I problemi del premier Conte nelle trame dei servizi segreti fra Italia e Usa
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I problemi del premier Conte nelle trame dei servizi segreti fra Italia e Usa ROMA – Questa volta non è Matteo Salvini a far stare il premier Giuseppe Conte sotto pressione, ma bensì un vero e proprio “sistema” di poteri forti”, di cui non su conosce la faccia e neanche il nome. Possiamo denominarlo “Deep State“, cioè lo Stato sotterraneo, l’insieme di persone ed apparati che si muovono dietro le quinte o su “pressione” delle classi dirigenti, per lanciare messaggi per soli addetti ai lavori, mandare avvertimenti in codice. Il “Russiagate” sta lentamente mettendo in crisi il presidente del Consiglio Conte, costringendolo a renderne conto presentandosi davanti al Copasir . Tutto questo ha origine da un gioco di minacce velate e rivelazioni incrociate, che servono a tenere costantemente sotto scacco il governo e chi lo guida. L’hashtag è il solito: #Giuseppistaisereno. Ma stavolta il mittente non è solo Matteo Renzi. Russiagate Un quadro d’insieme, per ricostruire la vicenda. I “Russiagate” in realtà sono almeno quattro. Due negli Stati Uniti, due in Italia. Negli Stati Uniti il primo “Russiagate“ ufficiale lo apre il procuratore federale Müller che vuole appurare se dietro l’hackeraggio delle mail riservate di Hillary Clinton da parte dei russi, alla vigilia delle presidenziali del 2016, ci sia stato o meno lo zampino di Donald Trump, intenzionato a sabotare la candidata democratica. Il secondo “Russiagate“ lo ha aperto lo stesso Trump che a sua volta
vuole istruire una contro-inchiesta, per dimostrare che in realtà quel sabotaggio informatico russo nasconde una congiura contro di lui, ordita proprio dai democratici, intenzionati a sabotare la sua elezione alla Casa Bianca. La ragione per la quale Trump ha inviato in Europa il suo ministro della Giustizia William Barr è molto semplice e chiara: raccogliere informazioni “riservate” di primo mano dai governi amici. Si arriva così ai due “Russiagate made in Italy“. Il primo Russiagate tricolore, viene aperto da Conte: nell’agosto durante la crisi del governo gialloverde, senza darne conto a nessuno, il premier ha autorizzato i vertici dei nostri servizi di “Intelligence” (il Generale delle Fiamme Gialle Gennaro Vecchione, attualmente al vertice del Dis, il capo dell’Aise Luciano Carta e quello dell’Aisi Mario Parente) a incontrare per ben due volte Barr ed il procuratore americano John Durham, ed a cedere loro tutte le informazioni di cui hanno bisogno. Resta il fatto che Barr è un esponente politico dell’amministrazione statunitense e quindi bisognerà accertare come mai Conte abbia ritenuto opportuno di assecondare tale richiesta a dir poco anomala.
Sul piano giuridico è un atto legittimo in quanto il premier Conte ha mantenuto per se la delega ai servizi segreti, ma molto discutibile e criticabile sul terreno politico. E non a caso la politica gliene chiede conto e giustificazioni. Passiamo quindi al secondo Russiagate italiano: ad aprirlo è stato Matteo Salvini, che su questa mancanza di trasparenza del premier Conte lo assedia ed incalza. Quanto sinora accaduto induce ad alcune domande conseguenziali ed importanti La prima è: perché Conte, che è anche un avvocato, compie questa imperdonabile leggerezza? Una risposta probabilmente si trova nel tweet cinguettato al mondo da Donald Trump “Giuseppi Conte è un grande, merita di essere confermato alla presidenza del Consiglio” con il quale a fine agosto, all’apice della crisi di governo, il presidente degli USA lo ricompensa della sua obbedienza. L’ altra domanda è: chi ha fatto filtrare la notizia degli incontri
segreti dei nostri 007, con Barr tra agosto e settembre, gestiti ed autorizzati da Conte, e sopratutto perchè è stata fatta trapelare ? La risposta ci riporta come il gioco del Monopoli al punto di partenza: qualcuno del “Deep State”, che non sappiamo e non sapremo mai chi sia, ha voluto lanciare un segnale forte e chiaro a “Giuseppi“, della serie: non ti montare la testa, stai attento a come ti muovi, sei sotto osservazione . Probabilmente c’è qualcosa che non conosciamo, e chissà, forse un giorno verrà alla luce . L’audizione convocata per la prossima settimana, davanti al Copasir, forse attenuerà le polemiche. Ma forse per Conte ed il suo governo tutto ciò è solo una navigazione notturna nel buio e silenzio del mare, dove a volta si può incontrare qualche scoglio sconosciuto alle mappe. E la barca può colare a picco Ecco la telefonata Trump-Zelenskij: "Fammi questo favore. Vai a fondo su Biden e figlio" ROMA – Sono alcune delle frasi tratte dalla telefonata – di cui è stata diffusa la trascrizione declassificata e senza omissis – tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente ucraino Volodimir Zelenskij., la causa della richiesta di “impeachment” avanzata dalla portavoce della Camera degli Stati Uniti, la deputata democratica Nancy Pelosi . Trump non è “al di sopra della legge” e risponderà del suo comportamento, ha detto la speaker democratica della Camera, Pelosi, dopo la diffusione della trascrizione. “Il fatto è che il presidente degli Stati Uniti, violando le sue responsabilità costituzionali, ha chiesto a un governo straniero di aiutarlo nella sua campagna politica, a spese della nostra sicurezza nazionale, minando anche l’integrità delle nostre elezioni”, ha aggiunto Pelosi secondo quanto riportato dalla Cnn. “Questo non è accettabile. Ne risponderà davanti alla legge. nessuno è al di sopra della legge”, ha aggiunto la speaker della Camera, che ieri ha annunciato l’avvio di un procedimento per l’impeachment, cioè la messa sotto accusa del Presidente degli Stati Uniti d’ America. Al momento sono 205 i deputati americani finora a favore dell’inchiesta per aprire l’impeachment contro Trump, secondo i calcoli del New York Times. Il quotidiano scrive che oltre due terzi
dei 235 deputati democratici hanno già dato il loro sostegno. La maggioranza richiesta è di 218. Quindi manca poco. I membri del Congresso americano stanno indagando al momento per appurare se Trump nella telefonata abbia offerto in cambio il ripristino degli aiuti congelati alcuni giorni prima il colloquio. Lo riportano alcuni organi di stampa Usa. Nella trascrizione prima di chiedere a Kiev di accendere un faro sul figlio di Joe Biden (che è stato membro del board della società energetica ucraina Burisma group il cui proprietario era stato indagato dalla procura locale), Trump ricorda: “Direi che facciamo molto per l’Ucraina“, più di quanto faccia l’Europa.Il presidente ucraino Zelenskij rispose dicendo che Trump ha “assolutamente ragione” e che i paesi europei “non stanno facendo abbastanza per l’Ucraina“. Nel maggio scorso il procuratore generale dell’Ucraina aveva dichiarato che non c’erano prove di azioni illecite da parte di Hunter Biden, il figlio del candidato democratico alle presidenziali del 2020. Questo il contenuto principale della conversazione: “Fammi un favore. Si parla molto del figlio di Biden, che Biden fermò l’indagine e molte persone vogliono sapere, così tutto quello che puoi fare con il procuratore generale sarà grandioso. Biden è andato in giro a dire che aveva bloccato l’indagine, quindi se puoi darci un’occhiata. A me sembra orribile“.
