I problemi del premier Conte nelle trame dei servizi segreti fra Italia e Usa

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I problemi del premier Conte nelle trame dei servizi segreti fra Italia e Usa
I problemi del premier Conte nelle
trame dei servizi segreti fra
Italia e Usa
ROMA – Questa volta non è Matteo Salvini a far stare il premier
Giuseppe Conte sotto pressione, ma bensì un vero e proprio “sistema”
di poteri forti”, di cui non su conosce la faccia e neanche il nome.
Possiamo denominarlo “Deep State“, cioè lo Stato sotterraneo,
l’insieme di persone ed apparati che si muovono dietro le quinte o su
“pressione” delle classi dirigenti, per lanciare messaggi per soli
addetti ai lavori, mandare avvertimenti in codice. Il “Russiagate” sta
lentamente mettendo in crisi     il presidente del Consiglio Conte,
costringendolo a renderne conto presentandosi davanti al Copasir .

Tutto questo ha origine da un gioco di minacce velate e rivelazioni
incrociate, che servono a tenere costantemente sotto scacco il governo
e chi lo guida. L’hashtag è il solito: #Giuseppistaisereno. Ma
stavolta il mittente non è solo Matteo Renzi. Russiagate

Un quadro d’insieme, per ricostruire la vicenda. I “Russiagate” in
realtà sono almeno quattro. Due negli Stati Uniti, due in Italia.
Negli Stati Uniti il primo “Russiagate“ ufficiale lo apre il
procuratore federale Müller che vuole appurare se dietro l’hackeraggio
delle mail riservate di Hillary Clinton da parte dei russi, alla
vigilia delle presidenziali del 2016, ci sia stato o meno lo zampino
di Donald Trump, intenzionato a sabotare la candidata democratica. Il
secondo “Russiagate“ lo ha aperto lo stesso Trump che a sua volta
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vuole istruire una contro-inchiesta, per dimostrare che in realtà quel
sabotaggio informatico russo nasconde una congiura contro di lui,
ordita proprio dai democratici, intenzionati a sabotare la sua
elezione alla Casa Bianca.

La ragione per la quale Trump ha inviato in Europa il suo ministro
della Giustizia William Barr è molto semplice e chiara: raccogliere
informazioni “riservate” di primo mano dai governi amici. Si arriva
così ai due “Russiagate made in Italy“. Il          primo Russiagate
tricolore, viene aperto da Conte: nell’agosto durante la crisi del
governo gialloverde, senza darne conto a nessuno, il premier ha
autorizzato i vertici dei nostri servizi di “Intelligence” (il
Generale delle Fiamme Gialle Gennaro Vecchione, attualmente al vertice
del Dis, il capo dell’Aise Luciano Carta e quello dell’Aisi Mario
Parente) a incontrare per ben due volte Barr ed il procuratore
americano John Durham, ed a cedere loro tutte le informazioni di cui
hanno bisogno. Resta il fatto che Barr è un esponente politico
dell’amministrazione statunitense e quindi bisognerà accertare come
mai Conte abbia ritenuto opportuno di assecondare tale richiesta a dir
poco anomala.
I problemi del premier Conte nelle trame dei servizi segreti fra Italia e Usa
Sul piano giuridico è un atto legittimo in quanto il premier Conte ha
mantenuto per se la delega ai servizi segreti, ma molto discutibile e
criticabile sul terreno politico. E non a caso la politica gliene
chiede conto e giustificazioni.

                                           Passiamo quindi al secondo
Russiagate italiano: ad aprirlo è stato Matteo Salvini, che su questa
mancanza di trasparenza del premier Conte lo assedia ed incalza.
Quanto sinora accaduto induce ad alcune domande conseguenziali ed
importanti La prima è: perché Conte, che è anche un avvocato, compie
questa imperdonabile leggerezza? Una risposta probabilmente si trova
nel tweet cinguettato al mondo da Donald Trump “Giuseppi Conte è un
grande, merita di essere confermato alla presidenza del Consiglio” con
il quale a fine agosto, all’apice della crisi di governo, il
presidente degli USA lo ricompensa della sua obbedienza.

L’ altra domanda è: chi ha fatto filtrare la notizia degli incontri
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segreti dei nostri 007, con Barr tra agosto e settembre, gestiti ed
autorizzati da Conte, e sopratutto perchè è stata fatta trapelare ? La
risposta ci riporta come il gioco del Monopoli al punto di partenza:
qualcuno del “Deep State”, che non sappiamo e non sapremo mai chi sia,
ha voluto lanciare un segnale forte e chiaro a “Giuseppi“, della
serie: non ti montare la testa, stai attento a come ti muovi, sei
sotto osservazione .

Probabilmente c’è qualcosa che non conosciamo, e chissà, forse un
giorno verrà alla luce . L’audizione convocata per la prossima
settimana, davanti al Copasir, forse attenuerà le polemiche. Ma forse
per Conte ed il suo governo tutto ciò è solo una navigazione notturna
nel buio e silenzio del mare, dove a volta si può incontrare qualche
scoglio sconosciuto alle mappe. E la barca può colare a picco

Ecco la telefonata Trump-Zelenskij:
"Fammi questo favore. Vai a fondo
su Biden e figlio"
ROMA – Sono alcune delle frasi tratte dalla telefonata – di cui è
stata diffusa la trascrizione declassificata e senza omissis – tra il
presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente
ucraino Volodimir Zelenskij., la causa della richiesta di
“impeachment” avanzata dalla portavoce della Camera degli Stati Uniti,
la deputata democratica Nancy Pelosi . Trump non è “al di sopra della
legge” e risponderà del suo comportamento, ha detto la speaker
democratica della Camera, Pelosi, dopo la diffusione della
trascrizione. “Il fatto è che il presidente degli Stati Uniti,
violando le sue responsabilità costituzionali, ha chiesto a un governo
straniero di aiutarlo nella sua campagna politica, a spese della
nostra sicurezza nazionale, minando anche l’integrità delle nostre
elezioni”, ha aggiunto Pelosi secondo quanto riportato dalla Cnn.
“Questo non è accettabile. Ne risponderà davanti alla legge. nessuno è
al di sopra della legge”, ha aggiunto la speaker della Camera, che
ieri ha annunciato l’avvio di un procedimento per l’impeachment, cioè
la messa sotto accusa del Presidente degli Stati Uniti d’ America.

Al momento sono 205 i deputati americani finora a favore
dell’inchiesta per aprire l’impeachment contro Trump, secondo i
calcoli del New York Times. Il quotidiano scrive che oltre due terzi
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dei 235 deputati democratici hanno già dato il loro sostegno. La
maggioranza richiesta è di 218. Quindi manca poco.

