Ibridazione Definizione-Etimologia - Amazon S3

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Ibridazione

Definizione-Etimologia
Il concetto di Hýbris (dal greco antico βρις), di origine
giuridica, per quanto estesosi progressivamente all’uso
poetico e letterario, denota una condizione di “tracotanza”,
“dismisura” e di “eccesso”. Nella società arcaica esprime
l’aspirazione manifesta all’inclusione reciproca tra qualità
umane e divine, da cui consegue la “colpa”, sentenziata
dall’inconciliabilità dei relativi sistemi di valore, e
l’implicita connotazione negativa attribuita al termine.

Significato del termine: origini e suoi
sviluppi
Il Mito, come racconto delle origini, e la Genesi, quale
principio di radicamento del divino nel terreno attraverso la
sua storicizzazione, sono compiute espressioni dell’accezione
“colpevole” del termine. Tale condizione è rappresentata
nell’Odissea dall’ambizione degli uomini a condividere la
conoscenza degli Dei, ascoltando il canto delle sirene, che si
conclude con il naufragio, mentre nel racconto Biblico essa si
identifica con la decisione dei progenitori della razza umana
di cogliere il frutto proibito, metafora dell’albero della
conoscenza, che comporta la cacciata dal Paradiso. Per
estensione semantica, la secolarizzazione d’uso del termine
occorsa in epoca medievale e rinascimentale, chiama in causa
la relazione antropologica con “altro da sé”, rinviando
implicitamente al superamento di un limite, fisico e
psicologico, oltre il quale alberga l’ignoto e il diverso.
Essa connota pertanto la “crisi” di un sistema di valori
imputabile al travalicamento del mondo conosciuto, e la
conseguente perdita temporanea di quell’equilibrio assunto
convenzionalmente a fondamento del vivere civile, per regolare
i rapporti tra individui all’interno di una compagine sociale
omogenea.
In tal senso l’ibrido si identifica con il mostruoso (dal
latino monstrare; additare, ma anche ammaestrare), inteso come
ciò che in quanto diverso, ci sta di fronte, ovvero al di
fuori, in attesa di essere assimilato a noi o, più
semplicemente, ridotto a oggetto di pura indagine scientifica.
In tal senso, nel campo delle istituzioni civiche del mondo
occidentale, le Corporazioni di Arti e Mestieri, prima, e le
Accademie, dopo, sono chiamate a svolgere un’analoga funzione
normalizzatrice, per quanto fondata su differenti premesse
politiche, evidentemente antagoniste. La modernità borghese,
reificando ogni espressione di vita, sia essa naturale o
culturale, al fine di farne dato di conoscenza, oggettiva e
trasmissibile, sottoposto all’esattezza del calcolo logico-
matematico, e di conseguente sfruttamento produttivo, accetta
la conflittuale coesistenza tra nuovi e vecchi sistemi di
valore. Attraverso l’assimilazione del Mestiere a Tecnica,
ovvero della Fenomenologia a Ontologia, i comportamenti
possono essere descritti, articolati e finalizzati sulla base
di una chiara gerarchizzazione d’uso, capace di creare le
condizioni per l’ibridazione funzionale Uomo-Natura attraverso
lo Strumento-Macchina. La laicizzazione del termine e il suo
riconoscimento come valore compiuto, avviene durante la fase
Post-Moderna. La contaminazione dei linguaggi, allegoria
efficace dell’irriducibile diversità delle sottostanti
ideologie, costituisce la più compiuta manifestazione
dell’ormai sopraggiunto riconoscimento che la diversità è in
noi, ci appartiene e ci forza a interpretare il concetto di
identità secondo categorie inedite.