Donald Trump La trascrizione della telefonata del 25 luglio del 2019 conferma che Trump durante la telefonata chiese al presidente ucraino di contattare il ministro della Giustizia Usa William Barr per discutere la possibile apertura di un’indagine per corruzione su Joe Biden e suo figlio. Il Presidente ucraino Zelenskij avrebbe dovuto collaborare con il suo avvocato personale, l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, e con il segretario alla giustizia, William Barr, per “guardare” (cioè indagare) sui Biden. “Bene perché ho sentito che un procuratore molto bravo era stato allontanato e questo è davvero ingiusto. – dice il presidente Trump nel corso della conversazione telefonica – Giuliani è un uomo altamente rispettato, è stato il sindaco di New York, un grande sindaco, e vorrei che ti chiamasse. Ti chiedo di parlarci assieme al procuratore generale. Rudy (Giuliani, ndr) è molto informato su ciò che è successo ed è un ragazzo in gamba. Se potessi parlarci sarebbe grandioso. L’ex ambasciatrice degli Stati Uniti era sgradevole, e così la gente con cui aveva a che fare in Ucraina, volevo che lo sapessi“. Trump “Volevo parlarti del procuratore”, risponde Zelenskij. “Primo di tutto capisco e sono a conoscenza della situazione. Dopo che abbiamo conquistato la maggioranza assoluta in Parlamento, il prossimo procuratore generale sarà al cento per cento una persona mia, un mio candidato, che sarà votato dal Parlamento e comincerà a lavorare da settembre. Lui o lei si occuperanno della situazione, specialmente dell’azienda a cui hai fatto cenno… A proposito, ti chiedo se hai altre informazioni da fornirci, sarebbe molto utile per l’indagine. Sull’ambasciatrice concordo al cento per cento. Ammirava il mio predecessore, non avrebbe accettato me come nuovo presidente”. Trump: “Ti faccio chiamare da Giuliani e farò in modo che lo faccia anche il procuratore generale Barr e andremo a fondo sulla vicenda. Ho sentito che il procuratore era stato trattato molto male. Dunque, buona fortuna per tutto. Prevedo che la tua economia migliorerà sempre di più. È un grande Paese. Ho molti amici ucraini, persone incredibili”. Hillary Clinton è stata tra i primi a reagire alla diffusione del documento : “Il presidente degli Stati Uniti ha tradito il nostro paese. Non è una dichiarazione politica, è una dura realtà e dobbiamo agire. È un chiaro e attuale pericolo per le cose che ci tengono forti e liberi. Sostengo l’impeachment», ha twittato l’ex candidata alla Casa Bianca. La richiesta di processare Trump deve passare sia alla
camera che al Senato: nella prima assemblea i democratici hanno la maggioranza, nella seconda le parti si rovesciano. “Nei giorni successivi” alla telefonata del 25 luglio fra Donald Trump e il leader ucraino Volodymyt Zelensky alcuni “funzionari della Casa Bianca sono intervenuti” per bloccare e mettere in sicurezza “le informazioni relative alla chiamata, soprattutto la trascrizione parola per parola. Queste azioni mettono a mio avviso in evidenza che i funzionari della Casa Bianca avevano capito la gravità di quanto emerso durante la conversazione”. E’ quanto emerge dalla denuncia della talpa che ha svelato conversazione Il problema dei social network : i "deep fake" ed il video falso postato da Donald Trump ROMA – Uno spettro ha inseguito Hillary Clinton per tutta la campagna elettorale del 2016: quello di Bengasi. La città libica che agli occhi dei suoi detrattori è diventata il simbolo di tutto il marcio rappresentato dalla candidata, diffondendosi sotto forma di teoria cospiratoria in grado di farsi meme. In realtà a distanza di anni Bengasi è diventato un esempio di offuscamento politico perfetto: il riferimento era agli attacchi contro soldati americani avvenuti tra l’11 e il 12 settembre 2012, che costarono la vita a quattro statunitensi, e per i quali vennero accusati Barack Obama all’epoca Presidente degli Stati Uniti d’ America ed Hillary Clinton, suo Segretario di Stato . Infatti nessuna indagine trovò e portò alla luce qualsiasi tracce di negligenza sul loro operato, ma la storia continuò a diffondersi, sospesa tra il vero ed il falso. Lo stesso genere di “fake news” su Benghazi è ritornata in una sua applicazione e variabile più attuale, realizzata su misura dei social network ed i loro algoritmi. Questa volta al centro della questione c’è Nancy Pelosi, la speaker della Camera degli Stati Uniti , di origini molisane, un’altra donna avversaria di Trump, e tra le persone che potrebbero mettere in moto la macchina
dell’impeachment contro il presidente Trump. Da qualche mese i media si divertivano a notare quanto fosse facile per la Pelosi fare deragliare Trump, spesso costringendolo a scivoloni pubblici (come quella volta che gli fece affermare che lo shutdown del Governo sarebbe stata un’idea sua e solo sua, come se fosse un vanto). Le cose sono cambiate la scorsa settimana, quando ha cominciato a circolare tra i circuiti della destra americana, un filmato che è stato retwittato dal commander-in-chief in persona. E il video, pur essendo palesemente falso, è rimasto ancora lì, online su Facebook e Twitter, destinato a offuscare il nome di Nancy Pelosi nel suo futuro. La versione originale del filmato mostra la speaker parlare al microfono, mentre la versione proposta dall’amministrazione Trump, è stata invece rallentata abbastanza al punto tale da da farla sembrare un po’ ubriaca. Un effetto video-digitale che era già venuto alla luce nell’esilarante spot Apple di Jeff Goldblum, modificato per farlo sembrare sbronzo, ma ecco che, nel 2019, fa tranquillamente capolino in un articolo sulla politica estera, a dimostrazione della squallida evoluzione dei nostri eventi. Ormai non costituisce più notizia che un filmato contraffatto sia stato messo online, chiaramente non siamo così ingenui, così come non fa neanche notizia, purtroppo, che un presidente come Donald Trump l’abbia subito fatta propria e “legittimata” (a voler essere cinici). La vera novità e notizia è costituita dal comportamento social network, che sull’onda degli svariati scandali che hanno interessato Facebook e non soltanto, negli ultimi anni hanno avviato programmi contro le fake news. A metà maggio proprio Facebook ha presentato un report sulla trasparenza in cui ha confessato (senza vergognarsi dei precedenti omessi controlli) di aver cancellato in sei mesi 1,3 miliardi di account falsi e di bot . “Questo è solo l’inizio”, ha detto Guy Rosen, che si occupa di sicurezza per l’azienda: “Le persone possono segnalare molti più tipi di contenuti”. Quando l’ ex sindaco di New York Rudolph Giuliani ora avvocato di Trump, ha scoperto il video-fakenews della Pelosi e lo ha ritwittato, da quel momento il video è passato dal profilo “ufficiale” del Presidente Trump a quello della Casa Bianca (che lo ha persino ritwittato) e quindi migrato anche su Facebook, insieme alle strumentali dichiarazioni di Donald Trump su “Crazy Nancy” e la millantata (non reale) follia della speaker della Camera degli Stati Uniti.