I membri del Congresso americano stanno indagando al momento per
appurare se Trump nella telefonata abbia offerto in cambio il
ripristino degli aiuti congelati alcuni giorni prima il colloquio. Lo
riportano alcuni organi di stampa Usa. Nella trascrizione prima di
chiedere a Kiev di accendere un faro sul figlio di Joe Biden (che è
stato membro del board della società energetica ucraina Burisma group
il cui proprietario era stato indagato dalla procura locale), Trump
ricorda: “Direi che facciamo molto per l’Ucraina“, più di quanto
faccia l’Europa.Il presidente ucraino Zelenskij rispose dicendo che
Trump ha “assolutamente ragione” e che i paesi europei “non stanno
facendo abbastanza per l’Ucraina“. Nel maggio scorso il procuratore
generale dell’Ucraina aveva dichiarato che non c’erano prove di azioni
illecite da parte di Hunter Biden, il figlio del candidato democratico
alle presidenziali del 2020.

Questo il contenuto principale della conversazione: “Fammi un favore.
Si parla molto del figlio di Biden, che Biden fermò l’indagine e molte
persone vogliono sapere, così tutto quello che puoi fare con il
procuratore generale sarà grandioso. Biden è andato in giro a dire che
aveva bloccato l’indagine, quindi se puoi darci un’occhiata. A me
sembra orribile“.
I problemi del premier Conte nelle trame dei servizi segreti fra Italia e Usa
il ministro della Giustizia Usa William P. Barr alla Casa Bianca
I problemi del premier Conte nelle trame dei servizi segreti fra Italia e Usa
Donald Trump

La trascrizione della telefonata del 25 luglio del 2019 conferma che
Trump durante la telefonata chiese al presidente ucraino di contattare
il ministro della Giustizia Usa William Barr per discutere la
possibile apertura di un’indagine per corruzione su Joe Biden e suo
figlio. Il Presidente ucraino Zelenskij avrebbe dovuto collaborare con
il suo avvocato personale, l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, e
con il segretario alla giustizia, William Barr, per “guardare” (cioè
indagare) sui Biden.

“Bene perché ho sentito che un procuratore molto bravo era stato
allontanato e questo è davvero ingiusto. – dice il presidente Trump
nel corso della conversazione telefonica –        Giuliani è un uomo
altamente rispettato, è stato il sindaco di New York, un grande
sindaco, e vorrei che ti chiamasse. Ti chiedo di parlarci assieme al
procuratore generale. Rudy (Giuliani, ndr) è molto informato su ciò
che è successo ed è un ragazzo in gamba. Se potessi parlarci sarebbe
grandioso. L’ex ambasciatrice degli Stati Uniti era sgradevole, e così
la gente con cui aveva a che fare in Ucraina, volevo che lo sapessi“.

Trump

“Volevo parlarti del procuratore”, risponde Zelenskij. “Primo di tutto
capisco e sono a conoscenza della situazione. Dopo che abbiamo
conquistato la maggioranza assoluta in Parlamento, il prossimo
procuratore generale sarà al cento per cento una persona mia, un mio
candidato, che sarà votato dal Parlamento e comincerà a lavorare da
settembre. Lui o lei si occuperanno della situazione, specialmente
dell’azienda a cui hai fatto cenno… A proposito, ti chiedo se hai
altre informazioni da fornirci, sarebbe molto utile per l’indagine.
Sull’ambasciatrice concordo al cento per cento. Ammirava il mio
predecessore, non avrebbe accettato me come nuovo presidente”.

Trump: “Ti faccio chiamare da Giuliani e farò in modo che lo faccia
anche il procuratore generale Barr e andremo a fondo sulla vicenda. Ho
sentito che il procuratore era stato trattato molto male. Dunque,
buona fortuna per tutto. Prevedo che la tua economia migliorerà sempre
di più. È un grande Paese. Ho molti amici ucraini, persone
incredibili”.

Hillary Clinton è stata tra i primi a reagire alla diffusione del
documento : “Il presidente degli Stati Uniti ha tradito il nostro
paese. Non è una dichiarazione politica, è una dura realtà e dobbiamo
agire. È un chiaro e attuale pericolo per le cose che ci tengono forti
e liberi. Sostengo l’impeachment», ha twittato l’ex candidata alla
Casa Bianca. La richiesta di processare Trump deve passare sia alla
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camera che al Senato: nella prima assemblea i democratici hanno la
maggioranza, nella seconda le parti si rovesciano.

“Nei giorni successivi” alla telefonata del 25 luglio fra Donald Trump
e il leader ucraino Volodymyt Zelensky alcuni “funzionari della Casa
Bianca sono intervenuti” per bloccare e mettere in sicurezza “le
informazioni relative alla chiamata, soprattutto la trascrizione
parola per parola. Queste azioni mettono a mio avviso in evidenza che
i funzionari della Casa Bianca avevano capito la gravità di quanto
emerso durante la conversazione”. E’ quanto emerge dalla denuncia
della talpa che ha svelato conversazione

Il problema dei social network : i
"deep fake" ed il video falso
postato da Donald Trump
ROMA – Uno spettro ha inseguito Hillary Clinton per tutta la campagna
elettorale del 2016: quello di Bengasi. La città libica che agli occhi
dei suoi detrattori     è diventata il simbolo di tutto il marcio
rappresentato dalla candidata, diffondendosi sotto forma di teoria
cospiratoria in grado di farsi meme. In realtà a distanza di anni
Bengasi è diventato un esempio di offuscamento politico perfetto: il
riferimento era agli attacchi contro soldati americani avvenuti tra
l’11 e il 12 settembre 2012, che costarono la vita a quattro
statunitensi, e per i quali vennero accusati Barack Obama all’epoca
Presidente degli Stati Uniti d’ America ed Hillary Clinton, suo
Segretario di Stato .

Infatti nessuna indagine trovò e portò alla luce qualsiasi tracce di
negligenza sul loro operato, ma la storia continuò a diffondersi,
sospesa tra il vero ed il falso.

Lo stesso genere di “fake news” su Benghazi è ritornata in una sua
applicazione e variabile più attuale, realizzata su misura dei social
network ed i loro algoritmi. Questa volta al centro della questione
c’è Nancy Pelosi, la speaker della Camera degli Stati Uniti , di
origini molisane, un’altra donna avversaria di Trump,       e tra le
persone    che   potrebbero     mettere    in  moto    la  macchina
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dell’impeachment contro il presidente Trump. Da qualche mese i media
si divertivano a notare quanto fosse facile per la Pelosi fare
deragliare Trump, spesso costringendolo a scivoloni pubblici (come
quella volta che gli fece affermare che lo shutdown del Governo
sarebbe stata un’idea sua e solo sua, come se fosse un vanto).

Le cose sono cambiate la scorsa settimana, quando ha cominciato a
circolare tra i circuiti della destra americana, un filmato che è
stato retwittato dal commander-in-chief in persona. E il video, pur
essendo palesemente falso, è rimasto ancora lì, online su Facebook e
Twitter, destinato a offuscare il nome di Nancy Pelosi nel suo futuro.

La versione originale del filmato mostra la speaker parlare al
microfono, mentre la versione proposta dall’amministrazione Trump, è
stata invece rallentata abbastanza al punto tale da da farla sembrare
un po’ ubriaca.

Un effetto video-digitale che era già venuto alla luce nell’esilarante
spot Apple di Jeff Goldblum, modificato per farlo sembrare sbronzo, ma
ecco che, nel 2019, fa tranquillamente capolino in un articolo sulla
politica estera, a dimostrazione della squallida evoluzione dei nostri
eventi.