Condizionamenti e rapporti con la forma
urbana
Erroneamente    ricondotta    alla    multifunzionalità     in
architettura, che semmai ne costituisce una prime derivazione,
l’ibridazione è un processo essenzialmente urbano, che ne
investe il cambiamento di ruolo delle parti componenti, e dei
rapporti relativi, all’interno del loro significato
complessivo, creando un corto circuito che ne rivela
opportunità inedite. In tal senso ibrida, per definizione, è
la natura stessa della trasformazione urbana, in quanto
pratica “virale” che, destabilizzandone il codice genetico
dall’interno, crea le condizioni affinché la città possa
diventare “altro da sè”, seppur passando necessariamente
attraverso un traumatico cambiamento di stato, mantenendone
costante il potenziale espressivo. In quanto tale, l’ibrido
esprime una condizione di sospensione, per definizione
transitoria, tra un “non più”, ovvero una cultura urbanistica
in crisi per effetto dei cambiamenti occorsi nelle sue
istituzioni, e un “non ancora”, ovvero un assetto insediativo
capace di esprimere una rinnovata coerenza e corrispondenza
tra urbs e civitas, tra spazio e società.
Il concetto di ibridazione è pertanto connaturato ad ogni
cambiamento di stato e al processo di trasformazione che lo
determina. Ciò risulta particolarmente evidente nella storia
della città, per effetto della diversa inerzia al cambiamento
che si manifesta tra le parti e il tutto e in virtù della
cronica distonia tra strutture spaziali, istituzioni sociali e
fasi temporali, che programmaticamente contraddice ogni facile
categorizzazione del costruito in generi e specie. Nella
transizione tra la città romana e quella medievale, si assiste
all’uso non convenzionale di edifici pubblici con finalità
private, per lo più motivato da esigenze difensive. È questo
il caso di alcuni anfiteatri, quali quello di Arles, di Lucca
e di Roma – che accolgono residenze, generando nel tempo
aggregati edilizi di nuova concezione, ovvero i primi tessuti
a schiera, talvolta coesistendo con modelli afferenti alla
cultura precedente – e di sontuosi palazzi, come quello di
Diocleziano a Spalato, che raggiungono complessità di
relazioni assimilabili a quella di una città. Similmente, la
nascita dei primi borghi edilizi fuori le mura si identifica
come espressione morfologica estranea all’insediamento intra-
moenia (i suoi abitanti non godono infatti dei diritti
riconosciuti ai cives inurbati), di cui costituiscono ab
origine una forma di ibridazione temporanea, per esserne nel
tempo compiutamente assimilati, fino a divenire strumento
efficace di sviluppo e identità delle relative tessiture
urbane. La stessa diffusione delle Certose altera i rapporti
convenzionali tra insediamento urbano e territorio, in quanto
edifici specialisitici che riproducono il livello di
articolazione scalare presente, seppur al grado minimo, nelle
città comunali, ospitando residenze, servizi, un ampio spettro
di professionalità e luoghi di scambio con il contesto
circostante.
Tra le prime architetture a scala urbana che sovvertono il
rapporto convenzionale tra strutture originariamente
complementari, mettendole in reciproca competizione, possono
essere ricordati i Pii Alberghi dei Poveri, istituzioni
espressione di un paternalismo illuminato che, offrendo
ricovero, educazione e lavoro a bisognosi, orfani e reietti in
generale, promuovono la costruzione di manufatti edilizi la
cui complessità spaziale e funzionale assurge al rango urbano.
Perfino le Regge, quali Caserta e Versailles, per quanto
assimilabili a residenze private, che ripropongono la
complessità e la ricchezza della più sontuose ville romane di
epoca imperiale, se rapportate al contesto territoriale in cui
operano, competono con le città coeve per alcune funzioni
produttive e direzionali di eccellenza, alimentando nel medio
periodo fenomeni disgregativi della compagine sociale. Nella
transizione tra Ancient Regime e Stato borghese, l’ibridazione
si manifesta prevalentemente attraverso la produzione di nuovi
tipi edilizi a destinazione commerciale, quali i grandi
magazzini che, per dimensione e varietà dell’offerta,
costituiscono i primi casi di spazi pubblici ospitati
all’interno di edifici privati, capaci di competere con i più
tradizionali luoghi di incontro collettivo all’aperto della
città, come strade, piazze e parchi.
Nella città del Movimento Moderno, l’“Unità di Abitazione a
grandezza conforme” di Le Corbusier, diventa paradigma di una
variazione di scala nella comprensione dell’organismo urbano,
che porta alla Città Territorio e promuove, per gemmazioni
successive, l’immaginario megastrutturale. Tale mutazione è
possibile attraverso l’assimilazione dell’architettura a
“Città in verticale”, includendo al suo interno le funzioni
elementari dell’urbanistica, così come stabilite nella Carta
d’Atene del 1942: abitare, lavorare, circolare e coltivarsi.
In tal senso, lo sviluppo della città americana maturato tra
la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, soprattutto con
riferimento alla crescita “scalare” di Chicago e New York,
documentata negli studi di Rem Koolhaas e Jean Castex, risulta
anticipatrice. In tempi più recenti, la globalizzazione
economica ha promosso inediti processi di ibridazione, con
risultati eclatanti raggiunti soprattutto nei paesi in via di
sviluppo, privilegiando la trasformazione di quelle aree
contraddistinte da un più elevato potenziale di accessibilità
intermodale e suscettibilità al cambiamento di stato, i
cosiddetti brownfields, rendendo più stringenti le relazioni
orizzontali, tra organismi simili deterritorializzati,
rispetto a quelle verticali, tra organismi scalarmente
differenziati all’interno di uno stesso sistema territoriale,
aprendo la stagione in corso delle Network Cities.