Se dovessimo dare credibilità ai responsabili della sicurezza di Facebook, asterebbe segnalarlo e la clip sparirebbe dal social network, ma allora ci si chiede: come mai quel video-fakenews è ancora online, visto che YouTube ha cancellato e rimosso immediatamente il contenuto? Facebook ha fatto quello che fa sempre in questi casi: spendersi in una spiegazione piuttosto contorta. Monika Bickert, che si occupa di counterterrorism per il social network, ha spiegato alla Cnn che l’azienda, cioè Facebook “sa che il video è falso” ma che lo ha lasciato online, anche se “abbiamo drasticamente ridotto la circolazione di quel contenuto”. Incredibile se non paradossale il motivo? “Pensiamo sia importante che le persone possano decidere a che cosa credere”. Difficile capire quante persone siano state danneggiate da quel video, ma Facebook li ha ignorati e calpestati tutti: sia chi trova inquietante quella millantata “riduzione” della diffusione del contenuto, e quelli che invece hanno a cuore… la realtà. E la correttezza dell’informazione. Da mesi negli USA i repubblicani e la destra radicale americana denunciano un’ipotetica campagna di “silenziamento” politico parte di Facebook e Twitter, accusate di essere di sinistra. Una campagna è arrivata fino al Senato, e che riguarda molto da vicino i “trumpiani“. Se l’azienda agisse per cancellare quella che è palesemente una vecchia bufala propagandistica aggiornata ai tempi nostri, paradossalmente farebbe un assist alla Casa Bianca, dimostrando in qualche modo le sue paranoie di censura. Ma forse questa è l’ultima cosa di cui Facebook ha bisogno, di questi tempi. Una cosa è certa. Ormai bisogna credere solo a quello che si vede con i propri occhi. Di persona. Adesso grazie al FOIA anche in Italia sarà più facile fare inchieste senza ostacoli Per il mondo dell’informazione in Italia è un momento “storico”:50 anni dopo gli Stati Uniti d’ America e 250 anni dopo la Svezia anche da noi entra in vigore il Freedom of Information Act cioè il FOIA . E’ è un mezzo efficace potentissimo, per poter accedere ed ottenere informazioni pubbliche. Quali? In teoria tutte. Il principio
a fondamento del FOIA è che tutte le informazioni e gli atti della pubblica amministrazione debbano essere pubblici e consultabili da chiunque a meno che non vi siano gravi motivi per opporre un segreto. il ministro Madia e Cantone Secondo il presidente dell’ANAC cioè l’ Autorita anticorruzione Raffaele Cantone che il 28 dicembre pubblicherà le linee guida si tratta di “una vera riforma epocale” . Inutile cercare di negare l’evidenza o arrampicarsi sugli specchi, è senza dubbio una riforma culturale e burocratica che non sarà possibile ignorare, in quanto adesso gli uffici pubblici hanno l’obbligo di rispondere e collaborare alle richieste di tutti , e quindi non più soltanto dei soggetti interessati da un provvedimento. I burocrati, gli esperti del diniego non sono attrezzati per farlo. E sopratutto questa volta rischiano grosso: l’incriminazione. In Italia, dopo anni di campagne della società civile e di richieste degli esperti, nell’ambito della legge (n. 124/2015) di riforma Madia della pubblica amministrazione il Parlamento ha delegato il Governo ad adottare un decreto che superasse la vecchia disciplina italiana sull’accesso agli atti amministrativi risalente alla legge n. 241 del 1990 che nonostante i buoni propositi di fatto limitava e non poco la possibilità di consultare e avere copia dei documenti solo a coloro che potessero vantare in ordine a quei documenti un interesse personale, concreto, diretto e giuridicamente rilevante in relazione a quei documenti. Una norma sulla trasparenza assai poco evoluta che non solo ci valeva gli ultimi posti nei rating internazionali in materia, ma che – di
fatto – impediva espressamente ogni forma di controllo civico generalizzato sull’operato delle pubbliche amministrazioni . Con tutte le conseguenti ritardi nella lotta alla corruzione e nel recupero di efficienza e legalità degli uffici pubblici. Il Governo ha adottato il decreto legislativo n. 97 del 25 maggio 2016 che in attuazione di questa delega, ha modificato il decreto 33/2013 in materia di trasparenza ed ha introdotto un nuovo strumento attraverso il diritto di accesso generalizzato, esercitabile da chiunque questa volta senza alcun bisogno di detenere un interesse qualificato su tutti i dati e i documenti presenti negli archivi delle pubbliche amministrazioni, fatto salvo un certo numero di eccezioni. Per consentire alle amministrazioni di adeguare i propri archivi e le proprie procedure, il legislatore ha previsto un termine di sei mesi per rendere davvero esercitabile questo diritto. Ed il termine è scaduto il 23 di dicembre alla vigilia delle feste natalizie.
Vediamo perché e cosa cambia. Negli Stati Uniti in questi anni sono state realizzate alcune delle più importanti inchieste giornalistiche proprio grazie al FOIA . Una di queste è diventata un film, “Spotlight“, che ha vinto l’Oscar nel 2015 svelando gli abusi sessuali di molti preti di Boston,. Così come il recente caso delle email del segretario di stato americano uscente Hillary Clinton, che è stata fortemente penalizzata nella sua la corsa allo studio ovale della Casa Bianca. Tutto è venuto alla luce, infatti, proprio grazie al FOIA redatto da un giornalista che ha ottenuto il diritto di consultare tutte le email che la Clinton aveva mandato e ricevuto quando era segretario di Stato usando persino un server privato. Ed è stato proprio grazie al FOIA americano che si è potuto aggiungere qualche tassello importante per capire cosa accadde nel caso di Ustica nei cieli italiani il 27 giugno 1980 .