Ormai non costituisce più notizia che un filmato contraffatto sia
stato messo online, chiaramente non siamo così ingenui, così come non
fa neanche notizia, purtroppo, che un presidente come Donald Trump
l’abbia subito fatta propria e “legittimata” (a voler essere cinici).
La vera novità e notizia è costituita dal comportamento social
network, che sull’onda degli svariati scandali che hanno interessato
Facebook e non soltanto, negli ultimi anni hanno avviato programmi
contro le fake news. A metà maggio proprio Facebook ha presentato un
report sulla trasparenza in cui ha confessato (senza vergognarsi dei
precedenti omessi controlli) di aver cancellato in sei mesi 1,3
miliardi di account falsi e di bot . “Questo è solo l’inizio”, ha
detto Guy Rosen, che si occupa di sicurezza per l’azienda: “Le persone
possono segnalare molti più tipi di contenuti”.

Quando l’ ex sindaco di New York Rudolph Giuliani ora avvocato di
Trump, ha scoperto il video-fakenews della Pelosi e lo ha ritwittato,
da quel momento il video è passato dal profilo “ufficiale” del
Presidente Trump a quello della Casa Bianca (che lo ha persino
ritwittato) e quindi migrato anche su Facebook, insieme alle
strumentali dichiarazioni di Donald Trump su “Crazy Nancy” e la
millantata (non reale) follia della speaker della Camera degli Stati
Uniti.
I problemi del premier Conte nelle trame dei servizi segreti fra Italia e Usa
Se dovessimo dare credibilità     ai responsabili della sicurezza di
Facebook, asterebbe segnalarlo e la clip sparirebbe dal social
network, ma allora ci si chiede: come mai quel video-fakenews è
ancora online, visto che YouTube ha cancellato e rimosso
immediatamente il contenuto? Facebook ha fatto quello che fa sempre in
questi casi: spendersi in una spiegazione piuttosto contorta. Monika
Bickert, che si occupa di counterterrorism per il social network,
ha spiegato alla Cnn che l’azienda, cioè Facebook “sa che il video è
falso” ma che lo ha lasciato online, anche se “abbiamo drasticamente
ridotto la circolazione di quel contenuto”. Incredibile se non
paradossale il motivo? “Pensiamo sia importante che le persone possano
decidere a che cosa credere”.

Difficile capire quante persone siano state danneggiate da quel video,
ma Facebook li ha ignorati e calpestati tutti: sia chi trova
inquietante quella millantata “riduzione” della diffusione del
contenuto, e quelli che invece hanno a cuore… la realtà. E la
correttezza dell’informazione.

Da mesi negli USA i repubblicani e la destra radicale americana
denunciano un’ipotetica campagna di “silenziamento” politico parte di
Facebook e Twitter, accusate di essere di sinistra. Una campagna è
arrivata fino al Senato, e che riguarda molto da vicino i “trumpiani“.
Se l’azienda agisse per cancellare quella che è palesemente una
vecchia bufala propagandistica aggiornata ai tempi nostri,
paradossalmente farebbe un assist alla Casa Bianca, dimostrando in
qualche modo le sue paranoie di censura. Ma forse questa è l’ultima
cosa di cui Facebook ha bisogno, di questi tempi.

Una cosa è certa. Ormai bisogna credere solo a quello che si vede con
i propri occhi. Di persona.

Adesso grazie al FOIA anche in
Italia sarà più facile fare
inchieste senza ostacoli
Per il mondo dell’informazione in Italia è un momento “storico”:50
anni dopo gli Stati Uniti d’ America e 250 anni dopo la Svezia anche
da noi entra in vigore il Freedom of Information Act cioè il FOIA .
E’ è un mezzo efficace potentissimo, per poter accedere ed
ottenere informazioni pubbliche. Quali? In teoria tutte. Il principio
a fondamento del FOIA è che tutte le informazioni e gli atti della
pubblica amministrazione debbano essere pubblici e consultabili da
chiunque a meno che non vi siano gravi motivi per opporre un segreto.

il ministro Madia e Cantone

Secondo il presidente dell’ANAC      cioè l’ Autorita anticorruzione
Raffaele Cantone che il 28 dicembre pubblicherà le linee guida si
tratta di “una vera riforma epocale” . Inutile cercare di negare
l’evidenza o arrampicarsi sugli specchi, è senza dubbio una riforma
culturale e burocratica che non sarà possibile ignorare,            in
quanto adesso gli uffici pubblici hanno l’obbligo di rispondere e
collaborare alle richieste di tutti , e quindi non più soltanto dei
soggetti interessati da un provvedimento. I burocrati, gli esperti del
diniego non sono attrezzati per farlo. E sopratutto questa volta
rischiano grosso: l’incriminazione.

In Italia, dopo anni di campagne della società civile e di richieste
degli esperti, nell’ambito della legge (n. 124/2015) di riforma Madia
della pubblica amministrazione il Parlamento ha delegato il Governo
ad adottare un decreto che superasse la vecchia disciplina italiana
sull’accesso agli atti amministrativi risalente alla legge n. 241 del
1990 che nonostante i buoni propositi di fatto limitava e non poco la
possibilità di consultare e avere copia dei documenti solo a coloro
che potessero vantare in ordine a quei documenti un interesse
personale, concreto, diretto e giuridicamente rilevante in relazione a
quei documenti.

Una norma sulla trasparenza assai poco evoluta che non solo ci valeva
gli ultimi posti nei rating internazionali in materia, ma che – di
fatto – impediva espressamente ogni forma di controllo civico
generalizzato sull’operato delle pubbliche amministrazioni . Con
tutte le conseguenti ritardi nella lotta alla corruzione e nel
recupero di efficienza e legalità degli uffici pubblici.