L’ibridazione nel processo formativo dei
tipi edilizi
Riconosciuto il carattere antropologico del processo di
ibridazione, e accettatone il significato tipologico, ovvero
assimilandone gli esiti a compiuti prodotti sociali, si
possono chiaramente identificare quattro distinte fasi di
sviluppo, a cui corrispondono altrettante strategie di
articolazione della compagine sociale. Nella prima, che si
estende dalle origini all’epoca medievale, l’ibridazione
costituisce una fase transitoria del processo di
trasformazione del paesaggio antropizzato, alle diverse scale
di complessità relazionale. Essa si manifesta all’insorgere di
un mutato sistema di rapporti di produzione, di organizzazione
sociale e di corrispondenti valori culturali all’interno di un
territorio assegnato, e si esprime attraverso la progressiva
assimilazione di ciò che già esiste nell’alveo del nuovo
quadro. L’ibridazione, in tal senso, dà forma ad una
condizione di sospensione tra il “non più” dell’assetto
precedentemente raggiunto e il “non ancora” della nuova
configurazione. Si può così affermare che l’ibridazione si
collochi all’interno di una visione “organica” dell’esistenza.
Fenomeni di ibridazione sono pertanto quelli che si registrano
nei tessuti di primo impianto a corte quando le preliminari
spinte attrattive esercitate dal fronte strada, quale luogo di
scambio, determinano fenomeni di “tabernizzazione”, con
progressiva apertura delle cellule più periferiche
sull’esterno, allorquando il processo di metabolizzazione dei
tipi edilizi originari non si sia integralmente compiuto,
generando aggregati di corti-schiere per sistematico
frazionamento delle particelle della domus.
In generale, ogni forma di riciclo delle strutture edilizie
esistenti, espressione di un compiuto assetto sociale,
finalizzata alla costruzione di nuove configurazioni spaziali,
coerenti al mutato quadro, passa attraverso stati successivi
di ibridazione, più o meno evidenti, che testimoniano le
tensioni implicite in passaggi epocali mai pacificati.
Nella seconda, che dal Rinascimento si estende per tutta la
durata dell’Ancient Regime, il rapporto con un diverso sistema
di valori si esprime per conflittualità, ovvero per relazioni
oppositive. La cultura rinascimentale, oltre la dimensione
della città ideale, viene contrastata, in quanto portatrice di
valori che operano nel senso della discontinuità. Le ragioni
dello spazio, controllato attraverso l’atemporalità del
progetto, entrano in tensione antagonista con la dimensione
narrativa e processuale della città esistente, che non
intendono assimilare, quanto semmai sopraffare per progressive
demolizioni. Così il Palazzo, occupando successive porzioni di
isolato, o identificandosi integralmente con esso, ne
riconosce al più l’intima metrica lottizzativa, ridotta a
immagine nella propria articolazione compositiva d’impianto,
ma rimane pur sempre un frammento nel corpo vivo della città,
che dalla tensione generantesi, e mai risolta in sintesi di
livello superiore, trae parte cospicua del proprio successo e
della propria sfrontata iconicità (dal greco εκν,
proporzione). Lo stesso dicasi degli innumerevoli percorsi di
ristrutturazione attraverso i quali la città barocca aspira a
trasformare per parti quella che le preesiste, senza per
questo intaccarne le ragioni d’esistenza; semmai opponendo ad
esse il proprio carattere imperativo, che del contrasto si
nutre in modo permanente per esprimere la distanza da sè di
tutto ciò che non le appartiene.
Nella terza, che si identifica con il manifestarsi della
cultura borghese fino alla sua compiuta maturazione, si
assiste ad una nuova interpretazione dei processi di
ibridazione. La diversità di valori viene accettata nella
misura in cui può risultare strumentale al raggiungimento dei
nuovi obiettivi, opportunamente regolata. La frammentazione
del costruito, e la specializzazione tipologica che ne
consegue, è pertanto funzionale ad una società che fa della
gestione delle differenze, e del relativo sfruttamento, la
propria condizione d’essere. L’ibridazione è pertanto
condizione di coesistenza all’interno del nuovo assetto