Adesso anche l’ Italia ha il suo FOIA. E dobbiamo riconoscere che è stato fortemente voluto e sostenuto dall’ex presidente del consiglio Matteo Renzi; e dal ministro Marianna Madia, che ha fatto uno splendido lavoro dialogando senza mai arrendersi con la società civile , e lo ha strutturato in maniera tale da ridurre al minimo sia le eccezioni ma anche i i limiti. Quello italiano è sicuramente un buon FOIA, come ci è stato riconosciuto a Parigi due settimane fa alla riunione mondiale dell’Open Government Partnership . Adesso che anche in Italia abbiamo un buon FOIA dobbiamo usarlo ed il CORRIERE DEL GIORNO sarà in prima fila ad utilizzarlo senza fare sconti a nessuno . La democrazia funziona meglio con un Governo aperto e trasparente che così facendo si guadagna ogni giorno la fiducia dei cittadini. E noi giornalisti, dei nostri lettori. Ma cittadini, imprese e giornalisti sono pronti per sfruttare le potenzialità di questo nuovo strumento di trasparenza? Se l’è chiesto l’ Agenzia Italia che ha realizzato questa guida sintetica, che vi consigliamo di leggere per orientarvi meglio. Cos’è il Foia e quando si potrà applicare? Il Freedom of Information Act rappresenta un nuovo diritto di accesso che si aggiunge a quelli preesistenti (non solo quello di accesso procedimentale previsto dalla Legge n. 241 del 1990 o quello in materia ambientale previsto del decreto legislativo n. 195 del 2005, ma anche quello c.d. “civico” previsto dalla versione originaria del decreto n. 33 del 2013 in relazione ai dati, documenti e informazioni che le amministrazioni non avessero pubblicato nella sezione “Amministrazione trasparente” del proprio sito web, pur avendone l’obbligo). La nuova tipologia di accesso – che, per distinguerla dalle precedenti, viene chiamata “accesso generalizzato” – è contenuta
all’interno del nuovo art. 5, comma 2 del decreto trasparenza (33/2013), così come modificato dalla riforma della pubblica amministrazione. La norma prevede che “chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti”. Per la prima volta, nel nostro ordinamento giuridico viene introdotto un diritto di accesso che non è condizionato dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti ed ha ad oggetto tutti i dati e i documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli per i quali è già stabilito un obbligo di pubblicazione sui siti web delle amministrazioni (es. redditi degli amministratori, contratti pubblici, organigramma e dati sul personale, ecc., liste d’attesa). Il nuovo diritto di accesso generalizzato può essere esercitato da “chiunque”, vale a dire: persone fisiche (indipendentemente dalla loro
cittadinanza), persone giuridiche, associazioni anche non riconosciute. Altrettanto ampia è la sfera dei soggetti ai quali è possibile richiedere i dati e i documenti: pubbliche amministrazioni in senso stretto (Ministeri, Comuni, Provincie, Regioni, Scuole, Università, Camere di commercio e, naturalmente, le aziende ed enti del servizio sanitario nazionale), autorità portuali ed autorità amministrative indipendenti, enti pubblici economici, ordini professionali, società in controllo pubblico ed altri enti di diritto privato assimilati. Sotto il profilo dell’ambito oggettivo, l’accesso generalizzato è esercitabile relativamente “ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione”, ossia per i quali non sussista uno specifico obbligo di pubblicazione. Di fatto, quindi, il nuovo diritto potrà essere esercitato nei confronti dell’intero contenuto degli archivi di ciascuna pubblica amministrazione (fatte salve, naturalmente, le eccezioni previste). Come può essere esercitato il diritto di accesso generalizzato? L’istanza di accesso generalizzato va indirizzata direttamente all’ufficio che detiene i documenti, oppure all’Ufficio relazioni con il pubblico, oppure ancora ad altro ufficio indicato dall’amministrazione nella sezione “Amministrazione trasparente” del
sito web istituzionale. Sempre sul sito web, molte amministrazioni hanno già reso disponibile il modello di richiesta che potrà essere portata agli uffici, inoltrata via posta tradizionale oppure telematicamente (es. via mail o PEC). All’interno della richiesta andranno identificati i dati, le informazioni o i documenti che si desidera richiedere. Ciò vuol dire che eventuali richieste di accesso generalizzato saranno ritenute inammissibili laddove l’oggetto della richiesta sia troppo vago da non permettere di identificare la documentazione richiesta. Resta comunque ferma la possibilità per l’ente destinatario dell’istanza, in virtù di un principio di collaborazione, di chiedere di precisare la richiesta di accesso civico identificando i dati, le informazioni o i documenti che si desidera richiedere. Il rilascio di dati o documenti in formato elettronico o cartaceo è gratuito, salvo il rimborso del costo effettivamente sostenuto (e documentato) dall’amministrazione per la riproduzione su supporti materiali. Naturalmente, nel caso in cui l’istanza di accesso civico possa incidere su interessi di soggetti controinteressati legati alla protezione dei dati personali (è probabile che accada, ad esempio, in ambito sanitario), o alla libertà e segretezza della corrispondenza (basti pensare alle comunicazioni dei dipendenti pubblici) oppure agli interessi economici e commerciali (ad esempio, in relazione alle procedure di affidamento e ai rapporti con i fornitori) è necessario che l’ente destinatario dell’istanza di accesso civico ne dia comunicazione agli stessi. In tal modo, il soggetto controinteressato potrà presentare una eventuale e motivata opposizione all’istanza di accesso civico entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione della richiesta di accesso civico. Decorso tale termine, l’amministrazione provvederà sulla richiesta di accesso civico, accertata la ricezione della comunicazione da parte del controinteressato. Il procedimento di accesso civico dovrà concludersi con provvedimento espresso e motivato nel termine di trenta giorni dalla presentazione dell’istanza con la comunicazione del relativo esito al richiedente e agli eventuali controinteressati. Tali termini sono sospesi nel caso di comunicazione dell’istanza al controinteressato durante il tempo stabilito dalla norma per consentire allo stesso di presentare eventuale opposizione (10 giorni dalla ricezione della comunicazione). In caso di accoglimento, l’amministrazione provvederà direttamente a trasmettere tempestivamente al richiedente i dati o i documenti richiesti, senza bisogno – quindi – di convocare il richiedente presso
l’ufficio per fargli consultare “le carte”. Laddove vi sarà, invece, l’accoglimento della richiesta di accesso civico nonostante l’opposizione del controinteressato, l’amministrazione sarà tenuta a darne comunicazione a quest’ultimo. I dati o i documenti richiesti potranno essere trasmessi al richiedente non prima di quindici giorni dalla ricezione della stessa comunicazione da parte del controinteressato, ciò anche al fine di consentire a quest’ultimo di presentare opposizione. La disciplina in materia prevede che in caso di diniego totale o parziale dell’accesso o di mancata risposta entro il termine di trenta giorni, il richiedente – prima di rivolgersi al Tribunale Amministrativo Regionale competente per territorio – possa: a) presentare richiesta di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (figura presente in tutte le pubbliche amministrazioni), che decide con provvedimento motivato, entro il termine di venti giorni. b) in alternativa, laddove si tratti delle regioni o degli enti locali, il richiedente può presentare ricorso al difensore civico competente per ambito territoriale (qualora tale organo non sia stato istituito, la competenza è attribuita al difensore civico competente per l’ambito territoriale immediatamente superiore).
