “non tradable”) di qualsiasi paese UE nello stesso unico e vastissimo
    mercato, è naturale che, affinché la concorrenza sia corretta, tutte debbano seguire le medesime regole nel
    commercio extraUE; ecco perché l’applicare una limitazione all’import come anche un’agevolazione all’export
    è una scelta che non è più dei governi nazionali ma è presa, per tutti, in sede UE (dal Consiglio d’Europa su proposta della
    Commissione Europea, come forse ricordate da precedenti letture di Relazioni internazionali).
    Qui, poiché l’argomento mi annoia, copio-incollo dal sito istituzionale https://europa.eu/european-union/topics/customs_it
    Libero scambio in Europa             Grazie all’unione doganale dell’UE:
•   i dazi alle frontiere tra i paesi dell'UE sono un ricordo del passato
•   disponiamo di un sistema uniforme di dazi sulle importazioni dai paesi non appartenenti all'UE.
    Oltre a garantire il flusso degli scambi, i doganieri svolgono tutta una serie di compiti a tutela dei cittadini europei.
    L’unione doganale è un’area commerciale unica, nella quale tutte le merci circolano liberamente, sia che siano state fabbricate
    nell’Unione europea o che siano importate da paesi terzi. È possibile, ad esempio, spedire un cellulare finlandese in Ungheria senza
    pagare dazi e senza essere soggetti a controlli doganali.
    Il dazio su beni provenienti da paesi extra UE, ad esempio un televisore importato dalla Corea del Sud, viene di solito pagato al
    momento del primo ingresso nell'Unione: successivamente non vi sono ulteriori dazi, né controlli.
    Malgrado ciò, l'attività doganale nell'UE resta d'importanza vitale, considerato il cospicuo volume di merci che entrano nel suo
    territorio. I servizi doganali dell’UE trattano quasi il 16% delle importazioni mondiali complessive, vale a dire più di due miliardi di
    tonnellate di merci e più di 270 milioni di dichiarazioni all'anno.                 (Fine parte copia-incollata dal sito ufficiale della UE)

    Non dovete, però, pensare che i governi nazionali si disinteressino degli scambi intracomunitari: non possono
    più limitarli, verissimo, possono però ancora controllarli, nel senso di osservali. Agli operatori residenti, infatti,
    la legge impone di comunicare periodicamente all’amministrazione finanziaria (al MEF, tramite l’Agenzia delle Dogane”)
    ogni operazione di vendita o di acquisto effettuata con qualsiasi operatore residente in uno degli altri stati UE.
    Questa comunicazione è da sempre fatta, in genere mensilmente, attraverso i “Modelli Intrastat” (Intrastat Vendite
    e Intrastat Acquisti) in cui si riportano, per ogni cliente e per ogni fornitore UE, i dati delle operazioni,
    rispettivamente, di vendita o di acquisto.
    Per quanto riguarda le vendite “interne” (Grissin Bon che vende all’Esselunga, ma anche l’idraulico che fattura al consumatore la
    riparazione del rubinetto di casa) vi ricordo che con l’introduzione dal 1/1/2019 della cosiddetta “fattura elettronica” lo
    stato italiano (l’unico, insieme al Portogallo, in tutta la UE) impone a tutti gli operatori di inviargli entro pochi giorni ogni
    singola fattura emessa [e quindi in ogni momento è al corrente di cosa e a (o da) chi ogni azienda sta vendendo (o comprando)].
    Ritengo probabile che tra qualche tempo (alcuni anni? pochi decenni?) lo stato conoscerà
    dettagliatamente anche tutti gli acquisti fatti dai consumatori (e non solo, come ora, dalle
    aziende), in quanto prevedo che sarà introdotto l’obbligo di emissione del cosiddetto
    “scontrino parlante” (per ora solo facoltativo e limitato alle farmacie) anche per gli acquisti al
    supermercato e dagli altri commercianti al dettaglio. Temo che l’Orwelliano
    “1984” abbia anticipato l’arrivo del Grande Fratello di non più di mezzo secolo.

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