Il Governo ha adottato il decreto legislativo n. 97 del 25 maggio 2016
che in attuazione di questa delega, ha modificato il decreto 33/2013
in materia di trasparenza ed ha introdotto un nuovo strumento
attraverso il diritto di accesso generalizzato, esercitabile da
chiunque questa volta senza alcun bisogno di detenere un interesse
qualificato su tutti i dati e i documenti presenti negli archivi delle
pubbliche amministrazioni, fatto salvo un certo numero di
eccezioni. Per consentire alle amministrazioni di adeguare i propri
archivi e le proprie procedure, il legislatore ha previsto un termine
di sei mesi per rendere davvero esercitabile questo diritto. Ed il
termine è scaduto il 23 di dicembre alla vigilia delle feste
natalizie.
Vediamo perché e cosa cambia. Negli Stati Uniti in questi anni sono
state realizzate alcune delle più importanti inchieste
giornalistiche proprio grazie al FOIA . Una di queste è diventata un
film, “Spotlight“, che ha vinto l’Oscar nel 2015 svelando gli abusi
sessuali di molti preti di Boston,. Così come il recente caso delle
email del segretario di stato americano uscente Hillary Clinton, che è
stata fortemente penalizzata nella sua la corsa allo studio ovale
della Casa Bianca. Tutto è venuto alla luce, infatti, proprio grazie
al FOIA redatto da un giornalista che ha ottenuto il diritto di
consultare tutte le email che la Clinton aveva mandato e ricevuto
quando era segretario di Stato usando persino un server privato. Ed è
stato proprio grazie al FOIA americano che si è potuto aggiungere
qualche tassello importante per capire cosa accadde nel caso di Ustica
 nei cieli italiani il 27 giugno 1980 .
Adesso anche l’ Italia ha il suo FOIA. E dobbiamo riconoscere che è
stato fortemente voluto e sostenuto dall’ex presidente del consiglio
Matteo Renzi; e dal ministro Marianna Madia, che ha fatto uno
splendido lavoro dialogando senza mai arrendersi con la società civile
, e lo ha strutturato in maniera tale da ridurre al minimo sia le
eccezioni ma anche i i limiti. Quello italiano è sicuramente un buon
FOIA, come ci è stato riconosciuto a Parigi due settimane fa alla
riunione mondiale dell’Open Government Partnership . Adesso che anche
in Italia abbiamo un buon FOIA dobbiamo usarlo ed il CORRIERE DEL
GIORNO sarà in prima fila ad utilizzarlo senza fare sconti a nessuno .
La democrazia funziona meglio con un Governo aperto e trasparente che
così facendo si guadagna ogni giorno la fiducia dei cittadini. E noi
giornalisti, dei nostri lettori.

Ma cittadini, imprese e giornalisti sono pronti per sfruttare le
potenzialità di questo nuovo strumento di trasparenza? Se l’è chiesto
l’ Agenzia Italia che ha realizzato questa guida sintetica, che vi
consigliamo di leggere per orientarvi meglio.

Cos’è il Foia e quando si potrà applicare?

Il Freedom of Information Act rappresenta un nuovo diritto di accesso
che si aggiunge a quelli preesistenti (non solo quello di accesso
procedimentale previsto dalla Legge n. 241 del 1990 o      quello in
materia ambientale previsto del decreto legislativo n. 195 del 2005,
ma anche quello c.d. “civico” previsto dalla versione originaria del
decreto n. 33 del 2013 in relazione ai dati, documenti e informazioni
che le amministrazioni non avessero pubblicato nella sezione
“Amministrazione trasparente” del proprio sito web, pur avendone
l’obbligo).

La nuova tipologia di accesso – che, per distinguerla dalle
precedenti, viene chiamata “accesso generalizzato” – è contenuta
all’interno del nuovo art. 5, comma 2 del decreto trasparenza
(33/2013), così come modificato dalla riforma della pubblica
amministrazione.

La norma prevede che “chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai
documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto
a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel
rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e
privati giuridicamente rilevanti”.

Per la prima volta, nel nostro ordinamento giuridico viene introdotto
un diritto di accesso che non è condizionato dalla titolarità di
situazioni giuridicamente rilevanti ed ha ad oggetto tutti i dati e i
documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto
a quelli per i quali è già stabilito un obbligo di pubblicazione sui
siti web delle amministrazioni (es. redditi degli amministratori,
contratti pubblici, organigramma e dati sul personale, ecc., liste
d’attesa).

Il nuovo diritto di accesso generalizzato può essere esercitato da
“chiunque”, vale a dire: persone fisiche (indipendentemente dalla loro
cittadinanza),   persone   giuridiche,    associazioni    anche   non
riconosciute.

Altrettanto ampia è la sfera dei soggetti ai quali è possibile
richiedere i dati e i documenti: pubbliche amministrazioni in senso
stretto (Ministeri, Comuni, Provincie, Regioni, Scuole, Università,
Camere di commercio e, naturalmente, le aziende ed enti del servizio
sanitario     nazionale),     autorità    portuali    ed   autorità
amministrative indipendenti, enti pubblici economici, ordini
professionali, società in controllo pubblico ed altri enti di diritto
privato assimilati.

Sotto il profilo dell’ambito oggettivo, l’accesso generalizzato è
esercitabile relativamente “ai dati e ai documenti detenuti dalle
pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di
pubblicazione”, ossia per i quali non sussista uno specifico obbligo
di pubblicazione.

Di fatto, quindi, il nuovo diritto potrà essere esercitato nei
confronti dell’intero contenuto degli archivi di ciascuna pubblica
amministrazione (fatte salve, naturalmente, le eccezioni previste).

Come può essere esercitato il diritto di accesso
generalizzato?

L’istanza di accesso generalizzato va indirizzata direttamente
all’ufficio che detiene i documenti, oppure all’Ufficio relazioni con
il pubblico, oppure ancora ad altro ufficio indicato
dall’amministrazione nella sezione “Amministrazione trasparente” del
sito web istituzionale. Sempre sul sito web, molte amministrazioni
hanno già reso disponibile il modello di richiesta che potrà essere
portata agli uffici, inoltrata via posta tradizionale oppure
telematicamente (es. via mail o PEC).

All’interno della richiesta andranno identificati i dati, le
informazioni o i documenti che si desidera richiedere.

Ciò vuol dire che eventuali richieste di accesso generalizzato saranno
ritenute inammissibili laddove l’oggetto della richiesta sia troppo
vago da non permettere di identificare la documentazione richiesta.
Resta comunque ferma la possibilità per l’ente destinatario
dell’istanza, in virtù di un principio di collaborazione, di chiedere
di precisare la richiesta di accesso civico identificando i dati, le
informazioni o i documenti che si desidera richiedere.

Il rilascio di dati o documenti in formato elettronico o cartaceo è
gratuito, salvo il rimborso del costo effettivamente sostenuto (e
documentato) dall’amministrazione per la riproduzione su supporti
materiali.

Naturalmente, nel caso in cui l’istanza di accesso civico possa
incidere su interessi di soggetti controinteressati legati alla
protezione dei dati personali (è probabile che accada, ad esempio, in
ambito sanitario), o alla libertà e segretezza della corrispondenza
(basti pensare alle comunicazioni dei dipendenti pubblici) oppure agli
interessi economici e commerciali (ad esempio, in relazione alle
procedure di affidamento e ai rapporti con i fornitori) è necessario
che l’ente destinatario dell’istanza di accesso civico ne dia
comunicazione agli stessi. In tal modo, il soggetto controinteressato
potrà presentare una eventuale e motivata opposizione all’istanza di
accesso civico entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione
della richiesta di accesso civico. Decorso tale termine,
l’amministrazione provvederà sulla richiesta di accesso civico,
accertata la ricezione della comunicazione da parte del
controinteressato.

Il procedimento di accesso civico dovrà concludersi con provvedimento
espresso e motivato nel termine di trenta giorni dalla presentazione
dell’istanza con la comunicazione del relativo esito al richiedente e
agli eventuali controinteressati. Tali termini sono sospesi nel caso
di comunicazione dell’istanza al controinteressato durante il tempo
stabilito dalla norma per consentire allo stesso di presentare
eventuale opposizione (10 giorni dalla ricezione della comunicazione).