Quali sono le eccezioni? Come già accennato, la regola della generale accessibilità è bilanciata dalla previsione di eccezioni poste a tutela di interessi pubblici e privati che possono subire un pregiudizio dalla diffusione generalizzata di talune informazioni. In particolare, l’accesso generalizzato è escluso nei casi in cui una norma di legge sottrae alcune informazione e documenti alla conoscibilità del pubblico (come nel caso di segreto di Stato). Al di fuori dei casi sopra indicati, possono ricorrere, invece, limiti (eccezioni relative o qualificate) posti a tutela di interessi pubblici e privati che vengono tassativamente elencati:
la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico; la sicurezza nazionale; la difesa e le questioni militari; le relazioni internazionali; la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; il regolare svolgimento di attività ispettive; la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; la libertà e la segretezza della corrispondenza; gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali. Il contenuto delle eccezioni viene meglio dettagliato in un provvedimento dell’Autorità Nazionale Anticorruzione adottato d’intesa con il Garante Privacy, in ordine ai dati personali; la versione definitiva di questo documento non è stata ancora pubblicata da Anac ma – per farsi un’idea di quali sono i documenti e dati sottratti all’accesso – è possibile leggere la bozza di linee guida che è stata sottoposta a consultazione nelle scorse settimane. Naturalmente, trattandosi di un diritto così innovativo per l’amministrazione italiana, è possibile che sia necessario un periodo di “rodaggio” (e qualche sentenza dei giudici) per comprendere bene quali siano i confini di questo nuovo diritto. Per questo motivo, sono già in cantiere iniziative di monitoraggio per verificare il reale impatto della nuova normativa e capire se ha bisogno di modifiche e interventi correttivi.
Grazie al FOIA andremo a potenziare una nostra rubrica, ben nota ai nostri lettori “Le inchieste del Corriere” per realizzare ancora meglio le nostre inchieste giornalistiche usando lo strumento che da oggi finalmente abbiamo anche noi in Italia. Avere la possibilità di chiedere degli atti e documenti e poter fare delle indagini partendo dai documenti e non dai mormorii o spifferi di corridoio, o segnalazioni anonime. Le nostre inchieste non saranno solo investigative ma anche collaborative e cioè vogliamo mettere a disposizione di chi voglia fare una inchiesta giornalistica la nostra collaborazione e partecipazione. Sempre dalla parte dei lettori e dei cittadini onesti, che potranno d’ora in poi suggerirci gli argomenti, segnalarci delle vicende di interesse pubblico avendo la certezza che grazie al FOIA adesso possiamo realizzarle senza barriere ed ostacoli (e quanti ne abbiamo trovati…) Non siamo i primi in Italia a voler fare inchieste di questo tipo. ma sicuramente lo siamo stati in Puglia portando un giornalismo d’inchiesta pressochè sconosciuto. Il punto di svolta è che da oggi tutto sarà più facile. Da oggi cari lettori abbiamo tutto il il diritto di sapere e non vogliamo e dobbiamo più fermarci dinnanzi alle barricate della burocrazia. E se qualcuno ci proverà, questa volta troverà pane per i suoi denti.
Facebook dichiara “guerra” alle bufale. Finalmente ! di Paolo Campanelli In un lungo post pubblicato da Mark Zuckerberg fondatore del social network più grande del mondo sul suo profilo, Facebook dichiara guerra alle “bufale” e si appresta a lanciare un nuovo servizio che consente agli utenti di segnalare le notizie false. “Abbiamo la responsabilità di assicurarci che Facebook abbia il miglior impatto possibile sul mondo, questo aggiornamento è solo uno di tanti passi avanti”, dice Zuckerberg, “Facebook è un genere di piattaforma diversa da qualunque cosa l’abbia preceduta. Ritengo Facebook una compagnia tecnologica ma riconosco che abbiamo una responsabilità maggiore della semplice fornitura della tecnologia attraverso la quale scorre l’informazione” ed aggiunge “sebbene non scriviamo le notizie che leggete e condividete, riconosciamo che siamo qualcosa di più di un semplice distributore di notizie“. “Siamo una specie di nuova piattaforma – ha aggiunto Zuckerberg – per il discorso pubblico e ciò significa che abbiamo un nuovo genere di responsabilità nel rendere le persone in grado di avere le conversazioni più significative possibili e di costruire uno spazio dove la gente possa essere informata“, che ha poi descritto il funzionamento del servizio, che era già spiegato poco prima dal suo vice Adam Mosseri. Sarà inserito un pulsante che consentirà agli utenti di segnalare una notizia falsa, come si era già visto in alcuni esperimenti che hanno preceduto il lancio . Le segnalazioni verranno poi elaborate da organizzazioni dedicate al fact-checking in linea con l’International Fact Checking Code of Principle stilato dal Poynter Institute. Se queste riterranno falsa una notizia, il post sarà segnalato come
controverso e accompagnato da un articolo che spiega il perché. Va senza dire che il tutto funzionerà prima e meglio in lingua inglese, mentre con ogni probabilità il meccanismo per avere un impatto significativo sulla diffusione di notizie false, sarà disponibile in altre lingue, come l’italiano. A fine novembre Zuckerberg aveva spiegato che la compagnia era al lavoro per eliminare le news false, anche migliorando la capacità dell’algoritmo di individuarle e di farle segnalare agli utenti. In futuro non esclude di usare anche l’intelligenza artificiale, ma qui è evidente che il ruolo principale nella segnalazione è riservato alla comunità degli utenti, come già accade per altri tipi di contenuti sul social network. «Useremo anche il pugno duro nei confronti di quelli che si travestono da testate giornalistiche molto conosciute», aggiunge Zuckerberg. Come è noto a chiunque abbia un profilo Facebook, molte pagine contenenti bufale adottano nomi simili a quelli di giornali famosi, e la satira è spesso solo un pretesto per diffondere disinformazione e attirare clic cavalcando i temi più discussi e attuali. Un’altra strategia molto diffusa consiste nell’usare titoli a effetto: «Abbiamo scoperto che se la gente che legge un articolo lo condivide meno di quelli che leggono solo il titolo, questo può essere un segno che il titolo è fuorviante». La soluzione? Assegnare un punteggio basso alla notizia e renderla automaticamente meno visibile nel News Feed. Nelle settimane scorse, Facebook era stato accusato di non aver fatto abbastanza per combattere le notizie false che, secondo i sostenitori di Hillary Clinton, avrebbero favorito la vittoria di Donald Trump alle presidenziali Usa. Zuckerberg aveva replicato che le bufale non solo non avevano influenzato il voto ma erano state diffuse da entrambi gli schieramenti. Così la campagna elettorale americana è stata l’inizio di una profonda riflessione: «Non siamo una news company», si era schermito Zuckerberg nei giorni passati. Ma il post di oggi è un punto di svolta, il riconoscimento da parte del suo fondatore del ruolo colossale che ha nel dibattito pubblico globale uno strumento come Facebook.