sociale. L’entrepreneur borghese è colui che rivendica la
capacità di gestire la pluralità di ruoli che la società
definisce, regola e mette in rapporto di reciprocità. La
classificazione dei tipi edilizi, per generi e specie, è il
più coerente prodotto della nuova prassi.
Se la trattatistica rinascimentale aspira alla trasmissibilità
di un linguaggio condiviso nella comunità delle Lettere,
ovvero il Classicismo, la manualistica Moderna mira ad
omologare la diversità dei codici, riconosciuta come
legittimità, attraverso la capacità unificante della
composizione, di cui la città per parti è il più recente
prodotto critico e il découpage della città analoga la sua
compiuta rappresentazione. Nell’ultima fase, tuttora in corso,
il processo di ibridazione pare strutturale, ovvero interno
alla natura stessa dell’organizzazione sociale.
A partire dalle Neo-Avanguardie degli anni ’60, in tutti i
settori si assiste alla progressivamente destabilizzazione
della Tassonomica moderna. La rivoluzione dei costumi –
geografico-insediativi, economici, comportamentali e culturali
– determina una sistematica destabilizzazione degli assetti
tipologici ereditati. Alla netta distinzione delle scale di
intervento operata dal Funzionalismo internazionale, a cui
corrispondono altrettanti livelli di complessità relazionale
della società, subentra la reciproca compresenza, che dal
severo immaginario megastrutturale di Metabolism, attraverso
la visionarietà Pop di Archigram e Cedric Price, approda alla
più recente sperimentazione ludica di OMA/Rem Koolhaas,
Christian de Portzamparc e Biarke Ingels Group, in cui casa,
tessuto città e paesaggio sembrano implodere nella dimensione
agglutinante della bigness quale compiuta espressione della
Network Society.
Alla omogeneità e coerenza di interventi in sè compiuti e
autosufficienti, che aspirano a tradurre linearmente
nell’esperienza dello spazio il rapporto con il proprio tempo
storico, si sostituisce la cultura della compresenza e della
trasversalità che, mediante l’applicazione di metodi
decostruttivi, approda alle ibridazioni di Bernard Tschumi,
Peter Eisenman, Daniel Libeskind, Ben van Berkel e FOA, in cui
l’architettura mette in scena il flusso ininterrotto del
proprio farsi attraverso il montaggio discontinuo dei relativi
linguaggi, rivelandone le sottostanti ideologie. Alla
specializzazione funzionale dei tipi edilizi, espressione di
una ricerca di corrispondenza tra forma e ruolo, che si basa
sul principio di obsolescenza programmata, si sostituisce la
ricerca di adattabilità del costruito a modificati stili di
vita, che dalla sistemica neo-primitiva presente nello
Strutturalismo olandese, attraverso la fissità metafisica
della Tendenza rossiana, approda all’opera di Neutelings &
Riedijk e De Architecten Cie, in cui il processo di
metabolizzazione del costruito, e la molteplicità possibile
degli esiti relativi, viene teatralmente rappresentato nello
spazio del progetto.
Alla netta separazione tra dominio pubblico e dimensione
privata, sulla cui gerarchizzazione si fonda la cultura della
Modernità, subentra la reciproca compenetrazione e il
ribaltamento di ruoli che, negli opposti esiti della Non Stop
City di Archizoom e del civic centre polifunzionale di
tradizione anglosassone, anticipa il fenomeno dello Sprawl e
della residualità urbana introiettata nel mall commerciale,
entrambi sublimati nell’esperienza progettuale di MVRDV e di
SANAA. Alla chiara separazione dei registri comunicativi, che
si esprime nella difesa del disciplinarismo, subentra la
contaminazione dei codici che, attraverso la rilettura della
strip americana e del decorated shed da parte di Robert
Venturi e gli effimeri bricolages di Charles Moore, approda
alla sperimentazione digitale di Toyo Ito, agli edifici
intelligenti della Green Architecture internazionale e alla
Smart City di Carlo Ratti, in cui le tecnologie
dell’informazione, ormai pienamente integrate nel corpo
architettonico, ne amplificano le prestazioni oltre ogni
limite, trasformandole sempre più in piattaforme interattive,
e ne alterano in maniera irreversibile lo statuto ontologico.