In caso di accoglimento, l’amministrazione provvederà direttamente a
trasmettere tempestivamente al richiedente i dati o i documenti
richiesti, senza bisogno – quindi – di convocare il richiedente presso
l’ufficio per fargli consultare “le carte”.

Laddove vi sarà, invece, l’accoglimento della richiesta di accesso
civico    nonostante     l’opposizione     del   controinteressato,
l’amministrazione sarà tenuta a darne comunicazione a quest’ultimo. I
dati o i documenti richiesti potranno essere trasmessi al richiedente
non prima di quindici giorni dalla ricezione della stessa
comunicazione da parte del controinteressato, ciò anche al fine di
consentire a quest’ultimo di presentare opposizione.

La disciplina in materia prevede che in caso di diniego totale o
parziale dell’accesso o di mancata risposta entro il termine di trenta
giorni, il richiedente – prima di rivolgersi al Tribunale
Amministrativo Regionale competente per territorio – possa:

a) presentare richiesta di riesame al responsabile della prevenzione
della corruzione e della trasparenza (figura presente in tutte le
pubbliche amministrazioni), che decide con provvedimento motivato,
entro il termine di venti giorni.

b) in alternativa, laddove si tratti delle regioni o degli enti
locali, il richiedente può presentare ricorso al difensore civico
competente per ambito territoriale (qualora tale organo non sia stato
istituito, la competenza è attribuita al difensore civico competente
per l’ambito territoriale immediatamente superiore).
Quali sono le eccezioni?

Come già accennato, la regola della generale accessibilità è
bilanciata dalla previsione di eccezioni poste a tutela di interessi
pubblici e privati che possono subire un pregiudizio dalla diffusione
generalizzata di talune informazioni.

In particolare, l’accesso generalizzato è escluso nei casi in cui una
norma di legge sottrae alcune informazione e documenti alla
conoscibilità del pubblico (come nel caso di segreto di Stato).

Al di fuori dei casi sopra indicati, possono ricorrere, invece, limiti
(eccezioni relative o qualificate) posti a tutela di interessi
pubblici e privati che vengono tassativamente elencati:
la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico;
    la sicurezza nazionale;
    la difesa e le questioni militari;
    le relazioni internazionali;
    la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato;
    la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento;
    il regolare svolgimento di attività ispettive;
    la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina
    legislativa in materia;
    la libertà e la segretezza della corrispondenza;
    gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o
    giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto
    d’autore e i segreti commerciali.

Il contenuto delle eccezioni viene meglio dettagliato in un
provvedimento dell’Autorità Nazionale Anticorruzione adottato d’intesa
con il Garante Privacy, in ordine ai dati personali; la versione
definitiva di questo documento non è stata ancora pubblicata da Anac
ma – per farsi un’idea di quali sono i documenti e dati sottratti
all’accesso – è possibile leggere la bozza di linee guida che è stata
sottoposta a consultazione nelle scorse settimane.

Naturalmente, trattandosi di un diritto così innovativo per
l’amministrazione italiana, è possibile che sia necessario un periodo
di “rodaggio” (e qualche sentenza dei giudici) per comprendere bene
quali siano i confini di questo nuovo diritto. Per questo motivo, sono
già in cantiere iniziative di monitoraggio per verificare il reale
impatto della nuova normativa e capire se ha bisogno di modifiche e
interventi correttivi.
Grazie al FOIA andremo a potenziare una nostra rubrica, ben nota ai
nostri lettori “Le inchieste del Corriere” per realizzare ancora
meglio le nostre inchieste giornalistiche usando lo strumento che da
oggi finalmente abbiamo anche noi in Italia. Avere la possibilità di
chiedere degli atti e documenti e poter fare delle indagini partendo
dai documenti e non dai mormorii o spifferi di corridoio, o
segnalazioni anonime.

Le nostre inchieste non saranno solo investigative ma anche
collaborative e cioè vogliamo mettere a disposizione di chi voglia
fare una inchiesta giornalistica la nostra collaborazione e
partecipazione. Sempre dalla parte dei lettori e dei cittadini onesti,
che potranno d’ora in poi suggerirci gli argomenti, segnalarci delle
vicende di interesse pubblico avendo la certezza che grazie al FOIA
adesso possiamo realizzarle senza barriere ed ostacoli (e quanti ne
abbiamo trovati…)

Non siamo i primi in Italia a voler fare inchieste di questo tipo. ma
sicuramente lo siamo stati in Puglia portando un giornalismo
d’inchiesta pressochè sconosciuto. Il punto di svolta è che da oggi
tutto sarà più facile. Da oggi cari lettori abbiamo tutto il il
diritto di sapere e non vogliamo e dobbiamo più fermarci dinnanzi alle
barricate della burocrazia. E se qualcuno ci proverà, questa volta
troverà pane per i suoi denti.
Facebook dichiara “guerra” alle
bufale. Finalmente !

                                           di Paolo Campanelli

In un lungo post pubblicato da Mark Zuckerberg fondatore del social
network più grande del mondo sul suo profilo, Facebook dichiara guerra
alle “bufale” e si appresta a lanciare un nuovo servizio che consente
agli utenti di segnalare le notizie false. “Abbiamo la responsabilità
di assicurarci che Facebook abbia il miglior impatto possibile sul
mondo, questo aggiornamento è solo uno di tanti passi avanti”, dice
Zuckerberg, “Facebook è un genere di piattaforma diversa da qualunque
cosa l’abbia preceduta. Ritengo Facebook una compagnia tecnologica ma
riconosco che abbiamo una responsabilità maggiore della semplice
fornitura della tecnologia attraverso la quale scorre
l’informazione” ed aggiunge “sebbene non scriviamo le notizie che
leggete e condividete, riconosciamo che siamo qualcosa di più di un
semplice distributore di notizie“.

“Siamo una specie di nuova piattaforma – ha aggiunto Zuckerberg – per
il discorso pubblico e ciò significa che abbiamo un nuovo genere di
responsabilità nel rendere le persone in grado di avere le
conversazioni più significative possibili e di costruire uno spazio
dove la gente possa essere informata“, che ha poi descritto il
funzionamento del servizio, che era già spiegato poco prima dal suo
vice Adam Mosseri.

Sarà inserito un pulsante che consentirà agli utenti di segnalare una
notizia falsa, come si era già visto in alcuni esperimenti che hanno
preceduto il lancio . Le segnalazioni verranno poi elaborate da
organizzazioni dedicate al fact-checking in linea con l’International
Fact Checking Code of Principle stilato dal Poynter Institute. Se
queste riterranno falsa una notizia, il post sarà segnalato come
controverso e accompagnato da un articolo che spiega il perché. Va
senza dire che il tutto funzionerà prima e meglio in lingua inglese,
mentre con ogni probabilità    il meccanismo per avere un impatto
significativo sulla diffusione di notizie false, sarà disponibile in
altre lingue, come l’italiano.