Hillary Clinton: “Siamo delusi, ma lotteremo insieme per un’America più giusta”. Il mattino dopo la sonora sconfitta elettorale Hillary Clinton questo pomeriggio presentandosi davanti al suo staff a New York ha commentato il risultato : “Siamo delusi perché non è quello che volevamo. Ieri ho sentito Trump e gli ho offerto la mia collaborazione. Facciamo quelle che possiamo per portare avanti i valori che abbiamo a cuore, salvare il pianeta e abbattere gli ostacoli che dividono gli americani dai loro sogni” ha aggiunto spiegando che “la nostra responsabilità come cittadini è quella di continuare a fare il nostro lavoro per un’America più giusta”. Rivolgendosi alle donne la Clinton ha aggiunto : “Nulla mi ha reso più orgogliosa che essere la vostra sostenitrice. Ancora non abbiamo rotto quel tetto di cristallo, ma prima o poi qualcuno lo farà“. Alle bambine “Non dubitate mai del vostro valore e di poter realizzare i vostri sogni” concludendo “Ogni
giorno ringrazio per le benedizioni che ho ricevuto e per essere americana. Sono certa che i nostri giorni migliori devono ancora venire”. E concludendo: “Dobbiamo accettare il risultato” della vittoria di Donald Trump che ora “è il nostro presidente”. Prima di Hillary aveva parlato Tim Kaine il suo candidato alla vicepresidenza : “Hillary è sempre stata leale, nessuno aveva dubbi che avrebbe accettato il risultato. Conosce bene questo Paese. Ha già saputo rialzarsi e ha sempre combattuto. Non possono abbatterci perché noi sappiamo che il lavoro fatto rimane, sappiamo che i sogni di dare potere alle famiglie e ai bambini rimane e ci darà conforto anche nei momenti difficili”. Donald Trump è il 45° presidente Usa. L’America lo ha scelto ed eletto Dopo Barack Obama sarà Donald Trump il 45esimo presidente degli Stati Uniti, il nuovo “inquilino” chiamato a sedersi nello studio ovale della Casa Bianca, a capo della superpotenza americana. Hillary Clinton alle due del mattino, quando nella suite dell’Hotel Peninsula di Manhattan, dove aspettava i risultati delle elezioni presidenziali, ha capito la realtà. La prima donna alla Casa Bianca non sarà lei. Ha telefonato all’avversario e non ha parlato ai suoi sostenitori, lo farà più tardi (nelle ore del pomeriggio in Italia). “Andate a casa, non avremo niente da dire stasera” ha detto a suo posto John Podesta, il manager della sua campagna aggiungendo “Questa è stata una lunga notte, dopo una lunga campagna. Quindi possiamo aspettare ancora un po’, per garantire che tutti i voti vengano contati. Siamo orgogliosi della strada che abbiamo percorso insieme, e siamo orgogliosi di voi. Abbiamo fatto insieme un grande lavoro, e ancora non lo abbiamo finito” . Che i repubblicani dovessero conquistare la Casa Bianca, dopo otto anni di governo democratico, era plausibile. E, in fondo, anche sano e fisiologico. Che dovessero conquistarla con un candidato così poco rappresentativo della loro storia e dei loro valori, questo è il lato implausibile della faccenda. Il consenso di Donald Trump è stato ottenuto soprattutto negli stati industriali, e la sua vittoria va
riconosciuta come fortemente radicata in questo scontento del mondo del lavoro, del declino della classe media americana. Non è irrilevante affermare con chiarezza queste cose in queste prime ore della vittoria di Donald Trump. L’evento accaduto questa notte è di proporzioni storiche. Il successo del Tycoon costituisce l’esplosione del sistema dei partiti americani – quello democratico che ha perso voti della sua tradizionale base sociale, e quello repubblicano che sulla base del calcolo di interessi della sua tradizionale base ha preso le distanze da Trump. Ed è significativo che il nuovo presidente arrivi a Washington, nello studio ovale della Casa Bianca, sostenuto da un voto che mette al centro proprio quel mondo del lavoro che in questi anni è stato sottovalutato dai partiti tradizionali , accantonato, se non incredibilmente abbandonato. Se si guarda alla mappa elettorale americana, fa notare in queste ore il celebre sito di analisi politica Fivethirtyeight, fondato da Nate Silver, la lista degli stati dove Donald Trump ha vinto è perfettamente sovrapponibile con quella identificata da David Autor l’economista del Mit come la mappa degli stati dove maggiore è stato l’impatto delle importazioni cinesi – impatto stimato nella perdita di 2 milioni di lavoro tra il 1999 e il 2011. “Io non sono un politico. I politici parlano ma non agiscono. Io sono il contrario” disse all’inizio della corsa presidenziale. Mai come questa volta si può parlare di un “self made president”. Si è fatto da sé come imprenditore di successo – dai borough del Queens alla Trump Tower della Manhattan più glamour – tanto ricco quanto discusso. Si è conquistato da solo la presidenza degli Stati Uniti, spazzando via tutto e tutti: non aveva al suo fianco l’establishment del Partito Repubblicano, mai così freddo con un suo candidato, tentato addirittura di abbandonarlo nel corso della campagna. Non ha mai avuto al suo fianco la stampa, ostile al punto di demonizzarlo tanto in patria quanto all’estero. Non ha avuto il sostegno delle cancellerie estere e degli operatori finanziari
internazionali, che salvo rare eccezioni hanno sostenuto la corsa di Hillary Clinton. Ha fatto a meno della spinta dei vip americani, attivissimi negli endorsement a favore dell’ex first lady per tutta la durata della campagna elettorale e fino all’ultimo giorno. Non ha potuto contare sul presidente uscente Barack Obama e anche questa si è rivelata un’arma a suo favore, perché ormai gli Usa hanno voltato le spalle all’esperienza democratica. La vittoria di Trump fa letteralmente saltare il banco. Ha smentito le previsioni dei sondaggisti, che lo hanno visto sempre indietro, pur registrando una rimonta nelle ultime settimane, a dimostrazione ancora una volta dell’incapacità dei sondaggi di leggere fino in fondo gli umori della gente, negli Stati Uniti come altrove in passato. Ha cancellato mesi di campagna attiva della stampa americana e internazionale, mai così schierata in una corsa presidenziale e mai così compatta a sostegno di Hillary Clinton: solo 2 testate statunitense si sono schierate con il candidato repubblicano, contro 57 esplicitamente al fianco della candidata democratica, il numero di endorsement più basso per un candidato nella storia americana. Anche per la stampa sorge un interrogativo quasi esistenziale sulla capacità di analisi del sentiment popolare, sulla lettura del malcontento delle aree rurali, delle zone industriali, della working class sempre più impoverita e ansiosa di cambiamento. Il trionfo di The Donald è una sconfitta cocente per Hillary Clinton, che si è rivelata un candidato debole e poco amato. Si dice negli Usa che per vincere un candidato deve essere empatico, deve risultare simpatico e vicino alla gente: questo non è mai riuscito a Hillary, ma non è solo questo. Hillary è stata considerata come il vecchio, la continuità, l’establishment, è stata considerata Clinton III, esponente della Dynasty che ha già eletto due volte il marito Bill. La sua sconfitta è anche e soprattutto il fallimento politico di Barack Obama e della sua avventura politica nata sotto il segno del “change”.