Rapporto con i materiali e le tecniche
costruttive
Durante la fase di assimilazione, i processi di ibridazione si
manifestano attraverso la sostituzione dei materiali originari
con nuove soluzioni e/o con tecnologie in grado di modificarne
il significato d’uso, come si registra nel subentrare di una
cultura edilizia plastico-muraria a quella elastico lignea, ad
esempio, nella civiltà greca arcaica e nella città medievale.
Nella cultura edilizia Rinascimentale l’ibridazione si esprime
surrettiziamente attraverso la compresenza di due registri
chiaramente distinti. Da una parte la fabbrica e il suo
maestro, in cui la tettonica, quale arte del ben costruire,
mette in opera la processualità narrativa del cantiere e il
suo significato di prodotto sociale, attraverso l’implicito
coordinamento dei diversi saperi che concorrono al suo farsi
quale espressione compiuta dell’instabile equilibrio tra forze
che anima la cosa pubblica. Dall’altra il progetto e il suo
architetto, che annulla quella dimensione narrativa
rappresentandola nello spazio logico del codice,
materializzato nell’ordine architettonico sovrapposto
all’edificio, a cui tutto risulta subordinato, con una
evidente connotazione politica, in cui la nuova Oligarchia del
“sapere” aspira paternalisticamente a prendere il sopravvento
sulla cultura diffusa del “fare”.
Un caso particolarmente interessante di tale strategia
ibridativa è il fenomeno del Palladianesimo, nel quale il
codice utilizzato dalla cultura occidentale per identificare
la casa di Dio viene per la prima volta applicato su ampio
spettro anche alla casa degli uomini.
Nella società borghese il difficile equilibrio tra le due
componenti viene meno. Le condizioni della produzione sono
ridotte a puro sapere tecnico, privo di rappresentatività
sociale, reso così disponibile ad una cultura architettonica
sempre   più  intesa  quale  filiera  imprenditoriale
autosufficiente. Anche il codice perde di autorialità,
frammentandosi in un quadro molteplice e strumentalizzato in
chiave storicistica per veicolare valori ad esso associati in
termini puramente convenzionali. Emblematica, in tale
prospettiva, la vicenda della Scuola di Chicago e la cultura
del Manhattanismo.
Il Moderno aspira a ricomporre la frattura, ristabilendo
l’unità perduta tra processualità del fare industriale e
implicito valore sociale degli esiti relativi, bandendo ogni
forma di ibridazione, ma non tiene conto della complessità di
un reale ben più articolato e molteplice di quanto le grandi
Narrazioni, parafrasando Paul Ricoeur, abbiano inteso
propagandare.     La  Post-Modernità     registra    pertanto
l’ibridazione, intesa quale compresenza degli opposti, come
condizione strutturale, anche nel ciclo edilizio. Saperi
artigianali e cultura industriale, materiali naturali e
prodotti artificiali, esperienza reale e mondo virtuale,
condizionamenti locali e dimensione internazionale, aspirano a
coesistere nella consapevolezza che dalla reciproca
fertilizzazione, all’interno di una visione pacificata e non
conflittuale dei rapporti, possa sorgere una cultura “altra”.
Tuttavia tale clima si manifestano secondo due distinte
attitudini, tuttora presenti. Una filone di ricerca riconosce
ancora nel linguaggio un prodotto sociale – espressione dei
condizionamenti geografici, economici, comportamentali e
culturali del proprio tempo storico – ancorchè plurimo nel suo
dispiegarsi molteplice, e che si esprime attraverso i registri
di un sincero Eclettismo. L’altro, identificando nelle forme
il surrogato dei contenuti, e non il suo complemento,
sostituisce alla città reale la città analoga, che delle
sottostanti dinamiche restituisce un’autonoma e fittizia
rappresentazione, destinata a banalizzare ogni contributo
espressivo. Nella società plurale e multietnica, la produzione
edilizia non può far altro che registrare incessantemente la
contaminazione quale condizione d’esistenza in una situazione
di programmatica discontinuità.

Bibliografia
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1910-1930 Le chantier de la ville moderne, Editions de La
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Komossa    S.,  Marzot    N.,   Tekenboek    stadsgebouwen.
Functiestapelingen, publieke binnenwerelden, in één blok, Air,
Rotterdam, 2011.

Photogallery

Rotterdam, Market Hall, prospettiva del mercato coperto con
abitazioni, MVRDV, 2009-2014 (disegni forniti dallo studio).

Chiudi

Almere, De Citadel, prospettiva aerea del complesso, Christian
de Portzamparc, 2000-2006 (disegni forniti dallo studio).

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