A fine novembre Zuckerberg aveva spiegato che la compagnia era al
lavoro per eliminare le news false, anche migliorando la capacità
dell’algoritmo di individuarle e di farle segnalare agli utenti. In
futuro non esclude di usare anche l’intelligenza artificiale, ma qui è
evidente che il ruolo principale nella segnalazione è riservato alla
comunità degli utenti, come già accade per altri tipi di contenuti sul
social network.

«Useremo anche il pugno duro nei confronti di quelli che si travestono
da testate giornalistiche molto conosciute», aggiunge Zuckerberg. Come
è noto a chiunque abbia un profilo Facebook, molte pagine contenenti
bufale adottano nomi simili a quelli di giornali famosi, e la satira è
spesso solo un pretesto per diffondere disinformazione e attirare clic
cavalcando i temi più discussi e attuali. Un’altra strategia molto
diffusa consiste nell’usare titoli a effetto: «Abbiamo scoperto che se
la gente che legge un articolo lo condivide meno di quelli che leggono
solo il titolo, questo può essere un segno che il titolo è
fuorviante». La soluzione? Assegnare un punteggio basso alla notizia e
renderla automaticamente meno visibile nel News Feed.

Nelle settimane scorse, Facebook era stato accusato di non aver fatto
abbastanza per combattere le notizie false che, secondo i sostenitori
di Hillary Clinton, avrebbero favorito la vittoria di Donald Trump
alle presidenziali Usa. Zuckerberg aveva replicato che le bufale non
solo non avevano influenzato il voto ma erano state diffuse da
entrambi gli schieramenti. Così la campagna elettorale americana è
stata l’inizio di una profonda riflessione: «Non siamo una news
company», si era schermito Zuckerberg nei giorni passati. Ma il post
di oggi è un punto di svolta, il riconoscimento da parte del suo
fondatore del ruolo colossale che ha nel dibattito pubblico globale
uno strumento come Facebook.
Hillary Clinton: “Siamo delusi, ma
lotteremo insieme per un’America
più giusta”.

                                     Il mattino dopo la sonora
sconfitta elettorale Hillary Clinton questo pomeriggio presentandosi
davanti al suo staff a New York ha commentato il risultato : “Siamo
delusi perché non è quello che volevamo. Ieri ho sentito Trump e gli
ho offerto la mia collaborazione. Facciamo quelle che possiamo per
portare avanti i valori che abbiamo a cuore, salvare il pianeta e
abbattere gli ostacoli che dividono gli americani dai loro sogni” ha
aggiunto spiegando che “la nostra responsabilità come cittadini è
quella di continuare a fare il nostro lavoro per un’America più
giusta”.

Rivolgendosi alle donne la Clinton ha aggiunto : “Nulla mi ha reso più
orgogliosa che essere la vostra sostenitrice. Ancora non abbiamo rotto
quel tetto di cristallo, ma prima o poi qualcuno lo farà“.

                                   Alle bambine “Non dubitate mai del
vostro valore e di poter realizzare i vostri sogni” concludendo “Ogni
giorno ringrazio per le benedizioni che ho ricevuto e per essere
americana. Sono certa che i nostri giorni migliori devono ancora
venire”. E concludendo: “Dobbiamo accettare il risultato” della
vittoria di Donald Trump che ora “è il nostro presidente”.

Prima di Hillary aveva parlato Tim Kaine il suo candidato alla
vicepresidenza : “Hillary è sempre stata leale, nessuno aveva dubbi
che avrebbe accettato il risultato. Conosce bene questo Paese. Ha già
saputo rialzarsi e ha sempre combattuto. Non possono abbatterci perché
noi sappiamo che il lavoro fatto rimane, sappiamo che i sogni di dare
potere alle famiglie e ai bambini rimane e ci darà conforto anche nei
momenti difficili”.

Donald Trump è il 45° presidente
Usa. L’America lo ha scelto ed
eletto
Dopo Barack Obama sarà Donald Trump il 45esimo presidente degli Stati
Uniti, il nuovo “inquilino” chiamato a sedersi nello studio ovale
della Casa Bianca, a capo della superpotenza americana. Hillary
Clinton alle due del mattino, quando nella suite dell’Hotel Peninsula
di Manhattan,      dove aspettava i risultati delle elezioni
presidenziali, ha capito la realtà. La prima donna alla Casa Bianca
non sarà lei. Ha telefonato all’avversario e non ha parlato ai suoi
sostenitori, lo farà più tardi (nelle ore del pomeriggio in Italia).
“Andate a casa, non avremo niente da dire stasera” ha detto a suo
posto John Podesta, il manager della sua campagna aggiungendo “Questa
è stata una lunga notte, dopo una lunga campagna. Quindi possiamo
aspettare ancora un po’, per garantire che tutti i voti vengano
contati. Siamo orgogliosi della strada che abbiamo percorso insieme, e
siamo orgogliosi di voi. Abbiamo fatto insieme un grande lavoro, e
ancora non lo abbiamo finito” .

Che i repubblicani dovessero conquistare la Casa Bianca, dopo otto
anni di governo democratico, era plausibile. E, in fondo, anche sano e
fisiologico. Che dovessero conquistarla con un candidato così poco
rappresentativo della loro storia e dei loro valori, questo è il lato
implausibile della faccenda. Il consenso di Donald Trump è stato
ottenuto soprattutto negli stati industriali, e la sua vittoria va
riconosciuta come fortemente radicata in questo scontento del mondo
del lavoro, del declino della classe media americana.

Non è irrilevante affermare con chiarezza queste cose in queste prime
ore della vittoria di Donald Trump. L’evento accaduto questa notte è
di proporzioni storiche. Il successo del Tycoon costituisce
l’esplosione del sistema dei partiti americani – quello democratico
che ha perso voti della sua tradizionale base sociale, e quello
repubblicano che sulla base del calcolo di interessi della sua
tradizionale base ha preso le distanze da Trump. Ed è significativo
che il nuovo presidente arrivi a Washington, nello studio ovale della
Casa Bianca, sostenuto da un voto che mette al centro proprio quel
mondo del lavoro che in questi anni è stato sottovalutato dai partiti
tradizionali , accantonato, se non incredibilmente abbandonato.

Se si guarda alla mappa elettorale americana, fa notare in queste ore
il celebre sito di analisi politica Fivethirtyeight, fondato da Nate
Silver, la lista degli stati dove Donald Trump ha vinto è
perfettamente sovrapponibile con quella identificata da David Autor
l’economista del Mit come la mappa degli stati dove maggiore è stato
l’impatto delle importazioni cinesi – impatto stimato nella perdita di
2 milioni di lavoro tra il 1999 e il 2011.

“Io non sono un politico. I politici parlano ma non agiscono. Io sono
il contrario” disse all’inizio della corsa presidenziale. Mai come
questa volta si può parlare di un “self made president”. Si è fatto da
sé come imprenditore di successo – dai borough del Queens alla Trump
Tower della Manhattan più glamour – tanto ricco quanto discusso. Si è
conquistato da solo la presidenza degli Stati Uniti, spazzando via
tutto e tutti: non aveva al suo fianco l’establishment del Partito
Repubblicano, mai così freddo con un suo candidato, tentato
addirittura di abbandonarlo nel corso della campagna.