Un cambiamento che diede la vittoria all’outsider del 2008, ma che l’America profonda (e non solo) non ha visto nelle proprie tasche e non immagina nel proprio futuro. IL PRIMO DISCORSO Già nel suo primo discorso di ringraziamento, Trump ha usato i toni più morbidi della conciliazione nazionale. Una sola sicurezza esiste però fin da ora. La fuoriuscita del consenso dai partiti tradizionali è un fenomeno già in corso nei vari paesi europei, compreso l’Italia, ma il voto americano vi inserisce un segno in più: la vittoria di Donald Trump è la prima affermazione di un movimento antisistema americano che porta un suo leader al vertice. È un voto che istituzionalizza nel punto più alto del sistema il rifiuto del sistema stesso. “Per repubblicani e democratici è arrivato il tempo dell’unione – ha detto Trump nel suo primo discorso dopo i risultati – La nostra non è stata una campagna elettorale, ma un grande movimento“. Emozionato, è salito con la famiglia al completo sul palco , accanto a lui sua moglie Melania, la nuova “First Lady” vestita di bianco, e tutti i figli. Come colonna sonora è stata scelta la musica di Independence Day. “Prometto che sarò il presidente di tutti gli americani. Ve lo prometto: i dimenticati di questo Paese, da oggi non lo saranno più“.
“Ho appena ricevuto una telefonata da Hillary Clinton, vorrei farle le mie congratulazioni, ha combattuto con tutta se stessa. Ha lavorato sodo e le dobbiamo una grande gratitudine” ha detto Trump. Il vincitore delle elezioni presidenziali ha poi teso la mano ai democratici (“è il momento di unirci e superare le divisioni”) assicurando di voler “buoni rapporti con l’estero” e che “saremo giusti con tutti i popoli e le nazioni”. Infine un passaggio sull’economia: “Raddoppieremo la crescita e saremo l’economia più forte al mondo“. Parla di un America da curare, di infrastrutture da ricostruire, della creazione di migliaia di posti di lavoro, di veterani di cui occuparsi. “Abbiamo un piano economico incredibile: raddoppieremo la crescita e creeremo più forte economia del mondo. Non c’è nessun sogno troppo grande, nessuna sfida troppo grande che possa mettere in pericolo il nostro futuro. Dobbiamo riprenderci il destino del nostro Paese. Dobbiamo avere sogni di successo“. Sulla politica estera dice semplicemente “andremo d’accordo con tutti, cercheremo il dialogo”.
Raffica di ringraziamenti anche per Rudolph Giuliani (ex sindaco di New York) ed altri componenti della sua campagna elettorale.Poi quelli per i servizi segreti, di sicurezza, le forze di polizia, insomma le parti della “difesa” e delle forze armate americane. “Inizieremo subito a lavorare per il popolo americano. Il mio lavoro vi renderà fieri di me ancora. Adoro questo Paese, grazie a tutti!” . Poi ringrazia i suoi genitori “due bravissime persone”, le sorelle, i fratelli, la moglie Melania, il figlio, Ivanka e tutti gli altri componenti accanto a lui . “I love you” ha concluso. E stata una lunga difficile notte per i democratici americani. Dopo poche macchie blu apparse sui contorni della mappa americana, sin dalle prime ore dello spoglio elettorale, si è colorato tutto di rosso repubblicano. Un pezzo dopo l’altro. Stato dopo Stato. L’Empire State Building come un enorme schermo proiettava numeri che da incredibili diventavano velocemente indiscutibili. Le persone per le strade, dietro le transenne, davanti alle tv nelle case, incredule con gli occhi sbarrati sui monitor dei propri smartphone. Blu, rosso, i volti di Hillary Clinton e Donald Trump nelle spillette delle persone che assistevano allo spoglio in diretta del loro futuro. “È una notte meravigliosa. È una notte fantastica per l’America – ha detto Curtis Ellis, alto consigliere di Trump quando già era chiara la vittoria – È una notte grandiosa per tutta la gente del mondo“, e le persone iniziavano a defluire dalle piazze. Dopo aver assistito a un’estenuante campagna elettorale piena di veleni, polemiche e colpi bassi, circa 220 milioni di aventi diritto sono stati chiamati prima a scegliere, poi aspettare il nome del 45esimo presidente degli Stati Uniti.