Non ha mai avuto al suo fianco la stampa, ostile al punto di
demonizzarlo tanto in patria quanto all’estero. Non ha avuto il
sostegno delle cancellerie estere e degli operatori finanziari
internazionali, che salvo rare eccezioni hanno sostenuto la corsa di
Hillary Clinton. Ha fatto a meno della spinta dei vip americani,
attivissimi negli endorsement a favore dell’ex first lady per tutta la
durata della campagna elettorale e fino all’ultimo giorno. Non ha
potuto contare sul presidente uscente Barack Obama e anche questa si è
rivelata un’arma a suo favore, perché ormai gli Usa hanno voltato le
spalle all’esperienza democratica.

La vittoria di Trump fa letteralmente saltare il banco. Ha smentito le
previsioni dei sondaggisti, che lo hanno visto sempre indietro, pur
registrando una rimonta nelle ultime settimane, a dimostrazione ancora
una volta dell’incapacità dei sondaggi di leggere fino in fondo gli
umori della gente, negli Stati Uniti come altrove in passato. Ha
cancellato mesi di campagna attiva della stampa americana e
internazionale, mai così schierata in una corsa presidenziale e mai
così compatta a sostegno di Hillary Clinton: solo 2 testate
statunitense si sono schierate con il candidato repubblicano, contro
57 esplicitamente al fianco della candidata democratica, il numero di
endorsement più basso per un candidato nella storia americana. Anche
per la stampa sorge un interrogativo quasi esistenziale sulla capacità
di analisi del sentiment popolare, sulla lettura del malcontento delle
aree rurali, delle zone industriali, della working class sempre più
impoverita e ansiosa di cambiamento.

Il trionfo di The Donald è una sconfitta cocente per Hillary Clinton,
che si è rivelata un candidato debole e poco amato. Si dice negli Usa
che per vincere un candidato deve essere empatico, deve risultare
simpatico e vicino alla gente: questo non è mai riuscito a Hillary, ma
non è solo questo. Hillary è stata considerata come il vecchio, la
continuità, l’establishment, è stata considerata Clinton III,
esponente della Dynasty che ha già eletto due volte il marito Bill. La
sua sconfitta è anche e soprattutto il fallimento politico di Barack
Obama e della sua avventura politica nata sotto il segno del “change”.
Un cambiamento che diede la vittoria all’outsider del 2008, ma che
l’America profonda (e non solo) non ha visto nelle proprie tasche e
non immagina nel proprio futuro.

IL PRIMO DISCORSO

                                           Già nel suo primo discorso
di ringraziamento, Trump ha usato i toni più morbidi della
conciliazione nazionale. Una sola sicurezza esiste però fin da ora. La
fuoriuscita del consenso dai partiti tradizionali è un fenomeno già in
corso nei vari paesi europei, compreso l’Italia, ma il voto americano
vi inserisce un segno in più: la vittoria di Donald Trump è la prima
affermazione di un movimento antisistema americano che porta un suo
leader al vertice. È un voto che istituzionalizza nel punto più alto
del sistema il rifiuto del sistema stesso.

“Per repubblicani e democratici è arrivato il tempo dell’unione – ha
detto Trump nel suo primo discorso dopo i risultati – La nostra non è
stata una campagna elettorale, ma un grande movimento“. Emozionato, è
salito con la famiglia al completo sul palco , accanto a lui sua
moglie Melania, la nuova “First Lady” vestita di bianco, e tutti i
figli. Come colonna sonora è stata scelta la musica di Independence
Day. “Prometto che sarò il presidente di tutti gli americani. Ve lo
prometto: i dimenticati di questo Paese, da oggi non lo saranno più“.
“Ho appena ricevuto una telefonata da Hillary Clinton, vorrei farle
le mie congratulazioni, ha combattuto con tutta se stessa. Ha lavorato
sodo e le dobbiamo una grande gratitudine” ha detto Trump. Il
vincitore delle elezioni presidenziali ha poi teso la mano ai
democratici (“è il momento di unirci e superare le divisioni”)
assicurando di voler “buoni rapporti con l’estero” e che “saremo
giusti con tutti i popoli e le nazioni”. Infine un passaggio
sull’economia: “Raddoppieremo la crescita e saremo l’economia più
forte al mondo“.

                                           Parla di un America da
curare, di infrastrutture da ricostruire, della creazione di migliaia
di posti di lavoro, di veterani di cui occuparsi. “Abbiamo un piano
economico incredibile: raddoppieremo la crescita e creeremo più forte
economia del mondo. Non c’è nessun sogno troppo grande, nessuna sfida
troppo grande che possa mettere in pericolo il nostro futuro. Dobbiamo
riprenderci il destino del nostro Paese. Dobbiamo avere sogni di
successo“. Sulla politica estera dice semplicemente “andremo d’accordo
con tutti, cercheremo il dialogo”.
Raffica di ringraziamenti
anche per Rudolph Giuliani (ex sindaco di New York) ed altri
componenti della sua campagna elettorale.Poi quelli per i servizi
segreti, di sicurezza, le forze di polizia, insomma le parti della
“difesa” e delle forze armate americane. “Inizieremo subito a lavorare
per il popolo americano. Il mio lavoro vi renderà fieri di me ancora.
Adoro questo Paese, grazie a tutti!” . Poi ringrazia i suoi genitori
“due bravissime persone”, le sorelle, i fratelli, la moglie Melania,
il figlio, Ivanka e tutti gli altri componenti accanto a lui . “I love
you” ha concluso.

E stata una lunga difficile notte per i democratici americani. Dopo
poche macchie blu apparse sui contorni della mappa americana,
sin dalle prime ore dello spoglio elettorale, si è colorato tutto di
rosso repubblicano. Un pezzo dopo l’altro. Stato dopo Stato. L’Empire
State Building come un enorme schermo proiettava numeri che da
incredibili diventavano velocemente indiscutibili. Le persone per le
strade, dietro le transenne, davanti alle tv nelle case, incredule con
gli occhi sbarrati sui monitor dei propri smartphone. Blu, rosso, i
volti di Hillary Clinton e Donald Trump nelle spillette delle persone
che assistevano allo spoglio in diretta del loro futuro.

“È una notte meravigliosa. È una notte fantastica per l’America – ha
detto Curtis Ellis, alto consigliere di Trump quando già era chiara la
vittoria – È una notte grandiosa per tutta la gente del mondo“, e le
persone iniziavano a defluire dalle piazze. Dopo aver assistito a
un’estenuante campagna elettorale piena di veleni, polemiche e colpi
bassi, circa 220 milioni di aventi diritto sono stati chiamati prima a
scegliere, poi aspettare il nome del 45esimo presidente degli Stati
Uniti.
L’ONDA POPULISTA

Ora si discuterà di quanto era debole Hillary Clinton come candidata,
degli errori commessi durante la campagna elettorale, dell’impatto
della lettera con cui il direttore dell’Fbi Comey aveva annunciato di
aver riaperto l’inchiesta sulle mail private usate quando lei era
segretario di Stato. Tutto vero, ma la vittoria di Trump è stata
determinata da un vento più grande degli stessi Stati Uniti, che aveva
cominciato a soffiare con la Brexit in Gran Bretagna, e ora ha
raggiunto anche le coste degli Usa. Una rivoluzione populista, magari
venata anche di pulsioni razziste, che però con l’ingresso di Donald
Trump alla Casa Bianca diventa il fenomeno politico dominante
dell’Occidente.