L’ONDA POPULISTA Ora si discuterà di quanto era debole Hillary Clinton come candidata, degli errori commessi durante la campagna elettorale, dell’impatto della lettera con cui il direttore dell’Fbi Comey aveva annunciato di aver riaperto l’inchiesta sulle mail private usate quando lei era segretario di Stato. Tutto vero, ma la vittoria di Trump è stata determinata da un vento più grande degli stessi Stati Uniti, che aveva cominciato a soffiare con la Brexit in Gran Bretagna, e ora ha raggiunto anche le coste degli Usa. Una rivoluzione populista, magari venata anche di pulsioni razziste, che però con l’ingresso di Donald Trump alla Casa Bianca diventa il fenomeno politico dominante dell’Occidente. Hillary Clinton ha vinto nel Vermont, Delaware, Illinois, Maryland, Massachusetts, New Jersey, Rhode Island, District of Columbia, New Mexico, ma fino allo Stato di New York, ha raccolto soltanto briciole. Anche i sostenitori con il passare delle ore diventavano sempre più cauti. “Comunque vada l’America resta una grande nazione. Domani mattina sorgerà lo stesso il sole “ha detto Barack Obama. La stessa Hillary ha twittato in anticipo un “qualsiasi cosa accada, grazie lo stesso“. Poi sono arrivati i consensi della Virginia, California, Oregon, Hawaii e Colorado. Ma non è bastato. Il Nevada o il Maine non hanno fatto differenza e determinato alcunchè.
Il consenso per Donal Trump è diventato un’onda rossa. Si è aggiudicato Oklahoma, Mississippi e Tennessee, Alabama e South Carolina. Poco dopo Arkansas, Nebraska, South e North Dakota, Wyoming e Texas. Il New York Times a metà notte, per la prima volta ha cambiato le proiezioni dandolo per vincente al 58 per cento.
Donald Trump è sempre stato avanti nella corsa per la Casa Bianca mentre erano restati Michigan, New Hampshire e Wisconsin a restare in bilico, ma fino ad aggiudicarsi i 279 grandi elettori (i delegati che il 19 dicembre eleggeranno formalmente il nuovo presidente americano), ben 9 in più dei necessari a conquistare la presidenze, lasciandosi dietro Hillary a contare i suoi 218. Un giornalista inviato del quotidiano francese Liberation, presente nel cuore di una città tradizionalmente democratica, ha catturato le parole di una ragazza, mentre parlava al telefono con la sorella: “È una follia” il suo commento. Ed il cronista francese continua: “La folla è muta non osa parlare” . Times square, New York, era avvolta nel silenzio. Trump ha trionfato nelle aree del Paese a forte presenza di elettori bianchi, facendo molto meglio di Mitt Romney quando quattro anni fa venne sconfitto da Barack Obama. Hillary Clinton non è riuscita ad attirare i voti delle minoranze, cioè di quella parte dell’elettorato che furono la chiave dei successi del presidente uscente, ha scritto il Washington Post.
I repubblicani hanno confermato il controllo della House of Representative, secondo quanto previsto, anche se la maggioranza si è ridotta. Il Grand Old Party avrebbe 235 seggi contro i 247 delle precedenti elezioni del 2014; i democratici che ne avevano 185 sarebbero saliti a quota 200. I repubblicani hanno strappato ai democratici la Camera sin dal 2010. Ancora in bilico il Senato, dove sono in ballo 35 seggi su 100. MERCATI A PICCO I mercati hanno reagito alla vittoria di Trump con un crollo generalizzato, soprattutto perché lui rappresenta un’incognita. Il suo programma economico infatti è rimasto vago, forse di proposito, a parte la determinazione di tagliare tasse e regole. Sul piano internazionale, poi, il tycoon ha messo in dubbio il futuro della Nato e ha previsto che l’Unione Europea continuerà a disintegrarsi, dopo l’uscita della Gran Bretagna. Tutto questo preoccupa la comunità internazionale, ma lo ha reso ancora più popolare fra i suoi sostenitori, stanchi come lui di vedere che “gli Stati Uniti non vincono più“, e pagano per la difesa e gli interessi di tutti gli altri. Il trionfo temuto di Donald Trump è stata una zampata sull’economia mondiale. Il pesos messicano , cioè la moneta del Paese, costante obiettivo degli attacchi di Trump, dalle accuse ai migranti bollati come criminali e al progetto di costruire un muro lungo il confine) ha perso il 5%. La Borsa di Tokyo, innervosita dall’andamento del voto, ha visto l’indice Nikkey, a metà seduta, cedere il 2,2% a quota 16.788,90. Il Giappone e i mercati asiatici temono molto la vittoria di Trump che tra i suoi obiettivi ha l’abolizione del trattato di libero scambio Ttp (Trans Pacific Partenership) firmato nel 2015 tra gli Usa e 12 Stati del pacifico. Tristezza e anche qualche lacrima tra i supporter di Hillary Clinton al quartier generale democratico a New York.
LA RIVOLUZIONE DEL LINGUAGGIO L’ultima chiave della vittoria di Trump è stata certamente nel linguaggio, diretto e anche offensivo. La sfida alla “correttezza politica“, che per i suoi sostenitori è solo ipocrisia, usata per mascherare le politiche che li danneggiano. Gli hanno perdonato tutto, incluse le registrazioni in cui diceva di poter prendere le donne come voleva, confermando che se fosse sceso nella Fifth Avenue e avesse sparato a qualcuno, non avrebbe persone neppure un voto. Ieri sera infatti tutti quei voti gli hanno consegnato la Casa Bianca, incoronandolo come “leader” di una rivoluzione piena di incognite per alcuni, e speranze di riscatto per altri. “Un onore, una serata eccezionale, un periodo eccezionale”. Così Donald Trump ha concluso il suo discorso dopo la vittoria nelle elezioni presidenziali Usa. Il magnate newyorkese ha poi voluto ringraziare tutti, citando Mike Pence, che era il candidato repubblicano alla vicepresidenza. Al termine dell’intervento i sostenitori hanno intonato “Usa, Usa”. Trump ha poi baciato tutta la famiglia e i suoi accanto a lui. Ecco le immagini trasmesse in diretta da SkyTg24. Il nuovo presidente americano ha festeggiato a New York. Per la prima volta in oltre 70 anni, la metropoli americana ha ospitato per l'”Election Day” il candidato repubblicano e quello democratico dopo una battaglia elettorale e sui media durata quasi due anni. Alla Casa Bianca va Donald Trump ed una cosa è certa: il nuovo presidente non deve ringraziare nessuno. Con il Congresso americano in mano al Partito Pepubblicano avrà mano libera per influire profondamente sugli Stati Uniti d’America, anche se si troverà di fronte un Paese lacerato e in una profonda crisi sociale che, se non saprà ricucire, rischia di diventare dirompente. L’8 novembre 2016 è quindi definitivamente una data che può stravolgere la storia. Gli Stati Uniti hanno avuto un presidente nero, e prima o poi avranno anche un presidente donna. Non sarà Hillary Clinton, però. Quella che sembrava la predestinata, ma passerà invece alla storia solo per la più bruciante sconfitta politica degli Stati Uniti.
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