Hillary Clinton ha vinto nel Vermont, Delaware, Illinois, Maryland,
Massachusetts, New Jersey, Rhode Island, District of Columbia, New
Mexico, ma fino allo Stato di New York, ha raccolto soltanto briciole.
Anche i sostenitori con il passare delle ore diventavano sempre più
cauti. “Comunque vada l’America resta una grande nazione. Domani
mattina sorgerà lo stesso il sole “ha detto Barack Obama. La stessa
Hillary ha twittato in anticipo un “qualsiasi cosa accada, grazie lo
stesso“. Poi sono arrivati i consensi della Virginia, California,
Oregon, Hawaii e Colorado. Ma non è bastato. Il Nevada o il Maine non
hanno fatto differenza e determinato alcunchè.
Il consenso per Donal Trump è diventato un’onda rossa. Si è
aggiudicato Oklahoma, Mississippi e Tennessee, Alabama e South
Carolina. Poco dopo Arkansas, Nebraska, South e North Dakota, Wyoming
e Texas. Il New York Times      a metà notte, per la prima volta ha
cambiato le proiezioni dandolo per vincente al 58 per cento.
Donald Trump è sempre stato avanti nella corsa
per la Casa Bianca mentre erano restati Michigan, New Hampshire e
Wisconsin a restare in bilico, ma fino ad aggiudicarsi i 279 grandi
elettori (i delegati che il 19 dicembre eleggeranno formalmente il
nuovo presidente americano), ben 9 in più dei necessari a conquistare
la presidenze, lasciandosi dietro Hillary a contare i suoi 218.

Un giornalista inviato del quotidiano francese Liberation, presente
nel cuore di una città tradizionalmente democratica, ha catturato le
parole di una ragazza, mentre parlava al telefono con la sorella: “È
una follia” il suo commento. Ed il cronista francese continua: “La
folla è muta non osa parlare” . Times square, New York, era avvolta
nel silenzio.

Trump ha trionfato nelle aree del Paese a forte presenza di elettori
bianchi, facendo molto meglio di Mitt Romney quando quattro anni fa
venne sconfitto da Barack Obama. Hillary Clinton non è riuscita ad
attirare i voti delle minoranze, cioè di quella parte dell’elettorato
che furono la chiave dei successi del presidente uscente, ha scritto
il Washington Post.
I   repubblicani     hanno
confermato il controllo della House of Representative, secondo
quanto previsto, anche se la maggioranza si è ridotta. Il Grand Old
Party avrebbe 235 seggi contro i 247 delle precedenti elezioni del
2014; i democratici che ne avevano 185 sarebbero saliti a quota 200. I
repubblicani hanno strappato ai democratici la Camera sin dal 2010.
Ancora in bilico il Senato, dove sono in ballo 35 seggi su 100.

MERCATI A PICCO

I mercati hanno reagito alla vittoria di Trump con un crollo
generalizzato, soprattutto perché lui rappresenta un’incognita. Il suo
programma economico infatti è rimasto vago, forse di proposito, a
parte la determinazione di tagliare tasse e regole. Sul piano
internazionale, poi, il tycoon ha messo in dubbio il futuro della Nato
e ha previsto che l’Unione Europea continuerà a disintegrarsi, dopo
l’uscita della Gran Bretagna. Tutto questo preoccupa la comunità
internazionale, ma lo ha reso ancora più popolare fra i suoi
sostenitori, stanchi come lui di vedere che “gli Stati Uniti non
vincono più“, e pagano per la difesa e gli interessi di tutti gli
altri.

Il trionfo temuto di Donald Trump è stata una zampata sull’economia
mondiale. Il pesos messicano , cioè la moneta del Paese, costante
obiettivo degli attacchi di Trump, dalle accuse ai migranti bollati
come criminali e al progetto di costruire un muro lungo il confine) ha
perso il 5%. La Borsa di Tokyo, innervosita dall’andamento del voto,
ha visto l’indice Nikkey, a metà seduta, cedere il 2,2% a quota
16.788,90. Il Giappone e i mercati asiatici temono molto la vittoria
di Trump che tra i suoi obiettivi ha l’abolizione del trattato di
libero scambio Ttp (Trans Pacific Partenership) firmato nel 2015 tra
gli Usa e 12 Stati del pacifico. Tristezza e anche qualche lacrima tra
i supporter di Hillary Clinton al quartier generale democratico a New
York.
LA RIVOLUZIONE DEL LINGUAGGIO

L’ultima chiave della vittoria di Trump è stata certamente nel
linguaggio, diretto e anche offensivo. La sfida alla “correttezza
politica“, che per i suoi sostenitori è solo ipocrisia, usata per
mascherare le politiche che li danneggiano. Gli hanno perdonato tutto,
incluse le registrazioni in cui diceva di poter prendere le donne come
voleva, confermando che se fosse sceso nella Fifth Avenue e avesse
sparato a qualcuno, non avrebbe persone neppure un voto. Ieri sera
infatti tutti quei voti gli hanno consegnato la Casa Bianca,
incoronandolo come “leader” di una rivoluzione piena di incognite per
alcuni, e speranze di riscatto per altri.

“Un onore, una serata eccezionale, un periodo eccezionale”. Così
Donald Trump ha concluso il suo discorso dopo la vittoria nelle
elezioni presidenziali Usa. Il magnate newyorkese ha poi voluto
ringraziare tutti, citando Mike Pence, che era il candidato
repubblicano alla vicepresidenza. Al termine dell’intervento i
sostenitori hanno intonato “Usa, Usa”. Trump ha poi baciato tutta la
famiglia e i suoi accanto a lui. Ecco le immagini trasmesse in diretta
da SkyTg24.

Il nuovo presidente americano ha festeggiato a New York. Per la prima
volta in oltre 70 anni, la metropoli americana ha ospitato per
l'”Election Day” il candidato repubblicano e quello democratico dopo
una battaglia elettorale e sui media durata quasi due anni. Alla Casa
Bianca va Donald Trump ed una cosa è certa: il nuovo presidente non
deve ringraziare nessuno. Con il Congresso americano       in mano al
Partito Pepubblicano avrà mano libera per influire profondamente sugli
Stati Uniti d’America, anche se si troverà di fronte un Paese lacerato
e in una profonda crisi sociale che, se non saprà ricucire, rischia di
diventare dirompente. L’8 novembre 2016 è quindi definitivamente una
data che può stravolgere la storia.

Gli Stati Uniti hanno avuto un presidente nero, e prima o poi avranno
anche un presidente donna. Non sarà Hillary Clinton, però. Quella che
sembrava la predestinata, ma passerà invece alla storia solo per la
più bruciante sconfitta politica degli Stati Uniti.
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